METTERE FINE AL CICLO DELLA VIOLENZA IN ITURI
International Crisis Group (ICG)
Rapporto Africa N° 292
15 luglio 2020[1]
INDICE
PRINCIPALI CONCLUSIONI
SINTESI
1. INTRODUZIONE
2. ITURI: UNA PROVINCIA TORMENTATA
3. VIOLENZE SEMPRE PIÙ GENERALIZZATE
a. Tensioni intercomunitarie di fronte alla mobilitazione delle milizie Lendu
b. Le milizie lendu intensificano i loro attacchi, anche contro le postazione dell’esercito
4. I RESPONSABILI: TRA ANTAGONISMI LOCALI E INTRUSIONI ESTERNE
a. La CODECO
b. Le autorità hema
c. Un inestricabile legame con il Nord Kivu
d. Rapporti con movimenti ribelli basati all’estero
5. ROMPERE GLI INGRANAGGI DELLA VIOLENZA
a. Negoziati per il disarmo
b. Reintegrazione nella vita civile
c. Dialoghi a livello locale e provinciale
d. Un ruolo costruttivo da parte dei Paesi limitrofi
6. CONCLUSIONE
PRINCIPALI CONCLUSIONI
– Cosa sta succedendo? Dalla fine del 2017, nell’Ituri, una provincia della Repubblica Democratica del Congo (RD Congo), dei gruppi armati prevalentemente Lendu, una comunità etnica di agricoltori, hanno compiuto una lunga serie di attacchi, causando la morte di molte persone. Inizialmente, gli attacchi erano diretti contro gli Hema, una comunità etnica di pastori e di allevatori ma, successivamente, hanno preso di mira anche le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC).
– Perché questo rapporto? L’escalation della violenza ha ravvivato le rivalità ormai storiche tra i Lendu e gli Hema, due comunità etniche che si erano già scontrate durante la guerra del 1999-2003, e ha acuito le interferenze con la vicina provincia del Nord Kivu e con i paesi limitrofi.
– Come agire? Kinshasa dovrebbe favorire una strategia volta a negoziare la resa delle milizie Lendu nell’ambito di un ampio dialogo tra Hema, Lendu e altre comunità etniche. Il forum quadripartito cui partecipano la RD Congo, l’Angola, l’Uganda e il Ruanda dovrebbe prendere in considerazione gli aspetti regionali della crisi.
SINTESI
Da dicembre 2017, le violenze commesse nella provincia dell’Ituri, nel nord-est della RD Congo, hanno causato circa 1.000 morti e mezzo milione di sfollati. Inizialmente sporadici e localizzati nel solo territorio di Djugu, gli attacchi erano l’espressione della rivalità esistente tra le due principali comunità etniche dell’Ituri, gli Hema e i Lendu. Successivamente, le milizie Lendu hanno preso di mira gli Hema, poi l’esercito nazionale e, infine, anche le popolazioni dei territori vicini. In questo conflitto sono implicati anche attori esterni della vicina provincia del Nord Kivu e dei paesi limitrofi. Per poter evitare una pericolosa scalata di violenza, il governo congolese dovrebbe dare la priorità a una strategia capace di negoziare la resa delle milizie Lendu, pur sostenendo contemporaneamente un più ampio dialogo tra gli Hema, i Lendu e le altre comunità etniche dell’Ituri. Nello stesso tempo, il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, dovrebbe collaborare con i paesi limitrofi, affinché cessino di appoggiare i gruppi armati attivi nell’est del Paese.
L’attuale crisi si distingue dal conflitto del 1999-2003, durante il quale le comunità Hema e Lendu avevano partecipato a vasti massacri organizzati dalle rispettive milizie. A differenza del precedente conflitto, sebbene gli aggressori siano reclutati principalmente all’interno della comunità Lendu e siano, per la maggior parte, membri di un’associazione di milizie denominata Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (Codeco), i notabili Lendu non assumono la paternità di queste milizie.
Tuttavia, la risposta militare del governo ha dimostrato tutti i suoi limiti e non si può escludere lo scenario di una violenza intercomunitaria più generalizzata. Le milizie Lendu continuano a rafforzarsi. Gli Hema non hanno finora organizzato rappresaglie sistematiche, ma non escludono la possibilità di mobilitare i loro giovani nel caso in cui gli attacchi continuino. L’organizzazione dei giovani hema in gruppi di autodifesa che erigono blocchi stradali sulle principali vie di comunicazione in Ituri dovrebbe far presagire il rischio di un’intensificazione della dimensione intercomunitaria del conflitto.
Il conflitto dell’Ituri potrebbe avere molteplici ripercussioni. La violenza che ha colpito questa provincia ha già visto la partecipazione di alcuni attori del vicino Nord Kivu, epicentro dell’insicurezza nell’est della RD Congo. I membri di ex movimenti ribelli, tra cui il Movimento del 23 marzo (M23), basati in gran parte in Uganda, avrebbero cercato di sfruttare le tensioni etniche esistenti in Ituri e nel Nord Kivu per incrementare il conflitto. Questa dinamica aggrava ulteriormente le tensioni tra l’Uganda e il Ruanda, che hanno avuto un ruolo molto importante nella guerra dell’Ituri (1999 – 2003) e che ancora oggi si accusano a vicenda di sostenere dei gruppi armati nell’est della RD Congo.
Le seguenti raccomandazioni potrebbero aiutare a interrompere il ciclo di violenza in corso nella provincia dell’Ituri e a prevenire le interferenze esterne:
Il governo dovrebbe riprendere il dialogo con le milizie che hanno già espresso la volontà di arrendersi. Dovrebbe inoltre proseguire il dialogo con le altre milizie coinvolte nella violenza in Ituri, in vista del loro disarmo. Al fine di raggiungere un ampio consenso sulle modalità del disarmo (tra cui la questione dell’amnistia), il governo dovrebbe anche sostenere gli sforzi del gruppo dei deputati dell’Ituri presenti nell’Assemblea Nazionale.
Kinshasa dovrebbe privilegiare il reinserimento dei miliziani nella vita civile, attraverso l’istituzione di strutture di assistenza e di formazione volte a offrire loro alternative economiche.
Le autorità provinciali e nazionali dovrebbero incoraggiare un dialogo tra Hema e Lendu, coinvolgendo capi tradizionali e autorità locali, al fine di capire le dinamiche locali – come la questione relativa all’accesso alle terre – che generano violenza e di prendere le decisioni necessarie per meglio garantire la sicurezza sul posto. Successivamente, il governo centrale dovrebbe organizzare un dialogo inter ituriano inclusivo, cui possano partecipare anche le comunità della provincia che non sono direttamente implicate nell’attuale crisi, per garantire che quelle decisioni soddisfino le aspettative generali dell’intera popolazione dell’Ituri.
Al fine di contribuire allo sviluppo e alla sicurezza delle comunità dell’Ituri, Kinshasa dovrebbe istituire un fondo speciale per la regione e mobilitare il più possibile i suoi partner bilaterali tradizionali, nonché la Banca mondiale, per fornirlo.
Il presidente congolese dovrebbe mettere il conflitto dell’Ituri all’ordine del giorno del nuovo forum quadripartito formato da RD Congo, Angola, Uganda e Ruanda. L’Uganda e il Ruanda potrebbero utilizzare questo forum per confrontarsi sulle reciproche accuse di appoggio ai gruppi armati dell’est della RD Congo, compresi quelli dell’Ituri, e impegnarsi a porre fine a tale sostegno.
Finché non si arriverà ad applicare queste misure, il rischio è quello di arrivare, in un futuro prossimo, a una crisi ancor più grave di quella attuale. Una risoluzione duratura della crisi in Ituri aiuterebbe sia a rompere il ciclo di violenza nell’est della RD Congo, sia a allentare le tensioni finora esistenti nella regione dei Grandi Laghi.
1. INTRODUZIONE
In Ituri, nell’estremo nord-est della RD Congo, le violenze sono riemerse quattordici anni dopo la guerra interetnica che, tra il 1999 e il 2003, ha causato migliaia di vittime. Inizialmente, si trattava del solo territorio di Djugu e di attacchi di bassa intensità tra Hema e Lendu, le due maggiori comunità etniche della provincia. Ma nel 2017, i miliziani, in gran parte membri della comunità lendu, hanno intensificato i loro attacchi contro membri di altre comunità e contro l’esercito nazionale. Vari osservatori hanno notato legami sempre più stretti tra il conflitto dell’Ituri e i conflitti del Nord Kivu, una provincia limitrofe marcata da numerose guerre che, in passato, hanno coinvolto paesi confinanti.
Durante la seconda guerra del Congo (1998-2002), il conflitto dell’Ituri ha contribuito al peggioramento delle relazioni tra Uganda e Ruanda, due paesi che sono intervenuti militarmente, fomentando e appoggiando movimenti armati diversi nella RDC, incluso in Ituri, e che oggi continuano ad accusarsi vicendevolmente di destabilizzare l’est della RD Congo e l’intera regione dei Grandi Laghi.
Questo rapporto presenta una cronologia degli eventi che hanno portato a questa recente impennata della violenza, analizza la natura ciclica del conflitto e le sue cause sottostanti e identifica i suoi attori principali. Infine, formula alcune raccomandazioni che possano permettere di interrompere questo circolo vizioso di violenze.
2. ITURI: UNA PROVINCIA TORMENTATA
Da diversi secoli, Hema e Lendu, le due principali comunità etniche dell’Ituri, si stanno combattendo per l’accesso alla terra e al potere locale. In questa provincia rurale, la terra è una risorsa essenziale, poiché i Lendu sono prevalentemente dei coltivatori e gli Hema degli allevatori.
Durante il periodo della colonizzazione, le autorità belghe contribuirono alla gerarchizzazione degli Hema, il cui capo poté usufruire di importanti poteri, il che permise loro di ottenere una certa supremazia sui Lendu. Le autorità coloniali avevano instaurato anche una politica educativa discriminatoria a favore degli Hema, che ottennero numerosi vantaggi, soprattutto per quanto riguardava l’accesso a ruoli importanti all’interno dell’amministrazione, della Chiesa cattolica e delle strutture commerciali.
Dopo l’indipendenza, l’élite Hema ha continuato a beneficiare della politica di “Zairianizzazione” (nazionalizzazione, a partire dal 1973, dei mezzi di produzione fino ad allora detenuti dagli stranieri) dell’allora presidente Joseph-Désiré Mobutu (1965-1997), il che ha permesso alle élite Hema di acquistare molte terre.
Anche le autorità di Kinshasa, le élite politiche e militari di altre province congolesi e i paesi limitrofi della RD Congo hanno preso parte, a livelli diversi, ai conflitti che hanno sconvolto l’Ituri. I regimi di Laurent Kabila (1997-2001) e di suo figlio Joseph (2001-2018) hanno tentato di riportare questa regione strategica e ricca di minerali nell’alveo della Repubblica, a volte strumentalizzando le opposizioni interetniche locali. Questo è stato il caso degli anni 2000, quando delle élite congolesi hanno sfruttato le tensioni tra Hema e Lendu, per mobilitare popolazioni e milizie a favore dei loro interessi politici o economici. L’implicazione degli stati vicini ha ulteriormente intensificato il conflitto che, durante la seconda guerra del Congo, si è trasformato in una guerra per procura tra RD Congo, Ruanda e Uganda.
Tra il 1999 e il 2003, le due comunità, Lendu e Hema, si sono scontrate molto violentemente. Le tensioni riguardavano l’accesso alle terre, alle risorse naturali e al potere politico locale. Le ostilità sono state esacerbate dall’intrusione di attori esterni provenienti da Kinshasa o dai paesi vicini, come il Ruanda e l’Uganda, che hanno sostenuto milizie tra loro rivali. Nel mese di maggio 2003, quando nella RD Congo fu instaurato un governo di transizione, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizzò l’Unione Europea ad intraprendere, in Ituri, l’operazione militare Artemide, che mise fine ai combattimenti e riuscì a sottrarre la città di Bunia, capoluogo della provincia, al controllo delle milizie che si erano suddiviso i principali quartieri della città.
Dopo la guerra, il governo di Kinshasa era riuscito a stabilire un certo livello di pace, benché molto fragile. Le ostilità erano cessate e le autorità nazionali avevano istituito un sistema di condivisione del potere volto a garantire la coesione inter-comunitaria, nominando cittadini originari delle diverse comunità ai diversi posti dell’amministrazione provinciale.
Tra il 2003 e il 2006, è stato istituito un regime amministrativo speciale. Tuttavia, le milizie non furono smantellate completamente e alcune conservarono le loro armi. E, benché Kinshasa avesse, in certo modo, esteso la sua autorità sull’Ituri, i problemi che avevano dato origine alla guerra – conflitti relativi alla proprietà delle terre e rivalità per il controllo sulle risorse naturali – non erano stati risolti in modo definitivo.
Dopo il passaggio dell’Ituri, nel 2015, dallo statuto di distretto a quello di provincia, Kinshasa aveva nominato Jefferson Abdallah Pene Mbaka, un Lendu, commissario speciale con le funzioni di governatore provinciale. Era coadiuvato da due vice e da altri funzionari amministrativi, secondo la medesima logica della condivisione del potere tra le diverse comunità.
In marzo 2016, in occasione delle elezione dei governatori, Pene Mbaka era stato confermato governatore dell’Ituri. Come vice governatore fu eletto Keta Upar, membro della comunità Alur, maggioritaria nel territorio di Mahagi. Alcuni importanti ministeri provinciali furono assegnati a membri della comunità hema.
L’improvviso scoppio di violenze perpetrate principalmente dalle milizie Lendu contro gli Hema, a partire dal mese di dicembre 2017, segna l’inizio di un nuovo periodo di forte instabilità politica dell’Ituri e diverse centinaia di persone persero la vita. Sotto la pressione della società civile, che denunciava l’incapacità del governatore Pene Mbaka nel gestire la situazione di insicurezza, il governo di Kinshasa lo destituì in dicembre 2018. Il vice governatore Keta Upar assicurò l’interim fino all’elezione, in aprile 2019, del nuovo governatore Jean Bamanisa, un Hema che si era presentato come candidato indipendente. Chalo Dudu, un Lendu, fu eletto vice governatore.
Tuttavia, l’alternanza alla guida dell’esecutivo provinciale non riesce a porre fine alla violenza. Accusato di cattiva gestione, anche Jean Bamanisa è stato destituito nel mese di novembre 2019, in seguito a una mozione di sfiducia da parte dei deputati provinciali. Nel frattempo, la comunità Hema ha contestato la mozione di sfiducia, provocando una grave crisi politica tra l’assemblea provinciale e il governo provinciale, ciò che ha paralizzato anche il processo di dialogo avviato da Bamanisa con i miliziani e tra le varie comunità etniche. Bamanisa è stato riabilitato in seguito a un ricorso in giustizia e rientra in Ituri il 28 febbraio 2020. Durante i tre mesi della sua assenza, la violenza si è incredibilmente incrementata.
3. VIOLENZE SEMPRE PIÙ GENERALIZZATE
Dopo quattordici anni di relativa pace, nel mese di dicembre 2017, nel territorio di Djugu, èapparsa una nuova ondata di violenze che si sono poi progressivamente estese in altri territori della provincia. A differenza della guerra del 1999-2003, quando gli Hema e i Lendu si scontravano apertamente attraverso le loro rispettive milizie, in quest’ultima ondata di violenze si tratta in gran parte di milizie specifiche composte da giovani Lendu, ma che non sono necessariamente appoggiate dalla maggioranza della loro comunità. All’inizio di questa nuova ondata di violenza, gli aggressori Lendu hanno preso di mira i membri della comunità Hema del territorio di Djugu. Gli attacchi si sono successivamente estesi ad altre parti della provincia, prendendo di mira anche i militari e le altre comunità etniche, tra cui gli Alur del territorio di Mahagi, a nord di Djugu. Anche se alcuni giovani hema hanno reagito con piccoli attacchi a modo di rappresaglia, gli Hema, in quanto comunità etnica, non hanno, almeno per il momento, ancora organizzato una loro propria milizia come negli scontri del 1999-2003.
a. Tensioni intercomunitarie di fronte alla mobilitazione delle milizie Lendu
Nella provincia dell’Ituri, gli scontri occasionali tra Hema e Lendu a livello locale si sono progressivamente trasformati in attacchi sistematici da parte dei miliziani Lendu contro la comunità Hema, soprattutto nel territorio di Djugu e nel nord della provincia.
La morte di un sacerdote lendu, padre Florent Dhunji, in occasione di una sua visita ai sacerdoti bahema di Drodro, il 5 giugno 2017, è stata la scintilla che ha acceso la miccia. La Chiesa cattolica non ha saputo dare informazioni chiare sulle circostanze di quella morte, lasciando spazio a qualsiasi interpretazione. Alcuni Lendu accusarono gli Hema di aver escogitato un piano per sterminare i loro capi, tra cui il sacerdote lendu, che sarebbe stato la prima vittima. Tutto ciò ha fomentato la diffusione di discorsi improntati sull’odio etnico, proprio mentre in entrambe le comunità erano ancora vivi i ricordi del conflitto del 1999-2003.
Dopo diversi mesi di violenze a bassa intensità, il 17 dicembre 2017, a Uzi, nei pressi di Ladedjo, nel territorio di Djugu, una lite tra un militare e un giovane lendu ravviva le tensioni. Dei giovani hema inseguono il giovane lendu e lo picchiano. Il giorno successivo, il giovane Lendu si è vendicato ferendo, con un machete, tre donne hema che stavano lavorando in un campo situato a Ladedjo, in territorio lendu. Per rappresaglia, dei giovani hema hanno attaccato il villaggio di Tete, incendiando diverse decine di case.
Una nuova serie di attacchi ha avuto luogo nel mese di febbraio 2018, nel territorio di Djugu, prendendo di mira soprattutto il distretto di Bahema-Nord, prevalentemente Hema. Il 10 febbraio 2018, gli aggressori hanno ucciso almeno nove persone in villaggi hema del distretto Bahema-Nord. Nello stesso giorno, dei miliziani hanno ucciso altre cinque persone hema a Bahema-Bajere. Le violenze hanno raggiunto il culmine a metà febbraio quando, a Rule, 60 membri della comunità hema sono morti durante l’incendio del loro villaggio. Gli aggressori non sono stati chiaramente identificati ma, secondo diverse testimonianze, si tratterrebbe di una milizia che si sarebbe formata in due distretti principalmente lendu, Walendu-Pitsi e Walendu-Djatsi, nel territorio di Djugu.
b. Le milizie lendu intensificano i loro attacchi, anche contro le postazione dell’esercito
Da febbraio 2018 le milizie lendu hanno preso di mira le postazioni delle forze armate. Per i miliziani lendu, questi attacchi avevano un doppio obiettivo. Da un lato, consentono loro di respingere i militari lontano dalle loro posizioni e, dall’altro, permettevano loro di ottenere armi e munizioni.
Mentre tra settembre 2018 e aprile 2019, le violenze, sebbene frequenti, potevano essere qualificate di intensità relativamente bassa, da maggio a giugno 2019, i miliziani Lendu hanno intensificato i loro attacchi.
Il 10 giugno 2019, quattro commercianti Lendu sono stati uccisi da persone presumibilmente hema, sulla strada per il villaggio di Bembu-Nizi, una zona abitata prevalentemente da Hema. I Lendu hanno immediatamente lanciato delle rappresaglie contro i vicini villaggi Hema. Li hanno sistematicamente incendiati e hanno ucciso i loro abitanti. Alla fine di giugno, diverse fonti parlano di 160 morti. Almeno 360.000 le persone fuggite, in cerca di rifugio in altre zone del territorio di Djugu, o nei territori limitrofi di Mahagi, Aru e Irumu.
In risposta a questi attacchi, in giugno 2019, l’esercito ha lanciato l’operazione militare “Zaruba ya Ituri” (“Uragano Ituri”, in swahili), ravvivando ulteriormente le tensioni tra Hema e Lendu. Questi ultimi si sono fatti un’idea negativa dell’esercito, considerato come un alleato naturale degli Hema.
In questo stesso periodo, gli attacchi si sono estesi oltre il territorio di Djugu, colpendo una vasta area geografica comprendente i territori di Mahagi e Irumu, vicini a Djugu, e prendendo di mira anche la comunità Alur.
Il 16 luglio 2019, dei presunti miliziani Lendu hanno ucciso otto Alur nel raggruppamento Babulaba, nel territorio di Irumu (a sud di Djugu), a circa quindici chilometri a nord della città di Bunia. Il 17 luglio hanno ucciso altri due membri di questa comunità e altre cinque persone nel villaggio di Soloya, nello stesso raggruppamento. Nel mese di settembre 2019, in due settimane, dei miliziani lendu hanno massacrato decine di persone nei territori di Djugu e Mahagi (a nord di Djugu) in sei diversi attacchi.
Alla fine di dicembre 2019, almeno 700 persone erano state uccise e migliaia le case incendiate.
Nel mese di gennaio 2020, in seguito ad un incremento delle violenze nella vicina provincia del Nord Kivu, l’esercito ha abbandonato molte sue postazioni in Ituri, permettendo ai miliziani lendu di riprendere il controllo di ben 22 villaggi dei due distretti di Bahema-Bajere e Bahema-Nord, nel territorio di Djugu e di ricuperare anche due raggruppamenti del distretto di Mokambo, nel territorio di Mahagi, e tutto il Walendu-Pitsi, in territorio di Djugu.
4. I RESPONSABILI: TRA ANTAGONISMI LOCALI E INTRUSIONI ESTERNE
Gran parte delle violenze che si sono propagate a partire dal territorio di Djugu sono attribuibili ai miliziani lendu, alcuni dei quali erano stati membri del Fronte dei Nazionalisti Integrazionisti (FNI). Lo stesso FNI è un ex gruppo armato Lendu basato nello stesso territorio, alleato con la Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI), un gruppo armato Lendu basato a Irumu, che ha preso parte alla guerra dell’Ituri dal 1999 al 2003.
Inizialmente, gli attacchi non furono mai rivendicati ma, in seguito, un’associazione di varie milizie denominata Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) se ne assunse la responsabilità. Si trattava di diversi piccoli gruppi che non dipendevano da alcun comando specifico. Alcune di queste diverse milizie sparse per l’Ituri affermano di far parte di un gruppo diverso e denominato “Unione dei Rivoluzionari per la Difesa del Popolo Congolese (URDPC), ma le autorità civili e militari, come pure l’opinione pubblica, affermano che non ci sia alcuna differenza fondamentale tra la CODECO e l’URDPC e considerano l’URDPC come un’estensione della CODECO.
a. La CODECO
All’inizio della nuova ondata delle violenze, era difficile stabilire l’identità degli aggressori, sebbene tutti gli elementi convergessero su un gruppo di giovani, principalmente Lendu, basato nel settore Walendu-Pitsi. Tuttavia, in seguito le autorità hanno identificato questo gruppo come parte di un’associazione di milizie, la CODECO.
Il 12 giugno 2019, un anno e mezzo dopo l’inizio della ripresa delle violenze, le forze armate congolesi hanno annunciato di aver identificato il capo di questa associazione, un certo Ngudjolo. Secondo diverse testimonianze, la CODECO avrebbe contribuito a mobilitare i giovani lendu, attraverso il suo discorso di odio anti-Hema. Il suo campo base principale situato nella foresta di Wago sarebbe servito come centro di addestramento per i miliziani autori degli attacchi. Lo stesso governatore Bamanisa ha presentato le milizie responsabili degli attacchi come milizie lendu: «Gli autori di queste violenze sono stati identificati. Si tratta di milizie Lendu installate nella foresta di Wago e guidate da un certo Justin Ngudjolo». In giugno 2019, sulle onde di una stazione radio locale, Ngudjolo stesso aveva dichiarato di essere il capo del “gruppo armato della foresta di Wago”, composto da 2.350 uomini organizzati, armati e addestrati per difendere la popolazione lendu dalla comunità hema.
I legami tra la Codeco e le milizie responsabili delle violenze perpetrate durante la guerra del 1999-2003 in Ituri appaiono sempre più chiaramente.
La Codeco, un’organizzazione fondata negli anni 1970 da Bernard Kakado, aveva come obiettivo iniziale la promozione dell’agricoltura nel distretto di Walendu-Bindi, in territorio di Irumu. Durante la guerra del 1999-2003, Kakado organizzò un’operazione di autodifesa della comunità Lendu, unendosi alla Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI), mentre la Codeco, come cooperativa agricola, scomparve.
Alla fine della guerra, le varie milizie etniche non si sciolsero completamente: alcune, come il Fronte dei Nazionalisti integrazionisti (FNI) e la Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI), conservarono le loro armi e continuarono le loro attività.
Quando nel 2017 gli attacchi delle milizie riprendono, la popolazione lendu di Djugu attribuisce le violenze alla Codeco, lasciando supporre un collegamento con Kakado e l’FRPI. Ma, secondo le forze di sicurezza, alcuni degli aggressori Lendu guidati da Ngudjolo e che usano la denominazione Codeco, sono maggiormente legati all’FNI.
Benché i miliziani avanzino delle rivendicazioni sostenute dalla comunità Lendu da decenni, risulta però difficile determinare l’appoggio di cui essi godono all’interno di questa comunità. Queste rivendicazioni ruotano attorno a due questioni principali: da un lato, la riappropriazione di quelle terre di cui gli Hema si sarebbero impossessati e, dall’altro, la volontà di impedire a degli estranei di sfruttare le risorse naturali locali. Detto questo, i capi lendu non apportano alcun appoggio ai miliziani, denunciano le violenze da essi commesse e affermano che, lungi dall’essere un movimento locale, le milizie sono il risultato di manipolazioni esterne da parte di politici congolesi residenti a Kinshasa e in Uganda.
Da marzo 2020, le milizie Lendu hanno subito una serie di sconfitte da parte dell’esercito nazionale. Alcuni loro dirigenti sono stati arrestati e altri sono stati uccisi, tra cui lo stesso Justin Ngudjolo, ucciso il 27 marzo a Mokpa, nel raggruppamento di Buba, in territorio di Djugu.
Tuttavia, nel mese di aprile 2020, per vendicare l’uccisione di Ngudjolo da parte dell’esercito, le milizie lendu hanno intensificato i loro attacchi e hanno ripreso il controllo di diverse località dei territori di Djugu, Mahagi e Irumu. Il 10 aprile, i miliziani hanno ucciso diciassette persone nel villaggio di Dhalla; il 13 aprile, hanno ucciso 28 persone in due diversi attacchi a Ndoki-Koli e a Dzathi, nel distretto di Bahema-Nord. Lo stesso giorno hanno attaccato delle postazioni dell’esercito e della polizia nella cittadina di Mwanga, a 10 chilometri da Bunia, uccidendo almeno cinque persone, tra cui tre militari e due agenti di polizia.
Dopo la morte di Ngudjolo, l’organizzazione interna della Codeco appare meno chiara, come pure la sua capacità di influenza e di controllo sulle altre milizie lendu. Diverse fazioni si contendono la nuova leadership della Codeco, tra cui l’Unione dei Rivoluzionari per la Difesa del Popolo Congolese (URDPC), un movimento politico-militare creato il 19 settembre 2018, con l’obiettivo di unire tutte le milizie etniche attive nella provincia, non solo quelle lendu.
b. Le autorità hema
Di fronte agli attacchi sempre più sistematici da parte dei miliziani lendu, le autorità hema hanno scelto la moderazione. Cercano di dissuadere i giovani hema dall’organizzarsi in milizie in vista di contrattacchi, ma non sempre riescono ad evitare piccoli incidenti, come i blocchi stradali che dei giovani hema hanno eretto su alcune strade dell’Ituri, per controllare gli spostamenti dei Lendu.
Il ritorno nella RD Congo di Yves Panga Mandro Kahwa, il 20 giugno 2019, dopo anni di esilio in Uganda, potrebbe far presagire una reazione più intensa. Ex capo di una milizia hema denominata Partito per l’Unità e la Salvaguardia dell’Integrità del Congo (PUSIC), Kahwa è stato uno dei signori della guerra più efferati della guerra dell’Ituri. Per ora, ha ripreso il suo ruolo di capo tradizionale e ha avviato un dialogo con alcuni capi Lendu. Ma se il conflitto continua, i membri della società civile di Bunia temono che egli possa riattivare i suoi precedenti contatti e incrementare il conflitto.
c. Un inestricabile legame con il Nord Kivu
Durante la seconda guerra del Congo (1998-2002), i movimenti politico-militari sorti nel Nord Kivu stabilirono dei legami con le milizie locali dell’Ituri. Questa dinamica è continuata anche dopo la fine della guerra e perdura ancora oggi. Negli ultimi anni, dei gruppi armati si sono spostati tra il Nord Kivu e l’Ituri, ciò che preoccupa le autorità congolesi, provinciali e nazionali, che temono delle interazioni tra i conflitti in corso nelle due province.
Questi spostamenti continuano ancora oggi. Per esempio: nel territorio di Mambasa, in Ituri, sono arrivati dei membri delle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese presente nel territorio di Beni (Nord Kivu). Sebbene il territorio di Mambasa non sia direttamente legato ai conflitti tra Hema e Lendu, come il territorio di Djugu, le autorità congolesi temono che questi spostamenti di gruppi armati preannuncino l’inizio di un conflitto più ampio che comprenda il Nord Kivu e l’Ituri.
I movimenti dei gruppi armati sono spesso accompagnati da ingenti spostamenti di popolazioni dal Nord Kivu verso l’Ituri. Un caso particolare è l’arrivo, in Ituri, a partire dal 2015, di migranti hutu (localmente denominati “Banyabwisha”) provenienti dal Nord Kivu. Questi nuovi arrivi provocano delle tensioni tra Hema e Lendu, che si accusano a vicenda di collaborare con loro. Secondo un funzionario del governo congolese, i Banyabwisha sarebbero implicati nel conflitto lendu / hema sia come istruttori militari dei miliziani Lendu, sia come guardie per la protezione delle mandrie degli Hema.
In febbraio 2018, le autorità congolesi avevano arrestato alcuni Hutu che avrebbero partecipato ad un attacco perpetrato da miliziani lendu e la popolazione ne avrebbe linciato un altro, a Djugu, per lo stesso motivo. Il 22 giugno 2019, il vescovo cattolico di Bunia aveva evocato la presenza dei Banyabwisha nei territori di Irumu, di Djugu e di Bunia come fattore che potrebbe incrementare le violenze in corso. Il 12 luglio 2019, il governatore ha confermato quell’ipotesi.
La migrazione degli Hutu sta inoltre esacerbando le tensioni in tutta la regione e nella provincia del Nord Kivu. Alcune autorità locali sospettano che i Banyabwisha facciano parte delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato di origine ruandese, presente nel Nord e Sud Kivu sin dal 1994 e sospettato da Kigali di essere appoggiata dall’Uganda. La migrazione degli Hutu e di potenziali membri delle FDLR dal Nord Kivu verso l’Ituri è oggetto di contesa anche con un’altra grande comunità nel Nord Kivu, i Nande, stabilitisi in gran numero in Ituri come commercianti e proprietari terrieri. I Nande accusano i migranti Hutu di aver partecipato ai massacri perpetrati nel territorio di Beni, nel Nord Kivu.
d. Rapporti con movimenti ribelli basati all’estero
Il Ruanda e l’Uganda mantengono entrambi dei legami storici con i gruppi armati attivi nell’Ituri e nel Nord Kivu. Per motivi geografici, il Ruanda ha avuto maggiori interazioni con la zona sud del Nord Kivu, mentre l’Uganda ha svolto un ruolo più importante nella zona Nord del Nord Kivu e nell’Ituri. Diversi gruppi armati congolesi, attivi in precedenti guerre dell’est della RD Congo, sono ora implicati nel conflitto dell’Ituri e operano a partire dall’Uganda.
Tra questi vari gruppi armati, il Raggruppamento Congolese per la Democrazia – Kisangani / Movimento di Liberazione (RCD-K / ML) gioca un ruolo di primo piano. Durante la guerra del 1998-2002, questo gruppo composto prevalentemente da Nande, guidato da Antipas Mbusa Nyamwis e appoggiato dall’Uganda, controllava una parte del Nord Kivu e dell’Ituri. Alcuni suoi membri risiedono tuttora in Uganda e mantengono contatti con i gruppi armati attivi nel Nord Kivu e nell’Ituri. L’elezione di Félix Tshisekedi alla presidenza della Repubblica e il ritorno di Mbusa Nyamwisi in patria, dopo anni di esilio in Uganda, avevano suscitato una certa speranza di pace. Tuttavia, alcuni ex ribelli dell’RCD-K / ML hanno ben presto espresso la loro delusione nei confronti del nuovo governo, essendosi accorti che gran parte del potere era rimasto nelle mani dell’anteriore presidente Joseph Kabila. Contrariamente a quanto aveva sperato, Mbusa Nyamwisi non ha ottenuto alcun posto nel governo di Tshisekedi e ha lasciato nuovamente il Paese.
Nelle attuali violenze commesse in Ituri sarebbero implicati anche alcuni membri dell’ex Movimento del 23 marzo (M23) fuggiti in Uganda dopo la loro sconfitta nel 2013.
Secondo le autorità congolesi, in dicembre 2017, quando nell’Ituri riprendevano le violenze, alcuni membri dell’ex M23 sarebbero partiti da Kamango, nel nord Kivu, per raggiungere il Walendu-Bindi, in territorio di Irumu (Ituri), via Tchabi, un villaggio situato sul confine tra le due province.
Spostamenti di ex membri dell’M23, provenienti dall’Uganda e diretti verso i territori di Aru e di Djugu (Ituri) nel 2018, sarebbero confermati da agenti dei servizi di sicurezza congolesi che avrebbero arrestato alcuni ex-M23 all’interno della foresta di Berunda, in Ituri.
Sebbene sia difficile determinare la portata di queste operazioni di infiltrazione di ex ribelli verso l’Ituri, a livello locale, politici e membri della società civile sono convinti che ci sia un legame tra le violenze commesse in Ituri e le attività svolte da gruppi basati all’estero.
5. ROMPERE GLI INGRANAGGI DELLA VIOLENZA
Il ristabilimento della pace nell’est della RD Congo, compreso nell’Ituri, è una priorità per il Presidente Tshisekedi. Ma la situazione è ancora fragile. Il Presidente dovrebbero concentrare i suoi sforzi sul disarmo delle milizie Codeco e dei loro alleati, il che richiederebbe un dialogo più ampio con le comunità Lendu e Hema, in particolare sulle questioni che sono alla base del conflitto. Dovrebbe inoltre iniziare delle concertazioni con i paesi vicini, per assicurarsi che le milizie e i vari gruppi armati dell’Ituri non ricevano alcun tipo di appoggio materiale o politico proveniente da Paesi esteri.
a. Negoziati per il disarmo
Il governo dovrebbe continuare il dialogo con le milizie implicate nelle violenze perpetrate in Ituri, al fine di disarmarle e persuaderle ad aderire al programma di reinserimento sociale in vista del loro ritorno alla vita civile.
Nel mese di settembre 2019, le autorità provinciali avevano già avuto dei contatti con Justin Ngudjolo, con la mediazione una commissione di pacificazione composta dal capo settore di Walendu-Pitsi, un membro dell’associazione Liberazione della Razza Oppressa in Ituri (LORI), cui fanno parte dei membri della comunità lendu, una delegata delle donne e un rappresentante dei giovani. Ngudjolo aveva presentato le condizioni per la sua resa e la cessazione degli attacchi, tra cui la questione dell’amnistia, l’integrazione dei miliziani nell’esercito nazionale e il riconoscimento dei loro gradi. Tuttavia, queste trattative sono iniziate nel momento in cui il governatore Bamanisa aveva pubblicato una lista di membri della Codeco da arrestare, una richiesta che era stata ampiamente sostenuta dalla società civile e dagli Hema.
Le operazioni militari condotte contro le milizie a partire da giugno 2019 hanno dimostrato tutti i loro limiti. Dopo una riorganizzazione della maggior parte delle unità dell’esercito nel mese di gennaio 2020, i miliziani lendu hanno riguadagnato terreno. Hanno persino intensificato i loro attacchi dopo la firma, nel mese di febbraio 2020, dell’accordo di pace tra il governo nazionale e la milizia lendu FRPI. Quest’ultima, da tempo attiva nel territorio di Irumu, nel sud dell’Ituri, ha finalmente ottenuto, dopo diversi anni di trattative, ciò che oggi i miliziani della Codeco chiedono oggi: l’amnistia e l’integrazione nell’esercito.
Il 4 maggio, dopo la morte di Ngudjolo alla fine di marzo 2020, il suo successore alla guida della Codeco, Olivier Ngabu Ngawi, ha tenuto una conferenza stampa presso la sede dell’ufficio del governatore della provincia. Egli ha invitato i miliziani a porre fine ai combattimenti e ha chiesto all’esercito nazionale un cessate il fuoco, al fine di facilitare i negoziati con il governo di Kinshasa. Tuttavia, non tutti i miliziani della Codeco hanno seguito l’appello del nuovo leader ribelle; gli attacchi sono continuati e si sono intensificati. Il 14 maggio, undici persone sono state uccise in un attacco coordinato nei territori di Djugu e di Mahagi. È troppo presto per dire se i negoziati possano riprendere nel prossimo futuro e a quali condizioni.
Paradossalmente, l’accordo con l’FRPI potrebbe complicare le trattative con i membri della Codeco e altre milizie. In effetti, le autorità sono ora piuttosto riluttanti a continuare a integrare le milizie dell’Ituri nell’esercito nazionale, già saturo di ex ribelli e miliziani. La sfida per Tshisekedi sarà quella di ottenere una resa delle milizie, senza però offrire loro la possibilità dell’integrazione nell’esercito, ma solo quella di un ritorno alla vita civile.
Per quanto riguarda invece l’amnistia, il governo dovrà offrire alle milizie le stesse condizioni concesse all’FRPI, in particolare per quanto riguarda la selezione caso per caso, escludendo gli elementi colpevoli di reati gravi, che dovranno essere consegnati alla giustizia. Il Presidente Tshisekedi dovrà cercare di convincere gli Hema ad appoggiare questo procedimento, nonostante la loro opposizione di principio all’amnistia.
Per accelerare questo processo, il presidente dovrebbe facilitare e finanziare il dialogo tra Hema e Lendu, con l’appoggio del gruppo parlamentare dell’Ituri. L’obiettivo dovrebbe essere quello di raggiungere un ampio consenso sulle modalità di disarmo della CODECO e delle altre milizie e sulle questioni dell’amnistia da concedere ai loro membri.
b. Reintegrazione nella vita civile
La principale causa del fallimento dei precedenti programmi di Disarmo e reinserimento (DDR) è la mancanza di impegno politico da parte delle autorità congolesi e la loro incapacità di affrontare le questioni che stanno alla base di una violenza strutturale. Alcuni politici hanno continuato ad appoggiare un certo numero di gruppi armati, per usarli a proprio vantaggio o come suppletivi dell’esercito, rimandandoli sul fronte. D’altra parte, i vari precedenti programmi DDR non sono riusciti a risolvere le cause profonde della violenza, come le disparità di accesso alle terre, la gestione del potere e la mancanza di opportunità economiche per i giovani. Per garantire una pace duratura, il governo dovrebbe fare proposte concrete. In particolare, dovrebbe offrire ai miliziani delle opportunità economiche, per evitare il fenomeno del cosiddetto ritorno circolare, cioè di quella “navigazione tra la vita civile e la milizia” che da diversi anni caratterizza l’est della RD Congo. Per fare questo, i programmi DDR dovranno basarsi su strutture di accoglienza capaci di offrire una formazione adeguata alle esigenze economiche dei miliziani disarmati.
c. Dialoghi a livello locale e provinciale
Le trattative avviate dal governo provinciale dell’Ituri con le milizie non possono che essere un primo passo per porre fine alle violenze. Esse dovrebbe essere immediatamente seguite da un dialogo tra i capi e le autorità locali delle zone più colpite dal conflitto nel territorio di Djugu, come Walendu-Pitsi, Walendu-Tatsi, Bahema-Nord e Bahema-Banywagi. In particolare, il governo provinciale dovrebbe incoraggiarli a consultarsi regolarmente, per identificare quelle difficoltà che, a livello locale, causano l’esplosione della violenza. Tra esse: i conflitti relativi alla proprietà delle terre e l’accesso alle risorse naturali. Questo dialogo dovrebbe servire anche per proporre delle misure preventive e raccomandazioni concernenti la gestione della sicurezza.
Inoltre, un dialogo inter ituriano inclusivo di tutte le comunità della provincia – comprese quelle non direttamente coinvolte nella crisi attuale – servirebbe per affrontare i vari problemi nel loro insieme, piuttosto che limitarsi a quelli delle sole due comunità Lendu e Hema. Questo dialogo dovrebbe concentrarsi sulle questioni relative alla gestione e alla allocazione delle risorse pubbliche che rischiano di diventare fonte di conflitti intercomunitari, se mancassero di trasparenza e di equità.
Le autorità nazionali dovrebbero sbloccare risorse finanziarie significative, affinché l’Ituri possa affrontare queste numerose sfide, soprattutto in materia di sviluppo e di sicurezza delle comunità. Pertanto, Kinshasa dovrebbe chiedere la collaborazione dei suoi partner bilaterali tradizionali, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Banca Mondiale, affinché contribuiscano a un fondo speciale per l’Ituri.
d. Un ruolo costruttivo da parte dei Paesi limitrofi
Per porre fine alle reciproche accuse esistenti tra i Paesi limitrofi, soprattutto l’Uganda e il Ruanda, e al loro appoggio ai gruppi armati, di origine nazionale e straniera, attivi in Ituri e nell’est del Paese, il presidente Tshisekedi dovrebbe porre la diplomazia regionale al centro della sua strategia.
In questa prospettiva, il forum quadripartito (Angola, Uganda, RD Congo e Ruanda), riunitosi per la prima volta a Luanda il 12 luglio 2019, potrebbe essere un utile strumento, per allentare le tensioni tra Kampala e Kigali e disinnescare la situazione in Ituri.
Benché informale e ristretto, questo vertice fa parte della Conferenza Internazionale per la rRgione dei Grandi Laghi (CIRGL). Quest’organo intergovernativo composto dagli Stati della regione è uno dei garanti dell’Accordo quadro del 2013 per la pace, la sicurezza e la cooperazione.
Come già raccomandato da International Crisis Group, con il sostegno delle Nazioni Unite e dei membri del Consiglio di Sicurezza, il forum dovrebbe far pressione sull’Uganda e sul Ruanda, affinché chiariscano tra loro le loro reciproche accuse, fornendo le prove sull’appoggio materiale e politico che ciascuno di essi fornisce ai gruppi armati attivi nell’est della RD Congo, compresi quelli dell’Ituri. Successivamente, il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RD Congo, incaricato dal Consiglio di sicurezza di eseguire un’inchiesta sull’appoggio apportato ai gruppi armati e di pubblicarne le prove, e il meccanismo congiunto di verifica della CIRGL, che ha lo stesso mandato a livello regionale, potrebbero approfondire le indagini su tali affermazioni. Tutto ciò potrebbe indurre l’Uganda e il Ruanda a discutere apertamente sulle loro reciproche accuse di appoggio ai gruppi armati presenti nell’est della RD Congo, al fine di porvi fine. La situazione in Ituri dovrebbe essere trattata all’interno di queste discussioni.
6. CONCLUSIONE
Il conflitto dell’Ituri, in una zona ricca di risorse naturali dove circolano armi ed ex signori della guerra, rischia di intensificare una situazione di violenza già molto grave. Da dicembre 2017, le autorità e la popolazione locale sono molto preoccupate per questa crisi che potrebbe aggravarsi e causare molte altre vittime. Inoltre, le interazioni con gruppi armati attivi nel Nord Kivu e l’implicazione di paesi limitrofi lasciano presagire un’estensione geografica della crisi. Il Presidente Tshisekedi ha posto tra le sue priorità la fine delle violenze nell’est del Paese e del conflitto dell’Ituri. Per realizzare questo immenso progetto e riuscire a finanziarlo, egli avrà bisogno dell’appoggio dei partner nazionali e internazionali della RDC e di quello dei paesi della regione.
[1] Cf https://www.crisisgroup.org/fr/africa/central-africa/democratic-republic-congo/292-republique-democratique-du-congo-en-finir-avec-la-violence-cyclique-en-ituri