MOBILITÀ DEGLI HUTU IN ITURI: TRA ACCETTAZIONE E DIFIDENZA (2ª Parte)
Pole Institute – Ottobre 2020[1]
INDICE
2. CAPITOLO 2: MOBILITÀ HUTU E FATTORI DI INTEGRAZIONE IN ITURI
2.3. Forme di socialità, collaborazione e partecipazione al potere locale tra le comunità indigene e la comunità hutu nell’Ituri
2.4. Opportunità economiche come fattore di integrazione degli Hutu a Geti e a Boga
3. CAPITOLO 3: NUOVE DINAMICHE DI CONFLITTO RELATIVE ALL’INSEDIAMENTO DEGLI HUTU IN ITURI
3.1. Tipi di conflitti tra le comunità autoctone e la comunità hutu nell’Ituri
3.1.1. L’occupazione delle terre da parte dei Banyabwisha e i conflitti fondiari
3.1.2. I conflitti economici
3.1.3. I conflitti politici
3.1.4. I conflitti identitari
3.2. Le principali cause dei conflitti
3.2.1. Le cause politiche e giuridiche
3.2.2. Le cause economiche e demografiche
3.2.3. Le cause socioculturali
3.3. Implicazioni e ruoli nei conflitti tra i migranti hutu e le comunità autoctone
3.3.1. Le comunità etniche
3.3.2. Gli agenti politici e sociali
3.3.3. Le istituzioni
3.3.4. Gli Stati della Regione dei Grandi Laghi Africani e la Comunità Internazionale
3.4. Conseguenze dei conflitti: diverse dimensioni
2. CAPITOLO 2: MOBILITÀ HUTU E FATTORI DI INTEGRAZIONE IN ITURI
2.3. Forme di socialità, collaborazione e partecipazione al potere locale tra le comunità indigene e la comunità hutu nell’Ituri
La socialità è spesso definita come l’insieme delle relazioni interpersonali tra individui. È l’espressione dell’esistenza di relazioni reali, scelte e reciproche che gli individui desiderano mantenere tra loro.
I legami di socialità esistenti, anche se fragili e precari, sono rappresentati dai matrimoni tra giovani delle comunità autoctone e hutu. Sono rari e spesso unilaterali. Spesso sono i giovani autoctoni, Hema e Nyali, che prendono l’iniziativa di sposare ragazze hutu, stimate per la loro lealtà e la loro efficienza nei lavori agricoli.
Tuttavia, su questo argomento dei matrimoni misti circolano vari stereotipi che non li favoriscono. Spesso gli autoctoni ritengono che gli hutu siano di cultura matriarcale e che, quindi, i figli appartengano alla madre. Soprattutto, gli autoctoni ritengono che la durata di questi matrimoni si limiti solo al periodo di permanenza degli hutu nell’Ituri, che alcuni di loro vorrebbero fosse il più breve possibile. Pertanto, secondo i membri delle comunità autoctone, questi matrimoni non possono essere duraturi perché sperano che, prima o poi, questi migranti ritorneranno ai loro villaggi di origine.
Si nota però una certa collaborazione tra autoctoni e migranti hutu, attraverso il coinvolgimento di questi ultimi in vari servizi sociali, tra cui il settore sanitario e quello scolastico, come infermieri e insegnanti. Ci sono anche dei legami sociali che si instaurano attraverso le attività economiche nei settori, per esempio, dei trasporti e del commercio. Anche il mercato di Busiyo, iniziato dai migranti hutu nel territorio di Irumu, è un’occasione che genera relazioni sociali. Vi si vendono prodotti agricoli e zootecnici e il contributo dei migranti hutu è notevole, sia per quanto riguarda la quantità dei prodotti che la loro varietà. L’umusururu, una bevanda a base di sorgo e banana, è un’innovazione introdotta dagli hutu e molto apprezzata dagli autoctoni.
L’associazionismo costituisce un altro spazio capace di strutturare e rafforzare i legami sociali. Come altrove, queste associazioni vengono create in funzione del loro scopo. Ci sono associazioni di agricoltori, come TIAMATA, e quella dedicata all’Intensificazione dei Prodotti alimentari (IPV), create per aiutare i migranti hutu a massimizzare i loro prodotti agricoli. Gli Hutu hanno creato anche l’Associazione dei Taxi-Moto (ATM) per il trasporto delle persone e delle merci.
Altre associazioni che possono federare i membri delle diverse comunità, inclusa quella degli Hutu, sono le Mutualità di Solidarietà (MUSO). Se ne contano circa una cinquantina, tra cui MUSO Mapendo, che comprende anche degli Hutu.
Tuttavia, queste relazioni che potrebbero essere rafforzate, sono invece ostacolate da certi pregiudizi reciproci che creano un certo distanziamento.
I membri delle comunità autoctone rimproverano ai migranti hutu una certa chiusura di carattere che li porta a ripiegarsi su se stessi. Queste affermazioni confermano alcuni comportamenti che gli stessi migranti ammettono. Questo allentamento dei legami sociali, caratterizzato da una sorta di ripiegamento, è corroborato da diversi fatti.
Uno dei più significativi è stato la fondazione di un’associazione denominata “Unione dei Banyabwisha”, i cui obiettivi erano di “preservare i loro valori tradizionali in terre lontane, aiutarsi a vicenda nel coltivare i campi, sostenersi in caso di problemi”. Questa associazione fu sciolta per ordine del capo tribù locale, perché gli autoctoni non la vedevano di buon occhio. Tuttavia, il perseguimento degli obiettivi di questa associazione non si arresta necessariamente con la sua scomparsa formale, decretata da un’autorità esterna agli iniziatori. Questi obiettivi possono continuare ad essere perseguiti attraverso comportamenti che contribuiscono a conservare e a rafforzare la propria identità culturale e sociale.
Un altro fattore di distanziamento sociale è l’appartenenza religiosa. La stragrande maggioranza dei migranti hutu sono membri della Chiesa Avventista, mentre gli autoctoni appartengono generalmente alla Chiesa Anglicana, anche se alcuni di essi hanno aderito alla Chiesa Avventista. Tuttavia, la lingua usata per la preghiera, il kinyarwanda, non compreso dagli autoctoni, costituisce una difficoltà per l’adesione degli autoctoni e diventa, quindi, un fattore di esclusione. In questo contesto, a Malaya è stata fondata una scuola avventista, i cui alunni sono per lo più avventisti, figli di immigrati hutu, il che costituisce un altro fattore di divisione.
I riti funebri costituiscono un altro elemento di discordia. I migranti hutu sono criticati per la loro mancanza di empatia e di solidarietà nei confronti dei familiari di un defunto membro delle comunità autoctone e anche per la loro scarsa premura nei confronti dei loro propri morti. Secondo un autoctono: «gli Hutu lasciano il corpo del loro defunto in un deposito della casa e vanno a lavorare nei campi. È al loro ritorno che il corpo viene sepolto, senza alcuna cerimonia funebre». Da parte loro, gli Hutu criticano gli autoctoni perché, secondo loro, sprecano molte risorse per procurare il cibo da offrire a familiari e conoscenti durante il periodo di lutto.
Agli Hutu è negata la partecipazione al potere locale. In passato, essi avevano un loro capo comunità, ma ciò aveva causato dei conflitti con i capi tradizionali autoctoni che rifiutavano loro la possibilità di organizzarsi sotto forma di entità autonoma. I migranti hutu devono quindi sottomettersi all’autorità dei capi tradizionali autoctoni della giurisdizione cui appartengono. È stato loro negato anche il diritto di avere un loro rappresentante o portavoce. Tuttavia, gli Hutu continuano a chiedere che si permetta loro di organizzarsi e di avere dei loro rappresentanti alla guida di quei territori abitati principalmente da loro. Nonostante il divieto di organizzarsi politicamente, in occasione delle elezioni del 2018, i migranti hutu sono riusciti a presentare due loro candidati parlamentari, uno a livello provinciale e l’altro a livello nazionale. I due candidati non hanno potuto essere eletti a causa dell’esiguità della presenza degli Hutu in Ituri e della molteplicità dei candidati presentati dalle varie comunità etniche. La manifesta volontà dei migranti hutu di ottenere una propria entità amministrativa in Ituri costituisce una linea di frattura con le comunità autoctone.
2.4. Opportunità economiche come fattore di integrazione degli Hutu a Geti e a Boga
Gli Hutu si dedicano essenzialmente all’agricoltura e all’allevamento e vivono della vendita dei loro prodotti. Sono presenti anche nel settore del commercio e gestiscono botteghe, farmacie e bar. Effettuano attività di trasporto (mototaxi), soprattutto nei giorni di mercato. Gestiscono scuole e centri sanitari. Sono attivi anche nella produzione di legname e nell’estrazione artigianale dei minerali. A Busiyo, una località situata a cavallo tra il distretto di Bahema Boga e quello di Wanyali Tchabi, hanno iniziato un mercato che è aperto tutti i giovedì e che contribuisce a favorire una maggiore circolazione della moneta, con un flusso monetario prima sconosciuto.
Inoltre, contrariamente alle abitudini locali, gli Hutu praticano l’agricoltura tutto l’anno, il che ha contribuito ad un notevole aumento della produzione, con il conseguente calo dei prezzi dei generi alimentari.
Il contributo economico degli Hutu è unanimemente riconosciuto e apprezzato, malgrado i timori e le critiche di certi abitanti autoctoni, che considerano questa loro forza economica come una minaccia, perché percepita come un mezzo per rafforzare le loro rivendicazioni, in vista di accaparrarsi il potere politico.
3. CAPITOLO 3: NUOVE DINAMICHE DI CONFLITTO RELATIVE ALL’INSEDIAMENTO DEGLI HUTU IN ITURI
L’insediamento di popolazioni hutu nell’Ituri in generale e nelle zone di Geti e Boga in particolare ha provocato dei nuovi conflitti che si sono aggiunti a dei conflitti già esistenti. Questo capitolo analizza le dinamiche di conflitto relative al fenomeno dell’insediamento di Hutu nella provincia dell’Ituri. L’attenzione è posta successivamente sui tipi di conflitto, le cause, gli attori e i loro ruoli, le manifestazioni e le conseguenze.
3.1. Tipi di conflitti tra le comunità autoctone e la comunità hutu nell’Ituri
In Ituri, la convivenza tra le varie comunità etniche è stata marcata da vari conflitti che vanno oltre l’identità. I nuovi conflitti individuati nelle interazioni tra le comunità autoctone e i migranti hutu si innestano nelle dinamiche conflittuali già esistenti, il che permette di identificare i seguenti tipi di conflitti: conflitti fondiari, conflitti politici, conflitti economici. Questi tipi di conflitti si compenetrano e si alimentano a vicenda per formare un tutto.
3.1.1. L’occupazione delle terre da parte dei Banyabwisha e i conflitti fondiari
L’accesso alla terra è alla base di diversi conflitti, dapprima tra gli autoctoni stessi, poi tra essi e le popolazioni hutu insediatesi a Geti e a Boga. L’insediamento di nuove popolazioni in un determinato territorio porta inevitabilmente alla riduzione della quantità delle terre a disposizione dei primi occupanti e può provocare diversi tipi di reazioni, tra cui tensioni, conflitti e violenze. Molti autori hanno notato che, nella RDC, la terra non è solo una causa di conflitto, ma anche un fattore di perpetuazione del conflitto.
Molte terre di Geti, Boga e Chabi sono occupate da migliaia di migranti hutu ruandofoni, che vi si sono insediati in seguito a un progressivo e vasto movimento migratorio avvenuto in diversi anni. Il numero di questi migranti non è noto, né nella sua totalità, né secondo le diverse ondate di arrivo, perché le autorità provinciali non hanno mai proceduto alla loro registrazione. Tuttavia, è utile ricordare che essi si trovano nei distretti di Bahema Mitego e di Wanyali Tchabi. Nel distretto di Bahema Boga, essi sono presenti nel raggruppamento di Bulei, ma in un solo villaggio, Malaya.
Benché, per mancanza di dati geografici sufficienti, sia difficile determinare con precisione le zone da essi occupate, si constata però che essi si sono stabiliti in zone non occupate e utilizzate dalle comunità locali.
Con il passare del tempo, i migranti hutu hanno utilizzato gli spazi acquisiti, dividendoli tra attività sociali (scuole, chiese, ecc.), attività economiche (campi, mercati, botteghe, ecc.) e zone abitative.
Tuttavia, la presenza degli hutu e, soprattutto, il loro insediamento su terre ritenute appartenenti alle comunità autoctone, hanno dato origine a numerosi conflitti, tra cui quelli di ordine fondiario.
Secondo alcune personalità delle istituzioni provinciali (Assemblea provinciale e governo), la migrazione e l’insediamento di popolazioni hutu in Ituri costituiscono una situazione anomala. Secondo una certa tendenza, «gli Hutu, detti Banyabwisha, nell’Ituri sono un piccolo gruppo che occupa vaste zone di terre, a scapito delle popolazioni autoctone». Secondo un ministro provinciale, «In Ituri, gli Hutu occupano molto spazio, ma non si conosce né il loro numero, né le loro origini». Queste dichiarazioni dimostrano che, in certi ambienti delle istituzioni provinciali, si insiste sul discorso dell’invasione delle terre.
Alcuni membri della società civile locale parlano do occupazione illegale delle terre: «gli hutu stanno occupando illegalmente delle terre nell’Ituri perché essi non vi hanno alcuna tribù stabile e perché i capi tradizionali locali non hanno alcun diritto di cedere ad altri le terre comunitarie degli autoctoni». Sulla stessa linea, un altro membro della società civile ha detto: «gli Hutu sono venuti a cercare delle terre e le hanno ottenute con la complicità dei capi tradizionali che hanno concesso loro dei documenti di attestazioni di proprietà. Questi capi sono stati ingannati, perché credevano che gli Hutu fossero delle persone alla ricerca di terre coltivabili. Ma oggi i Banyabwisha difendono questi terreni acquisiti e sono pronti a difenderli anche a costo del sangue».
Secondo le popolazioni autoctone, l’occupazione delle terre da parte degli Hutu non è che una forma di accaparramento delle terre, con la complicità delle autorità tradizionali locali, spesso ritenute incompetenti in questioni di diritto fondiario. Un autoctono ha affermato: «Se gli Hutu hanno ottenuto dei terreni nel raggruppamento di Bulei, è perché certi individui hanno venduto individualmente dei loro terreni agli Hutu, senza il consentimento di tutta la comunità».
Inoltre, egli ha aggiunto che «gli Hutu avevano ottenuto delle terre nel distretto di Bahema Boga, quando il defunto capo locale era stato cooptato anche come deputato provinciale ed era quindi molto più interessato alla politica che ai problemi reali del suo distretto. Inoltre, è stato malato per molto tempo. Ecco perché alcune persone hanno approfittato di questo vuoto amministrativo a livello di distretto per vendere dei loro terreni agli Hutu. Ma la comunità locale ritiene che, poiché il distretto ha attualmente un nuovo capo, sia ora possibile ricuperare le terre vendute agli Hutu in passato».
Inoltre, molti autoctoni accusano i migranti hutu di aver ampliato i loro terreni oltre quanto avevano acquistato dalle autorità tradizionali locali, penetrando, gradualmente e senza alcuna autorizzazione, verso l’interno della foresta, per praticarvi l’agricoltura dopo aver abbattuto vaste estensioni di piante.
I conflitti fondiari segnalati sono normalmente dovuti alla vastità del flusso dei nuovi arrivati, alle modalità del loro accesso alle terre, alla mancanza di una delimitazione precisa tra le terre appartenenti a proprietari diversi e alla tendenza dei migranti ad espandersi oltre le zone loro assegnate. L’insediamento dei migranti hutu sulle terre di Boga e Geti è visto come un’occupazione indebita delle terre comunitarie appartenenti alle popolazioni autoctone. La persistenza di questa occupazione delle terre rafforza negli autoctoni la percezione secondo la quale i migranti hutu sarebbero degli “invasori” da rimandare nei loro luoghi di provenienza o da trasferire altrove sul territorio nazionale.
A proposito di questi conflitti di ordine fondiario, alcuni membri della società civile dell’Ituri cercano di influenzare le istituzioni provinciali, in vista di “recuperare”, a beneficio delle comunità autoctone, le terre vendute agli hutu dai capi tradizionali locali. Ad esempio, in una sua corrispondenza del mese di marzo 2020, l’Unione delle Associazioni Culturali per lo Sviluppo dell’Ituri (UNADI) ha raccomandato ai capi tradizionali locali di mettere fine alla vendita illegale dei terreni comunitari e di modificare i vecchi contratti di vendita dei terreni, trasformandoli in contratti di affitto di terreni.
Questi conflitti fondiari sono all’origine di altri conflitti, tra cui quelli economici, politici e identitari.
3.1.2. I conflitti economici
I migranti hutu di Boga e Geti praticano principalmente l’agricoltura e l’allevamento di bestiame. Le comunità autoctone riconoscono il ruolo considerevole dei migranti hutu nell’aumento della produzione agricola. Il mercato rurale di Busiyo, il più importante della zona, è inondato dai prodotti agricoli dei migranti hutu, non solo per il consumo locale, ma anche per essere trasportati verso i centri urbani e rurali circostanti.
Tuttavia, la crescente produzione agricola da parte dei migranti hutu è percepita dalle popolazioni autoctone come la conseguenza di un’attività di sfruttamento illecito delle risorse locali e di una volontà di potenziale dominio dei migranti sugli autoctoni: «I Banywabwisha sono venuti per sfruttare le nostre terre e dominare le nostre popolazioni con i soldi che guadagnano qui da noi».
Tra i conflitti di natura economica, vanno segnalati anche dei casi di distruzione delle culture, furti di bestiame, abusi di fiducia in transazioni commerciali o fondiarie, la messa in discussione dei confini stabiliti nel momento della vendita / acquisto delle terre e la volontà esplicita degli autoctoni nel voler ricuperare le terre che erano state vendute.
3.1.3. I conflitti politici
I conflitti politici si basano principalmente sul rifiuto dell’integrazione politica dei migranti hutu da parte delle comunità autoctone. Gli hutu sono generalmente percepiti e presentati come degli “immigrati” di dubbia nazionalità, anche se sono in possesso di certificati elettorali che attestano la loro nazionalità congolese. I migranti hutu sono spesso presentati nel loro insieme come invasori, con un’agenda nascosta, al servizio di interessi stranieri, tra cui la “balcanizzazione” dell’Ituri.
Il loro diritto di accesso e di partecipazione al potere politico locale non è riconosciuto, non solo per il dubbio collettivo che pesa sulla loro nazionalità, ma ancor più per il fatto che sono immigrati.
Il potere tradizionale locale nella RDC si basa sull’identità territoriale, in una sincronizzazione dell’identità etnica e della territorialità comunitaria. Pertanto, l’integrazione politica di ciascuna comunità è condizionata dalla sua condizione sociologica di gruppo sociale culturalmente organizzato in uno spazio ben definito. Questo non è il caso dei migranti hutu dell’Ituri. Secondo la legge, infatti, il distretto è un insieme generalmente omogeneo di comunità etniche organizzate secondo la tradizione e guidate da un Capo locale nominato secondo le consuetudini tradizionali, riconosciuto e investito dai pubblici poteri (articolo 67 della legge organica n. 08/016 del 7 ottobre 2008 relativa alla composizione, organizzazione e funzionamento degli Enti Territoriali Decentralizzati e sui loro rapporti con lo Stato e le Province).
Il non riconoscimento dello status tradizionale dei migranti hutu è dovuto al contesto storico-sociale del loro insediamento e ai meccanismi giuridici di organizzazione sociale e politica delle comunità tribali. In questo contesto, le comunità non autoctone non possono costituirsi in un gruppo autonomo politicamente organizzato.
Di conseguenza, le comunità autoctone dell’Ituri sono decisamente contrarie all’istituzione di un’autorità tradizionale per i migranti hutu e al loro accesso al potere locale nelle entità territoriali tradizionali (villaggio, raggruppamento, distretto). Secondo un testimone locale, ad esempio, «nel villaggio di Malaya, un hutu era stato nominato consigliere, ma quando il capo distretto ne è stato informato, è stato chiesto di sostituirlo immediatamente».
Di conseguenza, i migranti hutu di Boga e Geti non possono organizzarsi politicamente come lo possono fare invece le altre comunità tradizionali stabilite nella RDC. Ciò è confermato in un’intervista di gruppo: «Non possiamo avere una nostra autorità che ci guidi e che ci rappresenti. Dobbiamo dipendere e fare riferimento all’autorità tradizionale locale. Le autorità locali ci hanno proibito di organizzarci gerarchicamente e amministrativamente secondo la nostra tradizione. Deploriamo anche il fatto di non essere coinvolti, come le altre comunità, alle decisioni che riguardano la vita comunitaria». Nonostante ciò, i migranti hutu hanno una loro organizzazione interna coordinata da loro rappresentanti, anche se questi ultimi non sono né riconosciuti, né integrati negli organi politici e amministrativi locali.
A livello provinciale e nazionale, i migranti hutu di Boga e Geti non sono rappresentati né nelle istituzioni politiche, né nella pubblica amministrazione. Ciò è dovuto al contesto storico conflittuale dell’insediamento dei migranti hutu nell’Ituri e al rifiuto della loro integrazione politica da parte delle comunità autoctone.
Nonostante ciò, in occasione delle elezioni del 2018, la comunità hutu ha potuto presentare due candidati deputati, uno a livello provinciale e il secondo a livello nazionale. Questi due candidati hutu non hanno ottenuto i voti sufficienti per essere eletti deputati. A proposito di tali candidature, alcune personalità membri delle comunità autoctone dell’Ituri hanno espresso il loro disaccordo su qualsiasi forma di integrazione politica dei migranti hutu: «Siamo rimasti scandalizzati nel vedere dei “munyabwisha” candidarsi come candidati deputati alle elezioni del 2018. Abbiamo capito che queste persone non se ne andranno più e che ora vogliono addirittura comandarci».
L’integrazione politica dei migranti hutu in Ituri è oggetto di molte polemiche.
Generalmente, i migranti hutu non vengono coinvolti nelle decisioni che riguardano la vita socio-politica, come lo sono invece le varie forze politiche e sociali della provincia di Ituri. Gli esempi potrebbero essere molti. Come riconosciuto da un membro dell’UNADI e da un altro dell’ACIAR in un’intervista a Bunia, il rappresentante dei migranti hutu era stato costretto a lasciare la sala in cui si svolgeva il forum sulla pace in Ituri. Come ammesso dal presidente della società civile dell’Ituri, dei rappresentanti della società civile stessa e dell’élite politica hanno inviato alle autorità nazionali e provinciali delle lettere di protesta contro la presenza dei migranti hutu in Ituri.
3.1.4. I conflitti identitari
In Ituri, le migrazioni delle popolazioni, tra cui quelle dei Nande e dei “Banyabwisha”, hanno rafforzato le logiche identitarie. In particolare, da molti anni, la migrazione degli hutu denominati “Banyabwisha” (toponimo delle popolazioni del territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu), ha causato un clima di paura e xenofobia tra gli ituriani.
In tre sue dichiarazioni di febbraio, marzo e maggio 2020, l’UNIDI presenta i migranti hutu come Hutu ruandesi. Secondo una fonte, «le comunità locali hanno paura degli stranieri che vengono ad invadere la loro terra. Se questi stranieri venissero solo per lavorare e coltivare le terre, non ci sarebbe alcun problema. I problemi sorgono quando essi vengono sorpresi in possesso di armi. Gli Hutu si impongono negativamente con il loro comportamento. Dovrebbero invece conformarsi alle abitudini delle comunità locali».
Questo tipo di affermazioni possono alimentare voci e stereotipi suscettibili di creare sentimenti di ostilità nei confronti dei migranti hutu.
Queste logiche identitarie conflittuali sono espresse e veicolate, tra l’altro, da numerosi stereotipi.
I migranti hutu sono considerati dalle comunità autoctone come degli stranieri e membri di gruppi armati locali e stranieri.
Da un lato, i migranti hutu sono percepiti da molti autoctoni come dei cittadini “ruandesi”. L’opinione collettiva non sembra convinta che siano dei cittadini di nazionalità congolese. Il kinyarwanda, la lingua usata dai migranti hutu e il dubbio sul loro luogo di origine (villaggio o distretto) contribuiscono a creare una simile opinione pubblica.
D’altra parte, i migranti hutu sono considerati come il cavallo di Troia del governo ruandese, “militari ruandesi infiltrati” per dominare e sfruttare l’est della RDCongo. Essi sono sospettati di di appoggiare dei gruppi armati locali o di origine straniera e di partecipare ai massacri perpetrati contro le comunità autoctone. A questo proposito, un membro della società civile ha affermato che “la popolazione ituriana sospetta che siano complici con la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), una milizia locale dei Lendu, e con le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese».
Inoltre, i conflitti di identità hanno influenzato la territorialità (presenza sul territorio) fragile e conflittuale dei migranti hutu nelle loro zone di insediamento in particolare e nell’Ituri in generale. L’identità etnica, infatti, generalmente produce l’identità territoriale e il territorio. Secondo Bosco Muchukiwa (2004), il territorio etnico o identitario si riferisce agli spazi entro i quali una detrminata popolazione etnica è maggioritaria o minoritaria, ma con l’ambizione di essere considerata alla pari con le altre. Infatti, il nome “Banyabwisha” significa “abitanti di Bwisha” (un’entità amministrativa tradizionale situata nel Nord Kivu). Le contestazioni territoriali nei confronti dei migranti hutu dipendono da queste logiche identitarie che esigerebbero il loro ritorno a Bwisha, nel Nord Kivu, dove i membri dell’etnia hutu (congolese) dovrebbero tradizionalmente possedere delle terre.
3.2. Le principali cause dei conflitti
Le cause dei conflitti tra i migranti hutu e le comunità autoctone dell’Ituri in generale e di Boga e Geti in particolare sono molteplici: cause politiche e giuridiche, cause economiche e demografiche, cause socio-culturali.
3.2.1. Le cause politiche e giuridiche
Gli spostamenti delle popolazioni in generale e le migrazioni delle popolazioni hutu verso l’Ituri in particolare si svolgono in un contesto politico marcato da conflitti e violenze che durano da oltre due decenni.
Le antiche ondate migratorie delle popolazioni hutu verso l’Ituri, come le più recenti, tra cui quelle dal 2008 al 2013, non sono mai state oggetto di una gestione specifica da parte delle pubbliche autorità. Secondo fonti locali confermate dalle autorità provinciali, la maggioranza dei migranti hutu, detti “Banyabwisha”, sono arrivati in Ituri mediante un “lascia passare” firmato dal governo provinciale del Nord Kivu presieduto da Julien Paluku, Il documento in questione autorizzava i migranti a recarsi nella provincia dell’Ituri per cercare delle terre da coltivare.
Alcune fonti hanno segnalato anche degli ingressi incontrollati di migranti hutu provenienti dalla frontiera ugandese. Avrebbero attraversato la frontiera di Kasindi, nel Nord Kivu, per poi arrivare nei distretti di Bahema Mitego, Wanyali Chabi, Bahema Boga, ecc. Questa deviazione di percorso rafforzerebbe nell’opinione collettiva il dubbio sulla nazionalità congolese di molti migranti hutu, nonostante siano in possesso del certificato elettorale congolese. Alcune fonti li considerano come dei rifugiati ruandesi espulsi dalla Tanzania.
A livello politico locale, la mancanza di integrazione dell’organizzazione politica tradizionale hutu negli organi della politica tradizionale locale impedisce che i migranti hutu possano avere una loro propria autorità tradizionale. L’unico livello di autorità a cui i migranti hutu possono accedere è il livello più basso, quello di “capo di dieci case” del villaggio. Pertanto, essi devono sottostare al potere tradizionale autoctono. A causa di questa mancanza di integrazione politica, i migranti hutu si sentono quindi dominati e emarginati. Per questo, i leader dei migranti hutu hanno più volte tentato di creare una loro propria entità territoriale di tipo tradizionale, visto anche il gran numero di persone che essi rappresentano. Questo tentativo è stato energicamente soffocato dalle autorità autoctone e dall’élite ituriana e continua ancora oggi ad alimentare la diffidenza delle comunità autoctone nei confronti dei migranti hutu.
I tentativi dei migranti hutu di ottenere una loro entità territoriale tradizionale autonoma hanno suscitato una feroce opposizione da parte degli autoctoni, della società civile e dell’élite politica e intellettuale dell’Ituri. Tale reazione è l’espressione del rifiuto di legittimare gli Hutu come comunità ituriana e del soffocamento dei vantaggi politici, sociali e territoriali che ne deriverebbero.
Dal punto di vista giuridico, le modalità di acquisizione di terreni da parte dei migranti Hutu nelle zone di Boga e Geti non sono immuni dai persistenti conflitti tra i due sistemi giuridici di gestione delle questioni fondiarie ancora attualmente in vigore nella RDC: legale e tradizionale. Come accennato in precedenza, varie autorità locali delle comunità autoctone rifiutano di ricorrere alle modalità tradizionali di acquisizione delle terre da parte dei migranti hutu, poiché le ritengono illegali. Secondo alcuni migranti hutu, vari leader inciterebbero gli autoctoni a non riconoscere la validità degli atti di vendita debitamente firmati per l’acquisto delle terre. Inoltre, non avendo utilizzato degli strumenti di precisione (decametro, teodolite, terminali, GPS, ecc.), i limiti territoriali sono molto imprecisi, ciò che spesso causa dei conflitti territoriali tra alloctoni hutu e gruppi autoctoni.
3.2.2. Le cause economiche e demografiche
Le migrazioni delle popolazioni hutu verso l’Ituri sembrano essere state originate dalla ricerca di terre coltivabili, ormai diventate rari nei loro villaggi di origine. Il progressivo arrivo di Hutu nell’Ituri ha generato dei conflitti tra i migranti hutu e le comunità autoctone. Nonostante gli apporti positivi dei migranti hutu all’economia locale, grazie alle loro attività agricole molto apprezzate anche dagli autoctoni, il potere economico che essi hanno acquisito è percepito dalle altre comunità autoctone come una minaccia e un rischio di venire dominati. Inoltre, la crescita economica dei migranti hutu è percepita come il prodotto dello sfruttamento delle terre e delle risorse minerarie e forestale che, secondo la tradizione, appartengono naturalmente alle popolazioni autoctone.
Inoltre, la crescita economica dei migranti hutu provoca delle disuguaglianze economiche tra alloctoni e autoctoni, ciò che origina rivalità reciproche e conflitti legati a furti di bestiame, distruzione di raccolti, litigi sulla delimitazione delle terre e rivendicazioni di proprietà.
Dal punto di vista demografico, fino al momento di questo studio, non esistono statistiche demografiche né sul numero totale dei migranti hutu, né sulla loro composizione familiare, né sul tasso di natalità. Ma alcune fonti ritengono che la loro composizione familiare sarebbe compresa tra 6-8 persone, mentre il tasso di natività varierebbe tra 7-10 figli per donna. Pur non essendo state verificate, queste informazioni contribuiscono ad aumentare, all’interno delle comunità autoctone, il timore di essere in una situazione di inferiorità numerica rispetto ai migranti hutu.
Il peso demografico combinato con la forza economica dei migranti hutu rafforzano ulteriormente il timore degli autoctoni di essere, in futuro, progressivamente dominati politicamente dagli Hutu.
3.2.3. Le cause socioculturali
Nel contesto dell’Ituri, come in altre situazioni di conflitto intercomunitario, l’identità etnica è spesso utilizzata per giustificare relazioni armoniose o conflittuali. Le logiche identitarie, che distinguono lo straniero (ruandese) dal nazionale (congolese), l’alloctono (hutu, Munyabwisha) dall’autoctono (Hema, Lendu), sono il risultato di un processo di strumentalizzazione utilizzato in diverse fasi del conflitto ituriano. La diffidenza, i pregiudizi e le violenze che spesso caratterizzano le relazioni interpersonali e intercomunitarie tra i migranti hutu e le comunità autoctone sono dettate da queste logiche identitarie.
Le logiche identitarie condizionano spesso il sistema matrimoniale. Infatti, vi si osserva un’endogamia strumentale basata sui pregiudizi tra comunità. Rari sono i matrimoni misti tra persone appartenenti a comunità migranti hutu e comunità autoctone. Rare sono le donne autoctone che potrebbero accettare di lavorare nei campi così tanto tempo come fanno le donne hutu. I matrimoni misti non sono né favoriti, né ostacolati, ma prevale un senso di cautela e di prudenza. Questa crisi contribuisce ad indebolire la vita sociale, la solidarietà e la consapevolezza di appartenere a una stessa società.
Per quanto riguarda la monoetnicizzazione delle scuole e delle pratiche religiose, si può notare che i migranti hutu hanno costruito delle loro scuole, delle loro chiese e dei loro centri sanitari. Queste strutture sociali sono frequentate principalmente dai migranti hutu. Secondo alcune testimonianze, sono pochi i migranti hutu che frequentano le chiese anglicane e cattoliche locali, perché frequentano principalmente altre due confessioni religiose: in primo luogo la chiesa avventista del settimo giorno e, in secondo luogo, la CEPAC. Nelle loro chiese hanno delle responsabilità come pastori e diaconi.
I migranti hutu hanno aperto anche una loro scuola a Malaya e un centro sanitario a Malibongo.
Tuttavia, la frequentazione dei luoghi di culto e delle scuole appartenenti ai migranti hutu da parte degli autoctoni si scontra anche con la difficoltà della lingua, il kinyarwanda, usata dai migranti hutu, ma non dagli autoctoni.
Le chiese e le scuole hutu sono aperte anche agli autoctoni, ma la diffidenza strutturale reciproca non li spinge certo a frequentarle. Il basso livello di interazioni tra le diverse comunità, autoctone e alloctone, nei luoghi di preghiera, di assistenza sanitaria e di istruzione rafforza gli stereotipi e l’isolamento sociale, anche se le chiese e le scuole svolgono un ruolo importante per la riconciliazione e la coesione sociale tra le comunità.
3.3. Implicazioni e ruoli nei conflitti tra i migranti hutu e le comunità autoctone
Vari sono i soggetti implicati: le comunità autoctone, i migranti hutu, la comunità Nande dell’Ituri, lo Stato congolese, gli Stati della Regione dei Grandi Laghi, la comunità internazionale, le autorità locali, la società civile, le chiese e le élite politiche. Per una maggiore comprensione, questi soggetti possono essere raggruppati in quattro categorie principali: le comunità etniche, le istanze politiche, sociali e istituzionali e, infine, gli Stati limitrofi e la comunità internazionale.
3.3.1. Le comunità etniche
Benché in conflitto tra loro, le due comunità autoctone dei Bahema e dei Wanyali hanno un avversario comune: i migranti hutu considerati come invasori delle loro terre comunitarie.
Anche la comunità etnica Nande ha una grande responsabilità in questo conflitto tra i migranti hutu e le comunità autoctone, almeno come catalizzatore. Secondo la testimonianza di un migrante hutu, «i membri della comunità Nande sono gelosi delle nostre attività e ci considerano come dei loro concorrenti. Perciò cercano di fomentare l’antipatia degli autoctoni nei nostri confronti, affinché ci mandino via e loro rimangano gli unici padroni».
Pertanto, i migranti Hutu sono contemporaneamente in conflitto non solo con le comunità etniche autoctone, ma anche con i Nande non autoctoni.
Il ruolo svolto nei conflitti dalle autorità tradizionali locali (capo distretto, capi di raggruppamento, capi villaggio) si situa a tre livelli: la vendita di terreni comunitari ai migranti hutu, l’incapacità di risolvere definitivamente i conflitti fondiari e la diffusione di stereotipi nei confronti dei migranti hutu.
Se la legalità degli atti di vendita degli spazi occupati dai migranti hutu non è generalmente messa in discussione, le cause principali dei conflitti fondiari sono fondamentalmente due: la questione delle delimitazioni delle terre ormai occupate dai migranti hutu e il tentativo, da parte degli autoctoni, di ricuperare quelle terre dapprima inutilizzate, poi acquistate e messe in valore dai migranti hutu. Costantemente sorgono dei conflitti tra individui o famiglie a proposito delle delimitazioni dei loro campi, altri hanno luogo tra le diverse comunità etniche sulla demarcazione dei loro rispettivi territori. A questo proposito, le autorità tradizionali locali sono sia giudici che parti in causa e non riescono a trovare soluzioni durature.
3.3.2. Gli agenti politici e sociali
Ci sono delle personalità politiche che trasmettono alle istituzioni provinciali, nazionali e internazionali le rivendicazioni delle comunità autoctone su questioni relative all’insediamento dei migranti hutu nell’Ituri in generale e nelle zone di Boga e Geti in particolare.
Dei deputati provinciali e nazionali dell’Ituri, in particolare quelli originari del Territorio di Irumu, hanno più volte contattato, direttamente o mediante dichiarazioni, le istituzioni provinciali e nazionali per chiedere l’identificazione e il rimpatrio dei migranti hutu presenti a Boga e a Geti.
Da diversi anni, la società civile dell’Ituri e le confessioni religiose fanno presente questa situazione alle autorità politiche provinciali, nazionali e internazionali, denunciando un piano di destabilizzazione o balcanizzazione dell’Ituri. Anche le associazioni culturali deplorano un movimento migratorio irregolare e avanzano l’ipotesi secondo la quale queste migrazioni di Hutu dalle origini poco chiare nascondono dei fini espansionistici nascosti.
3.3.3. Le istituzioni
Tra gli agenti istituzionali si possono includere le istituzioni politiche nazionali e provinciali, i servizi pubblici specializzati dell’amministrazione e della sicurezza, come la Direzione generale delle migrazioni, l’Agenzia nazionale dei servizi segreti, l’esercito nazionale e la polizia nazionale congolese, ecc. In generale, i provvedimenti politici, sia a livello provinciale che nazionale, sono quasi inesistenti. Di fronte al fenomeno delle migrazioni delle popolazioni hutu verso l’Ituri, lo Stato ha svolto un ruolo passivo. Ad eccezione dei “lascia passare” che l’ex governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, aveva rilasciato in occasione delle prime ondate dei migranti hutu, non ci sono stati altri provvedimenti istituzionali per regolamentare il loro flusso, il loro insediamento in Ituri e i conflitti che ne sono derivati. Questo vuoto di intervento ufficiale ha rafforzato le possibilità di conflittualità. Vari parlamentari provinciali e nazionali stanno chiedendo alle istituzioni nazionali e provinciali il trasferimento di questi migranti hutu dall’Ituri verso altre province o il loro ritorno nel Nord Kivu, che essi dichiarano essere la loro provincia di origine.
3.3.4. Gli Stati della Regione dei Grandi Laghi Africani e la Comunità Internazionale
Secondo alcuni membri della società civile e delle confessioni religiose, tre paesi della Regione dei Grandi Laghi Africani, Ruanda, Uganda e Tanzania, hanno pianificato e finanziato queste migrazioni hutu. Gli obiettivi sarebbero quelli di scaricare il surplus della popolazione hutu ruandese nell’Ituri e di erigervi una zona di insicurezza, per continuare lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e minerarie, in complicità con lo Stato congolese. Questa ipotesi si baserebbe su due constatazioni: a. le capacità finanziarie dei migranti hutu al loro arrivo in Ituri e b. la protezione che essi ricevono da parte della MONUSCO e dell’esercito congolese, in caso di problemi con le altre comunità. Gli Stati della Regione dei Grandi Laghi sopra citati e la comunità internazionale, attraverso la MONUSCO, sarebbero direttamente implicati nell’appoggio finanziario e materiale, tra cui la fornitura di armi, a favore dei migranti hutu che arrivano in Ituri.
3.4. Conseguenze dei conflitti: diverse dimensioni
Le conseguenze dei conflitti tra i migranti hutu e le comunità autoctone sono multidimensionali e assumono diverse dimensioni relative alla vita politica, la sicurezza e l’inserimento sociale.
– Sul piano politico, i migranti hutu sono esclusi dai meccanismi di accesso e di partecipazione al potere politico locale. Questa esclusione crea, tra i migranti hutu, un sentimento di discriminazione e di apolidia.
– Sul piano della sicurezza, questo studio non ha esaminato la questione di un’eventuale implicazione dei migranti hutu nei vari gruppi armati ancora attivi nella zona. Tuttavia, numerosi autoctoni ritengono che vari migranti hutu potrebbero far parte delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR, di origine ruandese) e partecipare a certe violenze (attacchi e massacri) perpetrate dai gruppi armati Lendu e dalle Forze Democratiche Alleate (ADF, di origine ugandese).
– Sul piano sociale, si nota il basso livello di integrazione sociale dei migranti hutu nell’organizzazione sociale delle entità in cui si sono insediati. Benché alcune attività o determinati eventi sociali (frequenza scolastica, pratiche religiose, cerimonie nuziali o funebri, ecc.) siano oggetto di una certa condivisione tra i migranti hutu e le comunità autoctone, tuttavia si nota ancora molta resistenza da entrambe le parti.
[1] Texte complet: https://www.pole-institute.org/sites/default/files/pdf_publication/Pole_etude_mobilite_hutu_version_finale%2010Nov18112020.pdf