10 ANNI DOPO IL RAPPORTO MAPPING DELL’ONU SUI CRIMINI COMMESSI NELLA RDCONGO DAL 1993 AL 2003.
INDICE
1. LE VIE DELLA PACE: VERITÀ, GIUSTIZIA E RIPARAZIONE
2. DUE URGENZE: UN TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER LA RDCONGO E CAMERE SPECIALIZZATE MISTE ALL’INTERNO DEL SISTEMA GIUDIZIARIO CONGOLESE
1. LE VIE DELLA PACE: VERITÀ, GIUSTIZIA E RIPARAZIONE
Il 1° ottobre 2010, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani pubblicava il suo Rapporto Mapping sui crimini più gravi commessi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) tra il 1993 e il 2003. Questa inchiesta senza precedenti doveva porre fine a oltre un decennio di impunità. Ma da allora, nessuno di questi crimini è stato oggetto di procedure giudiziarie e le raccomandazioni del rapporto sono rimaste del tutto disattese.
La scoperta, alla fine del 2005 e da parte della Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO), di tre fosse comuni nel Nord Kivu, aveva contribuito a prendere coscienza del fatto che le gravi violazioni dei diritti umani commesse nel passato erano in gran parte rimaste poco indagate e impunite. In seguito a questa scoperta e per quasi un anno, più di venti investigatori indipendenti hanno identificato, in ordine cronologico e per provincia, 617 “incidenti”, definiti come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e possibili crimini di genocidio commessi tra il 1993 e il 2003. Questo periodo copre le due guerre del Congo in cui erano implicati ben nove eserciti stranieri e da cui proviene ancora oggi la maggior parte della classe politica congolese.
Il rapporto Mapping è una raccolta di informazioni che già esistevano ma che erano sparse qua e là. Vengono consultati più di 1.500 documenti relativi a questi crimini, il che dimostra che questi ultimi erano tutt’altro che sconosciuti. Tra questi documenti, c’era il rapporto dell’equipe investigativa di Robert Gersony sui massacri degli Hutu ruandesi, purtroppo “dimenticato” in un cassetto degli uffici dell’ONU. In meno di un anno, gli investigatori delle Nazioni Unite sono riusciti a intervistare più di 1.280 testimoni delle violenze commesse. «Non avevamo la pretesa di svolgere un’indagine giudiziaria, ma volevamo semplicemente fornire alla giustizia congolese e internazionale tutti gli strumenti necessari per identificare gli autori di questi crimini … Al rapporto avevamo aggiunto delle sentenze precedenti e dei testi legislativi che avrebbero potuto essere applicati», ricorda un membro dell’equipe.
Una bozza del rapporto era già arrivata agli organi di stampa in agosto 2010. Tra i paesi implicati, il Ruanda è stato il più virulento nella sua reazione, minacciando di ritirare i suoi 3.500 caschi blu dal Sudan, «se l’ONU pubblicasse il suo oltraggioso e dannoso rapporto».
Se Kigali si è irritato contro la pubblicazione del rapporto, è perché i suoi autori hanno apertamente posto la questione della “esistenza concomitante” ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità recensiti nella RDC “di alcuni atti che potrebbero essere qualificati come atti di genocidio”: «Gli attacchi apparentemente sistematici e diffusi descritti in questo rapporto», precisano, «hanno preso di mira un gran numero di rifugiati hutu ruandesi e membri della popolazione civile hutu (congolese) e ne hanno provocato la morte». Tra il centinaio di massacri enumerati per il periodo 1996 – 1997, gli investigatori hanno notato «diversi evidenti elementi che, se accertati in un tribunale competente, potrebbero essere qualificati come crimini di genocidio».
Dopo il genocidio dei Tutsi nel 1994, due milioni di Hutu trovarono rifugio in Congo, compresi dei membri delle ex forze armate ruandesi e delle milizie Interahamwe, accusati di avervi partecipato. «È stato un vero errore da parte dell’UNHCR quello di aver installato i campi dei rifugiati così vicino alla frontiera ruandese e di non averne evitato la militarizzazione», ha dichiarato uno dei membri dell’equipe di redazione del progetto Mapping, aggiungendo tuttavia: «Kigali ha lungamente evocato problemi di insicurezza e ha assicurato di aver preso di mira dei nuclei armati. Ma tale versione non ha affatto retto. A Tingi Tingi, ad esempio, tutti gli uomini erano fuggiti, lasciando indietro i feriti, gli anziani, le donne e i bambini, che poi sono stati tutti massacrati dalle truppe dell’esercito ruandese e dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), loro alleate». Egli ricorda di aver cercato di tracciare, “su vecchie mappe”, il percorso dal Kivu fino a Kinshasa, passando per Kisangani e Mbandaka: si tratta di migliaia di chilometri. Egli afferma: «Lungo tutto il tragitto, ci sono stati molti massacri, grandi e piccoli. Si trattava di una vera e propria caccia all’uomo. Tutti gli Hutu che non erano tornati in Ruanda nel 1996 erano considerati nemici da abbattere e uccidere».
Dopo la pubblicazione del rapporto, il 1° ottobre 2010, il governo ruandese ha continuato a contestare le conclusioni del rapporto mapping e ad accusare vittime e testimoni di essere dei genocidari o dei negazionisti. Kigali denunciava sia una manipolazione del rapporto da parte di alcuni attori decisi a riscrivere la storia ruandese di quegli anni, sia l’omissione del contesto di insicurezza, quello della militarizzazione dei campi dei rifugiati hutu installati sul territorio congolese, ma molto vicino al confine con il Ruanda.
Per il Presidente ruandese, il Rapporto Mapping non era che una strategia per nascondere l’inazione, la passività e la responsabilità degli attori non africani rispetto al genocidio dei Tutsi accaduto in Ruanda nel 1994.
Dal 2018, il dottor Denis Mukwege, ginecologo congolese che da più di quindici anni “ripara” le donne violentate nella sua provincia natale del Sud Kivu, ha usato la sua notorietà di vincitore del Premio Nobel per la pace, per chiedere giustizia sui crimini riportati nel Rapporto Mapping. Ha insistito sull’idea di istituire un tribunale penale internazionale per il Congo e, all’inizio di settembre, ha ottenuto dal Parlamento europeo una mozione di sostegno a questa sua proposta.
Secondo Denis Mukwege, anche se per dieci anni le raccomandazioni del Rapporto Mapping non sono mai state applicate; anche se non c’è stato alcun sforzo per ottenere giustizia e riconciliazione, tuttavia la data del decimo anniversario della sua pubblicazione rappresenta un’occasione storica da non perdere. La Repubblica Democratica del Congo è oggi guidata da un Capo di Stato che «ha le mani pulite in rapporto a tutte queste gravi violazioni dei diritti umani» e che «ha chiesto al governo di impegnarsi per l’istituzione di un sistema di giustizia di transizione». Purtroppo, i due ultimi decreti che l’attuale governo sta ancora studiando, prima di inviarli in parlamento per discussione e approvazione, non prevedono più una componente giudiziaria, nonostante che un anno fa il Presidente Felix Tshisekedi avesse avanzato l’idea di creare un “tribunale speciale per la RD Congo”. Nel 2014, il governo di allora aveva presentato un disegno di legge più ambizioso che prevedeva la creazione di camere specializzate miste, composte da magistrati congolesi e internazioni e inserite nel sistema giudiziario nazionale, come proposto da una delle raccomandazioni del rapporto Mapping. Purtroppo, il testo era stato bocciato a livello parlamentare.[1]
Dieci anni fa, le Nazioni Unite rendevano pubblico il rapporto sul progetto Mapping che perseguiva tre obiettivi definiti l’8 maggio 2007 dal Segretario Generale, in occasione della sua approvazione:
– fare un inventario delle più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse sul territorio della RD Congo tra marzo 1993 e giugno 2003;
– valutare i mezzi di cui dispone il sistema giudiziario nazionale, per dare seguito alle violazioni dei diritti umani che sarebbero state scoperte;
– elaborare, tenendo conto degli sforzi compiuti dalle autorità congolesi e dell’appoggio fornito dalla comunità internazionale, una serie di possibili proposte capaci di aiutare il governo congolese a identificare dei meccanismi appropriati di giustizia transazionale che permettessero di affrontare la questione dei crimini commessi, mediante procedure di verità, giustizia, risarcimenti e riforme.
È in questo contesto che, da ottobre 2008 a maggio 2009, l’equipe dell’ONU incaricata di documentare le maggiori violazioni dei diritti umani commesse in quel decennio (1993 – 2003) si è recata in molte zone del territorio della RDC, al fine di raccogliere documenti e testimonianze che le permettessero di soddisfare i tre obiettivi definiti nel suo mandato. Infine, la pubblicazione del Rapporto Mapping ha potuto aver luogo il 1° ottobre 2010. Un decennio dopo, nel 2020, nessun seguito è stato dato a questo documento che aveva suscitato molte speranze e aspettative, soprattutto tra le vittime congolesi. Le organizzazioni della società civile, le ONG per la difesa dei diritti umani e milioni di Congolesi avevano accolto calorosamente la sua pubblicazione. Perché questo rapporto è così importante per i Congolesi?
* Un documento che segna una svolta storica.
Il Rapporto Mapping è un documento particolarmente importante per quattro ragioni.
– Innanzitutto, il Mapping è un’iniziativa unica nel suo genere e nella storia postcoloniale del Paese: è il primo strumento che copre sia un periodo abbastanza lungo (10 anni), sia l’intero territorio nazionale, mediante un meticoloso lavoro di raccolta dei dati presso testimoni e osservatori.
– In secondo luogo, questo documento riveste un carattere eccezionale grazie al suo autore: è prodotto da un’autorità indipendente, le Nazioni Unite, che ha recensito i fatti, secondo i loro autori (il cui elenco nominale purtroppo rimane ancora segreto), le date e i luoghi in cui si sono svolti.
– In terzo luogo, questo rapporto è un riconoscimento internazionale del martirio dei Congolesi e della loro aspirazione alla pace, alla verità, alla giustizia, alla riparazione e alla memoria delle vittime, alla dignità umana, ecc.
– In quarto luogo, infine, per i Congolesi, questo strumento incarna la speranza di poter vedere i presunti autori dei crimini comparire davanti alla giustizia, ciò che contribuirebbe a rompere quel ciclo di impunità che è profondamente radicato nel Paese. Purtroppo, 10 anni dopo, la constatazione è amara e implacabile: nel campo dei diritti umani, nulla è veramente cambiato. Gli stessi crimini continuano a ripetersi senza interruzione, le vittime sono lasciate a se stesse, senza riparazione, senza giustizia, senza verità su ciò che è successo. Perché 10 anni di silenzio dopo questo rapporto?
* Un rapporto che disturba e inquieta alcuni paesi limitrofi.
Per comprendere un intero decennio di silenzio e di inerzia, occorre prendere in considerazione cinque elementi che rivelano come questo documento disturbi molti protagonisti, lasciando altri indifferenti.
– In primo luogo, lo Stato congolese non ha mai fatto di questo rapporto il suo cavallo di battaglia. E per un motivo: lo Stato congolese è fragile e fallimentare e il suo sistema giudiziario non è in grado di perseguire gli autori dei crimini. E poi, molti presunti autori di questi crimini occupano posizioni importanti nelle più alte sfere dello Stato (esercito, polizia, servizi segreti, governo, camera dei deputati, senato, ecc.). È molto improbabile che essi possano essere consegnati alla giustizia, data la loro influenza sull’insieme del paese. Essi sono riusciti a soffocare tutte le voci che hanno tentato di parlare sui crimini commessi.
– In secondo luogo, per molto tempo, il Rapporto Mapping ha subito le conseguenze della mancanza di una voce che lo rendesse pubblicamente noto. Il primo a chiedere l’applicazione delle raccomandazioni del Rapporto Mapping è stato il Premio Nobel 2018 per la Pace, il dottor Denis Mukwege, nel suo discorso pronunciato in occasione del conferimento di questo riconoscimento. Il 10 dicembre 2018, a Oslo, il dottor Denis Mukwege ha pubblicamente chiesto di tirar fuori il Rapporto Mapping dai polverosi cassetti di New York. Questo intervento del Premio Nobel opera un cambiamento che ben presto si concretizza in un movimento di solidarietà nazionale e internazionale, per ottenere giustizia e riparazione per le vittime, consegnando i carnefici alla giustizia.
– In terzo luogo, la mancanza di fondi internazionali e, probabilmente, di volontà politica. In effetti, per applicare le raccomandazioni suggerite dal Rapporto Mapping, in particolare quelle relative alla giustizia di transizione, è necessario disporre di fondi. Ma i principali donatori internazionali non si fanno avanti. Rimangono silenziosi e assenti. Anche il testo iniziale del rapporto era già stato attenuato, sopprimendo il termine “crimine di genocidio congolese”, in modo da non essere obbligati ad agire e ad intervenire per fermare il genocidio in corso. Questo atteggiamento ha trovato un’eco favorevole tra quelli che si sono opposti alla pubblicazione del Rapporto Mapping e che non accettano di collaborare con la giustizia internazionale.
– In quarto luogo, viene l’azione di potenti lobby che fanno di tutto per congelare e fossilizzare il Rapporto Mapping. Alcune di queste lobby sono guidate dai grandi interessi economici e finanziari, legati al saccheggio e al commercio illegale delle risorse naturali che hanno accompagnato o causato i crimini denunciati; altre sono paralizzate da un senso di colpa nei confronti di uno dei principali sospettati e imputati, il Ruanda, dove le Nazioni Unite non hanno potuto impedire l’orrore del genocidio perpetrato nel 1994. Il governo ruandese si serve, a proprio vantaggio, dell’incapacità della comunità internazionale di prevenire e arrestare il genocidio, per neutralizzare chiunque osi parlare. È come se in qualche modo avesse acquisito il diritto di vita e di morte sulle popolazioni della regione. Anche se fosse così, perché i Congolesi dovrebbero pagare il caro prezzo di crimini che non hanno mai commesso, né direttamente, né indirettamente? A meno che non applichi loro la favola di La Fontaine sul lupo e l’agnello.
– Infine, ci si trova davanti alla resistenza di alcuni paesi limitrofi citati nel rapporto (Ruanda, Uganda, Burundi, ecc.) e di certi individui sospettati di aver perpetrato questi crimini e che continuano ad esercitare elevate responsabilità politiche e / o di sicurezza negli Stati membri della Regione. Essi sono riusciti ad imporre il segreto sull’elenco dei presunti autori. Eppure si sa che ufficiali ruandesi erano al comando di forze congolesi, regolari o ribelli, i cui crimini sono ben noti. Da quando si proteggono i criminali invece delle vittime? È una situazione inimmaginabile e pazzesca in cui si proteggono i carnefici invece di proteggere le vittime e i testimoni.
* Nessun lutto è possibile senza verità, giustizia e riparazione.
Fino a quando non si farà giustizia sui molti e gravi crimini perpetrati nella RDC, i massacri del passato continueranno a risuonare fortemente nella memoria delle vittime e ad alimentare il sentimento di vendetta. Le grida delle vittime si trasformeranno in un inno alla memoria solo se si inizierà un’opera di giustizia.
Quattro sono oggi gli elementi necessari per dare una rinnovata risonanza ai crimini commessi.
– Primo. Le vittime non hanno mai ottenuto né verità, né giustizia, né riparazione. L’impunità ha preso il sopravvento e tiene in ostaggio tutto il popolo.
– Secondo. I crimini si moltiplicano e si diffondono anche in zone precedentemente non toccate. La causa: questa garantita impunità concessa ai loro presunti autori. Ogni nuovo crimine commesso ravviva i ricordi dei crimini passati: è come rimuovere un coltello in una ferita già esistente.
– Terzo. Le Nazioni Unite hanno ceduto alle pressioni di alcuni Stati, mantenendo segreta la lista dei presunti autori dei vari crimini commessi nella RDC. Questa lista degli autori dei crimini elencati nel Rapporto Mapping resta finora segreta e riservata. È impensabile e intollerabile!
– Quarto, non c’è lutto senza verità, nessuna verità senza memoria, nessuna memoria senza riconoscimento, nessun riconoscimento senza giustizia, nessuna giustizia senza riparazione, nessuna pace senza riconciliazione, nessuna riconciliazione senza riparazione.
* La giustizia di transizione, obiettivo del Mapping?
Il rapporto Mapping sta marcendo nei cassetti delle Nazioni Unite da quasi 10 anni. Questo è inaccettabile, perché le vittime vengono abbandonate a se stesse, senza giustizia né riparazione. Non c’è quindi speranza di riconciliazione o di pace duratura, soprattutto quando si sa che i presunti autori dei crimini documentati nel Rapporto Mapping delle Nazioni Unite sono liberi e indisturbati. Peggio ancora, occupano i più alti posti di responsabilità nella RDC e nei paesi vicini.
Essi non esitano a minacciare di morte ogni persona di pace che osi alzare la voce per chiedere giustizia e riparazione per le vittime che le stanno aspettando da molto, troppo tempo. Il Rapporto Mapping dovrebbe contribuire alla creazione di un tribunale penale internazionale o di camere specializzate miste (con magistrati congolesi e internazionali) all’interno del sistema giudiziario congolese. Queste istituzioni, per quanto efficaci, non dovrebbero essere viste come fini a se stesse. Dovrebbero piuttosto costituire un cammino verso la verità (giudiziaria), la giustizia, la riparazione, il lutto e l’inizio di una vera riconciliazione. Soprattutto, esse dovrebbero essere viste come uno strumento capace di porre fine al regno dell’impunità.
In definitiva, sembra che tutti abbiano interesse a che giustizia sia fatta, compresi quelli citati nel Rapporto Mapping. Fare giustizia permette di chiudere il capitolo dei crimini impuniti e passare a quello successivo. Finché non si faccia giustizia, nessuno sarà in pace, né con se stesso, né con gli altri, e non sarà possibile alcuna forma di riconciliazione. Il ciclo della vendetta non finirà, poiché le vittime o i loro familiari a cui sia stata oggi negata la giustizia continueranno a invocare vendetta, a coltivare l’odio o, peggio ancora, a trasmetterlo di generazione in generazione. In queste condizioni, non ci sarà pace duratura. Quindi, nessuna ricostruzione duratura.
Gli Stati limitrofi accusati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani sul suolo congolese hanno la responsabilità di rendere giustizia alle vittime congolesi, rimediando ai crimini commessi. Questo è il passo necessario per la riconciliazione tra le nazioni e tra i popoli. Anche coloro che sono accusati dovrebbero cercare di lavare il loro onore, collaborando affinché la giustizia riesca a far luce sui ruoli e le responsabilità degli uni e degli altri.
I carnefici non potranno mai dormire in pace finché non ci sarà giustizia, soprattutto perché questi crimini, in quanto crimini internazionali (crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, ecc.), sono imprescrittibili. Meglio affrontare la giustizia una volta per tutte e accettare il proprio destino, piuttosto che vivere nella paura di essere un giorno catturato dalla giustizia. A meno che i Congolesi non siano tutti spediti contemporaneamente al creatore, i carnefici non cesseranno mai di sentir parlare di loro.[2]
L’identità dei presunti autori dei crimini documentati nel Rapporto Mapping – circa 200 persone, tra cui diverse decine di importanti personalità militari e politiche – non appare nel rapporto reso pubblico ma appare, invece, in un database riservato a disposizione del HCDH.
Quando, nel mese di marzo 2016, il dottor Denis Mukwege, Premio Nobel per la pace 2018, aveva presentato all’HCDH una lettera firmata da quasi 200 Organizzazioni Non Governative (ONG), in cui si chiedeva la pubblicazione del database contenente i nominativi dei principali autori dei crimini recensiti nel Rapporto Mapping, l’Alto Commissario aveva risposto che «la pubblicazione di tali informazioni potrebbe mettere in pericolo le vittime e i testimoni dei crimini menzionati». Tuttavia, ci si può chiedere se la presenza dei responsabili di questi crimini nei più alti organi di governo della RDC e dei paesi vicini non metta maggiormente in pericolo la stessa popolazione.
Ora è giunto il tempo in cui i responsabili politici e militari dei crimini commessi nella RDC tra il 1993 e il 2003 debbano rispondere dei loro atti davanti ai tribunali, affinché le vittime possano finalmente ottenere un risarcimento. Il ricorso alla giustizia riparativa è essenziale per costruire la pace nel paese. Rivelare pubblicamente i nomi degli autori dei crimini registrati nel database dell’HCDH, potrebbe aiutare ad allontanarli dal potere, a denunciarli in giustizia e a permettere alle vittime e ai testimoni di poter parlare liberamente, senza timore di rappresaglie da parte dei loro carnefici. Il rapporto Mapping non deve più essere un argomento tabù.[3]
2. DUE URGENZE: UN TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER LA RDCONGO E CAMERE SPECIALIZZATE MISTE ALL’INTERNO DEL SISTEMA GIUDIZIARIO CONGOLESE
In un comunicato congiunto, Human Rights Watch (HRW) e Amnesty International (AI) hanno affermato che, «un decennio dopo la pubblicazione (1 ottobre 2010) del rapporto del Progetto Mapping sulla Repubblica Democratica del Congo, le autorità congolesi e le Nazioni Unite non hanno fatto abbastanza, né per costringere gli autori di violazioni dei diritti umani a rendere conto dei loro atti, né per rendere giustizia alle vittime».
Secondo HRW e AI, «il Rapporto del Progetto Mapping descrive gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Conclude che la maggior parte di questi fatti sono costitutivi di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Riferendosi a una serie di eventi avvenuti tra il 1996 e il 1997, il rapporto si chiede se certi crimini, commessi dall’esercito ruandese e dal suo alleato congolese, l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo – Zaïre, contro rifugiati hutu ruandesi e cittadini hutu congolesi, potrebbero essere qualificati come “crimini di genocidio”. Il rapporto afferma che spetta a un tribunale competente pronunciarsi su tale questione».
Deprose Muchena, direttore del programma Africa orientale e meridionale presso Amnesty International, ha affermato che «l’incapacità di identificare e di mettere in atto dei meccanismi adeguati, per garantire giustizia e riparazione, ha lasciato migliaia di vittime e le loro famiglie nella impotenza. Di conseguenza, un’impunità generalizzata continua a regnare nella RD Congo e nei Paesi limitrofi, contribuendo alla continuazione di massacri e di altri gravi crimini».
Thomas Fessy, ricercatore senior sulla RD Congo presso Human Rights Watch, ha affermato che «il rapporto del Progetto Mapping ci ricorda con forza i crimini commessi nella RD Congo, la sconvolgente mancanza di giustizia e le tragiche conseguenze dell’impunità».
Oltre a far conoscere gravi violazioni dei diritti umani e crimini efferati, «gli autori del rapporto hanno valutato il livello di capacità del sistema giudiziario congolese nell’affrontare adeguatamente i crimini documentati e hanno proposto riforme e meccanismi di giustizia alternativi, che consentirebbero alle vittime di ottenere giustizia e riparazione. Tuttavia, nessuna delle raccomandazioni contenute nel rapporto è stata finora implementata e la maggior parte dei crimini documentati rimangono impuniti».
Secondo le due organizzazioni, «il presidente Félix Tshisekedi dovrebbe fare della lotta contro l’impunità una priorità della sua politica, adottando misure significative capaci di obbligare i responsabili delle violazioni dei diritti umani – passate e attuali – a rendere conto dei loro atti».
HRW e AI hanno affermato che «dieci anni dopo, le autorità congolesi e i loro partner internazionali dovrebbero intraprendere delle riforme concrete, al fine di rafforzare il sistema giudiziario nazionale e mettere in atto un meccanismo internazionale atto a garantire che la giustizia sia resa in modo credibile e indipendente, sia per i crimini passati che presenti».[4]
Le organizzazioni della Società Civile del Sud Kivu hanno chiesto al Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, di impegnarsi personalmente a favore dell’applicazione delle raccomandazioni formulate nel Rapporto Mapping. In un memorandum indirizzato al Presidente della Repubblica, ma presentato al governatore del Sud Kivu, la società civile del Sud Kivu ha insistito, in particolare, sulla pubblicazione degli allegati del rapporto che contengono i nomi dei presunti autori di gravi violazioni dei diritti dell’uomo. Inoltre, vista la dimensione internazionale dei conflitti, essa chiede al Presidente di implicarsi maggiormente per la creazione di un tribunale penale internazionale per il Congo e l’istituzione di camere specializzate miste (con magistrati congolesi e internazionali) all’interno del sistema giudiziario nazionale. Infine, gli chiede la creazione di un fondo di risarcimento destinato alle vittime dei numerosi crimini commessi.[5]
Rostin Manketa, direttore esecutivo della Voce dei Senza Voce (VSV), un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, ha affermato che, «in occasione del decimo anniversario della pubblicazione del rapporto Mapping, si nota una grande delusione perché, dopo la pubblicazione di questo rapporto, nulla è cambiato. L’impunità continua e gli autori di tutti questi crimini che sono stati perpetrati nella RDC continuano a rimanere impuniti. Non si può costruire uno Stato di diritto sulla base dell’impunità, le vittime di tutti questi crimini devono poter beneficiare di una riparazione e, affinché ci sia riparazione, si deve rendere loro giustizia a tutti i costi. È necessario adottare dei meccanismi di giustizia appropriata a tempi di transizione, una giustizia secondo la quale le vittime hanno il diritto di sapere la verità su tutto ciò che è accaduto. In un secondo momento, è necessario che gli autori dei crimini commessi riconoscano la loro responsabilità. La fase successiva è quella delle riparazioni a favore di tutte le vittime. È così che si può riconciliare un intero popolo. Solo la verità su ciò che è successo, il riconoscimento delle proprie responsabilità e le riparazioni nei confronti delle vittime potranno sconfiggere l’impunità e, con essa, tutte le forme di violenza».[6]
Secondo Jean-Claude Katende, coordinatore dell’Associazione Africana per i Diritti dell’Uomo (ASADHO), le autorità della RDC devono manifestare chiaramente e pubblicamente la loro posizione sul Rapporto Mapping: «Va notato che, per ben 10 anni, le autorità congolesi si sono dimostrate deboli nei confronti del regime ruandese e che le raccomandazioni del Rapporto Mapping non sono mai state prese in considerazione in modo serio. Oggi abbiamo nuove autorità e ci si può aspettare che il loro impegno, sia a livello nazionale che internazionale, a favore della creazione di un tribunale internazionale per la RDC possa finalmente permettere l’attuazione delle raccomandazioni del rapporto Mapping. Crediamo che la posizione delle autorità congolesi non possa essere né debole, né timida. Oggi è più che mai necessario che il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro e gli altri ministri implicati in questo dossier, rendano pubbliche le loro rispettive posizioni, affinché il popolo congolese e la comunità internazionale possano unirsi a loro per l’attuazione delle raccomandazioni formulate nel Rapporto Mapping. Il coinvolgimento di tutti è estremamente importante, affinché queste raccomandazioni possano essere attuate».[7]
Anche il coordinatore del Comitato Laico di Coordinamento (CLC), il professor Isidore Ndaywel, sostiene la necessità della creazione di un Tribunale Penale Internazionale incaricato di giudicare i gravi crimini commessi nella RDC e documentati nel Rapporto Mapping. Ma nel frattempo, Isidor Ndaywel propone che dei tribunali competenti possano già procedere a delle “condanne formali”: «Il governo congolese deve mobilitare i suoi partner internazionali per la creazione di un tribunale penale internazionale per la Repubblica Democratica del Congo. Nel frattempo, dovrebbe creare dei tribunali misti per avviare il lavoro giudiziario. Occorrono infatti delle sentenze formali da parte di tribunali competenti, per esigere delle riparazioni equivalenti a delle condanne».[8]
Secondo Georges Kapiamba, presidente dell’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ), le autorità congolesi devono rilanciare il disegno di legge sulla creazione di camere specializzate miste all’interno del sistema giudiziario nazionale. In questo modo, la cooperazione della giustizia congolese con le Nazioni Unite e con altri Stati, faciliterebbe l’esecuzione dei mandati d’arresto internazionali che sarebbero emessi dalle suddette Camere.[9]
In occasione del decimo anniversario della pubblicazione del rapporto Mapping, la Nuova Società Civile Congolese (NSCC), tramite il suo coordinatore Jonas Tshombela, ha chiesto al Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, di implicarsi personalmente per l’istituzione di un Tribunale speciale per la RDC, al fine di giudicare gli autori dei gravi crimini commessi tra il 1993 e il 2003: «La Sierra-Leone ha avuto 200.000 morti e ha ottenuto un tribunale penale internazionale; la Jugoslavia ha avuto 400.000 morti e ha ottenuto un tribunale penale internazionale; il Ruanda ha avuto 800.000 morti e ha ottenuto un tribunale penale internazionale; in Libano, il primo ministro è stato assassinato e il suo paese ha ottenuto un tribunale penale internazionale. La RDCongo ha avuto più di 6 milioni di morti, ma non ha finora ottenuto alcun Tribunale Penale Internazionale. È ingiusto! Chiediamo quindi al Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, di mobilitarsi per chiedere alla comunità internazionale la creazione di un tribunale speciale per la RDC, affinché cessi l’impunità nel nostro Paese».[10]
Centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura (ACAT-France), Amnesty Internationale Belgio Francofono, Debout Congolesi per un Congo Nuovo (DCCN), Federazione Internazionale delle leghe per i Diritti Umani e La Prunelle RDC, hanno creato un sito web denominato “Il memoriale virtuale dei massacri nella Repubblica Democratica del Congo”. Secondo queste organizzazioni per la difesa dei diritti umani, l’obiettivo di questo progetto è quello di tener viva la memoria delle persone che sono morte durante e a causa dei conflitti armati avvenuti nella Repubblica Democratica del Congo dal 1997 in poi. Accessibile a www.memorialrdcongo.org , questo sito web permetterà a tutti di venire a conoscenza dei crimini commessi e rimasti finora impuniti, tra cui i massacri documentate dal rapporto Mapping.[11]
[1] Cf Sonia Rolley – RFI, 30.09.’20 https://www.rfi.fr/fr/afrique/20200930-rdc-dix-ans-apr%C3%A8s-publication-lautopsie-rapport-mapping
[2] Cf Alphonse Maindo – Afrikarabia.com, 30.09.’20
[3] Cf Clément Boursin – Le Monde.fr, 29.09.’20
[4] Cf Hrw.org, 01.10.’20
[5] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 01.10.’20
[6] Cf Thérèse Ntumba – Actualité.cd, 01.10.’20
[7] Cf Thérèse Ntumba – Actualité.cd, 01.10.’20
[8] Cf Ivan Kasongo – Actualité.cd, 01.10.’20
[9] Cf Thérèse Ntumba – Actualité.cd, 01.10.’20
[10] Cf Thérèse Ntumba – Actualité.cd, 01.10.’20
[11] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 30.09.’20