A PROPOSITO DI RELAZIONI BILATERALI TRA LA RDCONGO E IL RUANDA
INDICE
1. TRE ACCORDI DI COOPERAZIONE ECONOMICA
a. Non meno di 600 milioni di $ d’oro esportati di contrabbando dalla RDC attraverso il Ruanda
b. Tre accordi di cooperazione su investimenti, fiscalità e miniere
c. Il controllo del flusso dei minerali congolesi da parte di raffinerie locali potrebbe essere una strategia vincente per Kinshasa
2. UN ACCORDO DI COLLABORAZIONE TRA LA POLIZIA CONGOLESE E RUANDESE CONTRO LA CRIMINALITÀ TRANSFRONTALIERA
a. La firma di un protocollo di intesa
b. Contro ogni eventuale entrata della polizia ruandese in territorio congolese
c. Cooperazione tra la Polizia congolese e ruandese: un protocollo d’accordo illegale e pericoloso
1. TRE ACCORDI DI COOPERAZIONE ECONOMICA
a. Non meno di 600 milioni di $ d’oro esportati di contrabbando dalla RDC attraverso il Ruanda
Vari rapporti delle Nazioni Unite sottolineano l’implicazione del Ruanda in sofisticate operazioni di contrabbando d’oro e di coltan estratti in zone di conflitto situate nell’est della RD-Congo. Tali minerali strategicamente importanti vengono così illegalmente iniettati nella catena mondiale di approvvigionamento di beni di consumo come telefoni cellulari, computer e gioielli.
Il commercio illegale di minerali estratti in RD Congo è uno dei principali motivi che ha permesso al Ruanda di diventare uno dei maggiori esportatori di coltan al mondo, nonostante disponga di pochissime miniere.
Il contrabbando minerario praticato alla frontiera tra la RD-Congo e il Ruanda rende vani gli sforzi intrapresi a livello internazionale, per consentire ai consumatori di poter prendere delle decisioni etiche che permettano loro di evitare gli ormai denominati “minerali insanguinati” provenienti da zone di conflitto. Di conseguenza, i consumatori occidentali di gadget tecnologici e gioielli non hanno alcuna garanzia che i loro acquisti non contribuiscano alla perpetuazione di conflitti e violazioni dei diritti umani in RD-Congo.
Inoltre, in seguito a questo contrabbando, aumentano i dubbi sul tanto decantato miracolo economico del Ruanda che, negli ultimi 25 anni, ha ricevuto miliardi di dollari investiti da imprese o stanziati da Paesi esteri. In effetti, studi recenti hanno messo in dubbio le statistiche economiche di questo Paese. Di conseguenza, in seguito ai vari rapporti sul contrabbando dei minerali in questione, investitori e donatori dovrebbero interrogarsi sul vero stato dell’economia ruandese.
Il rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RD-Congo, presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in giugno 2021, descrive le varie modalità con cui oro e coltan vengono contrabbandati dalla RD-Congo verso il Ruanda, dove le tasse sono molto più basse. Il coltan della RD-Congo è spesso fatto passare in Ruanda via terra, nascosto in scompartimenti segreti di camion, o via lago, nascosto in piroghe che attraversano il lago Kivu, che marca la frontiera tra i due paesi.
Una società americana, la Bay View Group, ritiene che il valore della produzione reale delle miniere ruandesi sia solo di circa 20 milioni di dollari all’anno, una piccola parte dei 412 milioni di dollari che il governo ruandese ha dichiarato per le sue esportazioni. Secondo tale società, «oltre il 50% di tutti i minerali esportati dal Ruanda proviene dalla RD-Congo e oltre il 90% del coltan esportato dal Ruanda proviene dalla RD-Congo». Bay View ha fatto osservare che il Ruanda dichiara solo le cifre riguardanti i minerali che esporta, ma non quelle dei minerali che produce. Ciò permette al Ruanda di far apparire che i minerali contrabbandati dalla RD-Congo siano effettivamente estratti in Ruanda, il che fa aumentare le sue statistiche economiche.
La società Bay View Group ha affermato che le esportazioni minerarie ufficiali del Ruanda sono aumentate in modo significativo a partire dal 2013, nonostante i suoi bassi livelli di produzione e ha sottolineato che «l’unico modo affinché tutto ciò possa essere possibile è che il Ruanda importi illegalmente i minerali dalla Repubblica Democratica del Congo, li etichetti come ruandesi e li esporti in tutto il mondo come ruandesi».
Jerry Fiala, geologo australiano che lavora nel settore minerario ruandese dal 2003, ha precisato che «i minerali prodotti in RD-Congo vengono introdotti di contrabbando in Ruanda su camion o attraverso il lago Kivu. I minerali vengono quindi etichettati in “miniere fittizie” ruandesi, in cui non si svolgono vere attività minerarie», Jerry Fiala ha citato l’esempio di una piccola compagnia mineraria ruandese in cui aveva lavorato. Nel 2012 e 2013, il governo ruandese ha notevolmente gonfiato la produzione della miniera, ciò che gli ha permesso di far passare come ruandesi i minerali contrabbandati dalla RD-Congo.
Tuttavia, il commercio illegale del coltan è solo una parte del contrabbando alla frontiera tra la RD Congo e il Ruanda. I rapporti delle Nazioni Unite e altri studi hanno documentato l’ampiezza del contrabbando dell’oro congolese attraverso il Ruanda verso i mercati esteri.
Le autorità minerarie dell’est della RD Congo hanno rivelato ai ricercatori delle Nazioni Unite che, nel 2020, quasi tutte le cifre relative all’oro prodotto nei pressi di Walikale (Nord Kivu) sono state omesse dai registri ufficiali. Secondo un rapporto dell’Onu, ufficialmente è stata registrata solo una “piccola frazione della produzione effettiva” e quasi tutto l’oro prodotto in quella zona è stato generalmente contrabbandato verso il Ruanda o l’Uganda.
Il rapporto descrive anche come gli esportatori congolesi si siano serviti del Ruanda come via di contrabbando, per inviare a Dubai e a Hong Kong dell’oro la cui produzione era controllata e tassata da una milizia armata nota come Mai-Mai Yakutumba.
Il rapporto delle Nazioni Unite rafforza i risultati di un precedente studio del gruppo no-profit IMPACT basato a Ottawa, secondo cui i commercianti «offrono un’apparenza di legalità, dichiarando una piccola percentuale delle loro esportazioni di oro, mentre traggono enormi profitti dal commercio illecito». IMPACT ha documentato come alcuni trader siano sfuggiti alle operazioni di controllo, creando delle entità fantasma e società fittizie che hanno loro permesso di celare la portata delle loro attività. Citando un esempio di frode, IMPACT ha affermato che, nel 2018, il Ruanda ha ufficialmente dichiarato di aver esportato 2.163 chilogrammi di oro mentre, in quello stesso anno, i soli Emirati Arabi Uniti hanno riferito di aver importato più di 12.500 chilogrammi di oro dal Ruanda. Sempre secondo IMPACT, in realtà, le miniere ruandesi producono solo circa 300 chilogrammi d’oro all’anno. Alcuni esperti hanno stimato che la vera produzione d’oro del Ruanda sia di appena 20 chilogrammi all’anno.
«L’oro esportato di contrabbando dalla Repubblica Democratica del Congo e il suo ingresso nel mercato legale internazionale – sotto forma di prodotti di consumo – è potenzialmente collegato a criminalità, riciclaggio di denaro, gruppi armati e violazioni dei diritti umani», ha affermato il rapporto IMPACT, aggiungendo che «le autorità ruandesi non stanno applicando il dovere di diligenza sull’oro che entra in Ruanda dalla Repubblica Democratica del Congo».
Anche The Sentry, un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti, ha riferito che il Ruanda è un importante centro di contrabbando di oro proveniente dalla RD Congo. Secondo un suo rapporto, «il Ruanda è ora uno dei maggiori esportatori d’oro, nonostante la sua bassa capacità di produzione annuale». Secondo il rapporto, ogni anno dalla Repubblica Democratica del Congo vengono contrabbandati non meno di 600 milioni di dollari in oro, in gran parte attraverso il Ruanda. Come in tutta l’Africa, anche nella Repubblica Democratica del Congo «l’oro prodotto in zone di conflitto alimenta orribili crimini contro le popolazioni locali e si infiltra nella catena mondiale di approvvigionamento dell’oro, creando gravi rischi per i commercianti internazionali dell’oro, le raffinerie, le banche, le aziende tecnologiche e le industrie automobilistiche».
L’oro prodotto in zone di conflitto dell’est della RD Congo rappresenta la maggior fonte di reddito per i capi dei gruppi armati e molti ufficiali dell’esercito nazionale che traggono grandi profitti dalla tassazione illegale, dai numerosi attacchi alle miniere e dalla collaborazione con i trafficanti.
Nel 2019, in Ruanda è stata fondata una raffineria d’oro con una capacità che supera di gran lunga la produzione nazionale d’oro del Ruanda. Tale raffineria è controllata al 50% dal governo ruandese. Un rapporto pubblicato dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha rilevato che gli acquisti di oro congolese da parte di questa raffineria avevano beneficiato “gruppi armati e reti criminali”. La raffineria ha respinto l’accusa.
Alex Kopp, un attivista di Global Witness, un gruppo di ricerca ambientale con sede nel Regno Unito, ha affermato che il contrabbando di minerali congolesi è ben noto ai principali donatori del Ruanda, tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti, che sembrano accettarlo tacitamente, ciò che permette al Ruanda di perpetuarlo facilmente.[1]
b. Tre accordi di cooperazione su investimenti, fiscalità e miniere
Il 26 giugno 2021, presso il Serena Hotel di Goma, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno firmato tre accordi di cooperazione. Era in occasione della visita del presidente ruandese Paul Kagame a Goma, su invito del suo omologo congolese, Felix Tshisekedi.
Il primo accordo riguarda la promozione e la tutela degli investimenti. È stato firmato dai ministri del Commercio estero dei due paesi.
Il secondo è un accordo tra i due paesi per evitare la doppia tassazione e l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito. È stato firmato dai ministri delle finanze dei due Paesi.
Il terzo accordo è un protocollo d’intesa per la cooperazione tra la Società Aurifera Kivu – Maniema (SAKIMA SA) e l’impresa ruandese DITHER LTD, firmato dai direttori generali delle due società. Secondo un comunicato stampa della presidenza congolese, questo “accordo di cooperazione” tra i due paesi nel settore aurifero dovrebbe impedire che i gruppi armati traggano dei benefici economici dal commercio illegale dell’oro. Un addetto alla comunicazione presso la presidenza congolese ha affermato che «l’accordo assicurerà una complementarietà tra le due società, che controlleranno l’intera catena aurifera, a cominciare dalla fase di estrazione da parte della società congolese Sakima e fino alla fase della raffinazione da parte della società ruandese Dither SA .., Conseguentemente, i gruppi armati che si procurano le risorse per finanziare la guerra mediante l’estrazione e il commercio illegale dell’oro, non potranno più accedere ai compratori dei mercati internazionali dell’oro».
Nel corso della conferenza stampa congiunta che ha sancito tale accordo bilaterale, i due Capi di Stato hanno ribadito l’impegno a proseguire la loro collaborazione, per il consolidamento delle relazioni tra i due Paesi e a beneficio delle rispettive popolazioni.
Le relazioni tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda sono sempre state difficili. Nel 1996-97 e nel 1998-2003, la RD Congo ha vissuto due guerre che hanno destabilizzato profondamente il Kivu, nell’est del Paese. In queste due guerre hanno partecipato numerose milizie ed eserciti di diversi paesi vicini, in particolare del Ruanda. Da allora, la RD Congo ha regolarmente accusato il Ruanda di destabilizzare la sua parte orientale, mediante il suo appoggio a nuovi gruppi armati tra cui il CNDP e l’M23. Ma, dall’arrivo alla Presidenza della Repubblica di Félix Tshisekedi, si nota un certo clima di distensione tra i due Paesi.[2]
c. Il controllo del flusso dei minerali congolesi da parte di raffinerie locali potrebbe essere una strategia vincente per Kinshasa
La firma, il 26 giugno 2021 a Goma (Nord Kivu), di un accordo tra la congolese SAKIMA e la ruandese DITHER LTD, e relativo alla produzione e commercializzazione dell’oro, rivela quanto i minerali congolesi siano l’oggetto delle bramosie del Ruanda, che ora potrebbe acquisirli senza alcun colpo di Kalashnikov.
Si tratta certamente di una lodevole iniziativa in vista della promozione della pace e del commercio nella regione dei Grandi Laghi e all’interno della Comunità economica dell’Africa orientale a cui la Repubblica Democratica del Congo sta per aderire. Tuttavia, questo accordo, come tutti quelli che saranno contratti in futuro, non deve soffocare le aspirazioni dei Congolesi che, attraverso progetti già in corso, vogliono diventare competitivi nell’ambito della Zona di Libero Scambio Commerciale dell’Africa (ZLECAF).
Tra questi progetti già in corso si può citare l’iniziativa congolese intrapresa dalla joint venture SAKIMA – CDMC (Cooperative degli Artigiani Minerari del Congo, una società per la trasformazione dei minerali), in vista della costruzione di una raffineria di coltan nel Nord Kivu per la produzione di tantalio. Questa iniziativa SAKIMA-CDMC, che ha dato origine alla società CFM (CONGO FAIR MINING), è la duplicazione dell’impianto di trasformazione industriale del coltan già avviato da Kisengo Mining, un partner di CDMC e il cui stabilimento è già operativo nella provincia del Tanganica.
Tuttavia, certe forze sia interne che esterne stanno tentando di scoraggiare questa iniziativa di SAKIMA-CDMC, che potrebbe contribuire alla modernizzazione del settore minerario congolese.
Infatti, il governo ruandese non vedrebbe di buon occhio questa iniziativa, perché il controllo del flusso dei minerali sul territorio nazionale, in un’ottica di valore aggiunto per il Congo, rappresenterebbe un colpo fatale per l’economia ruandese che, fino ad oggi, trae profitto dall’importazione illegale (contrabbando) dei minerali congolesi.
Tutti riconoscono che la natura ha particolarmente favorito la Repubblica Democratica del Congo, facendone uno scandalo geologico. Il suo suolo e sottosuolo sono ricchi di tantissimi minerali ambiti dall’industria high-tech (aeronautica, elettronica, ecc.), tra cui stagno, tantalio, tungsteno, oro, wolframite, rame, ecc. La RD-Congo è ricca anche di cobalto, attualmente molto ricercato nella fabbricazione di veicoli elettrici. Questi minerali sono ricercati non solo per la loro abbondanza, ma anche per la loro qualità.
Con tutti questi minerali a sua disposizione, la Repubblica Democratica del Congo dovrebbe trovarsi ai vertici mondiali nella produzione dei minerali, in particolare di quelli conosciuti con l’acronimo 3T’s + G (stagno, tantalio, tungsteno e oro).
Paradossalmente, i minerali congolesi vengono spesso esportati illegalmente e, quindi, senza contribuire all’aumento del gettito fiscale nazionale e avvantaggiando piuttosto i Paesi limitrofi. Questi ultimi hanno implementato delle politiche aggressive che rendono più attraente l’esportazione dei minerali congolesi a partire dai loro territori, impedendo così le esportazioni legali dal Congo.
Tuttavia, i Congolesi non dovrebbero restare a guardare e continuare a lamentarsi delle azioni dei Paesi limitrofi, determinati a mantenere un certo equilibrio di potere economico a loro vantaggio. I Congolesi non dovrebbero limitarsi a denunce sui social network, ma dovrebbero esercitare i loro diritti democratici conquistati con fatica, per fare pressione sulle proprie autorità politiche ed amministrative, affinché prendano dei provvedimenti che permettano un vantaggio commerciale per il loro paese.
I Congolesi dovrebbero anche tenere d’occhio i governi dei paesi vicini e giocare dall’interno, per influenzare la politica dell’esecutivo del loro paese nei loro confronti. Il Ruanda e l’Uganda, infatti, hanno adottato delle politiche economiche che permettono loro di sfruttare la ricchezza mineraria della Repubblica Democratica del Congo. In effetti, Kigali e Kampala hanno, tra l’altro, delle aliquote fiscali sull’esportazione dei minerali molto inferiori a quelle della Repubblica Democratica del Congo.
D’altra parte, la miriade di tasse locali e nazionali che sono in vigore nella Repubblica Democratica del Congo rende problematico il rispetto di tali obblighi e complica la loro osservanza. In altre parole, un approccio poco favorevole alle imprese, in materia di tassazione mineraria, permette ad esse di ricorrere alle politiche dei Paesi limitrofi, che facilitano l’esportazione dei minerali a partire dai loro territori, invece che dalla Repubblica Democratica del Congo, sotto forma di evasione fiscale. L’evasione fiscale non è l’unico vantaggio che i paesi limitrofi della RDCongo offrono alle imprese congolesi. Essi dispongono anche di infrastrutture di trasporto adeguate e offrono tassi di credito sul capitale circolante sempre più bassi.
Inoltre, negoziano tariffe migliori per dei costosi programmi di conformità, di cui gli Stati Uniti e l’Europa hanno bisogno per la vendita di minerali.
Nel loro insieme, questi vantaggi riducono significativamente i costi di esportazione dei minerali congolesi attraverso i paesi limitrofi, a scapito della Repubblica Democratica del Congo.
Di conseguenza, dei commercianti privi di etica, esperti nel commercio di contrabbando, offrono ai produttori congolesi dei prezzi più elevati, a scapito di quelli che, nella RD Congo, non scendono a compromessi con il dovere di diligenza e rispettano le normative nazionali.
Dopo essere riusciti a fare esportare i minerali congolesi attraverso i loro territori a buon mercato, il Ruanda e l’Uganda hanno adottato delle politiche che agevolano la costruzione di raffinerie da parte di consorzi internazionali, garantendo loro dei bassi tassi di finanziamento per i progetti e il capitale circolante, le cui linee di credito utilizzate per l’acquisto di materie prime sono rese più attrattive rispetto ai tassi disponibili per i commercianti del settore minerario della regione.
Inoltre, la soppressione di molti ostacoli normativi che impedivano la costruzione delle raffinerie e l’elaborazione di normative più flessibili per i cittadini hanno facilitato l’approvvigionamento delle raffinerie. Nello stesso modo, i prezzi delle licenze negoziati a basso costo hanno favorito l’acquisto legale dei minerali, spesso nei pressi della frontiera congolese, il che ha legalizzato il contrabbando.
Senza alcun dubbio, le raffinerie apportano enormi vantaggi al paese ospitante, poiché producono molti posti di manodopera qualificata e ben pagata. Lo sviluppo delle competenze di dipendenti altamente qualificati e la conseguente esperienza lavorativa sono due aspetti vitali per qualsiasi paese in via di modernizzazione.
Oltre a posti di lavoro ben retribuiti, le raffinerie apportano una maggiore competitività, soprattutto in Africa centrale. Infatti, l’esistenza di una raffineria elimina molti ostacoli al trasporto internazionale dei minerali. Ne deriva l’agevolazione dei trasporti, fondamentale per la competitività dei paesi dell’Africa centrale che devono inviare i loro prodotti grezzi ad imprese manifatturiere di alta tecnologia in Asia, Europa e Stati Uniti.
L’esempio della Repubblica Centrafricana è chiaro. Paese senza sbocco sul mare, i suoi minerali vengono trasportati via terra, su camion, fino al porto di Dar-es-Salaam (Tanzania). Per motivi di sicurezza, i camion viaggiano spesso accompagnati da una scorta militare. A Dar-es-Salaam, i minerali vengono conservati in depositi sicuri dell’infrastruttura portuale, prima di essere caricati a bordo delle navi a destinazione dei consumatori finali. Tutto ciò rende il trasporto su strada e per via marittima molto costoso. Inoltre, sono rimaste solo poche compagnie di navigazione che servono Dar-es-Salaam e molte di esse hanno regole interne che vietano loro di accettare trasporti di minerali 3T.
Ne consegue che, in assenza di una procedura più economica che permetta di esportare via mare i minerali dalla Repubblica Democratica del Congo, non rimane altra possibilità che quella di rivolgersi alle raffinerie dei Paesi limitrofi.
La Repubblica Democratica del Congo si trova, quindi, nella posizione poco invidiabile di non poter imporre il prezzo reale dei suoi minerali e di dover accettare il prezzo dettato dai Paesi vicini che già dispongono di raffinerie locali.
Tuttavia, essendo l’unica ad avere enormi giacimenti nella regione dei Grandi Laghi Africani, la Repubblica Democratica del Congo dispone di un volume minerario sufficiente, in particolare nel settore 3T + G, per giustificare grandi progetti di raffinerie su “scala mondiale”.
Inoltre, queste raffinerie potrebbero trattare e trasformare quei minerali difficilmente trasportabili a livello internazionale, a causa d’impurità il cui trasporto è limitato.
In altre parole, questi concentrati potrebbero essere raffinati in tutta sicurezza a livello nazionale e purificati in prodotti facili da trasportare in qualsiasi paese del mondo.
Una tale modernizzazione ridurrebbe il trasporto a una parte quasi trascurabile del costo finale e creerebbe un notevole vantaggio per la Repubblica Democratica del Congo.
La RD-Congo dovrebbe quindi fare della costruzione di raffinerie una priorità nazionale. Dovrebbe pure adottare tutte le misure necessarie che le permettano di controllare i flussi di minerali sul territorio nazionale, in un’ottica di valore aggiunto.
In effetti, il Paese ha bisogno non solo di entrate fiscali per il suo sviluppo e il benessere dei suoi cittadini, ma anche di posti di lavoro ben retribuiti.
Se si alzano i prezzi dei minerali e si pagano stipendi più alti all’interno della Repubblica Democratica del Congo, il contrabbando transfrontaliero dei minerali dovrebbe diminuire notevolmente. Il governo congolese dovrebbe quindi adottare politiche equivalenti a quelle dei paesi vicini, facendo della costruzione di raffinerie minerarie locali una priorità nazionale.
Da parte loro, i Congolesi non possono rimanere a braccia conserte, continuando a lamentarsi delle iniziative dei Paesi vicini. Al contrario, devono invece, in modo democratico, utilizzare tutto ciò che lo stato di diritto, a cui aspirano, conferisce loro, per far pressione sul loro governo, affinché crei le condizioni che permettano un netto miglioramento dei settori minerario, industriale e commerciale.
A ragione, Jean-Lucien Bussa, ministro congolese del Commercio estero, ha chiesto una riduzione della tassazione, come incentivo alla produzione interna, al fine di rilanciare il settore produttivo congolese. Secondo lui, la tassazione praticata nella Repubblica Democratica del Congo deve essere conforme alla media di quella che viene praticata nei paesi limitrofi concorrenti.[3]
2. UN ACCORDO DI COLLABORAZIONE TRA LA POLIZIA CONGOLESE E RUANDESE CONTRO LA CRIMINALITÀ TRANSFRONTALIERA
a. La firma di un protocollo di intesa
Il 13 dicembre, la Polizia Nazionale Ruandese (RNP) e la Polizia Nazionale Congolese (PNC) hanno firmato un protocollo d’accordo per ufficializzare la cooperazione bilaterale per la messa in sicurezza della frontiera tra la RDCongo e il Ruanda e per la lotta contro la criminalità organizzata in entrambi i lati della frontiera comune. Questo patto di cooperazione è stato firmato a Kigali tra dall’Ispettore Generale della Polizia ruandese (IGP), Dan Munyuza, e dal suo omologo congolese, il commissario generale Dieudonné Amuli Bahigwa, in visita in Ruanda.
Il protocollo d’accordo prevede che le due istituzioni di polizia collaborino contro:
– La criminalità organizzata transnazionale e il terrorismo.
– Il contrabbando e il traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope.
– La proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro.
– La contraffazione della moneta, la criminalità cibernetica e la falsificazione di documenti.
– Il traffico di esseri umani e il traffico di organi.
Altre aree di collaborazione includono la condivisione di informazioni e la conduzione di operazioni congiunte o simultanee,
È la polizia nazionale ruandese che ha fornito tali informazioni attraverso il suo sito web.
Dopo l’entrata dell’esercito ugandese in territorio congolese per compiere operazioni militari congiunte contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) nella zona di Beni, ora sono degli agenti di polizia ruandesi che potranno intervenire sul suolo congolese, in particolare a Goma, capoluogo del Nord Kivu. La polizia nazionale ruandese, infatti, si è detta pronta ad installare una sua base operativa nella città di Goma per combattere il terrorismo. Secondo il generale Dan Munyunza, ispettore generale della polizia ruandese, «la polizia ruandese è pronta a collaborare con la polizia congolese e altre istituzioni di polizia regionali per installare un’unità operativa congiunta a Goma, al fine di raccogliere informazioni sulle attività terroristiche nella regione». Egli giustifica questa possibilità per l’aumento della criminalità transfrontaliera, la minaccia jihadista che affligge il Nord Kivu, l’attivismo delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) nel Parco nazionale dei Virunga, il contrabbando e il traffico di droga. Da parte sua, il generale Dieudonné Amuli, commissario generale della polizia nazionale congolese, si è detto convinto che «la firma di questo accordo rafforzerà gli sforzi congolesi e ruandesi nel combattere tutte le forme di criminalità organizzata, transnazionale e transfrontaliera».[4]
Il 15 dicembre, il deputato nazionale Jean-Baptiste Muhindo Kasekwa ha presentato all’Assemblea nazionale un’interpellanza rivolta al vice primo ministro e Ministro dell’Interno, Daniel Aselo, sull’accordo di cooperazione firmato, il 13 dicembre, tra la polizia nazionale congolese e quella ruandese. Jean-Baptiste Muhindo Kasekwa ha chiesto al Ministro degli Interni di spiegare i motivi e i dettagli di tale accordo e ha articolato le sue domande intorno alle seguenti questioni:
– Cosa si nasconde dietro questo accordo di cooperazione con il Ruanda firmato immediatamente dopo l’inizio delle operazioni congiunte tra gli eserciti congolese e ugandese, intraprese per sconfiggere le ADF a Beni e in Ituri?
– Quali sono i reali motivi che giustificano il ricorso alla polizia ruandese per assicurare la sicurezza a Goma, piuttosto che assegnare maggiori risorse umane e materiali alla polizia nazionale congolese già presente in quella città?
– In che proporzione il costo della presenza di elementi della polizia ruandese a Goma sarebbe inferiore quello di un piano di formazione di giovani congolesi presso la scuola di polizia di Mugunga, che si trova proprio vicino a Goma e le cui infrastrutture e personale rimangono spesso inutilizzati?
– Quale piano di comunicazione è previsto su questo accordo, per poter dissipare i legittimi sospetti sorti in seguito alla recente incursione, il 18 ottobre scorso, dell’esercito ruandese in sei villaggi del raggruppamento di Bubumba, situato nel territorio di Nyiragongo, nei pressi di Goma?[5]
b. Contro ogni eventuale entrata della polizia ruandese in territorio congolese
Il 18 dicembre, in una conferenza stampa organizzata a Kinshasa, il capo commissario della Polizia Nazionale Congolese (PNC), Dieudonné Amuli Bahigwa, si è pronunciato a proposito di un eventuale ingresso di agenti della polizia ruandese in territorio congolese in generale e nella città di Goma in particolare. Egli ha affermato che «nessun agente della polizia ruandese si trova in territorio congolese, perché la Polizia Nazionale Congolese (PNC) è pienamente in grado di svolgere la sua missione sovrana di garantire la protezione e la sicurezza delle persone e dei loro beni». Dieudonné Amuli Bahigwa ha affermato di non avere né la qualità, né la facoltà di firmare un accordo per l’ingresso di una forza di polizia estera in territorio congolese. Egli ha sottolineato di essersi recentemente recato a Kigali, in Ruanda, come presidente dell’EAPCCO (Cooperazione regionale dei capi di polizia dell’Africa centrale), posizione che ricopre da ottobre 2021. «Purtroppo sui social media, molti (affermano che Dieudonné Amuli Bahigwa) si è recato a Kigali per firmare un accordo che permetta alla forza di polizia ruandese di intervenire nella RDC (…) Non è affatto vero. Non si è assolutamente accennato ad alcuna eventuale presenza di una forza di polizia ruandese nella RDCongo», ha indicato il capo commissario della PNC. Secondo lui, la polizia congolese è in grado di far fronte in maniera adeguata alla sua missione sovrana, quella di garantire in sicurezza della popolazione e dei suoi beni. «La PNC deve adempiere ai suoi obblighi costituzionali. Non può sottrarsi alla sua missione costituzionale e affidarla a una forza di polizia straniera per proteggere la popolazione congolese. No!», ha assicurato Dieudonné Amuli.[6]
Il 20 dicembre, sin dalle prime ore del mattino, in diversi luoghi della città di Goma, capoluogo del Nord Kivu, si sono svolte delle manifestazioni da parte di giovani che protestavano contro “l’arrivo di agenti della polizia ruandese a Goma per garantire la sicurezza”. In varie vie della città sono state erette delle barricate che hanno bloccato il traffico per diverse ore. Per esempio: sui tratti Katoyi -Terminus, Kilijiwe – Entrée President, Majengo – Buhene (Comune di Karisimbi), dove agenti della polizia e dell’esercito hanno sparato colpi in aria e usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Confusione e tensione hanno colpito soprattutto la parte settentrionale di Goma e una parte del territorio di Nyiragongo. Secondo il rapporto della polizia, 4 persone sono morte, varie ferite e diverse altre arrestate.[7]
Il 20 dicembre, in una conferenza stampa in cui sono intervenuti anche il portavoce del governo Patrick Muyaya e il portavoce dell’esercito Leon Richard Kasonga, il portavoce della Polizia Nazionale Congolese (PNC), il commissario Pierrot Mwana Mputu, ha assicurato che la visita del commissario generale della polizia, Dieudonné Amuli Bahigwa, in Ruanda, non aveva lo scopo di chiedere l’intervento della polizia ruandese in territorio congolese. Secondo lui, la sua visita a Kigali era stata effettuata nell’ambito del Comitato dei Capi di Polizia dei paesi membri dell’Africa Orientale (EAPCCO), con sede a Nairobi e di cui la RDCongo aveva assunto la presidenza il 15 ottobre scorso.
In accordo con le risoluzioni dell’EAPCCO, è prevista l’istituzione, in ogni Paese membro, di comitati di collegamento che dovranno collaborare tra loro. L’obiettivo è combattere il terrorismo e la criminalità transfrontaliera attraverso un meccanismo di “rimessa” da polizia a polizia.
Secondo il commissario Pierrot Mwana Mputu, «dopo l’incontro di Nairobi, il commissario Dieudonné Amuli Bahigwa si è recato in Ruanda con una delegazione. L’obiettivo della missione era quella di dare un seguito alle risoluzioni che erano state prese in occasione della 23ª Assemblea generale dei Capi di polizia dell’Africa orientale e procedere alla firma di un memorandum d’intesa bilaterale tra la polizia ruandese e quella congolese. Perché questo protocollo d’intesa bilaterale? Perché lungo la linea di frontiera ci sono dei problemi collegati al terrorismo internazionale e alla criminalità transfrontaliera. Quindi, le forze dell’ordine dei nostri due Paesi devono collaborare, per poter risolvere i problemi di criminalità e terrorismo che appaiono lungo la loro frontiera comune. Finora, quando una persona ricercata dalla polizia congolese attraversava la frontiera con un paese vicino, non c’era la possibilità di arrestarla, ma occorreva chiederne l’estradizione. Ma ora esiste una procedura di consegna da polizia a polizia.
Con il protocollo d’intesa tra le due forze dell’ordine e con l’accordo di consegna da polizia a polizia, la polizia del paese limitrofo comunica alla nostra polizia di aver rintracciato la persona ricercata per aver commesso un determinato reato nel nostro paese, lo arresterà e glielo consegnerà. In assenza di questo accordo tra polizia e polizia, sarebbe stato necessario passare attraverso la procedura di estradizione, ciò che richiede molto più tempo. La procedura di consegna da polizia a polizia è una deroga che ci è stata concessa nel campo del diritto comune in materia di estradizione … Inoltre, nella 23ª Assemblea dei capi di polizia a Nairobi, è stato deciso di creare dei comitati di collegamento in ciascuno dei 14 paesi membri. In quanto Stato membro, la RDCongo ha accettato. Questi comitati di collegamento saranno incaricati, tra l’altro, di raccogliere, analizzare e valutare i dati relativi al fenomeno del terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, Nel nostro Paese, il comitato di collegamento sarà composto saranno solo da agenti della polizia congolese, assistiti da membri del segretariato tecnico dell’EAPCCO. Di conseguenza, nessun agente di polizia ruandese potrà entrare in territorio congolese per garantire la sicurezza del popolo congolese».
Tuttavia, il commissario Pierrot Mwana Mputu ha riconosciuto l’esistenza di una dichiarazione della polizia ruandese, secondo cui si sarebbe arrivati ad un accordo per costituire, a Goma, una cellula congiunta di polizia ruandese e congolese, ma ha assicurato che non c’è nulla di tutto ciò:
«È vero: esiste una dichiarazione che è stata pubblicata sul sito web della polizia ruandese, secondo cui, durante la visita del commissario generale congolese a Kigali, si è convenuto che si potesse costituire, in RDCongo, un’unità operativa congiunta composta da membri della polizia nazionale ruandese e congolese. Ma se si legge attentamente il comunicato, si vedrà che c’è scritto “unità speciale di polizia per raccogliere i dati”. Allora ci si può chiedere: una forza speciale di polizia incaricata di raccogliere dei dati può svolgere anche delle operazioni di mantenimento dell’ordine? No. Quindi si può dire che non si è affatto deciso di costituire, a Goma, una cellula congiunta di polizia congolese e ruandese incaricata della sicurezza delle persone e dei beni. Assicuro, quindi, che, attualmente, in territorio congolese non c’è alcun agente di polizia ruandese».[8]
Il 20 dicembre, il portavoce del governo, Patrick Muyaya, ha assicurato che la visita del commissario generale della polizia nazionale congolese in Ruanda rientrava nell’ambito delle sue prerogative di presidente del comitato dei capi di polizia dei Paesi dell’Africa orientale (EAPCCO). Secondo le sue dichiarazioni, l’obiettivo della visita non era quello di chiedere l’intervento della polizia ruandese per assicurare la sicurezza in territorio congolese, ma era quello di istituire un organo di lotta contro il terrorismo internazionale e la criminalità transfrontaliera: «Non si è mai parlato di un eventuale intervento della polizia ruandese in territorio congolese per garantirvi l’ordine pubblico … Assicuro che a Goma non c’è alcun agente della polizia ruandese».[9]
c. Cooperazione tra la Polizia congolese e ruandese: un protocollo d’accordo illegale e pericoloso
Si sa molto poco sul contenuto dell’accordo di cooperazione tra la polizia nazionale della RDCongo e quella del Ruanda. Tuttavia, secondo quanto diffuso sui social network, si sa che potrebbe essere possibile che la polizia ruandese entri e operi in territorio congolese, ma non si sa se quella congolese possa intervenire in territorio ruandese. Le questioni relative alla difesa e alla sicurezza sono molto delicate, poiché toccano degli aspetti molto sensibili, come la sovranità nazionale, l’integrità territoriale, l’indipendenza di uno Stato e i diritti e le libertà dei cittadini, elementi che non possono essere trattati con leggerezza e irresponsabilità.
Nell’ambito della cooperazione tra polizie transfrontaliere, la dottrina internazionale prevede che non vi sia cooperazione tra polizie di stati diversi, senza un previo accordo di cooperazione statale firmato dalle autorità politiche autorizzate e ratificato dai rispettivi parlamenti nazionali dei due stati interessati.
È il caso, per esempio, degli accordi di Schengen tra gli stati dell’Unione europea, che permettono alle forze di polizia degli Stati interessati di controllare i valichi di frontiera o di perseguire una persona sospettata di aver commesso un reato nel territorio di un altro Stato firmatario e confinante con lo Stato della polizia che lo sta ricercando. Nell’ambito degli accordi di Schengen, il controllo delle frontiere consente agli agenti di polizia di un paese, nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria, di continuare, sul territorio di un altro paese Schengen, la sorveglianza e il tracciamento di una persona che si presume abbia commesso atti di una certa gravità.
La polizia di uno Stato Schengen può attraversare le frontiere terrestri nazionali per perseguire un determinato obiettivo, se non è in grado di avvertire previamente la polizia del secondo Stato, prima della sua entrata in tale territorio, o se le autorità del secondo Stato non riescono a raggiungere in tempo il luogo interessato. Ogni Stato membro definisce, in una dichiarazione, le modalità di intervento sul proprio territorio per ciascuna delle parti contraenti con cui ha una frontiera comune.
Il protocollo d’accordo tra la RDCongo e il Ruanda è illegale, confuso e pericoloso.
L’accordo appena firmato tra la RDCongo e il Ruanda porta con sé le caratteristiche di una diplomazia occulta. Sul piano del diritto pubblico interno congolese, questo accordo viola l’articolo 213 della costituzione congolese. Tale articolo stipula infatti che solo il Presidente della Repubblica o il governo centrale sono autorizzati a negoziare, ratificare o concludere i trattati e gli accordi internazionali.
In effetti, normalmente tali accordi possono essere firmati solo nell’ambito di trattati e accordi di cooperazione bilaterali o multinazionali che consentano ai servizi di polizia di svolgere azioni sul territorio di questi paesi limitrofi (pattuglie miste, inseguimenti transfrontalieri, ecc.).
Alla base di questi accordi vi è il principio di reciprocità, il che significa che, per il caso in esame, se la polizia ruandese è chiamata a svolgere delle operazioni sul territorio congolese, anche la Polizia congolese deve essere autorizzata ad operare anche sul territorio ruandese. Nulla è stato detto su questo aspetto.
Concludendo un accordo bilaterale di cooperazione tra la polizia congolese e quella ruandese, il generale Dieudonné Amuli Bahingwa ha violato la Costituzione congolese.
Anche se ha dichiarato che l’obiettivo della sua visita in Ruanda non era quello di chiedere l’intervento della polizia ruandese in territorio congolese, il Generale Amuli non è riuscito a presentare alla stampa il documento originale contenente l’intero contenuto dell’accordo in questione. Se lo avesse fatto, avrebbe contribuito a rimuovere ogni ambiguità e sospetto sulle finalità di questo accordo. Sapendo che in passato le autorità congolesi avevano permesso a militari dell’esercito ruandese di operare in territorio congolese in divisa militare dell’esercito congolese, nulla oggi assicura che, in caso di intervento di agenti della polizia ruandese, essi non siano invece dei militari ruandesi con divisa ufficiale della polizia.
Inoltre, ci si può chiedere quali siano le reali intenzioni che possano sottostare a questa fretta di voler concludere un così discusso accordo con il Ruanda, di cui non si conosce bene il contenuto, proprio quando l’esercito ugandese, il cui Paese è in aperto conflitto con il Ruanda, interviene nella Repubblica Democratica del Congo, in un’area confinante proprio con il Ruanda.
Infine, se la volontà è quella di creare un’unità di coordinamento operativo regionale, il Presidente Félix Tshisekedi potrebbe riattivare la Comunità Economica dei Paesi dei Grandi Laghi (CEPGL). Così, le autorità degli Stati membri di questa organizzazione regionale potrebbero istituire a Gisenyi, sede della CEPGL, il centro regionale di un’unità operativa congiunta, comprendente Uganda, Ruanda, Burundi, RDCongo e Tanzania. In caso contrario, i Congolesi potrebbero ben opporsi a ciò che sembra essere una forma di rioccupazione militare mascherata dell’est della RDCongo da parte del Ruanda. Tanto più che il famoso accordo sembra essere stato firmato senza coinvolgere i ministeri degli Esteri, dell’Interno e della Cooperazione regionale dei due Paesi interessati.[10]
[1] Cf Congovirtuel.com, 11.08.’21 https://congovirtuel.com/information/rdc-rwanda-pas-moins-de-600-millions-dor-sont-passes-en-contrebande-de-la-rdc-via-le-rwanda/
[2] Cf Deskeco.com, 28.06.’21; AFP – Jeune Afrique.com, 27.06.’21
[3] Cf Moïse Musangana – Actualité.cd, 01.07.’21 https://actualite.cd/2021/07/01/maitrise-du-flux-des-minerais-congolais-par-des-raffineries-une-arme-fatale-de-kinshasa
[4] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 14.12.’21; Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 14.12.’21
[5] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 15.12.’21
[6] Cf Radio Okapi, 18.12.’21
[7] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.12.’21
[8] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.12.’21
[9] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.12.’21
[10] Cf Jean-Jacques Wondo – afridesk.org, 23.12.’21 https://afridesk.org/cooperation-policiere-rdc-rwanda-un-protocole-daccord-illegal-et-dangereux-jj-wondo/