Congo Attualità n. 416

COALIZIONE FCC/CACH: DIVISA SU TUTTO,

MA UNITA PER RESTARE AL POTERE

INDICE

1. TUTTO CAMBIA, AFFINCHÈ NULLA CAMBI
a. Un progetto di riforma giudiziaria oggetto di contestazioni
b. Ceni: l’FCC si prepara per il 2023
c. Molte permutazioni piuttosto che nuove nominazioni all’interno dell’esercito
d. Cacofonia presso la corte costituzionale: il 1° presidente ha presentato le dimissioni, per poi smentirle in seguito
2. VERSO UN BLOCCO ISTITUZIONALE PERMANENTE
a. La battaglia per il controllo della Corte costituzionale
b. Il braccio di ferro per il controllo dell’esercito e della magistratura
c. La polemica sulla prossima presidenza della CENI
d. Le strane dimissioni del presidente della Corte costituzionale
e. L’incomprensione degli attivisti dell’UDPS e dell’FCC

1. TUTTO CAMBIA, AFFINCHÈ NULLA CAMBI

a. Un progetto di riforma giudiziaria oggetto di contestazioni

In  giugno, i deputati Aubin Minaku e Garry Sakata presentano all’Assemblea Nazionale tre progetti di legge sul funzionamento della giustizia, provocando manifestazioni a Kinshasa e in altre province del Paese. Avviati dal Fronte Comune per il Congo (FCC) di Joseph Kabila, questi tre progetti di legge mirano a porre i magistrati sotto il controllo del ministro della Giustizia.
L’opposizione denuncia un tentativo di colpo di stato da parte dell’FCC, per controllare la magistratura nel bel mezzo del processo dei 100 giorni e a 3 anni dalle prossime elezioni presidenziali.
Secondo il difensore dei diritti umani, Jean-Claude Katende, «i membri dell’FCC hanno paura di possibili procedure giudiziarie nei loro confronti», sulla scia del processo dei 100 giorni in cui Vital Kamerhe, direttore del gabinetto del presidente Tshisekedi è stato condannato a 20 anni di carcere per corruzione e malversazione di denaro pubblico. Secondo Jean-Claude Katende, «queste tre proposte di legge consentono il controllo dei pubblici ministeri da parte del ministro della Giustizia che, almeno fino alla fine di questa legislatura, sarà sempre membro dell’FCC». Egli avverte che «le nuove leggi potrebbero autorizzare il ministro della Giustizia a nominare dei magistrati prossimi all’FCC o a revocare o mandare in pensione qualsiasi magistrato ostile all’FCC». La riforma giudiziaria interesserà anche la Corte costituzionale, organo di controllo del processo elettorale. Infatti, è la Corte costituzionale che convalida le candidature e i risultati finali delle elezioni. La Corte Costituzionale è composta da 9 membri, di cui 3 scelti dal Presidente della Repubblica, 3 dal Parlamento e 3 dal Consiglio Superiore della Magistratura. Orbene, poiché l’FCC detiene attualmente la maggioranza parlamentare e se, grazie alla nuova legge Minaku-Sakata, i 3 giudici del Consiglio Superiore della Magistratura non potranno essere nominati senza il consenso del ministro della Giustizia, membro dell’FCC, ne deriva che, per le elezioni del 2023, l’FCC potrà controllare 6 dei 9 giudici della Corte costituzionale.[1]

b. Ceni: l’FCC si prepara per il 2023

Il Fronte Comune per il Congo (FCC) di Joseph Kabila continua a imporre il proprio ritmo alla vita politica congolese. Ultramaggioritaria all’Assemblea nazionale e al Senato, la piattaforma politica dell’ex presidente Joseph Kabila è riuscita a far ratificare all’Assemblea nazionale la designazione di Ronsard Malonda come nuovo presidente della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI). Si tratta di un atto di forza, in un momento in cui la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) e i protestanti della Chiesa di Cristo in Congo (ECC) avevano respinto la designazione dell’attuale numero 2 della Commissione elettorale, in sostituzione del tanto contestato Corneille Nangaa, ritenuto di essere stato incapace di impedire i brogli elettorali del 2018.
Ronsard Malonda non è un estraneo alla CENI. Avendo ricoperto vari incarichi presso la Commissione elettorale da oltre 15 anni, dal 2015 ne è Segretario Esecutivo Nazionale. Come numero 2 della Commissione, Ronsard Malonda è stato uno dei principali responsabili del fallimento elettorale del 2018.
Al centro delle polemiche elettorali: delle elezioni senza cifre, riducendo i risultati a un semplice elenco di vincitori. Il sito web della CENI è rimasto irrimediabilmente privo di risultati dettagliati degli scrutini, seggio elettorale per seggio elettorale, come avrebbe dovuto essere.
Secondo alcune informazioni provenienti dalla Cenco, che aveva dispiegato più di 40.000 osservatori, e alcune fughe di notizie trapelate sulla stampa dalla stessa Commissione Elettorale, Félix Tshisekedi non sarebbe arrivato che in terza posizione, dopo Emmanuel Ramazani Shadary, candidato dell’FCC e, soprattutto, ben dopo Martin Fayulu, candidato di LAMUKA e vero vincitore delle elezioni presidenziali. Ma un accordo siglato tra Joseph Kabila e Félix Tshisekedi prima della “pubblicazione” dei risultati ha cambiato la situazione: l’FCC di Joseph Kabila si è riservato una stragrande maggioranza all’Assemblea Nazionale, al Senato e alle Assemblee provinciali, lasciando una presidenza svuotata di tutta la sua sostanza a Félix Tshisekedi.
La CENI è quindi ritenuta dall’opposizione come unica responsabile di risultati elettorali elaborati a tavolino, senza possibilità di far ricorso, poiché senza cifre rese pubbliche.
La designazione di Ronsard Malonda in sostituzione di Corneille Nangaa non è assolutamente accettabile per l’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ), che ritiene che “questa scelta sia un bonus a favore della frode elettorale” orchestrata dalla CENI, compreso Ronsard Malonda che ne è il segretario esecutivo nazionale.
La Sinergia delle Missioni di Osservazione Civica Elettorale (SYMOCEL) chiede all’Assemblea nazionale di «annullare la convalida della designazione di Ronsard Malonda» e ritiene che sia imperativo «riformare dapprima la CENI, prima di passare alla nomina dei sui nuovi membri, per garantire un processo elettorale credibile».
Diversi altri movimenti civici come La Lucha, Filimbi o Congolesi in piedi, richiedono anche un audit completo della CENI e una sua radicale riforma, per evitare che continui ad agire sotto l’influenza dell’ex presidente Joseph Kabila. Molte voci ritengono infatti che, con la scelta di Ronsard Malonda, sarà ancora una volta Joseph Kabila a determinare dietro le quinte i risultati delle prossime elezioni presidenziali del 2023.[2]

c. Molte permutazioni piuttosto che nuove nominazioni all’interno dell’esercito

Il Presidente della Repubblica Félix Tshisekedi ha tentato di portare alcuni cambiamenti nella catena di comando dell’esercito.
Quando è arrivato alla presidenza, egli aveva promesso di “sbullonare” il sistema Kabila, accusato di aver mantenuto il controllo sull’esercito. In un ambiente istituzionale largamente dominato dall’FCC di Joseph Kabila, il nuovo Capo dello Stato cerca, con piccoli ritocchi, di riprendere in mano le FARDC, di cui è comunque il capo supremo.
Tuttavia, le molte nuove nomine all’interno dell’esercito rimangono molto caute e, il più delle volte, si riducono a semplici permutazioni. Il presidente Tshisekedi conferma il Capo di Stato Maggiore Célestin Mbala, nominato nel 2018 da Joseph Kabila. I principali cambiamenti sono stati effettuati presso l’Ispettorato generale dell’esercito, dove il generale John Numbi è stato sostituito dal generale Gabriel Amisi, promosso al grado superiore di generale dell’esercito.
John Numbi sembra il grande perdente, poiché non ha ricevuto alcun’altra assegnazione. L’ex capo della polizia nazionale congolese è da diversi anni soggetto a sanzioni internazionali, come il suo sostituto, Gabriel Amisi. Numbi è sospettato di essere stato il mandante dell’assassinio dell’attivista per i diritti umani Floribert Chebeya e del suo autista Fidèle Bazana. Da parte sua, Gabriel Amisi, alias Tango Four, è accusato da Washington e Bruxelles di aver “ostacolato il processo elettorale” e di aver “commesso molte violazioni dei diritti umani” durante gli ultimi anni (2015 – 2018) del regime di Kabila. Félix Tshisekedi non ha fatto null’altro che sostituire un generale posto sotto sanzioni internazionali con un altro ufficiale anch’esso sotto sanzioni. Tuttavia, la Voce dei Senza Voce (VSV), l’Ong di Floribert Chebeya, spera che la revoca di John Numbi sia l’occasione per “metterlo a disposizione della giustizia”. Per il momento, non lo si è ancora fatto.
Come vice di Gabriel Amisi presso l’Ispettorato Generale delle Forze Armate, Félix Tshisekedi ha nominato il Generale Muhindo Akili Mundos, anche lui sottoposto a sanzioni internazionali. Un’altra nomina che ha fatto discutere è quella del generale Fall Sikabwe come capo di stato maggiore della forza terrestre. Nel 2015, la sua nomina a capo dell’operazione Sukola nel Nord Kivu aveva portato all’interruzione della cooperazione tra la MONUSCO e l’esercito congolese, perché era stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani. Più recentemente, egli era stato sospettato anche di appropriazione indebita dei salari dei militari alle sue dipendenze.
Nell’entourage presidenziale, si elogia l’allontanamento di John Numbi dai posti di comando, da molto tempo richiesto dalla comunità internazionale e dagli Stati Uniti. Si sostiene inoltre che la nomina di Tango Four e di Mundos all’Ispettorato Generale delle Forze Armate li collochi in funzioni “meno operative e più amministrative”. Tuttavia, alcuni ufficiali negano che questo ruolo sia “meno operativo”, perché l’ispettorato generale costituisce il “cuore dell’esercito”, la “torre di controllo”, “il gendarme” che indaga e sanziona, ma anche “il gestore” che colloca gli effettivi. Quelli che credono che questi due generali, accusati di numerose violazioni dei diritti umani e di vari atti di corruzione, siano stati chiusi in un armadio, lontano da ogni responsabilità operativa, presto o tardi dovranno ricredersi.
Le operazioni sul campo diretto sono state affidate ai generali Célestin Mbala, confermato capo di stato maggiore generale delle forze armate, Jean-Claude Yav, vice capo di stato maggiore e responsabile delle operazioni, Fall Sikabwe, capo di stato maggiore delle Forze terrestri, Obed Rwabasira, vice capo di stato maggiore incaricato delle operazioni, John Luboya, comandante della 1ª zona di difesa a Kinshasa, Pacifique Masunzu, comandante della 2ª zona di difesa a Lubumbashi, Philemon Yav, comandante della 3ª zona di difesa, che comprende l’ex Provincia Orientale e l’ex Grande Kivu. Infine, secondo alcuni osservatori, l’arrivo di Franck Ntumba alla “casa militare” della Presidenza dovrebbe servire a mantenere sotto controllo François Beya, consigliere speciale di Felix Tshisekedi in materia di sicurezza, ma sospettato di difendere gli interessi di Joseph Kabila, nonostante la sua provenienza dal Kasai, provincia natale dell’attuale Presidente.
Per i sostenitori di Felix Tshisekedi, molte di queste nomine sono delle “piccole vittorie” che dimostrano che il presidente sta gradualmente riprendendo in mano il controllo dell’esercito. I meno ottimisti non si aspettano grandi cambiamenti in seguito a questo rimpasto nella catena di comando dell’esercito. I più critici si trovano all’interno delle stesse FARDC. «Niente di nuovo, si nominano sempre gli stessi e si ricomincia da capo», commenta una fonte della sicurezza, dicendo che anche Joseph Kabila aveva più volte sospeso degli ufficiali, che poi aveva successivamente reintegrato in altre funzioni. Lo aveva fatto, per esempio, nei due casi di Gabriel Amisi, dopo una grave sconfitta nella guerra contro il Movimento del 23 marzo (M23), e di John Numbi, sospeso dal comando della polizia dopo l’assassinio di Floribert Chebeya. Infine, ciò che fa innervosire alcuni ufficiali delle FARDC è che, ancora una volta, «non si è tenuto conto né delle capacità e competenze personali, né del livello di carriera dei singoli», ciò che provoca l’amara «impressione che tutto stia cambiando, affinché nulla cambi».[3]

d. Cacofonia presso la corte costituzionale: il 1° presidente ha presentato le dimissioni, per poi smentirle in seguito.

La cacofonia è sorta in seguito a due lettere del presidente della Corte Costituzionale, Benoît Lwamba Bindu.
Nella sua prima lettera n. 214 / CC / CAB-PRES / 06/00/2020 del 27 giugno 2020 e indirizzata ai giudici della Corte Costituzionale, suoi colleghi, con copia per conoscenza al Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, presenta le sue dimissioni.
Citando motivi di convenienza personale, Benoît Lwamba ritiene che le sue dimissioni siano conformi alle disposizioni dell’articolo 28 della legge organica n. 13/026 del 15 ottobre 2013, relativa all’organizzazione e al funzionamento della corte costituzionale, e degli articoli 9 e 10 dell’ordinanza n. 16/070 del 22 agosto 2016 recante disposizioni relative allo status speciale dei membri della Corte costituzionale.
Allo stesso tempo, in un’altra lettera del 27 giugno 2020 referenziata n ° 215 / CC / CAB-PRES / 06/00/2020 avente per oggetto: “le mie dimissioni” e indirizzata al Capo dello Stato, Benoît Lwamba comunica al Capo dello Stato le sue dimissioni da presidente e membro della Corte costituzionale.
Il 10 luglio, riuniti in seduta plenaria, anche se in assenza del giudice Ubulu Pungu, i membri della Corte costituzionale rendono pubblico un verbale in cui affermano di aver ricevuto l’originale della lettera di dimissioni inviata da Benoît Lwamba e in cui prendono atto delle dimissioni sopra citate. Non avendo trovato alcun motivo per opporsi a tali dimissioni, essi dichiarano: «prendiamo atto delle dimissioni di Lwamba Bindu Benoît dalle sue funzioni di presidente della corte costituzionale e membro di questa corte».
Tuttavia, in una lettera dello stesso 10 luglio e firmata da Bruxelles, lo stesso Benoît Lwamba smentisce le sue dimissioni da primo presidente della Corte costituzionale: «Contrariamente alle informazioni diffuse sui social network, circa le mie dimissioni da Presidente della Corte costituzionale della Repubblica, tengo a precisare che si tratta solo di voci che smentisco … Infatti, trovandomi in Belgio per cure mediche, confermo che l’attuale mio mandato di presidente della Corte costituzionale è ancora vigente e che non scadrà che nel mese di aprile 2021».[4]

2. VERSO UN BLOCCO ISTITUZIONALE PERMANENTE

Commissione elettorale, Corte costituzionale, riforma giudiziaria, rimpasto nella catena di comando dell’esercito … il tandem Tshisekedi-Kabila non è d’accordo su nulla. Le divergenze all’interno della coalizione di governo paralizzano le istituzioni e il governo, con il rischio di provocare ingenti manifestazioni di piazza.
Non c’è una sola settimana in cui non si registri un nuovo disaccordo in quella strana e innaturale coalizione che unisce l’attuale Presidente Félix Tshisekedi e il suo predecessore Joseph Kabila. Al centro di questa guerra di trincea: da una parte, un nuovo capo di Stato che, arrivato alla presidenza attraverso elezioni contestate, si trova senza potere effettivo e cerca di conquistarselo e, dall’altra, il suo predecessore che, con una schiacciante maggioranza in parlamento, non perde occasione per metterlo in difficoltà, nella speranza di ritornare sulla poltrona presidenziale.
In questo strano gioco basato su un accordo segreto di condivisione del potere politico, la piattaforma politica del Presidente Félix Tshisekedi (Verso il Cambiamento / CACH), minoritaria in parlamento, si scontra sistematicamente con quella del suo predecessore Joseph Kabila (Fronte Comune per il Congo / FCC), maggioritaria in parlamento … e viceversa. Quando uno dice nero, l’altro dice bianco. E l’elenco dei punti di disaccordo è così lungo che viene spontaneo sospettare che, in Consiglio dei ministri, non ci sia alcun tema di consenso, oltre (forse) quello della lotta contro il Covid-19.

a. La battaglia per il controllo della Corte costituzionale.

Uno degli ultimi episodi: dopo la loro nomina a presidenti della Corte di cassazione da parte del Presidente della Repubblica, due giudici della Corte Costituzionale, Noël Kilomba Ngozi Mala e Jean Ubulu Pungu, hanno rifiutato il loro trasferimento e non hanno prestato il giuramento che li avrebbe abilitati a svolgere la loro nuova attività, come previsto dalla legge. I due giudici recalcitranti affermano di non essere stati consultati e di essere venuti a conoscenza del loro nuovo incarico attraverso la televisione. I due magistrati hanno fatto notare che, secondo la costituzione e le leggi in vigore, il presidente Tshisekedi non poteva effettuare queste loro nuove nomine, essendo membri della Corte costituzionale.
Dietro questo braccio di ferro, va notato che i due giudici “ribelli” erano stati nominati dal precedente Presidente della Repubblica, Joseph Kabila, e che, quindi, stavano esercitando presso la Corte costituzionale proprio durante la crisi pre e post-elettorale che va dal 2015 al 2018. Si tratta dunque di quei giudici che avevano convalidato il rinvio (“slittamento”) delle ultime elezioni generali, respinto la candidatura di Jean-Pierre Bemba e invalidato i deputati dell’opposizione, per poi cambiare decisione, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, che rende le loro sentenze irrevocabili. Ma occorre soprattutto ricordare che saranno proprio i giudici della Corte costituzionale che convalideranno o meno le candidature delle prossime elezioni presidenziali del 2023 e che dovranno dirimere i prossimi contenziosi post-elettorali. Si può quindi capire perché la partenza di questi due giudici dalla Corte costituzionale e la loro nomina presso la Corte di Cassazione siano fonte di preoccupazione per il Fronte Comune per il Congo (FCC) che spera di recuperare, tra 3 anni, la presidenza della Repubblica.

b. Il braccio di ferro per il controllo dell’esercito e della magistratura.

Il cambio di incarico di questi due magistrati non è l’unico punto di disaccordo tra i due schieramenti (CACH e FCC) constatato in occasione delle recenti ordinanze presidenziali che, rese pubbliche il 17 luglio, riguardavano principalmente nuove nomine nella catena di comando dell’esercito. Il Primo Ministro Sylvestre Ilunga membro dell’FCC, ne ha contestato la legalità, sostenendo che queste ordinanze non erano state discusse in Consiglio dei Ministri e che non erano state controfirmate da lui, come previsto dalla legge, ma dal suo Vice Primo Ministro e Ministro dell’Interno, tra l’atro, membro di CACH. Questo episodio ha provocato le ire dell’FCC di Joseph Kabila, che ha gridato al “mancato rispetto delle procedure” e denunciato una “deriva dittatoriale”. In realtà, l’FCC teme che le nuove nomine all’interno dell’esercito finisca per indebolire l’influenza di Joseph Kabila sulle FARDC.
Ma il presidente Tshisekedi non è stato il primo ad aver tentato di imporre le sue decisioni, senza tener conto del parere del suo turbolento “partner”. Alla fine di giugno, l’FCC aveva già a sua volta tentato di far passare, in Parlamento, una riforma giudiziaria che potesse assicurare al Ministro della giustizia, membro appunto dell’FCC, un maggior controllo sui magistrati.
Le tre proposte di legge presentate all’Assemblea Nazionale da due deputati dell’FCC avevano provocato l’ira dell’opposizione, ma anche dell’UDPS di Félix Tshisekedi, alleato dell’FCC, nell’attuale coalizione di governo. In quell’occasione, il partito del Presidente Tshisekedi, l’UDPS appunto, aveva accusato il ministro della Giustizia, Célestin Tunda, di non aver presentato al Consiglio dei ministri il testo delle relative osservazioni, prima di inviarlo all’Assemblea nazionale. Sicuramente, un grave errore  da parte del Ministro della Giustizia che, su richiesta del Presidente Felix Tshisekedi ha dovuto rassegnare le sue dimissioni dall’incarico di ministro della Giustizia.

c. La polemica sulla prossima presidenza della CENI.

Un altro punto di discordia tra l’FCC e CACH, sullo sfondo delle prossime elezioni nel 2023, riguarda la controversa designazione di Ronsard Malonda come prossimo presidente della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI).
L’Assemblea Nazionale ha infatti confermato la designazione, da parte di sei confessioni religiose, dell’attuale segretario esecutivo nazionale della Commissione elettorale, nonostante il parere sfavorevole di altre due denominazioni religiose: la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) e la Chiesa di Cristo in Congo (ECC). L’UDPS, il partito del Presidente Tshisekedi, teme che Ronsard Malonda non sia che una pedina nelle mani dell’ex Presidente Joseph Kabila attraverso la CENI. L’opposizione e la società civile chiedono dapprima una riforma della Commissione elettorale, ciò che permetterebbe la designazione di un presidente più consensuale ai vertici di tale organismo. Da parte sua, il Presidente Tshisekedi ha per il momento bloccato la designazione di Ronsard Malonda come prossimo presidente della CENI.

d. Le strane dimissioni del presidente della Corte costituzionale.

Tshisekedi e Kabila sembrano combattere una stessa battaglia, ma con obiettivi diversi: il primo per rimanere al potere e il secondo per ritornarvi. È in questo contesto che, il 17 luglio, il Presidente Tshisekedi ha nominato due giudici della Corte costituzionale, Kilomba e Ubulu, all’incarico di presidenti della Corte di cassazione. A metà luglio, anche il presidente della stessa Corte costituzionale, Benoît Lwamba, annuncia a sorpresa delle strane sue dimissioni, apparentemente per motivi personali. Si sospetta che sia stato il Presidente Felix Tshisekedi ad averlo spinto a questo gesto, soprattutto perché il magistrato era oggetto di sanzioni internazionali, per non aver preso i necessari provvedimenti contro le numerose irregolarità delle caotiche elezioni del 2018.
Vari osservatori hanno infatti dubitato della reale volontà di Benoît Lwamba di rassegnare le sue dimissioni, soprattutto dopo la pubblicazione di una sua lettera in cui egli stesso smentisce l’informazione. Senza attendere il ritorno di Benoît Lwamba, che si era recato in Belgio per esami medici, il presidente Tshisekedi sembra aver accelerato il trasferimento del magistrato, sulla base di un verbale emesso da sette giudici della stessa Corte costituzionale, in cui essi “prendono atto” delle dimissioni del presidente della Corte. Anche in questo caso, Felix Tshisekedi viene sospettato di aver contribuito ad allontanare un possibile ostacolo per la sua rielezione.

e. L’incomprensione degli attivisti dell’UDPS e dell’FCC.

Da questa permanente resa dei conti tra Tshisekedi e Kabila ne consegue il disorientamento dei militanti di entrambi gli schieramenti e la paralisi dell’azione di governo.
Dal lato dell’UDPS, la base del partito accetta sempre meno i contraccolpi del suo alleato FCC e non riesce a capire perché il Presidente Tshisekedi non riesca ancora a “sbullonare” il regime Kabila. Inoltre, constatando un’assenza quasi totale di progressi significativi nei settori della sicurezza e delle condizioni di vita, molti Congolesi che avevano creduto alle promesse del nuovo Presidente ora si dicono delusi e scoraggiati.
Dal lato dell’FCC, sia gli attivisti che i vertici dello schieramento di Kabila non capiscono perché devono accettare un Presidente della Repubblica senza maggioranza all’Assemblea nazionale, al Senato e nelle Assemblee provinciali.
Le tensioni tra i due schieramenti bloccano il corretto funzionamento delle istituzioni e, a volte, si trasformano in preoccupanti scontri ideologici e manifestazioni di piazza. Gli attivisti di entrambi gli schieramenti non hanno ovviamente ancora accettato lo scenario di condivisione del potere imposto da Joseph Kabila e Félix Tshisekedi.[5]

La coalizione FCC/CACH attualmente al governo è divisa su diverse questioni, tra cui le riforme elettorali che, secondo l’FCC, dovrebbero essere affrontate solo in ambito istituzionale, cioè in Parlamento dove, sia detto, l’FCC costituisce il gruppo di maggioranza. Un altro punto di divisione è la nomina di nuovi giudici alla Corte costituzionale. Deluso, lo schieramento kabilista  accusa addirittura Felix Tshisekedi di voler instaurare una dittatura.
Tuttavia, il 26 agosto, in una conferenza stampa, il ministro delle Comunicazioni e portavoce del governo, Jolino Makelele, ha dichiarato: «La coalizione FCC-CACH si sta consolidando sempre più attorno a questioni di interesse nazionale, nonostante le varie e comprensibili tensioni che possono esistere tra sensibilità diverse … La coalizione resta unita attorno a un ideale comune, al fine di consolidare la coesione nazionale, secondo la visione del Presidente della Repubblica Félix Tshisekedi che, lo scorso luglio, aveva già sottolineato l’inopportunità dello scioglimento della coalizione FCC / CACH».[6]

[1] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 24.06.’20
[2] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 05.07.’20
[3] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 18 et 22.07.’20
[4] Cf Thierry Mfundu – Politico.cd, 11.07.’20
[5] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 08.08.’20
[6] Cf Actualité.cd, 26.08.’20