IL COMMERCIO ILLEGALE DI CACAO, COLTAN E ORO NELL’EST DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
INDICE
1. IMPLICAZIONE DI GRUPPI ARMATI E DI MEMBRI DELL’ESERCITO NAZIONALE NEL COMMERCIO DEL CACAO NEL TERRITORIO DI BENI (NORD KIVU)
a. Rapporto S/2020/1283 – 23 dicembre 2020
b. Rapporto S/2021/560 – 10 giugno 2021
2. RDCONGO / RUANDA: IL CONTRABBANDO DEL COLTAN E DELL’ORO
a. Il contrabbando alimenta il finanziamento dei gruppi armati e le violazioni dei diritti umani
b. Il miracolo economico ruandese messo in discussione
c. Bay View Group chiede al governo ruandese 95 milioni di dollari di risarcimento
d. Il vasto contrabbando dell’oro congolese verso il Ruanda
e. La reale produzione d’oro in Ruanda
f. Tre senatori americani chiedono “sanzioni”
3. LE AUTORITÀ DEL SUD KIVU SOSPENDONO LE ATTIVITÀ DI NOVE AZIENDE MINERARIE, DI CUI SEI CINESI E TRE CONGOLESI, NEL TERRITORIO DI MWENGA
1. IMPLICAZIONE DI GRUPPI ARMATI E DI MEMBRI DELL’ESERCITO NAZIONALE NEL COMMERCIO DEL CACAO NEL TERRITORIO DI BENI (NORD KIVU)
Due rapporti del Gruppo di Esperti dell’ONU.[1]
a. Rapporto S/2020/1283 – 23 dicembre 2020
18. Secondo varie fonti, nel territorio di Beni (Nord Kivu), la coltivazione, la raccolta e la vendita del cacao sono frequentemente perturbate da attacchi perpetrati dalle ADF, da gruppi Mai-Mai, da uomini armati non identificati, spesso in collaborazione con alcuni membri dell’esercito nazionale.
19. Sebbene le ADF abbiano da molto tempo perturbato le attività agricole del territorio di Beni, gli attacchi armati contro i coltivatori di cacao si sono intensificati nel 2020, in entrambi i periodi di raccolta (vedi allegato 5).
21. Alcuni coltivatori hanno attribuito questi attacchi anche a gruppi armati Mai-Mai e ad uomini armati non identificati che, nei periodi di raccolta e operando sotto l’etichetta ADF, occupano i campi di cacao e ne rubano il raccolto (vedi allegato 6).
22. Alcuni membri dell’esercito non solo hanno imposto tasse illegali ai coltivatori di cacao, ma si sono anche occupati direttamente della coltivazione e del commercio del cacao, in violazione del codice militare che lo vieta. Nel territorio di Beni, altri membri dell’esercito hanno acquistato e venduto cacao direttamente o tramite intermediari. Da settembre 2020 circa, dei militari dell’esercito stanziati a Ndoma e ad Halungupa, hanno imposto agli agricoltori una tassa denominata “Finita la ricreazione” e fissata tra 2.000 e 5.000 franchi congolesi (FC), da pagare ad ogni ritorno dai loro campi di cacao. Al 30 settembre 2020, 1 dollaro equivaleva a 1.955 franchi congolesi.
23. Grandi quantità di cacao proveniente dal territorio di Beni sono state esportate di contrabbando in Uganda, sia su strada via Kasindi (Nord Kivu) o via Mahagi (Ituri), sia su sentieri che consentono di attraversare il confine solo a piedi, sia in piroga, via il porto di Kasenyi sul lago Albert o il porto di Kyavinyonge sul lago Edward. In Uganda, un chilo di cacao è venduto fino a 6 dollari in più rispetto alla Repubblica Democratica del Congo (vedi allegato 7).
24. Il cacao è commercializzato nei mercati di Oicha, Kasindi, Kainama e Butembo. Il commercio del cacao è effettuato anche in alcune zone di combattimento. Il cacao delle parti settentrionali del territorio di Beni è acquistato dai commercianti di Boga (Ituri). È difficile identificare l’origine del cacao, a causa del funzionamento delle filiere, dato che gli intermediari acquistano il cacao da cooperative che raccolgono la produzione di vari agricoltori.
– Allegato 5: Un caso emblematico è quello di Kainama dove, in tempi normali, il raccolto di cacao era di circa cinque tonnellate a settimana, vendute dai contadini sul mercato locale.
Sebbene molti agricoltori non abbiano potuto raccogliere il cacao almeno da luglio 2020, a causa dell’insicurezza, le vendite di cacao sul mercato di Kainama sono proseguite per tutto il secondo periodo di raccolta del 2020 (tra giugno e ottobre). L’acquirente più frequente era un commerciante proveniente da Boga (Ituri) che, nonostante l’insicurezza, ha continuato ad acquistare cacao sul mercato di Kainama fino a ottobre 2020. Egli comprava il cacao a Kainama pagandolo 2.500 franchi congolesi (CDF) al chilo e lo rivendeva in Uganda ad un prezzo compreso tra i 4.500 e 5.000 CDF al chilo.
– Allegato 6: Un rappresentante di oltre 2.000 coltivatori di cacao di Mavivi, dove un normale raccolto settimanale supera le cinque tonnellate, ha affermato che, nel 2020, uomini armati “sotto etichetta” ADF hanno rubato il cacao, dopo aver costretto gli abitanti ad abbandonare i loro campi. Egli ha precisato di aver venduto il cacao ad intermediari “non identificati”. Secondo lui, l’80% circa del cacao di Mavivi è stato raccolto nel secondo raccolto del 2020, ma gran parte di questo raccolto è stato effettuato non dagli agricoltori, ma da varie milizie, tra cui i Mai-Mai Kadenga, uomini armati che operano “sotto etichetta” delle ADF.
Un rappresentante della società civile di Kasindi ha affermato che, da agosto o settembre 2020, alcuni banditi armati del posto si erano travestiti da “islamisti” vestendosi con abiti bianchi e che affermavano di essere “peggiori delle ADF”, per spaventare i contadini, in modo che abbandonassero i loro campi di cacao e loro potessero raccogliere e vendere il raccolto.
Un commerciante di cacao che ha acquistato del cacao nel territorio di Beni ha detto le stesse cose, affermando che uomini armati vestiti “come le ADF” hanno minacciato i contadini e li hanno cacciati dai loro campi, per poi rubarne e venderne il raccolto.
Tre rappresentanti della società civile hanno descritto come, secondo gli agricoltori, assalitori armati non identificati e/o le ADF abbiano collaborato con alcuni uomini d’affari di Watalinga e Rwenzori, per acquistare far passare del cacao in Uganda, per venderlo al loro posto.
– Allegato 7: Sebbene nella RDCongo il prezzo nazionale del cacao sia fissato in maniera centralizzata e aggiornato settimanalmente, i coltivatori di cacao del territorio di Beni e della parte meridionale della provincia dell’Ituri hanno citato un’intera gamma di prezzi del cacao che oscillavano tra i 1.500 e i 3.500 Franchi congolesi CDF per chilo. Tuttavia, non è chiaro se queste differenze di prezzo fossero legate alla qualità e all’umidità delle fave e/o alle fluttuazioni dei prezzi offerti sul mercato nero del cacao.
In tutti i casi, il contrabbando transfrontaliero di cacao verso l’Uganda dipende generalmente da vari fattori: prezzi di acquisto più elevati in Uganda, tasse all’esportazione dalla RDC molto elevate e complicità delle stesse autorità congolesi. Il Gruppo di esperti ha rilevato che l’articolo 73 della legge n. 11/022 del 24 dicembre 2011 sui principi fondamentali relativi all’agricoltura esenta i prodotti agricoli, tra cui il cacao, dalle tasse di esportazione, ma i commercianti hanno riferito che una serie di decreti e circolari aveva introdotto delle tasse che vengono poi applicate secondo modalità diverse e in modo coercitivo.
b. Rapporto S/2021/560 – 10 giugno 2021
Attacchi delle ADF contro i coltivatori di cacao.
32. In tutto il territorio di Beni, in cui molti abitanti coltivavano cacao, le ADF hanno ucciso diverse centinaia di contadini e ne hanno sequestrato varie altre centinaia, costringendoli talvolta a lavorare per loro. Gli attacchi contro gli agricoltori sono avvenuti nel settore di Rwenzori, intorno a Oicha, nei campi lungo la strada Mbau-Kamango e, da metà 2020, nella parte meridionale del territorio di Irumu (Ituri). In alcuni loro attacchi perpetrati nel Rwenzori, le ADF hanno evocato questioni di sfratto delle terre di loro proprietà (vedi allegato 22).
33. Le ADF e i loro collaboratori hanno compiuto atti isolati di raccolta, furto e commercio di cacao, in particolare nel Rwenzori. Infatti, il gruppo di esperti non ha trovato prove secondo cui le ADF commerciassero cacao su larga scala e in modo sistematico. Tre ex combattenti hanno notato il disinteresse delle ADF per il cacao, affermando che esse si finanziano in altri modi.
Raccolta e commercio di cacao da parte di membri dell’esercito nazionale.
34. Sedici agricoltori hanno affermato che, nel 2020 e all’inizio del 2021, la maggior parte del loro cacao è stata raccolta da membri dell’esercito nazionale o da giovani non identificati in tenuta militare o civile.
35. Nel 2020 e nel 2021, alcuni militari sotto il comando del maggiore John Zero-Zero del 312° battaglione, alias Major Tipi Zero-Zero, hanno raccolto cacao nei campi abbandonati intorno a Halungupa, Bulongo e Mutwanga, aiutati talvolta da civili (vedi allegato 23).
Produzione, esportazione e contrabbando di cacao.
37. Dei membri dell’esercito nazionale hanno facilitato il contrabbando transfrontaliero di cacao verso l’Uganda, in collusione con alcuni agenti di frontiera congolesi. In un caso, tre individui hanno confermato che il capitano Kyomba, del 312° battaglione, gestiva un deposito insieme ad un civile, per esportare il cacao di Halungupa. Nel 2020 e nel 2021, sulla strada nazionale 4 (RN4), dei camion hanno trasportato settimanalmente del cacao per conto di membri dell’esercito o da essi scortati. Un ex contrabbandiere di cacao ha dichiarato che, fino al 2019, per ogni viaggio, aveva pagato 750 $ in contanti a un comandante dell’esercito, per far passare il cacao in Uganda, durante la notte e attraverso il fiume Lubiliha.
28. Il cacao contrabbandato arrivava, tra l’altro, a Bwere e Bundibugyo (Uganda), dove dei commercianti apponevano dei certificati di origine ugandese, richiesti per l’esportazione. Nel 2020, le esportazioni di cacao dalla Repubblica Democratica del Congo verso destinazioni internazionali sono state di oltre 47.500 tonnellate. Poco meno di 34.500 tonnellate sono state esportate via Kasindi (territorio Beni), ma solo il 10% di tale quantità risulta esportato ufficialmente in Uganda (vedi allegato 25).
– Allegato 22: Dichiarazioni di ADF su proprietà di terre, sfratti e attività agricole.
Quattro coltivatori e produttori di cacao del settore di Rwenzori hanno raccontato che, durante alcuni attacchi. avevano udito dei miliziani ADF fare certe dichiarazioni riguardanti proprietà di terreni o minacce di sfratto.
Un agricoltore scampato a un attacco delle ADF avvenuto nei pressi del suo campo situato sulla strada Mbau-Kamango, ha dichiarato che, all’inizio dell’attacco, ha sentito gli aggressori ADF dire: “avevamo già comprato questo terreno”. Un altro, scampato a un attacco delle ADF avvenuto in dei campi situati nei dintorni di Kisanga, un villaggio del settore di Rwenzori, ha detto che gli aggressori, parlando un swahili “tanzaniano”, hanno detto: “Ci hanno mentito quando ci hanno detto che avremmo potuto stabilirci qui presto. Ora vediamo che questa zona è ancora abitata da molta gente”. Un altro agricoltore di Bulongo aveva sentito degli aggressori ADF dire, sempre in swahili “non congolese”, che quella zona apparteneva a loro. Un quarto coltivatore di cacao, durante un attacco del mese di novembre 2020 a Kisima, ha sentito gli aggressori dire: “questo terreno l’avevamo già comprato”. Secondo questo agricoltore, gli aggressori di Kisima parlavano in Kiganda e Kinyarwanda. Un ex combattente ADF ha dichiarato che le ADF hanno dei collaboratori tra la gente della popolazione locale e che le ADF fanno di tutto per costringere quelli che si rifiutano di collaborare ad andarsene.
Due ex combattenti ADF e una persona che era stata sequestrata hanno confermato che le ADF coltivavano riso, manioca e fagioli in terreni situati nei pressi dei loro accampamenti, in particolare a Mwalika / Domaine, dove il comandante Amigo era incaricato della distribuzione di questi terreni, con la mediazione di collaboratori locali.
Le ADF saccheggiano spesso i campi della popolazione locale, a volte in gruppi di addirittura 100 persone, tra cui principalmente donne e bambini, essenzialmente per procurarsi cibo e viveri. Le ADF raramente rubano cacao, benché tre persone intervistate e alcuni rapporti della MONUSCO abbiano riportato informazioni su furti di cacao durante attacchi perpetrati dalle ADF.
Nei dintorni di Mwalika, nel Parco nazionale dei Virunga, le ADF hanno imposto agli agricoltori una contribuzione (parte del raccolto), in cambio dell’accesso ai campi. Quattro agricoltori hanno dichiarato di aver pagato delle tasse alle ADF. Un agricoltore della zona di Domaine ha affermato che, per avere accesso ad un suo terreno, ha dovuto pagare, come altri 35 agricoltori, 10 $ e due bacini di riso e fagioli, o 20 $ per raccolto, a un membro delle ADF conosciuto con il nome di Benjamin. Un agricoltore di Oicha ha detto di aver fornito alle ADF un bacino di riso, manioca e fagioli per ogni raccolto.
– Allegato 23: Implicazione di alcuni membri dell’esercito nel furto, commercio e contrabbando di cacao
Diciannove coltivatori di cacao hanno confermato l’implicazione di membri dell’esercito congolese in casi di furto di cacao o della sua commercializzazione. Tre di questi agricoltori sono stati attaccati da membri dell’esercito nei loro campi di Mavivi e lungo la strada Mbau-Kamango, mentre cercavano di opporsi a dei militari che stavano rubando il loro cacao.
Sette di loro hanno dichiarato di aver visto personalmente del cacao messo ad essiccare e custodito in vari posti, tra cui un campo base dell’esercito a Oicha, una postazione militare a Mamiki e anche una Chiesa avventista di Halungupa, utilizzata da alcuni membri dell’esercito come deposito. Alcuni militari e le loro mogli praticano il commercio di cacao a Oicha, Bulongo, Halungupa e Beni e utilizzano taxi e moto locali per trasportarlo verso i centri commerciali di rivendita, tra cui Butembo, Nobili e Bunia.
– Allegato 25: Breve analisi delle statistiche sulla produzione ed esportazione del cacao dalla RDC verso l’Uganda.
Il Gruppo di esperti ha intervistato dieci commercianti di cacao che hanno fatto notare che le cause del contrabbando di cacao verso l’Uganda sono varie, tra cui il livello troppo elevato delle tasse congolesi sulle esportazioni, il tentativo di evitare le spese bancarie (vedi S/2020/1283, allegato 7) e il livello inferiore delle tasse ufficiali ugandesi rispetto a quelle congolesi . Tre persone che hanno acquistato cacao presso la frontiera con l’Uganda e poi l’hanno contrabbandato in Uganda, hanno dichiarato che le loro transazioni sono state effettuate in scellini ugandesi, al fine di evitare le commissioni di cambio in Uganda. Anche un funzionario della dogana e un commerciante di Nobili, in territorio di Beni, hanno riferito che, nel commercio del cacao, spesso si usano gli scellini ugandesi, soprattutto perché è difficile accedere alle banche congolesi e le banche più vicine si trovano sul versante ugandese della frontiera.
Al momento della stesura di questo rapporto, i dati ufficiali sulla produzione di cacao congolese non erano disponibili. Tuttavia, per quanto riguarda le esportazioni di cacao congolese, è stato riscontrato che, nel 2019, sono stati esportati 40.036.766 kg di cacao per un valore di 66.175.786 $ e che, nel 2020, sono stati esportati 47.507.653 kg (di cui circa 33.000.000 kg attraverso la frontiera di Kasindi) per un valore di 87.274.447 $.
Il gruppo di esperti ha consultato i dati della Produzione agricola dell’Uganda (2004-2019), pubblicati il 13 novembre 2020 dall’Ufficio Ugandese delle Statistiche (UBOS) e ha constatato che in questo database non era stato registrato alcun dato sulla produzione di cacao.
Secondo l’Autorità Ugandese delle Entrate (URA), nel 2019 l’Uganda ha esportato poco più di 32 tonnellate di fave di cacao, intere o frantumate, crude o tostate (Codice HS1801). Nel 2018, quella cifra era di poco superiore alle 30,5 tonnellate. Le informazioni sulle riesportazioni ugandesi di cacao non erano disponibili secondo il paese di origine.
Sulla base delle informazioni accessibili al pubblico per l’anno 2019, il Gruppo ha rilevato una discrepanza tra il volume delle importazioni registrate di cacao congolese da parte dell’Uganda, che era ufficialmente di poco inferiore a 1.708 tonnellate per l’intero anno, e le esportazioni congolesi registrate di cacao proveniente dalla RDC verso l’Uganda per il 2019, poco più di 1.410 tonnellate per soli quattro mesi (secondo i funzionari, nei registri ufficiali erano disponibili solo i dati di gennaio, settembre, ottobre e novembre 2019).
Per il 2020, per il quale era disponibile una serie completa di dati forniti dalle autorità congolesi, le esportazioni di cacao congolesi verso l’Uganda attraverso Kasindi hanno totalizzato poco più di 3.337 tonnellate all’anno. I dati sulle importazioni ugandesi di cacao congolese per il 2020 non erano disponibili al momento della stesura di questo rapporto.
2. RDCONGO / RUANDA:
IL CONTRABBANDO DI COLTAN E ORO
Un rapporto di The Globe And Mail.[2]
a. Il contrabbando alimenta il finanziamento dei gruppi armati e le violazioni dei diritti umani
Nuove prove tratte da un rapporto delle Nazioni Unite e da una causa introdotta in arbitrato da un investitore mettono in risalto il ruolo del Ruanda in sofisticate reti di contrabbando che estraggono oro e coltan in zone di conflitto congolesi e che immettono illecitamente minerali strategicamente importanti nella catena di approvvigionamento mondiale di prodotti di consumo, come i telefoni cellulari, i computer e i gioielli. Questo contrabbando alimenta il finanziamento dei gruppi armati e, quindi, le violazioni dei diritti umani in Africa centrale, indebolendo gli sforzi di regolamentazione del commercio dei minerali. Il contrabbando indebolisce anche gli sforzi fatti per poter garantire che i consumatori possano prendere delle decisioni adeguate, per evitare di usufruire dei “minerali insanguinati”, come spesso vengono denominati i minerali provenienti da zone di conflitto. Di conseguenza, spesso i consumatori occidentali di gadget tecnologici e di gioielli non hanno alcuna garanzia che i loro acquisti non contribuiscano a finanziare conflitti e violazioni dei diritti umani in Congo. Gli esperti sono a conoscenza di questo contrabbando già da molti anni, ma nuovi dettagli forniti dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite e dai documenti depositati in una causa di arbitrato hanno rivelato come queste reti si stiano consolidando sempre più, sia in Ruanda che nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), benché i rispettivi governi affermino di voler sanificare il settore del commercio minerario.
b. Il miracolo economico ruandese messo in discussione
È grazie al commercio illegale dei minerali che il Ruanda è diventato uno dei maggiori “esportatori” di coltan, benché disponga di pochissime miniere che producono questo minerale. Negli ultimi venticinque anni, il tanto decantato miracolo economico del Ruanda ha attirato miliardi di dollari stanziati da donatori e governi esteri. Ma studi recenti hanno messo in dubbio le statistiche economiche del Ruanda. I nuovi rapporti sul contrabbando minerario potrebbero sollevare molti dubbi, da parte di investitori e donatori, sul vero stato dell’economia ruandese.
L’ultimo rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDCongo, presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel mese di giugno 2021, descrive come oro e coltan siano stati contrabbandati dalla RDCongo verso il Ruanda, dove le tasse sono molto più basse. Il coltan è spesso fatto passare in Ruanda via terra, nascosto in scomparti segreti di camion o via lacustre, nascosto in canoe che attraversano il Lago Kivu, confine naturale tra i due paesi.
Il rapporto delle Nazioni Unite include foto di sacchi da 10 e 20 chili di coltan congolese venduto di contrabbando da commercianti congolesi non registrati ad acquirenti ruandesi. Il rapporto contiene anche alcune dichiarazioni di contrabbandieri di minerali sulle rotte del contrabbando tra l’est della RDCongo verso il Ruanda attraverso il Lago Kivu.
Nel loro ultimo rapporto, gli esperti delle Nazioni Unite hanno affermato che, nonostante alcuni miglioramenti, il contrabbando dei minerali continua ad alimentare conflitti e instabilità nella Repubblica Democratica del Congo.
Gli esperti delle Nazioni Unite hanno citato la zona mineraria di Rubaya che, situata nel territorio di Masisi, provincia del Nord Kivu, nell’est della RDCongo, produce circa il 15% del fabbisogno mondiale di coltan. Nei siti minerari di coltan situati nei dintornidia Rubaya, nonostante l’esistenza di regolamenti adottati per garantire che le forniture mondiali di coltan non alimentino dei conflitti, gli esperti dell’ONU hanno trovato delle prove di scontri armati, di distribuzioni di armi e di violazioni dei diritti umani. Secondo il rapporto, tra le armi distribuite ai minatori c’erano dei machete e dei fucili Kalashnikov. Uomini armati, tra cui degli agenti di polizia, hanno incendiato botteghe e case, imprigionato e picchiato minatori e ucciso due di loro. Nel traffico dei minerali, la frode è una pratica comune.
Il rapporto delle Nazioni Unite è confermato da prove fornite da un investitore minerario statunitense, il Bay View Group, in un caso di arbitrato presso il Centro Internazionale per la regolamentazione dei conflitti, un’istituzione della Banca Mondiale.
c. Bay View Group chiede al governo ruandese 95 milioni di dollari di risarcimento
Bay View Group, uno dei maggiori investitori nel settore minerario ruandese dal 2006 al 2016, chiede al governo ruandese 95 milioni di dollari di risarcimento, poiché il regime ruandese gli avrebbe sequestrato i suoi beni, perché si è rifiutato di contribuire al “dilagante contrabbando illegale” di coltan e altri minerali congolesi verso il Ruanda. Una delle sue concessioni era situata proprio vicino al confine congolese, il che la rendeva “un terreno ideale per il contrabbando di minerali”, spiega Bay View.
La società stima che il valore effettivo della produzione delle miniere ruandesi sia solo di circa 20 milioni di dollari USA all’anno, una piccola parte dei 412 milioni di dollari USA che il governo ha dichiarato nei suoi dati sulle esportazioni. «Si ritiene che oltre il 50 % di tutti i minerali esportati dal Ruanda provenga dalla RDC e che oltre il 90 % del coltan esportato dal Ruanda provenga dalla RDCongo», ha dichiarato la società nella sua richiesta sottomessa al centro di arbitrato.
Bay View ha osservato che il Ruanda dichiara solo la quantità di minerali esportati dal paese e non la quantità che produce. Secondo questa società, ciò consente al Ruanda di affermare che i minerali contrabbandati dalla RDCongo siano prodotti in Ruanda, aumentando così le sue statistiche economiche.
La società ha anche affermato che le esportazioni minerarie ufficiali del Ruanda sono aumentate in modo significativo a partire dal 2013, nonostante i bassi livelli della sua produzione mineraria. Tutto ciò è possibile perché il Ruanda contrabbanda i minerali dalla RDCongo, li etichetta come ruandesi e li esporta quindi come minerai di origine ruandese.
Nel caso sottomesso ad arbitrato, Jerry Fiala, un geologo e minatore australiano che lavora in Ruanda dal 2003, ha affermato che «i minerali provenienti dalla RDCongo vengono contrabbandati in Ruanda via terra tramite camion o via lacustre attraverso il lago Kivu. Vengono poi etichettati in “miniere fittizie” ruandesi che, in realtà, non svolgono alcuna attività di produzione. Citando l’esempio di una piccola compagnia mineraria ruandese presso cui aveva lavorato, egli ha dichiarato che, nelle statistiche del 2012 e del 2013, il governo aveva drasticamente gonfiato le cifre di produzione di quella piccola impresa, ciò che gli aveva permesso di cancellare le tracce dei minerali contrabbandati dalla RDCongo.
Da parte sua, il governo ruandese ha smentito le affermazioni di Bay View Group, definendole “totalmente artificiali e prive di fondamento”.
d. Il vasto contrabbando dell’oro congolese verso il Ruanda
Il contrabbando dei minerali congolesi non si limita solo al commercio illegale del coltan. Il rapporto delle Nazioni Unite e altri studi hanno documentato l’ampio contrabbando dell’oro congolese che è immesso sul mercato internazionale attraverso il Ruanda.
Il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite ha dettagliato, ad esempio, come l’oro prodotto nella zona mineraria di Walikale, situata nella provincia del Nord Kivu, nell’est della RDCongo, e controllata dall’esercito congolese e dalle sue milizie alleate, viene trasportato in Ruanda, nonostante una legge proibisca la presenza di militari nei siti minerari. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, nel sito minerario lavorano almeno 2.500 minatori artigianali.
Le autorità minerarie del Nord Kivu hanno dichiarato agli esperti delle Nazioni Unite che l’anno precedente, quasi tutto l’oro prodotto nei dintorni di Walikale è stato omesso dai registri ufficiali. Secondo il rapporto, solo una “piccola parte della produzione effettiva” è stata ufficialmente registrata e l’oro prodotto nella regione è stato generalmente contrabbandato verso il Ruanda o l’Uganda. Il rapporto spiega anche come gli esportatori congolesi abbiano utilizzato il Ruanda come rotta di contrabbando, per fare arrivare a Dubai e a Hong Kong dell’oro estratto da miniere la cui produzione era controllata e tassata da una milizia armata denominata Mai-Mai Yakutumba.
e. La reale produzione d’oro in Ruanda
Il rapporto delle Nazioni Unite rafforza i risultati di uno studio precedente di un gruppo no profit con sede a Ottawa, IMPACT, che ha affermato che il commercio illegale dell’oro della Repubblica Democratica del Congo verso il Ruanda è in aumento.
I commercianti “agiscono in una parvenza di legalità dichiarando una piccola percentuale delle loro esportazioni d’oro, mentre intascano enormi profitti dal commercio illegale”, ha affermato IMPACT. Il suo rapporto ha documentato come alcuni commercianti siano sfuggiti ai controlli, creando entità ombra e società fittizie, per nascondere la reale portata delle loro attività.
In un esempio di frode, IMPACT ha affermato che, nel 2018, il Ruanda ha esportato ufficialmente 2.163 chili d’oro, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno affermato di aver importato più di 12.500 chili d’oro dal Ruanda. In realtà, sempre secondo IMPACT, le miniere ruandesi producono solo circa 300 chili d’oro all’anno. Alcuni esperti hanno addirittura stimato che la vera produzione d’oro del Ruanda sia di appena 20 chili all’anno.
«L’oro che esce di contrabbando dalla RDCongo e che entra nel mercato legale internazionale sotto forma di prodotti di consumo è potenzialmente collegato a criminalità, riciclaggio di denaro, gruppi armati e violazioni dei diritti umani», afferma il rapporto IMPACT, aggiungendo: «Le indagini suggeriscono che le autorità ruandesi non stanno applicando la dovuta diligenza sull’oro che entra in Ruanda dalla Repubblica Democratica del Congo».
In un suo rapporto del mese di febbraio, The Sentry, un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti, ha riferito che il Ruanda è un importante hub per il contrabbando dell’oro della Repubblica Democratica del Congo; «L’oro è una delle maggiori esportazioni del Ruanda, nonostante la sua bassa capacità di produzione annuale». Il valore dell’oro fatto uscire di contrabbando dalla RDCongo ogni anno, in gran parte attraverso il Ruanda, è di circa 600 milioni di dollari.
Nel 2019, in Ruanda è stata aperta una raffineria d’oro con una capacità che supera di gran lunga la produzione nazionale di oro. Secondo vari media, la raffineria è controllata al 50 % dal governo ruandese. Un rapporto pubblicato l’anno scorso dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha rilevato che gli acquisti dell’oro congolese da parte della raffineria ruandese hanno finanziato “gruppi armati e reti criminali”. La raffineria ha smentito ogni tipo di accusa.
f. Tre senatori americani chiedono “sanzioni”
Il contrabbando ha iniziato ad attirare l’attenzione dei politici. Tre senatori statunitensi – Cory Booker, Richard Durbin e Benjamin Cardin – hanno chiesto delle sanzioni contro commercianti e proprietari di raffinerie implicati nel contrabbando dell’oro.
Secondo una loro lettera del mese di aprile al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, «l’oro estratto in zone di guerra nell’est della RDCongo costituisce la maggior fonte di reddito per gruppi armati e molti ufficiali dell’esercito nazionale, attraverso l’imposizione di tasse illegali, gli attacchi armati sulle miniere e la collaborazione con i contrabbandieri. In tutta l’Africa, soprattutto nell’est della RDCongo, l’oro prodotto in zone di conflitto alimenta crimini orribili perpetrati contro le popolazioni locali e, nello stesso tempo, entra nella catena di approvvigionamento mondiale dell’oro, composta da società multinazionali, commercianti internazionali, raffinerie, banche e imprese tecnologiche e automobilistiche. L’oro estratto dalle zone di conflitto dell’est della RDCongo raggiunge i mercati internazionali, entrando nelle catene di approvvigionamento delle grandi aziende americane e, quindi, nei prodotti che i consumatori usano giornalmente».
3. LE AUTORITÀ DEL SUD KIVU SOSPENDONO LE ATTIVITÀ DI NOVE AZIENDE MINERARIE, DI CUI SEI CINESI E TRE CONGOLESI, NEL TERRITORIO DI MWENGA
Il 13 agosto, in seguito a varie denunce inoltrate da organizzazioni locali basate nel territorio di Mwenga, il governatore del Sud Kivu, Théo Ngwabidje Kasi, ha concesso una moratoria di 72 ore ai responsabili delle società minerarie straniere operanti in questa entità, affinché possano registrarsi presso i Servizi statali abilitati a rilasciare le licenze e altri atti legali che li autorizzino ad esercitare la loro attività nel settore minerario. Inoltre, il governatore ha ordinato a tutti i militari di allontanarsi dai siti minerari. La moratoria scadrà il 16 agosto. «Dopo tale data, le loro attività saranno sospese con le relative conseguenze», ha avvertito il governatore del Sud Kivu. Sono diverse le società cinesi che si sono stabilite nel territorio di Mwenga. Tra esse, si possono citare: Oriental Resource Congo (ORC), Yellow Water, Crystal (Blue Metal), Blue Ant e Oriental Resources Congo.
Le comunità locali le accusano di operare illegalmente e di non rispettare le condizioni necessarie. «Queste imprese sono attive sul territorio, ma non hanno documenti. La maggior parte di esse sono arrivate attraverso cooperative locali non riconosciute dallo stato e non rispettano i loro doveri nei confronti della popolazione», ha denunciato Bienvenu Abel, coordinatore di una piattaforma denominata Investimenti Durevoli nel Kivu (IDAKI), composta da operatori minerari, membri del governo provinciale e della società civile del Sud Kivu.
Queste accuse sono sostenute anche dall’ex deputato nazionale Chary Wenga: «I Cinesi stanno illegalmente saccheggiando l’oro di questo territorio e la popolazione si è insorta contro questo saccheggio, perché non hanno documenti in regola e si arricchiscono a scapito della popolazione locale. In tutti i fiumi del posto ci sono draghe industriali che appartengono a società minerarie che non sono ufficialmente riconosciute».
Da parte sua, anche un’associazione giovanile locale ha denunciato: «Le compagnie cinesi che estraggono oro nel territorio di Mwenga lo fanno nella clandestinità e non hanno documenti ufficiali. Estraggono l’oro senza aver dapprima effettuato uno studio di impatto ambientale, come previsto dal codice minerario congolese in vigore. L’estrazione dell’oro viene effettuata senza alcuna forma di dialogo con la popolazione locale per stabilirne le condizioni».
Secondo varie fonti, quelli che tentano di alzare la voce per denunciare le attività illegali di queste società vengono intimiditi o arrestati. In questo contesto, il presidente della società civile di Mitobo, nel territorio di Mwenga, che è anche capo di raggruppamento, è stato arrestato dai servizi di sicurezza su ordine di una di queste società ed è stato rilasciato dopo 24 ore di detenzione. Alcune autorità locali sono implicate nell’installazione “illegale” di queste società. Nel mese di dicembre 2020, il capo del distretto dei Wamuzimu, nel territorio di Mwenga, ha incaricato il capo raggruppamento dei Banampute a Mitobo di “autorizzare la società Oriental Resources Congo, in conformità con il protocollo firmato tra quest’ultimo e Banro Corporation”.[3]
Il 20 agosto, in un’interpellanza orale al ministro delle Miniere Antoinette N’Samba Kalambayi. il deputato nazionale Didier Okito ha fatto osservare che, benché il suolo e il sottosuolo appartengano allo Stato, prima di ogni attività, le popolazioni proprietarie di terreni e campi devono essere risarcite dalla società esercente, cosa che non è stata fatta: «I Cinesi stanno devastando i campi già coltivati, senza nemmeno informarne i proprietari e chi osa reclamare viene picchiato dai militari del nostro esercito adibiti a garantire la sicurezza dei Cinesi. Questi stessi Cinesi raffinano l’oro con il mercurio e il cianuro e ne scaricano i rifiuti nei fiumi Zalya ed Elila. Il mercurio e il cianuro sono già vietati per la raffinazione dei minerali, perché sono prodotti altamente tossici e il loro uso contribuisce all’inquinamento delle acque di Mwenga».[4]
Il 20 agosto, il governatore del Sud Kivu, Théo Ngwabidje Kasi, ha annunciato la sospensione delle attività di 9 compagnie minerarie illegali nel territorio di Mwenga. Si tratta di sei società cinesi e tre cooperative congolesi che da diversi anni estraggono oro senza alcuna autorizzazione.
Secondo il decreto del governatore, si tratta di: BM Global Business sarl, Congo Blueant Mineral (CBM) sarl e il suo partner congolese COMBI, Oriental Ressources Congo sarl ORC, Yellow Water Resources, New Oriental Mineral (NCM) Sarl e il suo partner congolese Cooperativa Mungu ni Jibu, Group Cristal Service e Cooperativa Lutonde.
Il decreto del governatore precisa che «i macchinari appartenenti a queste società devono rimanere fermi nei cantieri fino alla conclusione dell’inchiesta della commissione istituita ad hoc che studierà i vari dossier caso per caso … Tutto il personale locale e straniero delle suddette società deve lasciare i siti minerari e le zone limitrofe a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto». Secondo il governatore Theo Ngwabidje, molte società straniere che operano nella provincia lavorano illegalmente. Alcune di esse si sono attive da diversi anni: «Arrivano nella nostra provincia con solo un permesso di ricerca ma una volta sistemate, iniziano le operazioni di estrazione in forma illegale, spesso senza pagare le tasse».
Secondo il governatore del Sud Kivu, è urgente riportare ordine nelle miniere semi-industriali. L’obiettivo è preservare la popolazione locale, l’ambiente, il rispetto dei diritti umani e la tracciabilità della produzione mineraria di questi siti, secondo la normativa vigente in materia.
La Coalizione della Società Civile per la Regione dei Grandi Laghi (COSOC-GL), si è espressa contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e ha raccomandato al governatore di esaminare con estrema attenzione i dossier di ogni singola società o cooperativa mineraria, in vista di un’attività mineraria che rispetti i diritti umani e promuova la stabilità del Paese e una reale crescita economica.[5]
Il 26 agosto, la popolazione del territorio di Mwenga ha deplorato la continuazione delle attività minerarie che erano state sospese dal governatore provinciale. Secondo gli abitanti di questo territorio, dall’entrata in vigore di questa decisione non è stato effettuato alcun controllo. Ansele Djungu, abitante di Mwenga, ha dichiarato: «La popolazione di Mwenga ha accolto con favore la decisione dell’autorità provinciale di sospendere le attività minerarie svolte illegalmente da società minerarie cinesi e cooperative minerarie congolesi. Ma, dopo una settimana, tutti sono ancora lì e continuano le loro attività senza essere interpellati». Egli ha quindi chiesto al governo provinciale di poter concretizzare la sua decisione in atti visibilmente efficaci: «Per questo chiediamo al governo provinciale di dare una continuità a questa sua decisione, perché la popolazione continua a soffrire a causa di questo sfruttamento illegale dei minerali da parte delle società cinesi, che devastano campi e laghetti di piscicoltura, senza tener conto della vita sociale e senza rispettare i loro doveri nei confronti della popolazione. Chiediamo pertanto al governatore provinciale di rendere effettiva questa sua decisione».[6]
[1] Cf https://www.un.org/securitycouncil/fr/sanctions/1533/panel-of-experts/expert-reports
[2] Cf https://www.theglobeandmail.com/business/article-how-blood-mineral-traders-in-rwanda-are-helping-fund-congo-rebels-and/
[3] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 18.08.’21
[4] Cf Mediacongo.net, 20.08.’21
[5] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 21.08.’21; Radio Okapi, 22.08.’21; Patient Ligodi – RFI, 22.08.’21
[6] Cf Radio Okapi, 26.08.’21