TUTTI UNITI PER LA PACE
NELL’EST DEL PAESE
INDICE
1. “TUTTI UNITI”: L’APPELLO DELLA CENCO ALLA COESIONE NAZIONALE
2. LA SECONDA PROROGA DELLA LEGGE MARZIALE
3. L’AUMENTO DEI MASSACRI DOPO L’ANNUNCIO DELL’INSTAURAZIONE DELLA LEGGE MARZIALE
4. LE VIOLENZE IN ITURI
a. Gli attacchi delle ADF contro la località di Boga, nel distretto di Wahema-Boga
b. Gli attacchi della CODECO contro la località di Fataki, nel territorio di Djugu
5. LE VIOLENZE NEL NORD KIVU
a, L’ULPC in territorio di Lubero
b. Il Fronte dei Patrioti per la Pace (FPP) di Kabido in territorio di Lubero
c. Le ADF fanno esplodere due bombe artigianali a Beni
1. “TUTTI UNITI”: L’APPELLO DELLA CENCO ALLA COESIONE NAZIONALE
Al termine della sua 58a Assemblea Plenaria Ordinaria svoltasi dal 14 al 18 giugno, la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) ha lanciato un appello alla coesione nazionale, per un Congo stabile in cui regnino la giustizia e la pace.
I vescovi si sono espressi su diversi punti relativi alla situazione sociale, politica, economica e umanitaria del Paese.
Essi hanno affermato di aver apprezzato «i primi gesti del Presidente della Repubblica, tra cui il rasserenamento del clima politico, la libertà di espressione dei media, la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno degli esiliati politici, la gratuità dell’istruzione di base e, oggi, la vicinanza ai fratelli e sorelle colpiti dall’eruzione del vulcano Nyiragongo. Questi gesti rafforzano l’unità del Congo e la coesione nazionale».
Tuttavia, essi hanno constatato che «questa unità è sempre più minacciata da antivalori, come il nepotismo, il tribalismo, il regionalismo, il clientelismo e l’esclusione degli oppositori politici. Questo stato di cose indebolisce i legami sociali, infrange il sogno comune e compromette la coesione nazionale».
In questa prospettiva, i Vescovi hanno sottolineato alcune sfide.
Sul piano politico:
«Benché approvata in Parlamento, la politicizzazione della Commissione Elettorale, che si manifesta nel predominio della nuova maggioranza al potere, non rassicura affatto tutti gli attori politici e sociali e non garantisce un processo elettorale credibile. Tutto ciò porta in sé i germi di eventuali contestazioni e di prossime crisi di legittimità che indeboliscono ulteriormente la coesione del Paese.
Dall’inizio della suddivisione territoriale del Paese in 26 Province, si è assistito a una instabilità cronica delle istituzioni provinciali dovuta, essenzialmente, alla manipolazione politica e all’avidità di alcuni. Tale comportamento divide le comunità a livello provinciale e non contribuisce né al consolidamento della democrazia, né al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione».
Sul piano economico:
«Gli sforzi compiuti dal Governo meritano di essere sottolineati, in particolare l’aumento delle riserve di cambio a livello della Banca Centrale. Ma la maggioranza della popolazione continua ad affrontare le conseguenze di una povertà estrema. Stranamente, al suo fianco, c’è ancora un gruppo di connazionali che si arricchiscono scandalosamente e senza motivo. Alcuni si chiedono se ciò non sia il risultato della corruzione e dell’appropriazione impropria di fondi pubblici in vista di interessi personali. Anche questa situazione ha un impatto negativo sulla coesione nazionale, in quanto aumenta ulteriormente il divario tra ricchi e poveri. Il popolo ha accolto con favore l’avvento di un nuovo governo che dovrebbe soddisfare le sue necessità. Ma continua a constatare che, in realtà, il budget nazionale favorisce le istituzioni politiche, a scapito del benessere della popolazione. Questa ingiustizia non fa che rafforzare le disuguaglianze sociali».
Sul piano della sicurezza:
«Abbiamo più volte denunciato l’insicurezza e la violenza che affliggono il nostro Paese, in particolare il Nord Kivu, il Sud Kivu e l’Ituri. Accogliamo con favore le disposizioni militari impartite dal Presidente della Repubblica e lo stato d’assedio che egli ha recentemente dichiarato. Tuttavia, deploriamo il fatto che alcuni dei nostri connazionali continuino ancora, per fini egoistici, a collaborare con gli aggressori e che altri si servano di essi per scopi politici».
Sul piano della giustizia e dei diritti umani:
«La giustizia è uno dei pilastri di uno Stato di diritto ma, nel nostro Paese, essa continua ad essere mal amministrata, corrosa dalla corruzione e strumentalizzata dalla politica. Per molti nostri connazionali, la magistratura è vista come uno spazio di arrangiamenti e vendette personali, di regolamenti di conti e di promozione delle ingiustizie. La corruzione sembra essere il mezzo principale per vincere una causa. Il diritto lascia il posto al clientelismo, al regionalismo, al tribalismo e al nepotismo. La coesione nazionale è così minacciata, in particolare quando la giustizia è usata per neutralizzare i concorrenti politici».
Per rafforzare l’unità e la coesione nazionale, necessarie per lo sviluppo del Paese, i Vescovi hanno formulato alcune raccomandazioni:
«Al Presidente della Repubblica:
– Promuovere iniziative che favoriscano l’unità nazionale;
– Assicurare una buona rappresentatività geografica nelle istituzioni, scoraggiando il tribalismo;
– Mettere maggiormente l’Esercito nelle condizioni che gli consentano di rispondere efficacemente alla sua missione di difesa e di salvaguardia dell’unità e dell’integrità del territorio nazionale;
– Continuare con perseveranza la lotta alla corruzione e all’impunità.
Al Parlamento:
– Non approvare leggi che promuovano la discriminazione e minaccino la coesione nazionale;
– Presentare delle leggi che detribalizzino le istituzioni;
– Non abusare delle immunità parlamentari per sfuggire alla giustizia;
– Migliorare la legge elettorale, al fine di rassicurare la popolazione sulla credibilità delle prossime elezioni previste nel 2023.
Al governo:
– Riequilibrare la spesa delle istituzioni secondo i bisogni della popolazione;
– Promuovere progetti sociali che rafforzino l’integrazione nazionale, come la costruzione di strade nazionali;
– Valutare, a livello nazionale, il processo di decentramento e le modalità più efficaci per stabilizzare le istituzioni provinciali e metterle al servizio della popolazione;
– Garantire il rispetto del ciclo elettorale, pegno di democrazia.
Al popolo congolese:
– Non lasciarsi distrarre da discorsi e azioni separatiste, perché è la coesione che unisce il Paese, anche nei momenti di difficoltà;
– Sostenere ogni buona iniziativa del Governo, al di là delle tendenze politiche personali;
– Combattere insieme contro la pandemia di Coronavirus, rispettando i gesti di distanziamento e vaccinandosi, per proteggere noi stessi e gli altri;
– Rimanere vigili per lo svolgimento delle elezioni nel 2023.
Alla Comunità Internazionale:
– Appoggiare progetti che promuovano la coesione nazionale;
– Valutare il ruolo dei paesi limitrofi della RD Congo nel persistere delle violenze e dei massacri;
– Aiutare la RD Congo a combattere contro tutti i movimenti fondamentalisti che si stanno diffondendo nel paese».[1]
2. LA SECONDA PROROGA DELLA LEGGE MARZIALE
Il 18 giugno, l’Assemblea nazionale ha approvato il progetto di legge che autorizza la proroga dello stato d’assedio (legge marziale) nelle province dell’Ituri e del Nord Kivu. Al termine di una votazione per appello nominale, su 373 deputati nazionali presenti, 373 hanno votato “sì”. Tale progetto di legge sarà trasmesso al Senato per una seconda lettura, prima della sua promulgazione da parte del Capo dello Stato al più tardi lunedì 21 giugno. Durante la seduta plenaria, i deputati nazionali hanno fatto notare che il Governo deve presentare, il più presto possibile, il progetto di legge sull’applicazione dello stato d’assedio (legge marziale).[2]
Il 21 giugno, il Senato ha approvato, il disegno di legge sulla proroga, per un periodo di 15 giorni, della legge marziale nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri. Su un totale di 108 senatori, ne erano presenti 85. Tutti hanno votato a favore. Il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha promulgato la legge sulla proroga, per 15 giorni, della legge marziale nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri. Per snellire la procedura di proroga della legge marziale, il presidente del Senato, Modeste Bahati Lukwebo, ha auspicato che anche l’Assemblea nazionale approvi la legge delega del governo. Nel frattempo, il Governo ha approvato e trasmesso all’Assemblea nazionale il progetto di legge sulle modalità di applicazione della legge marziale.[3]
Il 25 giugno, il portavoce militare del settore operativo Sokola 1 Grand-Nord, il tenente Antony Mualushayi, ha rivelato che, a Beni, nella provincia del Nord Kivu, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) hanno arrestato una banda di ladri di cacao che si travestivano da miliziani ADF: «Questi uomini sono stati arrestati nel settore di Ruwenzori, precisamente ad Halungupa. Sono accusati di essere implicati nel furto di prodotti agricoli, tra cui il cacao, e di agire sotto l’etichetta delle ADF». Inoltre, egli ha accusato questi banditi di aver commesso anche altri crimini, tra cui l’assassinio di contadini derubati dei prodotti delle loro terre.[4]
Il 29 giugno, in una conferenza stampa tenutasi a Goma, il governatore militare del Nord Kivu, il tenente generale Constant Ndima, ha dichiarato che lo sradicamento delle ADF nella zona di Beni nel Nord Kivu è sempre più complicata, a causa di una certa complicità, sia locale che nazionale, dei vari Congolesi che sono stati reclutati in questo gruppo armato straniero: «circa il 60% dei membri delle ADF sono Congolesi. E le nostre madri, le nostre figlie, le nostre mogli, i nostri papà, i nostri figli ne sono le vittime, Tutte queste persone a noi care vengono uccise e violentate ogni giorno da alcuni di noi che si alleano con degli stranieri contro il nostro territorio e contro la nostra popolazione». Secondo il governatore Constant Ndima, dall’inizio dello stato d’assedio, almeno 49 miliziani ADF sono stati uccisi, altri 10 catturati, 89 collaboratori delle ADF arrestati e 34 armi recuperate. Egli ha aggiunto che vari villaggi come Mapobu, Halungupa, Mamove, Lahe, Mandina, Kididiwe, Kasinga, Totolito, Semuliki, Mbau, Kamango, Mamudyoma e Nobili sono già passati sotto il controllo dell’esercito nazionale.
Durante la stessa conferenza stampa, il portavoce dell’esercito, il generale Léon Richard Kasonga, ha affermato che, dall’inizio delle operazioni militari nell’ambito dello stato d’assedio nella provincia di Ituri, l’esercito ha neutralizzato (ucciso) almeno 100 miliziani, ne ha catturati 18, ne ha arrestato 15 e ha liberato 23 persone prese in ostaggio.[5]
3. L’AUMENTO DEI MASSACRI DOPO L’ANNUNCIO DELL’INSTAURAZIONE DELLA LEGGE MARZIALE
Rapporto mensile del Kivu Security Tracker per il mese di maggio 2021.
Dopo che, il 30 aprile, il Presidente della Repubblica abbia annunciato l’instaurazione della legge marziale nelle province di Ituri e Nord Kivu, in maggio il numero di civili uccisi è notevolmente aumentato. La maggior parte dell’aumento è avvenuto in tre territori limitrofi: Beni (Nord Kivu), Irumu e Mambasa (Ituri), dove sono stati uccisi 181 civili. I massacri di Boga e Tchabi, con 55 persone uccise nella notte tra il 30 e il 31 maggio, hanno avuto un ruolo significativo in questo aumento delle vittime. È possibile che alcuni di questi massacri siano stati dovuti a una reazione delle Forze Democratiche Alleate (ADF) all’annuncio dell’instaurazione della legge marziale. Infatti, anche in passato esse avevano reagito all’organizzazione di operazioni militari contro di loro con rappresaglie contro la popolazione civile.
Nello stesso mese di maggio, sono aumentate anche le vittime civili da parte dell’esercito: 36 (in 19 incidenti), contro le 17 (in 12 incidenti) di aprile. Ciò nonostante, in questo primo mese di legge marziale, l’esercito ha potuto istituire le nuove autorità militari a capo delle province, dei territori e delle città del Nord Kivu e dell’Ituri e effettuare nuove nomine ai vertici di diverse unità militari.
Djugu (Ituri): una relativa calma lungo la strada nazionale RN27.
Dopo un mese di aprile particolarmente tragico per la popolazione civile (66 morti), in maggio il numero delle vittime è diminuito a 13. Questa relativa calma è stata notata soprattutto lungo la strada nazionale RN27. Tuttavia, non è certo che questa calma possa essere duratura. Secondo alcune segnalazioni, dopo l’annuncio dell’instaurazione della legge marziale, alcuni combattenti delle varie fazioni della Codeco avrebbero nascosto le proprie armi, per utilizzarle in seguito. Sebbene l’esercito abbia ucciso una decina di miliziani della Codeco-URDPC, la maggior parte dei membri di questo gruppo armato ha abbandonato le zone operative dell’esercito e si è spostata verso i distretti di Bahema Nord e di Bahema Badjere.
Nel territorio di Djugu, in maggio l’esercito ha ucciso quattro persone civili (contro una in aprile), ciò che potrebbe nuocere a un buon rapporto con gli abitanti, necessario per il successo delle operazioni militari in corso.
Mambasa (Ituri), Irumu (Ituri) e Beni (Nord Kivu): l’aumento dei massacri.
In maggio, in questi tre territori il KST ha registrato la morte di 181 persone civili. Più del doppio di aprile (89 morti). Vi hanno contribuito molto i massacri di Boga e di Tchabi, due villaggi del territorio di Irumu (Ituri), a una decina di chilometri di distanza l’uno dall’altro (55 morti solo nella notte tra il 30 e il 31 maggio). Le ADF hanno probabilmente partecipato a questo massacro. Ma la comunità Nyali è stata particolarmente colpita, con la morte di diverse decine di sfollati e l’attacco alla residenza del capo del distretto di Banyali-Tchabi. È quindi probabile che i conflitti tra membri di diverse comunità del territorio di Irumu vi abbiano giocato un ruolo importante. Infatti, in questa zona, in settembre 2020 erano già stati perpetrati dei massacri su base comunitaria, soprattutto tra membri della comunità Nyali e membri della comunità Hutu, nota sotto la denominazione di “Banyabwisha” (letteralmente, originario del distretto di Bwisha, nel territorio di Rutshuru).
I massacri sono aumentati anche nel territorio di Beni, dove si trovano le storiche roccaforti delle ADF: in maggio vi sono state uccise 74 persone civili, contro le 47 di aprile. Inoltre, il mese di maggio è stato segnato da due omicidi che hanno preso di mira la comunità musulmana. Il 2 maggio, lo sceicco Ali Amin, imam della moschea di Beni, è stato ucciso da persone non identificate all’interno della moschea, durante la preghiera della sera. Egli era noto per la sua denuncia dei massacri di Beni. Il 19 maggio, un altro imam, lo sceicco Moussa Djamali, è stato ucciso in circostanze simili. Egli era responsabile della moschea del villaggio di Mavivi, in territorio di Beni e presidente della società civile dello stesso villaggio.
Tuttavia, il gruppo ADF non è l’unico elemento responsabile dell’aumento del numero di civili uccisi in questi tre territori. È aumentato anche il numero delle vittime dell’esercito, che è passato da 7 a 25. La maggior parte di questo aumento è relazionato alle operazioni militari intraprese il 2 maggio contro il gruppo Chini ya Kilima-FPIC nella zona di Marabo, nel territorio di Irumu. In questa zona, almeno quindici persone civili sono state uccise dalle forze dell’ordine tra il 2 e il 15 maggio, durante operazioni di rastrellamento.[6]
4. LE VIOLENZE IN ITURI
a. Gli attacchi delle ADF contro la località di Boga, nel distretto di Wahema-Boga
Nelle ultime settimane, nell’Ituri, Boga è stato l’epicentro di attacchi armati attribuiti, da fonti ufficiali, alle Forze Democratiche Alleate (ADF). Situata a circa 120 km a sud-est di Bunia (Ituri), questa cittadina del distretto Wahema-Boga ha già registrato tre attacchi, di cui gli ultimi due, il 7 e l’8 giugno, hanno causato la morte di oltre 30 persone. Queste si aggiungono alle altre cinquanta brutalmente uccise nella notte tra il 30 e il 31 maggio, nel corso di un doppio attacco registrato contemporaneamente a Boga, più precisamente contro un campo profughi di Nyali, e a Tchabi (12 km a sud di Boga). Oltre i morti, fonti locali evocano enormi perdite materiali, in particolare l’incendio di case e di parte dell’ospedale di Boga, costruito da MSF (Medici senza frontiere, ndr) e gestito dalla Chiesa anglicana. Diverse altre case sono state saccheggiate e derubate.
Boga è la capitale del distretto Bahema-Boga, entità che si estende fino al fiume Semliki, al confine con l’Uganda. Insieme a Banyali-Tchabi, Bahema-Boga sono i due distretti di Irumu situati al confine con il Nord Kivu, ai piedi della catena dei monti Rwenzori, dove sono attivi i miliziani delle ADF. A Boga, molti non escludono quindi l’implicazione delle ADF in questi ultimi attacchi.
Ma vari analisti ritengono che le ADF non avrebbero agito solo per i loro interessi. Essi sospettano la complicità dei Banyabwisha, quegli immigrati ruandofoni arrivati sul posto quasi dieci anni fa e che stanno avendo dei problemi con le comunità autoctone, soprattutto con i Nyali, per il controllo delle terre. «La comunità locale accusa gli immigrati Banyabwisha del Nord Kivu di essere complici delle ADF», ha dichiarato Jérémie Muzungu, un economista di Boga, che ora lavora nel settore minerario dell’Ituri. Anche Pascal Takaibone, un avvocato che lavora per un’organizzazione per la difesa dei diritti umani nell’Ituri, ha affermato: «Ci eravamo resi conto che tra la popolazione c’era una certa tensione. Il rischio c’era, perché in tutti gli incontri comunitari si percepiva la presenza dei Banyabwisha come un problema persistente. Essi sono presenti ovunque, nei mercati e nei servizi di sicurezza. È ciò che inquieta gli autoctoni. Il principale problema riguarderebbe il controllo sul territorio».
Secondo quanto riportato dalle organizzazioni per i diritti umani, l’identità delle vittime di Boga e dintorni è lungi dall’esonerare gli immigrati comunemente indicati come “Banyabwisha”.
A questo proposito, Pascal Takaibone ha affermato: «Per quanto riguarda il doppio attacco a Tchabi e a Boga, si è scoperto che nel distretto di Wanyali-Tchabi, le vittime sono dei Nyali. Anche nel distretto di Wahema-Boga, sono stati dei Nyali (rifugiati in un campo di sfollati) che sono stati uccisi. In quei due attacchi, sono stati uccisi 40 Nyali e una decina di Hema. Se ne deduce che siano i Nyali ad essere stati presi di mira e le comunità locali sospettano i Banyabwisha».
Arrivati sul posto a partire soprattutto dal 2013, questi immigrati provenienti, secondo loro, dalla regione del Masisi (Nord Kivu), si sono presto integrati nel tessuto economico di Tchabi e Boga, una regione in cui gli abitanti vivono di agricoltura, allevamento, piccolo commercio e vendita di legname. Secondo Pascal Takaibone, «i Banyabwisha sono arrivati a Tchabi e a Boga intorno al 2013. Hanno creato i loro centri sanitari, le loro scuole e i loro luoghi di culto. Sono ben organizzati. Lavorano molto e sono loro a rifornire di cibo i principali mercati locali».
Oggi, la loro influenza sull’economia locale e il loro controllo su vaste distese di terre cominciano a preoccupare la gente del posto. «Ci sono tre distretti, il Bahema-Mitego, il Bahema-Boga e il Banyali-Tchabi. Oggi, gli autoctoni di tutti e tre i distretti messi insieme sono circa 38.000 persone, mentre i Banyabwisha sono già quasi 70.000, quasi il doppio della popolazione autoctona (Hema e Nyali). È ciò che conferisce ai Banyabwisha un grande potere, almeno dal punto di vista numerico», ha spiegato Pascal Takaibone. Secondo lui, un indicatore del deterioramento delle relazioni tra la popolazione autoctona e gli immigrati banyabwisha è stato l’attacco, perpetrato quasi sei mesi fa, da un gruppo di autoctoni a una concessione Banyabwisha di Tchabi.
La Società civile locale chiede alle autorità di prendere in considerazione la questione, in modo che la regione di Boga-Tchabi, rinomata come uno dei granai dell’Ituri per le sue coltivazioni di ortaggi, platani, fagioli, arachidi, manioca, riso, caffè, cacao e allevamento di bestiame, ritrovi la sua tranquillità.[7]
Il 12 giugno, a Boga, nel distretto di Bahema-Boga, territorio di Irumu e provincia di Ituri, 5 uomini Banyabwisha, in possesso di 5 armi AK-47, si sono arresi all’esercito nazionale. Sono stati condotti al quartier generale del settore operativo dell’esercito nella città di Bunia.[8]
Il 15 giugno, sette persone sono state uccise, altre scomparse e diverse case incendiate, in un nuovo attacco delle ADF a Boga, distretto di Bahema-Boga, territorio di Irumu e provincia di Ituri.[9]
Il 19 giugno, durante la notte, più di 30 persone sono state sequestrate dalle ADF, nei pressi di Boga, località del distretto di Bahema-Boga, territorio di Irumu e provincia di Ituri.
«Dei miliziani ADF sono arrivati nel raggruppamento di Rubingo. Hanno preso in ostaggio più di 30 persone che abitavano in tre villaggi diversi, tra cui Nyakabale. Parlavano in diverse lingue, tra cui Kiganda e Kinywaranda. Hanno ferito altre due persone che sono state ricoverate in condizioni critiche», ha affermato Gaston Kahwa, presidente della società civile di Boga. Informazioni confermate da Kato Kaboya 2, capo del distretto: «Le ADF hanno preso di mira gli abitanti di Boga che si erano trasferiti a Nyakabale. Ultimamente le ADF si servono di alcune persone Banyabwisha». Il portavoce per le operazioni militari in Ituri, il tenente Jules Ngongo, ha affermato che le Forze Armate della RD Congo (FARDC) stanno perseguendo le ADF nella zona di Nyakabale, 8 chilometri a nord-est di Boga e che, finora, ne hanno ucciso due e catturato un terzo.[10]
Il 20 giugno, il capo del distretto di Bahema-Boga, Kato Kaboya 2, ha affermato che, nelle vicinanze di Boga, sono stati ritrovati i cadaveri di almeno 23 persone uccise da più di una settimana. Si tratterrebbe di persone prese in ostaggio dalle ADF alcune settimane prima. Egli ha affermato di aver «informato le autorità competenti, affinché i corpi delle vittime vengano seppelliti, ma finora non è stato fatto nulla, perché la popolazione ha paura ad andarci, a causa della presenza delle ADF in quella zona», Egli ha aggiunto che altre persone sequestrate a Mugwanga e a Bulirya il mese scorso non sono ancora state ritrovate.[11]
Il 21 giugno, il capo del distretto di Bahema-Boga, Kato Kaboya 2, ha annunciato che dodici delle 30 persone sequestrate dalle ADF durante la notte del 19 giugno sono state rilasciate la sera del 20 giugno, a Bahema – Mitigo, in seguito alla pressione militare esercitata dalle FARDC sulle ADF.[12]
Il 25 giugno, nel distretto di Bahema-Mitego, in territorio di Irumu (Ituri), uomini armati identificati come membri delle ADF hanno attaccato e incendiato un veicolo, uccidendo quattro persone e ferendone almeno altre cinque. Tra le vittime ci sono tre uomini e una donna. Diverse altre persone risultano disperse. Si tratta di sfollati che erano partiti da Bukiringi, una località del distretto di Walendu-Bindi e che e che erano diretti verso Boga, per rifornirsi di viveri.
Va notato che le ADF hanno recentemente intensificato gli attacchi contro la popolazione civile in varie entità territoriali, tra cui i distretti di Bahema-Mitego, Bahema-Boga, Banyali-Tchabi e Walesse-Vonkutu nel territorio di Irumu.[13]
Il 28 giugno, almeno 14 civili e 2 militari sono rimasti uccisi durante un attacco delle ADF nella località di Manzobe, a 30 chilometri dal centro di Komanda, nel distretto di Walese-Vonkutu, a sud del territorio di Irumu (Ituri ). Gli aggressori hanno incendiato anche a 17 case. Secondo fonti della sicurezza, il loro obiettivo sarebbe stato quello di procurarsi viveri e medicinali. In seguito all’attacco, la popolazione di Manzobe è fuggita verso altre località. Il territorio di Irumu è diventato il nuovo epicentro delle attività delle ADF.[14]
Il 29 giugno, il portavoce dell’esercito in Ituri, il tenente Jules Ngongo, ha dichiarato che, dopo intensi combattimenti, l’esercito congolese ha allontanato dei miliziani ADF dalle seguenti quattro località: Manzobe, Idohu, Machongani e Ofai, a sud del territorio di Irumu (Ituri). Ha anche indicato che, durante gli scontri, sono stati uccisi cinque miliziani ADF e due militari delle FARDC.[15]
b. Gli attacchi della CODECO contro la località di Fataki, nel territorio di Djugu
Il 12 giugno, in mattinata, un gruppo di miliziani membri della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) ha attaccato una postazione dell’esercito nazionale, situata in località Ikpa-Bura, a meno di 3 chilometri dal centro commerciale di Fataki, località situata a 105 chilometri a nord di Bunia, Territorio di Djugu (Ituri). Fonti della sicurezza riferiscono che l’obiettivo della CODECO era quello di liberare alcuni suoi membri che sarebbero stati arrestati dai militari. Durante gli scontri, l’esercito avrebbe ucciso 17 miliziani e catturati altri 4. Hanno perso la vita anche tre militari dell’esercito.[16]
Il 12 giugno, nel pomeriggio, tre militari e due civili sono stati uccisi in un agguato teso dai miliziani della CODECO nel territorio di Djugu. Le 5 vittime sono un colonnello, le sue due guardie del corpo, sua moglie e un suo figlio. L’imboscata è avvenuta tra i villaggi di Lita e Saliboko, a un chilometro dal villaggio di Kparnganza, nel raggruppamento di Loga (settore Walendu Tatsi).[17]
Il 16 giugno, al mattino, un gruppo di miliziani della CODECO ha attaccato il centro di Fataki per la quinta volta. È dal 12 giugno che le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) si stanno scontrando con i miliziani della CODECO, per impedire loro di impossessarsi del centro commerciale di Fataki, nel territorio di Djugu. Secondo un rapporto di KST, durante i vari scontri, sono stati uccisi almeno 42 miliziani e 2 militari. Secondo la stessa fonte, quattro militari sono stati feriti ed evacuati dalla Missione dell’Onu (Monusco).[18]
Il 26 giugno, verso le 2 del mattino, sette persone sono state uccise in un attacco della CODECO al villaggio di Rule, una decina di chilometri a est del centro commerciale di Fataki, nel territorio di Djugu (Ituri). È il periodo della raccolta dei fagioli, ma molti agricoltori non possono recarsi nei loro campi, per paura di essere attaccati e uccisi dai miliziani.[19]
5. LE VIOLENZE NEL NORD KIVU
a. Le angherie dell’ULPC sulla popolazione del territorio di Lubero
Il 4 giugno, la società civile del settore Bapere, nel territorio di Lubero (Nord Kivu), ha accusato i Mayi-Mayi dell’Unione dei Patrioti per la Liberazione del Congo (UPLC) di vessare la popolazione locale. Secondo la società civile, questi miliziani sottopongono la popolazione a lavori obbligatori, come la costruzione di capanne nei loro campi base e impongono ingenti multe a chi non si adegua. Il presidente della società civile, Mumbere Kaitsupa Gerlace, ha affermato che, «finito il lavoro, i miliziani UPLC consegnano a quelli che vi hanno partecipato un cartoncino comunemente chiamato gettone di presenza. Verso sera o il giorno seguente effettuano un controllo sugli abitanti del villaggio e se qualcuno non ha quel gettone di presenza è costretto a pagare 50.000 franchi congolesi (25 dollari). Alcuni vengono addirittura frustati».[20]
b. Il Fronte dei Patrioti per la Pace (FPP) di Kabido – territorio di Lubero
Il 22 giugno, la società civile ha accusato i miliziani del Fronte dei Patrioti per la Pace (FPP) di Kasereka Kabido di angariare la popolazione di Mbwavinywa, località del distretto di Bamate, nel territorio di Lubero (Nord Kivu). La società civile li ha accusati di aver sparato contro due abitanti del posto, per non aver accettato di effettuare un lavoro che gli avevano imposto e di aver torturato altre dodici persone, tra cui quattro donne, per non aver potuto presentare il gettone di presenza ai lavori cui le avevano costrette. La settimana anteriore, questi combattenti avevano ucciso un agricoltore per non aver presentato la ricevuta di pagamento della tassa mensile di 1.000 franchi congolesi (US $ 0,5), che essi hanno introdotto illegalmente.[21]
Il 24 giugno, venticinque persone, tra cui due donne, sono state sequestrate a Luhanga, località situata nel raggruppamento Itala del distretto di Batangi, territorio di Lubero, nel Nord Kivu. Questi sequestri sono stati attribuiti ai miliziani Mayi-Mayi del Fronte dei Patrioti per la Pace / Esercito Popolare (FPP/AP) di Kasereka Kabido, attivo nel sud del territorio di Lubero.
Secondo alcuni membri della società civile locale, che hanno chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza, diverse altre persone sono state torturate, per non aver svolto il lavoro a cui questi miliziani le avevano sottoposte. Queste persone avrebbero dovuto trasportare delle assi dalla foresta alla città. Queste assi appartenevano ad alcuni operatori economici del posto, che avrebbero pagato questi miliziani per assicurarne il trasporto verso la città. La società civile ha condannato questi abusi, diventati ormai molto frequenti, e ha denunciato la palese complicità tra alcune persone influenti della zona e i combattenti Mayi-Mayi, complicità che provocano ingenti sofferenze tra la popolazione.
Di fronte a tutti questi abusi, l’amministratore militare di Lubero, il colonnello Ndonda Mandongo Donat, ha annunciato che, il 26 giugno, una delegazione mista, composta da ufficiali dell’esercito, rappresentanti della MONUSCO, responsabili del programma di disarmo e reinserimento sociale e membri della società civile, incontrerà il capo della milizia FPP/AP, Kasereka Kabido, per discutere i dettagli della sua resa. Dopo l’instaurazione dello stato d’assedio, Kasereka Kabido aveva espresso il desiderio di arrendersi alle Forze Armate della RDCongo (FARDC), ma aveva condizionato la sua resa al miglioramento delle condizioni di vita nei centri di accoglienza dei miliziani smobilitati. Negli ultimi due anni, nel territorio di Lubero, centinaia di miliziani si erano volontariamente arresi, ma hanno ripreso le armi a causa delle cattive condizioni di vita nei centri di accoglienza. Il colonnello Ndonda Mandongo Donat ha sottolineato che non ci saranno trattative con la milizia. Secondo lui, si tratta di ottenere la loro resa senza condizioni, prima che l’esercito intraprenda nuove operazioni militari contro di loro.[22]
Il 27 giugno, l’FFP/Kabido ha rilasciato le 25 persone prese in ostaggio il 24 giugno. Secondo la società civile locale, quindici di queste persone sono state rilasciate dietro pagamento di un riscatto e di 25 a 100 dollari per persona. Gli altri dieci sono stati rilasciati senza alcun pagamento di riscatto poche ore prima dell’arrivo della delegazione guidata dall’Amministratore militare del Territorio al quartier generale Mayi-Mayi di Mbwavinywa.[23]
Il 27 giugno, a Mbwavinywa, durante un incontro con una delegazione guidata dall’amministratore di Lubero, il colonnello Ndonda Mandongo Donat, il gruppo armato FPP / Kabido ha ribadito la volontà di deporre le armi e ha annunciato la fine delle violenze contro le popolazioni civili del sud del territorio del Lubero. Composta di oltre cinquanta persone, la delegazione era composta da rappresentanti dell’esercito, della polizia, della società civile, dei capi tradizionali locali e di ONG per la difesa dei diritti umani. Dopo aver affermato che il suo gruppo è composto di circa 870 membri armati di fucili e armi bianche, il capo dell’FPP, Kasereka Kabido, ha confermato la sua volontà di deporre le armi. La società civile del territorio di Lubero ha accolto con favore questo impegno preso dalla milizia FPP di Kasereka Kabido e ha chiesto al governo di accelerare il processo di Disarmo e Reinserimento Comunitario (DDRC). A proposito degli effettivi reali del FPP / AP, un ufficiale militare ha affermato che potrebbero essere circa 680.[24]
c. Le ADF fanno esplodere due bombe artigianali a Beni
Il 27 giugno, una bomba artigianale è esplosa nella chiesa cattolica dell’Emmanuele, nel comune di Bangulu, città di Beni (Nord Kivu). L’esplosione è avvenuta verso le 6 del mattino, quando in chiesa non c’era quasi nessuno, perché la messa non era ancora iniziata. La bomba artigianale era stata collocata nell’area riservata alla corale. L’esplosione dell’ordigno ha ferito due donne che si erano già recate in chiesa per preparare le funzioni religiose della domenica,
Un altro ordigno è esploso la sera dello stesso giorno nel quartiere Mabakanga (comune di Ruwenzori), sempre nella città di Beni, più precisamente all’altezza della rotatoria Malu-Malu, nei pressi di un bar e a un centinaio di metri da una moschea. L’uomo che ha attivato il dispositivo è morto al momento dell’esplosione. Secondo il tenente Anthony Mualushayi, portavoce militare delle operazioni Sokola 1, si tratta di Ngudi Abdallah, cittadino ugandese e membro attivo delle ADF. Era già stato identificato dai servizi di sicurezza come responsabile delle operazioni di reclutamento e di addestramento di nuove reclute del gruppo.[25]
Il 29 giugno, il gruppo jihadista dello Stato Islamico (IS) ha rivendicato i due attentati commessi il 27 giugno a Beni (Nord Kivu) e attribuiti a membri delle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato affiliato, secondo gli Stati Uniti, all’Isis. Secondo un comunicato pubblicato da Site, un’organizzazione americana specializzata in propaganda jihadista, «l’Isis ha rivendicato il suo primo attentato suicida commesso nella RD Congo contro dei cristiani, in un bar di Beni e ha accolto con favore la notizia dell’’esplosione di una bomba in una chiesa della stessa città». Secondo un comunicato dell’Iscap (Stato islamico della provincia dell’Africa centrale), «Abu Khadijah (…) è riuscito ad attivare la sua cintura esplosiva in un bar di Mabakanga, nella città di Beni». Dal 2013, Beni e i suoi dintorni sono il bersaglio delle ADF, responsabili di una serie di massacri che hanno provocato almeno 6.000 morti, secondo i dati in possesso dell’episcopato congolese.[26]
[1] Cf http://www.cenco.org/message-de-la-58eme-assemblee-pleniere-de-la-cenco-appel-a-la-cohesion-nationale-soyons-unis-cf-1co-1-10/
[2] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 18.06.’21
[3] Cf Radio Okapi, 21.06.’21; Clément Muamba – Actualité.cd, 21.06.’21
[4] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 25.06.’21
[5] Cf Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 30.06.’21
[6] Cf https://kivusecurity.nyc3.digitaloceanspaces.com/reports/41/rapport-mensuel-n43-mai-2021.pdf
[7] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 11.06.’21
[8] Cf Séraphin Banangana – 7sur7.cd, 13.06.’21
[9] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 15.06.’21
[10] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 20.06.’21; Freddy Upar – Actualité.cd, 21.06.’21
[11] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 20.06.’21
[12] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 21.06.’21
[13] Cf Gloire Mumbesa – Politico.cd, 25,06.’21
[14] Cf Freddy Upar – Actualité.cd, 28.06.’21
[15] Cf Radio Okapi, 29.06.’21
[16] Cf Radio Okapi, 12.06.’21; Azarias Mokonzi – Politico.cd, 12.06.’21
[17] Cf Freddy Upar – Actualité.cd, 12.06.’21
[18] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 16.06.’21
[19] Cf Freddy Upar – Actualité.cd, 26.06.’21
[20] Cf Radio Okapi, 04.06.’21
[21] Cf Radio Okapi, 24.06.’21
[22] Cf Radio Okapi, 25.06.’21
[23] Cf Radio Okapi, 28.06.’21
[24] Cf Radio Okapi, 28.06.’21
[25] Cf Radio Okapi, 27.06.’21 ; Joël Kaseso – 7sur7.cd, 28.06.’21; Actualité.cd, 28.06.’21
[26] Cf AFP – Actualité.cd, 30.06.’21