I MASSACRI SUL TERRITORIO DI BENI: VIOLENZA POLITICA, DISSIMULAZIONE E COOPTAZIONE (3)
Gruppo di Ricerca sul Congo (GEC)
Rapporto investigativo n. 2 (3ª parte)
Settembre 2017[1]
INDICE
6. LO STUDIO DI DUE CASI
a. I massacri di Boikene in ottobre-novembre 2014
i. I preparativi degli attacchi
ii. I massacri del 2014
iii. Il massacro di Vemba
iv. Un tradimento politico
b. I massacri di Bambuba-Kisiki
i. Contesto: i partner locali delle ADF
ii. Lo svolgimento dei massacri
iii. Le spirali della violenza a Bambuba-Kisiki
iv. L’implicazione delle ADF nei massacri di Bambuka Kisiki
7. L’IMPLICAZIONE DI RUANDOFONI
a. L’implicazione di migranti ruandofoni
b. I Ruandofoni e le ADF
c. I Ruandofoni e l’ex-APC
d. I Ruandofoni e i capi locali
e. I Ruandofoni e gli ufficiali di Sukola I
8. CONCLUSIONE
6. LO STUDIO DI DUE CASI
Al fine di illustrare alcune delle dinamiche precedentemente descritte e fornire ulteriori prove sulle diverse responsabilità circa i massacri commessi sul territorio di Beni (Nord Kivu), ci concentriamo su due casi che rivelano l’implicazione simultanea delle FARDC, delle milizie locali, dell’ex-APC, delle ADF e di attori ruandofoni.
a. I massacri di Boikene in ottobre-novembre 2014
Alcuni dei primi e più letali attacchi hanno avuto luogo a Boikene, a nord della città di Beni, tra ottobre e novembre 2014. Tra questi, i massacri di Vemba, in cui furono uccise circa 80-200 persone. Numerosi testimoni hanno confermato che degli ufficiali di Sukola I hanno utilizzato dei membri di una milizia locale per perpetrare questi massacri, poi li hanno denunciati per farli arrestare, confiscare le loro armi e accusarli presso la giustizia.
i. I preparativi degli attacchi
Guidata da Mbonguma Kitobi e attiva a Boikene, la milizia Mayangose fu formata con l’obiettivo dichiarato di ristabilire l’accesso alle terre che si trovavano all’interno del vicino Parco Nazionale dei Virunga. Questa milizia ha appoggiato alcuni ufficiali dell’esercito congolese provenienti dall’ex-APC, con i quali aveva spesso effettuato il commercio di legname tagliato nel parco. Durante il 2012 e il 2013, l’ex-APC aveva tentato di creare una nuova ribellione. È in quel periodo che Kakolele aveva stretto dei legami con Mbonguma e altri comandanti della milizia di Mayangose, per poter disporre di una base locale più ampia per un nuovo gruppo armato che stava organizzando con Adrian Loni e altri collaboratori. Sei membri della milizia Mayangose implicati nelle uccisioni del 2014 hanno dichiarato di essere stati reclutati durante quel periodo e incoraggiati dai capi locali che dicevano loro che avrebbero lavorato per conto dell’ex-APC e di Mbusa Nyamwisi.
Nel 2012-2013, il capo Mbonguma Kitobi e i comandanti della milizia di Mayangose hanno lavorato in stretto contatto con Kakolele, Lusenge e Adrian Loni, per creare questo loro gruppo armato nei pressi di Boikene. Mentre Adrian reclutava nuove leve a Kampala per conto di Kakolele e Lusenge, questi ultimi due stavano organizzando il loro campo base a Beni, più precisamente presso le rive occidentali del fiume Semliki, vicino a Mayangose, come affermato da Mbonguma nella sua dichiarazione di arresto da lui firmata: «Nel 2013, precisamente in febbraio, ho collaborato con David Lusenge, un colonnello delle FARDC, che voleva iniziare una ribellione con Kakolele e Sibenda [Kambale] … Questa ribellione del gruppo di Kakolele si stava formando in Uganda per attaccare il Congo».
Quando Adrian Loni è tornato a Beni da Kampala, dopo essere stato arrestato e liberato dalle autorità ugandesi nel mese di maggio 2013, egli ha lavorato in stretto contatto con i comandanti della milizia di Mayangose, presentandosi come membro delle ADF. Un comandante della milizia di Mayangose ha spiegato: «[Mbonguma] mi disse che aveva dei miliziani che voleva mettere a disposizione dei capi delle [ADF] NALU, per attaccare la città di Beni. È in questa circostanza che ci ha presentato Adrian, dicendoci che era un dirigente delle [ADF] NALU con cui avremmo dovuto coordinarci». Cinque comandanti della milizia di Mayangose implicati nelle uccisioni del 2014 hanno dichiarato di aver collaborato, verso luglio 2013, con Kakolele e Adrian, per l’acquisto di armi e il reclutamento di combattenti stranieri.
Un altro comandante della milizia di Mayangose ha riferito di aver portato, con Adrian, delle armi nella residenza di Kakolele situata a Boikene. In seguito alle attività di reclutamento svolte a Kampala, il gruppo che operava con la milizia di Mbonguma includeva anche degli Ugandesi. Nei pressi del fiume Semuliki, fu istituito un centro di addestramento per la loro formazione. A questo proposito, il Gruppo di esperti dell’Onu ha riferito che, in quel periodo, cittadini ugandesi reclutati e armati da Kakolele e Lusenge erano stati arrestati in Congo.
Altri membri della milizia di Mayangose hanno affermato che, nel periodo 2012 – 2013, avevano collaborato anche con altri importanti comandanti dell’esercito regolare provenienti dall’ex-APC, tra cui Kava wa Seli, Hilaire Kombi, Samuel Birotsho e Charles Lwanga. Da parte loro, Kakolele e Adrian rimasero in stretto contatto con Mbonguma e i comandanti della sua milizia durante tutto il periodo degli attacchi perpetrati da ottobre a novembre 2014.
ii. I massacri del 2014
Mbonguma Kitobi ha ammesso che la sua milizia, i Mai-Mai di Mayangose, ha partecipato ai massacri del 2014. Come riferito da miliziani e autorità locali, questa milizia ha partecipato a molti dei principali massacri del 2014, tra cui gli attacchi di Ngadi e Kadou (ottobre 2014, 31 morti), Muzambayi, Masulukwede, Vemba (novembre 2014, 80-200 morti) e Kasinga. Vari membri della milizia di Mayangose hanno affermato che credevano di operare per conto dell’ex-APC e di Mbusa Nyamwuisi.
La milizia di Mayangose aveva già partecipato alla mobilitazione dell’ex-APC nel 2010 e dal 2012 al 2013. Questi legami sono emersi anche in occasione dei massacri del 2014. Un partecipante ai massacri ha così presentato la milizia di Mayangose: «L’80% di noi è ex-APC. Io stesso ero APC. I capi del nostro gruppo sono persone con cui abbiamo collaborato nell’APC». I partecipanti ai massacri del 2014 hanno confermato l’appoggio di vari ufficiali FARDC, tra cui Kakolele, Birotsho, Bosco Pendani, Tshibangu e Lwanga.
Un partecipante ai massacri ha detto: «Kakolele è il nostro” istruttore “… ci ha portato armi, munizioni, uniformi e viveri … Kakolele e Lwanga hanno consegnato delle armi delle FARDC al nostro capo Mbonguma». Un altro coordinatore della milizia di Mayangose ha affermato che Birotsho e Lwanga erano incaricati di “appoggiare i nostri uomini di Mayangose” e ha ammesso che “i nostri” hanno collaborato con le FARDC nella pianificazione dei massacri.
Alcuni membri della milizia hanno dichiarato di aver operato insieme alle ADF durante gli attacchi.
I legami di Mbonguma con le ADF erano già stati forgiati in precedenza, dal momento in cui la milizia di Mayangose aveva collaborato con l’ex-APC e le ADF durante operazioni precedenti, tra cui l’attacco del 2010 a Nyaleke, organizzato con l’appoggio di Adrian Loni, e l’attacco del 2013 contro la base militare dell’OZACAF.
A proposito dei massacri del 2014, un’autorità locale che ha appoggiato la milizia di Mayangose ha affermato che Mbonguma aveva incontrato dei membri delle ADF e che, dopo questi incontri, aveva trasmesso ordini ai suoi vicecapi: «Anche i capi di rango inferiore [sottoposti a Mbonguma] hanno lavorato con le ADF. Il nostro compito era quello di portare loro dei viveri… Le ADF erano la nostra retroguardia e abbiamo lavorato insieme. Mbonguma andava a parlare con le ADF e poi tornava per riportare gli ordini ai suoi [vice-capi]». Un partecipante ai massacri perpetrati nei dintorni di Boikene ha affermato che chi guidava le loro operazioni era un comandante ugandese e ha spiegato che «le ADF erano la nostra forza di appoggio. Noi non facevamo nessuna operazione senza le ADF. Quando facevamo un’operazione, la facevamo insieme a loro».
Queste relazioni hanno fatto sì che la milizia di Mayangose diventasse l’obiettivo principale delle FARDC che cercavano di cooptare i gruppi armati più importanti della zona. Alcuni partecipanti ai massacri hanno dichiarato che, prima delle violenze, Mundos aveva incontrato i capi della zona, tra cui Mbonguma e il suo segretario. Il segretario di Mbonguma e un reclutatore di miliziani hanno affermato che, all’inizio degli attacchi, Mundos e Ntumba si sono recati da Mbonguma per chiedergli una sua collaborazione, promettendogli una ricompensa. Sebbene ci siano diverse versioni sul fatto che Mbonguma abbia accettato o meno l’offerta, un combattente ha rivelato che Mundos lo aveva incontrato e lo aveva informato sull’esistenza, a Mayangose, di un campo di addestramento per i suoi dipendenti.
Due collaboratori di Mbonguma hanno riferito di un viaggio che egli aveva fatto a Kinshasa per delle riunioni e che ne era ritornato con dei soldi per la sua milizia.
Alcuni stretti collaboratori della milizia di Mayangose, Adrian Loni e Charles Lwanga, ottennero dei posti di comando in Sukola I. Come ha affermato un membro dell’ex-APC che aveva collaborato con la milizia, «Mundos ha collaborato con la milizia di Mayangose e ha designato Lwanga come incaricato delle relazioni tra lui, Mbonguma e Kakolele». Dopo le loro nomine, Charles Lwanga e Adrian Loni hanno continuato a collaborare con dei membri della milizia nella realizzazione dei massacri.
iii. Il massacro di Vemba
Il massacro del 20 novembre 2014 à Vemba si è svolto in concomitanza con quelli di Tepiomba e di Masulukwede, con un totale di circa 120 vittime. Secondo un bilancio ufficiale, il numero delle vittime di Vemba si aggirerebbe tra le 60 e le 80 persone ma, secondo i partecipanti al massacro, si avvicinerebbe alle 200 persone.
L’attacco sarebbe stato effettuato da un gruppo misto di combattenti, tra cui dei membri della milizia di Mayangose, delle truppe delle ADF e dei comandanti di Sukola I. Il giorno prima dell’attacco, i vice-capi di Mbonguma (Saliboko, Pharaon e Caros) avevano chiesto agli abitanti della zona di partecipare a una riunione che il capo Mbonguma aveva programmato per il giorno seguente. Anche Leandre Kitsa – comandante della milizia Mayangose e stretto collaboratore di Kakolele e Adrian – avrebbe incoraggiato gli abitanti a partecipare a questa riunione.
Una volta arrivati sul luogo dell’incontro, gli abitanti del villaggio sono stati attaccati e uccisi. Testimoni oculari e investigatori delle Nazioni Unite hanno notato che gli autori avevano legato alcune vittime prima di ucciderle.
Come in altri attacchi, nei giorni precedenti al massacro, erano arrivati alcuni “visitatori” – forestieri non conosciuti dalla gente del posto – che hanno conversato con la gente e che, nelle ore prima dell’attacco, sono stati visti mentre bevevano birra. Alcuni di questi forestieri indossavano uniformi delle FARDC e loro stessi avevano detto alla popolazione di essere dei militari delle FARDC. Questi forestieri hanno poi preso parte alle uccisioni.
Molti testimoni dell’attacco hanno confermato l’implicazione di più gruppi. Tre testimoni oculari e tre membri della milizia reclutati da Mbonguma e dai suoi sotto-capi hanno confermato che l’attacco di Vemba è stato perpetrato dai Mai-Mai Mayangose. Quattro membri della milizia di Mayangose che hanno partecipato al massacro hanno dichiarato di aver collaborato con le ADF. Un partecipante all’attacco ha affermato: «eravamo insieme, noi Mai-Mai e le ADF … il massacro di Vemba è stato organizzato da Mbonguma, Saliboko e Faraone in collaborazione con le ADF».
Vi sono anche prove sostanziali dell’implicazione delle FARDC. Un membro della società civile locale ha riferito che la 31ª brigata aveva predisposto un perimetro di “sicurezza” intorno alla zona dell’attacco, consentendo agli assalitori di operare senza essere ostacolati.
Una fonte dell’intelligence militare delle FARDC ha affermato che, per l’attacco di Vemba, il colonnello Muhima collaborò con Mbonguma e Leandre Kitsa. Leandre ha confermato che, nei giorni precedenti all’attacco, il generale Mundos aveva incontrato il capo Mbonguma. Prima dell’attacco, Mbonguma aveva condotto Kakolele a Mayangose e Adrian a Vemba e, durante l’attacco, è servito come guida per il “tenente colonnello” Adrian.
Leandre Kitsa ha rivelato il ritrovamento, in una jeep della 31ª brigata FARDC dell’operazione Sukola I, di una lista dei pagamenti effettuati da Adrian Loni dopo il massacro di Vemba.
RIQUADRO 3. Tre membri della milizia Mayangose hanno descritto le motivazioni della loro partecipazione ai massacri
– Miliziano 1: «Il capo Mbonguma ci diceva che, se avessimo preso il controllo su Beni e Lubero, alcuni membri della nostra etnia sarebbero diventati degli importanti dirigenti del Paese, altri avrebbero ottenuto alti posti nell’esercito e Mbusa Nyamwisi sarebbe diventato Presidente della Repubblica».
– Miliziano 2: «Il nostro obiettivo nell’organizzazione dei massacri era quello di provocare una rivolta popolare contro il governo. Sono stati degli originari del posto (watoto wa mugini) a organizzare i massacri, tra cui Kakolele e Mbusa Nyamwisi».
– Miliziano 3: «In primo luogo, l’obiettivo era quello di rovesciare il governo. In secondo luogo, i massacri erano una strategia per incitare la popolazione contro il governo. In terzo luogo, dopo la caduta del governo, avremmo creato il nostro governo».
(Domanda: Quale governo? Risposta: Il governo Nande. Volevamo prendere Lubero e Beni, questo era il nostro obiettivo. Mzee sarebbe diventato presidente.
Domanda: Chi è Mzee? Risposta: Il presidente del RCD / K-ML).
iv. Un tradimento politico
Degli ufficiali ex-APC di Sukola I hanno collaborato con i membri della milizia di Mayangose per l’organizzazione di vari massacri, poi alcuni di loro hanno accusato vari loro collaboratori, ciò che lascia pensare a un tradimento e che la collaborazione nell’organizzazione dei massacri sia servita per fare arrestare degli avversari politici e militari. Attraverso gli arresti sistematici di membri di milizie locali appoggiate dall’ex-APC e di gruppi armati appoggiati dall’opposizione (RCD-K/ML), Kinshasa ha potuto avviare procedure giudiziarie contro suoi stessi collaboratori e, nello stesso tempo, coprire le proprie responsabilità.
Il ruolo del “tenente colonnello” Adrian Loni illustra questa dinamica.
Dopo anni di attività a fianco dell’ex-APC, Adrian ha collaborato con i servizi di sicurezza dello stato, per far arrestare e condannare molti suoi ex collaboratori, tra cui quelli che lo avevano aiutato a compiere i massacri.
All’inizio di ottobre 2014, Adrian è diventato il testimone centrale che ha accusato il tenente colonnello ex-APC, Samuel Birotsho, di aver organizzato l’attentato contro il primo comandante di Sukola I, Mamadou Ndala. In effetti, Birotsho è stato processato e condannato a morte, insieme a Jamil Makulu, per terrorismo e appartenenza alle ADF, in gran parte sulla base della testimonianza di Adrian, pochi giorni prima del massacro di Vemba.
In dicembre 2014, Adrian Loni ha contribuito a organizzare anche l’arresto di comandanti della milizia di Mayangose implicati nel massacro di Vemba. Tra gli arrestati, si può citare Leandre Kitsa, che era stato pagato proprio da Adrian per la sua partecipazione al massacro e che aveva descritto Adrian come un “amico”.
Adrian Loni ha anche condotto le FARDC in luoghi in cui c’erano dei nascondigli d’armi dell’ex-APC, fra cui quello di Mayangose, che egli stesso aveva gestito in collaborazione con altri. Un secondo nascondiglio di armi gestito da ufficiali dell’ex-APC, tra cui David Lusenge, fu sequestrato a Ndama. Adrian stesso aveva precedentemente contribuito a depositarvi delle armi.
b. I massacri di Bambuba-Kisiki
Nel nord del territorio di Beni, anche il raggruppamento di Bambuba-Kisiki divenne epicentro di violenze. I massacri perpetrati lungo la strada che va da Oicha a Eringeti manifestano gli stretti rapporti esistenti tra le ADF e alcuni loro partner locali: i capi e i miliziani del gruppo minoritario Vuba. Come altrove, questi massacri hanno messo in evidenza la complicità di alcuni ufficiali superiori dell’operazione Sukola I.
i. Contesto: i partner locali delle ADF
Le motivazioni etniche erano facilmente decifrabili nei massacri di Bambuba-Kisiki. La minoranza Vuba aveva visto diminuire il suo accesso alle terre e alle entrate fiscali, mentre i migranti Nande provenienti da Lubero acquistavano terreni agricoli e dominavano economicamente e demograficamente la zona. Le violenze erano dirette principalmente contro i capi Nande e i moderati Vuba.
Le ADF avevano legami intimi a Bambuba-Kisiki e, col passare del tempo, i capi Vuba si erano affidati alle ADF per costruire la propria milizia. Le ADF avevano addestrato i membri della milizia Vuba, vari dei quali si erano integrati nelle ADF. I servizi segreti militari hanno riferito che la milizia Vuba aveva venduto risorse naturali alle ADF in cambio di armi, aggiungendo che le autorità Vuba praticavano il commercio dell’oro e di altri minerali proprio vicino ai campi base delle ADF. Dei capi Vuba avevano ottenuto dei posti influenti all’interno delle ADF, come il “maggiore” Okabo, capo località di Kisiki. I capi Vuba hanno potuto approfittare dei loro rapporti con le ADF per regolare i conti con certi capi Nande.
Per i Vuba, i massacri iniziati nel 2014 rappresentavano l’ultimo mezzo per ristabilire il loro accesso alle terre, alle entrate fiscali e alle risorse naturali, come il legname e l’oro. I capi e i miliziani Vuba consideravano le violenze come un mezzo per “cacciare i Nande” fuori del territorio. Questo obiettivo mirava a ristabilire l’accesso dei Vuba non solo alla terra, ma anche a posti socialmente importanti, come quelli degli ospedali e delle chiese. In effetti, nel corso del tempo, i Nande erano arrivati a controllare la maggior parte di questi posti, suscitando un certo risentimento tra i Vuba. All’inizio dei massacri del 2014, le autorità Vuba avevano messo in guardia i migranti Nande, come descritto da un rappresentante della società civile: «Cacceremo i Nande da questa zona, in modo che essa ritorni nelle nostre mani. A quelli che hanno delle funzioni importanti o dei ruoli di leadership, diciamo: andatevene. Uscite da tutte le organizzazioni come la FEC, i comitati per lo sviluppo e le associazioni sociali. Lasciate la guida delle chiese come la CECA 20. Avete preso la direzione dell’amministrazione e delle ONG. Avete mangiato a sazietà. Ora uscite da questa zona».
Benché i massacri abbiano dato una dimensione particolarmente violenta a un obiettivo Vuba di lunga data, essi non possono però essere ridotti a un piano dei soli Vuba. Infatti, nel passato, queste controversie non erano mai state così violente. Un nuovo partenariato tra delle ADF frammentate e più virulente e degli ufficiali della 31ª Brigata dell’operazione Sukola I, ha modificato le dinamiche locali e intensificato le violenze.
ii. Lo svolgimento dei massacri
I massacri di Bambuba-Kikisi si sono svolti in tre fasi principali.
– I massacri sono iniziati nel corso di una prima fase ambigua, in cui il controllo sugli avvenimenti stava passando dai primi ai secondi motori.
– Una seconda fase è iniziata quando l’Operazione militare Sukola I intrapresa dall’esercito nazionale ha provocato la frammentazione delle ADF. In questa fase si è notata un’accresciuta determinazione dei Vuba nel volere perseguire, in forma più violenta, l’attuazione del loro vecchio obiettivo di ricuperare l’accesso alla terra e ai posti amministrativi più rilevanti. Durante questa fase, anche gli ufficiali di Sukola I hanno contribuito all’escalation della violenza.
– In una terza fase, si è notata la partecipazione diretta, nell’organizzazione dei massacri, della milizia Vuba, in collaborazione con le ADF. In questa tappa, l’apparizione di un gruppo più virulento di leader Vuba ha fatto sì che violenze si siano deteriorate in lotte tra clan.
In tutte queste tre fasi sono stati implicati anche dei gruppi di Ruandofoni.
+ Pianificazione iniziale (primi motori)
Nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki c’erano diversi gruppi armati.
In primo luogo, il raggruppamento di Bambuba-Kisiki ha avuto un ruolo importante nell’evoluzione della mobilitazione dei gruppi armati avvenuta nel 2013.
La MONUSCO ha accertato che Hilaire Kombi aveva collaborato con le ADF a Bambuba-Kisiki nel 2013 e lo stesso Hilaire Kombi ha dichiarato di avere delle sue truppe in quella zona.
La MONUSCO ha dichiarato che anche David Lusenge aveva delle truppe a nord-ovest di Eringeti e lo stesso Lusenge ha ammesso di essersi recato in quella zona nello stesso momento in cui stava organizzando altri campi base a Watalinga e a Ruwenzori.
Altri affiliati dell’ex-APC, come Edouard Nyamwisi, erano attivi in quella zona e collaboravano con i capi Vuba e la loro milizia. Anche degli ufficiali ex-APC membri dell’esercito, tra cui Kakolele Bwambale, avevano collaborato con i capi Vuba nel traffico di legname.
Benché la collaborazione tra gli ex-APC e i Vuba possa apparire contraddittoria, essa è spiegabile per il fatto che le tensioni constatate nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki erano dirette specificamente contro i migranti Nande provenienti da Lubero. I Nande di Beni, che avevano le loro autorità tradizionali locali, non esercitavano alcuna pressione sulle terre dei Vuba, che li consideravano come dei “fratelli”.
Inoltre, a Bambuba-Kisiki, se gli ex-APC volevano entrare in contatto con le ADF, essi avevano praticamente bisogno della mediazione dei Vuba, che avevano già stretti legami con le ADF. Un’autorità Vuba ha spiegato che le prime idee sui massacri erano sorte attraverso questi legami: «Il gruppo di Kakolele (ufficiale ex-APC) ci aveva proposto tre strategie per recuperare il potere: 1) fare la guerra, ma questa strategia era stata respinta, perché le autorità locali non avevano armi sufficienti. Quindi abbiamo adottato una seconda strategia: 2) i sequestri dei membri delle famiglie al potere. Nell’attuazione di questa strategia, quando avevamo un obiettivo specifico e preso di mira una determinata persona, sequestravamo anche altre persone insieme ad essa, per dissimulare i nostri obiettivi specifici. Sfortunatamente, questa strategia non ha dato alcun risultato. 3) La terza strategia era quella dei massacri. Quelli presi di mira non erano gli abitanti in generale, ma i membri delle famiglie che detenevano il potere».
Nel contesto più ampio dei conflitti di Beni, la milizia Vuba è spesso descritta come parte dello stesso gruppo dei Mai-Mai Mayangose di Mbonguma, ciò che riflette narrazione di una comune emarginazione dei Vuba e dei Bapakombe.
In effetti, un membro della milizia Vuba ha definito la milizia di Mbonguma come “il nostro gruppo” di riferimento.
A proposito delle relazioni tra la milizia Vuba e le ADF, due capi di questa milizia Vuba hanno dichiarato che, durante l’operazione Sukola I, dei membri di spicco della famiglia Vuba erano con le ADF, più precisamente a Madina, quando le FARDC hanno preso d’assalto questo campo base delle ADF nel mese di aprile 2014.
Alcuni comandanti ADF, tra cui Braida e Feza, avevano stretti rapporti con i Vuba e hanno avuto un ruolo importante a Bambuba-Kisiki.
Braida aveva collaborato con Kakolele, ufficiale ex-APC dell’esercito nazionale.
Feza era stato in continuo contatto con Okabo, il capo località di Kisiki, tanto che gli abitanti sospettavano che Feza avesse dei legami familiari a Kisiki. Feza era visto come il capo delle truppe Vuba all’interno delle ADF prima della caduta di Madina e mantenne un ruolo di primo piano tra i Vuba, quando le ADF si frammentarono e i massacri ebbero inizio.
I capi Vuba avevano continuato a rifornire le ADF, anche dopo l’inizio dell’operazione militare Sukola I. Questi rapporti erano già evidenti nella prima fase dei massacri del 2014.
RIQUADRO 4. Panoramica della milizia Vuba
La milizia Vuba, descritta dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite come “Gruppo Matata”, si appoggiava su una base multietnica di Beni e del sud Ituri, tra cui i Vuba, i Lese, i Nyali e i Batalinga. Inizialmente, comprendeva anche dei membri dell’etnia dei Bapakombe, anche se ciò sembra essere diminuito man mano che l’operazione Sukola I progrediva e i massacri aumentavano. Il suo obiettivo era quello di recuperare le terre occupate da migranti Nande arrivati a Bambuba-Kisiki da Lubero e di prendere il controllo sul sistema fiscale.
• Comandanti:
Castro: ha collaborato con i capi Okabo (Kisiki) e Boroso (Baungatsu-Luna).
Unde (o Onde, Undebei) Pascal: M’vuba di Upira, ha collaborato con il capo Boroso.
• Gruppi armati alleati:
Le ADF e la milizia Mayangose di Mbonguma
• Campi base:
Bango, Ndimo e Kamakombu
+ L’implicazione della 31ª Brigata FARDC (secondi motori): i suoi rapporti con la milizia Vuba e le ADF
Alcuni comandanti FARDC di Sukola I, o “secondi motori”, furono implicati nei massacri di Bambuba-Kisiki sin dall’inizio. Come altrove a Beni, sembra che essi abbiano fomentato l’aumento delle violenze. Secondo quanto riferito da autorità locali, Mundos si è rivolto alle autorità locali che avevano dei legami con le ADF per facilitare i propri contatti con esse.
Già prima dei massacri, Mundos aveva organizzato degli incontri con i capi di Bambuba-Kisiki e della zona circostante. Secondo Okabo (capo località di Kisiki), quando Mundos fu nominato comandante dell’operazione Sukola I, “chiamò tutti i capi tradizionali di Eringeti”, tra cui Okabo Mabruki (di Kisiki), Jonas Kibondo (di Mayi Moya), Undebibi Adongya XI (di Eringeti ), Boroso (di Baungatsu-Luna) e il capo della comunità Vuba, Banihasi Makasi, pastore della chiesa CECA 20. Non ci sono prove che dimostrino che Mundos abbia usato questi incontri per incitare alla mobilitazione armata. In quel momento, Mundos riteneva semplicemente necessario coinvolgere i capi locali nei suoi tentativi di contro-insurrezione.
Un capo Vuba ha dichiarato che, in questi incontri, Mundos si era appoggiato sulle autorità locali per poter accedere alle ADF: «[Mundos] ha collaborato clandestinamente con i giovani Vuba, servendosene come guide / esploratori. Mundos ci invitava spesso a delle riunioni, affinché lo aiutassimo a mettersi in contatto con dei giovani Vuba e Bapakombe che fossero già in contatto con Feza, comandante delle ADF». Questa stessa fonte ha affermato che Mundos prese una figlia di Feza, membro delle ADF, come sua concubina.
Ci sono prove che dimostrano la complicità di vari comandanti di Sukola I già nei primi attacchi di Bambuba-Kisiki, tra cui quello di Eringeti il 17 e 18 novembre 2015.
Un’indagine parlamentare ha rivelato che i membri dei reggimenti 1003 e 1007 delle FARDC avevano creato un “perimetro di sicurezza” intorno al villaggio e che si erano limitati a “sparare in aria” mentre i massacri erano in corso all’interno del villaggio stesso.
Una fonte dell’intelligence militare ha affermato che alcuni ufficiali di Sukola I hanno collaborato con la milizia Vuba, in particolare con il suo comandante Onde Pascal.
Un membro della milizia Vuba ha dichiarato di aver collaborato con la 31ª brigata FARDC stanziata a Eringeti.
Un combattente delle ADF, attivo a Bambuba-Kisiki e collaboratore della milizia Vuba, ha affermato che Adrian Loni visitò il loro campo base.
Quando, nel 2015, Mundos fu trasferito a Mambasa, il colonnello Tipi Ziro Ziro assunse il comando del 312° battaglione stanziato a Eringeti, uno dei due battaglioni della 31ª brigata rimasti a Beni.
Gli abitanti hanno riferito che, prima del trasferimento di Mundos, Tipi Ziro Ziro aveva fatto vari tentativi per sconfiggere le ADF. Infatti, nell’attacco di Kainama coordinato da Tipi Ziro Ziro, furono uccisi otto membri delle ADF, ciò che gli valse l’ammirazione della popolazione.
Tuttavia, quando Mundos se ne andò, fonti locali iniziarono a osservare l’implicazione di Tipi Ziro Ziro negli attacchi.
Un soldato di Sukola I ha dichiarato che Mundos pagò Tipi Ziro Ziro per facilitare gli attacchi.
Un collaboratore di Tipi Ziro Ziro ha dichiarato: «un giorno, dopo aver bevuto molto ed essersi ubriacato, Tipi Ziro Ziro aveva detto che [la persona che stava dietro agli attacchi] era Mundos stesso», aggiungendo che Mundos «gli aveva dato dei soldi». Un partecipante ai massacri ha affermato che, quando il suo gruppo effettuava un attacco, erano presenti anche dei soldati di Tipi Ziro Ziro: «Il modo di intervenire di Tipi Ziro Ziro era questo: Noi entravamo nel villaggio, uccidevamo le persone, poi incendiavamo le case. Terminato il lavoro, il comando militare dava l’ordine di intervenire, [ma] quando i soldati arrivavano, iniziavano a sparare in alto».
In altri casi, quando la popolazione avvertiva Tipi Ziro Ziro di attività sospette o di spostamenti di presunti membri delle “ADF” prima degli attacchi, egli non prendeva nessuna misura preventiva. Gli abitanti hanno detto che Tipi Ziro Ziro ha collaborato con i capi Vuba per entrare in contatto con le ADF e coordinare gli attacchi.
Un partecipante ai massacri ha dichiarato di aver viaggiato a bordo di un veicolo delle FARDC con Tipi Ziro Ziro, per partecipare a un incontro con i capi Vuba e il comandante delle ADF, Braida. Fonti locali hanno parlato di Tipi Ziro Ziro come facilitatore i vari agguati tesi lungo la strada principale in quel periodo. In effetti, dopo un attacco a Mayi Moya, le FARDC hanno identificato due corpi di assalitori come soldati agli ordini di Tipi Ziro Ziro.
Secondo una fonte dell’intelligence militare, Tipi Ziro Ziro ha collaborato con la milizia Vuba diretta da Castro e con i capi locali per fornire un appoggio alla milizia stessa, aggiungendo che la milizia Vuba aveva scambiato oro con armi con Tipi Ziro Ziro.
Il riquadro seguente mostra due dei principali attacchi che si sono verificati nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki. I massacri sono stati commessi dalle ADF in collaborazione con i membri della milizia Vuba e si sono svolti con la complicità di alcuni comandanti delle FARDC, tra cui presumibilmente Tipi Ziro Ziro.
RIQUADRO 5. Panoramica dei principali attacchi a Bambuba-Kisiki
– Attacco di novembre 2015 a Eringeti:
L’attacco di novembre 2015 è stato uno dei maggiori massacri di questa ondata di violenze, causando la morte di 24 persone. Un gruppo armato composto da uomini, donne e bambini ha attaccato Eringeti, ha saccheggiato le case e preso di mira l’ospedale, uccidendo personale medico e pazienti. Gli aggressori erano ben armati e l’attacco durò varie ore.
Una veicolo blindato della MONUSCO ha subito gravi danni e un casco blu è stato ucciso. L’attacco è stato effettuato congiuntamente da membri delle ADF, ufficiali di Sukola I, miliziani Vuba e combattenti ruandofoni.
Secondo gli obiettivi delle ADF, durante il saccheggio sono stati presi di mira i negozi i cui proprietari avevano rifiutato degli accordi commerciali con loro. Due membri delle ADF che hanno partecipato all’attacco hanno affermato che il loro comandante Braida vi era rimasto ferito.
Un altro membro delle ADF che aveva partecipato all’attacco ha affermato che la maggior parte degli assalitori indossava uniformi delle FARDC, benché alcuni fossero vestiti con abiti tipici dei musulmani.
Varie sono le indicazioni di complicità dell’esercito nazionale in questo attacco. Secondo il gruppo di esperti dell’ONU, prima dell’attacco, un colonnello ex-APC ha fornito alle ADF delle informazioni sulle posizioni delle FARDC a Eringeti. Il comandante del 312° battaglione stanziato a Eringeti, il colonnello Tipi Ziro Ziro, fu accusato di negligenza presso un tribunale militare, per non aver preso misure sufficienti per la protezione della popolazione, ma alla fine fu assolto.
Testimoni diretti hanno affermato che la sua complicità era ancor più grave. La società civile ha riferito che, prima dell’attacco, alcuni abitanti avevano informato Tipi Ziro Ziro sulla presenza di persone sospette, ma essi furono arrestati e incarcerati per aver fatto tale denuncia. Un altro abitante di Eringeti ha dichiarato: «prima dell’attacco, Tipi Ziro Ziro ci aveva detto di non scappare qualora avessimo sentito degli spari».
Le ADF e Tipi Ziro Ziro hanno beneficiato anche dell’implicazione delle autorità Vuba e dei membri della loro milizia. Un partecipante all’attacco ha riferito che, dopo il massacro, Tipi Ziro Ziro ha pagato i capi Vuba. Un membro delle ADF che ha partecipato all’attacco di Eringeti ha dichiarato che il responsabile del suo campo base era un ufficiale ugandese delle ADF e che il vice capo era Pascal Undebi, capo della milizia Vuba ( o “Gruppo Matata”). Secondo questa fonte, pochi giorni prima dell’attacco, un membro Vuba delle ADF, originario di Eringeti, fu inviato a Eringeti per condurvi una missione di ricognizione. Uno dei gruppi ADF che partecipò all’attacco di Eringeti partì da un campo base di Bango, nei pressi della confluenza dei fiumi Bango e Semliki. Altri due combattenti hanno confermato la collaborazione tra i principali capi delle ADF e della milizia Vuba e hanno evocato le visite di capi Vuba a un campo base delle ADF. A conferma dell’implicazione di certe autorità Vuba, durante l’attacco sarebbe stato ucciso un parente del Capo Placide Malifuno.
Per i Vuba, il sistema sanitario locale rappresentava un punto chiave di conflitto nella zona, poiché i medici che vi ricoprivano incarichi influenti erano Nande. Già in passato, i Vuba avevano minacciato i medici Nande dell’ospedale di Eringeti e, durante il periodo dei massacri, avevano dismesso dalle sue funzioni un altro medico Nande di Oicha.
I partecipanti all’attacco di Eringeti hanno affermato di avere ricevuto rinforzi da altri gruppi. Due partecipanti al massacro hanno affermato che dei ruandofoni provenienti dall’Uganda avevano apportato il loro appoggio. Un altro partecipante ha dichiarato che un rinforzo era stato apportato da un gruppo di ruandofoni arrivati con le loro armi.
– Gli attacchi di dicembre 2015 a Mapini, Ntombi e Bauba
Il 24 dicembre 2015, una serie di attacchi ha colpito i villaggi di Mapini, Mayi-Moya e Ntombi.
Gli attacchi sono stati effettuati da un gruppo misto di aggressori. Gli attaccanti erano guidati da combattenti che indossavano delle uniformi militari delle FARDC e che si trovavano nella parte anteriore del gruppo. Essi erano seguiti da persone che indossavano abiti civili, per lo più già molto usati. Il gruppo parlava lingue diverse, tra cui lingala e swahili. La disposizione del gruppo, con persone in uniforme militare in prima linea, lasciava pensare che si trattasse di un gruppo di militari di passaggio.
Quando le FARDC hanno reagito contro gli attaccanti, si è scoperto che alcuni dei combattenti uccisi erano dei membri della milizia Vuba. Un aggressore ucciso era membro della famiglia del Capo Jonas Kibondo (di Mayi Moya), noto come Abanza e comandante della milizia Vuba.
Un altro membro della milizia Vuba ucciso durante l’attacco era il figlio del capo Tito Avingani (di Kasana). Queste morti dimostrano gli stretti legami esistenti tra gli autori dei massacri e le autorità Vuba.
Una missione investigativa delle Nazioni Unite ha constatato che Tipi Ziro Ziro era presente nelle zone in cui in seguito sono avvenuti dei massacri. Un investigatore ha affermato che Tipi Ziro Ziro ha chiesto ai civili di non fuggire, ma di preparare del cibo per dei “visitatori” che sarebbero arrivati. Secondo una fonte della società civile, la popolazione aveva informato un ufficiale delle FARDC di aver visto il “nemico” passare attraverso i loro campi prima dell’attacco, ma egli non aveva preso alcuna disposizione di prevenzione. Ciò dimostra che alcuni ufficiali delle FARDC avevano deciso di non intervenire. Un abitante della zona ha raccontato: «abbiamo sentito degli spari delle “ADF” a 500 metri dalla caserma delle FARDC. Proprio qui vicino. Abbiamo chiamato i soldati delle FARDC al telefono e ci hanno detto che erano arrivate le ADF e che il loro comandante aveva loro dato l’ordine di non sparare».
+ La spirale delle violenze a Bambuba-Kisiki
Se il conflitto tra le autorità Nande e quelle Vuba era già patente prima della guerra, queste divergenze si inasprirono e assunsero una dimensione più violenta. Sin dall’inizio dei massacri, apparvero crescenti fratture tra i Vuba e i Nande originari di Beni.
I massacri sono stati implementati dal gruppo più virulento delle autorità Vuba, esacerbando così le controversie tra clan. Collaboratore della milizia Vuba, il capo di Mayi Moya, Jonas Kibondo, cominciò ad impedire gli incontri dell’associazione Kyaghanda-Yira nella sua giurisdizione.
Dall’inizio dell’operazione Sukola I e dei successivi massacri, alcune autorità Vuba hanno pubblicato lettere e dichiarazioni contro le organizzazioni dei Nande. In una lettera aperta dei capi Vuba indirizzata all’associazione Kyaghanda-Yira si poteva leggere: «In questa drammatica fase della nostra storia, dobbiamo trovare una soluzione alle divergenze esistenti tra il nostro gruppo etnico e … alcune autorità politico-amministrative che, membri del vostro gruppo, violano il nostro diritto tradizionale, vendono le nostre terre e si presentano in nome della comunità Vuba per appropriarsi dei diritti politici, economici e sociali della nostra comunità».
iii. L’implicazione delle ADF nei massacri di Bambuka Kisiki
Ormai suddivise in vari gruppi minori, non è chiaro se, nel 2015, le ADF potessero essere considerare ancora come un gruppo unitario. Tuttavia, in quel periodo, Musa Baluku era alla guida del gruppo maggiore che ha partecipato a molti degli attacchi perpetrati lungo la strada Mbau-Kamango, tra cui quelli commessi contro i campi base delle FARDC.
Il gruppo di Feza, che era in contatto con quello di Baluku, era costituito principalmente da combattenti congolesi di Beni e ha continuato a collaborare con i membri della milizia Vuba, nel raggruppamento di Bambuka-Kisiki.
Con il passare del tempo, gli attacchi delle ADF divennero sempre più delle operazioni intraprese contro le basi dell’esercito. Le ADF iniziarono a diffondere degli annunci, chiedendo alle FARDC e alla MONUSCO di cessare le operazioni contro di loro e avvertendole che i massacri sarebbero continuati fino a quando non avessero messo fine all’operazione militare Sukola I.
7. L’IMPLICAZIONE DI RUANDOFONI
La sconcertante implicazione di ruandofoni complica il mistero dei massacri di Beni.
In quella regione, non ci sono autoctoni ruandofoni e, nel passato, le comunità congolesi Hutu e Tutsi hanno avuto relazioni estremamente tese con la comunità Nande. Tuttavia, vari testimoni diretti dei massacri hanno affermato che molti partecipanti ai massacri parlavano il kinyarwanda. Ex-APC, ufficiali di Sukola I e autorità locali hanno facilitato l’arrivo di ruandofoni e, in alcuni casi, la loro partecipazione ai massacri. Però non è stato possibile concludere definitivamente se questi combattenti fossero migranti hutu, o combattenti tutsi del M23, o una combinazione di entrambi.
a. L’implicazione di migranti ruandofoni
Le migrazioni pacifiche verso le zone del nord sono iniziate intorno al 2008 e sono aumentate nel 2013.
Molti migranti hutu ruandofoni passavano per Beni per recarsi verso il sud Ituri dove, nel 2016, essi erano ormai 10.000-15.000. Una delle rotte migratorie, quella che da Eringeti conduceva verso il sud Ituri passando per Kainama e Chabi, attraversava varie zone colpite dalle violenze in corso. Varie fonti descrivono l’implicazione di migranti hutu ruandofoni negli attacchi, tra cui quello di Chabi. Il motivo della loro partecipazione ai massacri sarebbe stato quello di costringere le popolazioni locali a fuggire dai loro villaggi, per poi poter recuperare le terre rimaste vuote.
Eugene Serufuli, ex governatore del Nord Kivu e allora ministro degli affari sociali, ha facilitato le migrazioni hutu da Rutshuru verso altre zone del Nord Kivu.
Alcune autorità che hanno indagato su questi movimenti migratori hanno scoperto che Serufuli aveva fatto passare alcuni ruandesi come congolesi e che aveva ricevuto l’appoggio di Kinshasa. In una sua inchiesta indipendente, anche la società civile ha constatato che Serufuli aveva appoggiato questo movimento migratorio di ruandofoni verso il Grande Nord del Nord Kivu e l’Ituri. Questa constatazione è stata confermata anche da un colonnello delle FARDC incaricato delle migrazioni. Tre membri dell’ex-APC hanno spiegato di aver collaborato direttamente con Serufuli per facilitare alcuni di questi spostamenti verso Beni. Un altro ufficiale dell’ex-APC ha dichiarato che «dei ruandofoni Hutu avevano collaborato con degli ex-APC che si trovavano nella fattoria di Edouard Nyamwisi».
Tuttavia, permangono dubbi significativi. Sebbene sia possibile che alcuni migranti abbiano preso parte alle violenze, non ci sono però prove sufficienti per dire che i migranti ruandofoni hutu vi abbiano partecipato in modo sistematico.
Sono stati ritrovati dei documenti incendiari in cui si afferma che i migranti ruandofoni hutu volevano cacciare la popolazione locale per impossessarsi delle sue terre. Si tratta di una teoria del complotto ampiamente diffusa sul posto, ma molti di quei documenti sembrano apparentemente falsi.
b. I Ruandofoni e le ADF
Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha constatato che, in seguito alla frammentazione delle ADF, i gruppi più piccoli che si erano creati erano rafforzati da combattenti ruandofoni provenienti dall’Uganda o dal Rutshuru. Questi combattenti ruandofoni erano “ben armati e spesso indossavano uniformi militari”, rimanevano in campi base separati da quelli delle ADF, ma collaboravano con esse nella realizzazione dei massacri come, per esempio, quello di Eringeti, in novembre 2015.
Già prima del 2014, i gruppi dell’ex-APC, in collaborazione con partner locali, avevano facilitato l’ingresso di ruandofoni nei gruppi armati di Beni.
c. I Ruandofoni e l’ex-APC
Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha riferito che l’M23 aveva inviato delle sue truppe al gruppo di Hilaire Kombi nel mese di maggio 2013. Alcune milizie locali hanno dichiarato di aver effettuato, nello stesso mese, degli attacchi in collaborazione con dei “Tutsi”. L’ex-APC aveva reclutato truppe anche in Ruanda.
Secondo alcune fonti, alcuni ufficiali dell’ex Copnsiglio Nazionale per la Difesa del Popolo (ex-CNDP) hanno collaborato con dei comandanti dell’ex-APC nell’organizzazione di alcuni massacri. Un partecipante a questi massacri ha dichiarato la sua partecipazione a una riunione di agosto 2013 con Bisamaza, nella residenza di Kakolele a Boikene, per preparare alcuni attacchi. Un trafficante d’armi per l’ex-APC ha dichiarato che, verso la fine del 2012, aveva ricevuto del denaro da dirigenti dell’ex-APC, per ospitare alcune truppe di Bisamaza sui suoi terreni, nel settore Ruwenzori. Un altro partecipante alle violenze ha affermato che, dopo la sua defezione dalle FARDC, Lusenge ha appoggiato queste truppe, visitate e armate anche da altri ufficiali dell’ex-CNDP. In documenti ufficiali del registro fondiario di Beni, si sono trovate delle prove di acquisti di terreni, a Beni, da parte di ufficiali dell’ex-CNDP.
d. I Ruandofoni e i capi locali
Anche varie autorità Vuba e Bapakombe hanno contribuito a facilitare degli spostamenti della popolazione. Per queste comunità minoritarie, l’appoggio ai migranti hutu ruandofoni era considerato come un’opportunità economica e una soluzione ai loro problemi fondiari nei confronti della maggioranza dominante nande. Kakolele convinse i capi di queste minoranze ad accogliere dei rwandofoni hutu nelle loro rispettive milizie. Una fonte ha affermato che, inizialmente, le autorità Vuba si erano rifiutate di collaborare, ma Kakolele le persuase con la promessa di raddoppiare le loro entrate fiscale.
Un membro delle ADF ha affermato che i rwandofoni avevano avuto accesso a delle terre del territorio di Beni, attraverso la loro partecipazione alle violenze e il pagamento di ingenti somme di denaro. A proposito di questi migranti, un membro della 31ª brigata delle FARDC ha affermato: «Per avere delle terre, i ruandofoni pagavano bene (2.000 $ per ettaro) rispetto ai Nande, che pagavano 50 $ e una capra».
Un miliziano ha spiegato che i Vuba hanno collaborato con i rwandofoni in tanto che gruppo minoritario rispetto ai Nande. Due capi di etnie minoritarie hanno dichiarato che dei ruandofoni avevano già acquistato dei campi dai capi locali, tra cui Boroso, soprattutto sul lato est della strada. Altri acquisti di terreni sarebbero stati effettuati anche a Watalinga, Beni-Mbau, Banande-Kainama e Mayangose. Tuttavia, le inchieste fatte non hanno potuto confermare se questi acquisti di terre si siano realmente verificati.
Un partecipante ai massacri ha spiegato che, a metà del 2013, un ministro nazionale ha contattato i capi Vuba e Bapakombe, promettendo loro una ricompensa se avessero accettato di ospitare delle popolazioni rwandofone nei loro territori. A questo proposito, si sono potute recuperare delle autorizzazioni di viaggio per migranti firmate dal sindaco della città di Beni. Altre autorità, tra cui un capo Vuba, hanno dichiarato che i migranti detenevano delle autorizzazioni di viaggio firmate dal governatore del Nord Kivu Julien Paluku, ma non si è potuto verificare la veridicità di questa informazione.
e. I Ruandofoni e gli ufficiali di Sukola I
Alcuni ufficiali di Sukola I, tra cui il generale Mundos, Adrian Loni e il colonnello Tipi Ziro Ziro, si trovarono coinvolti in questo fenomeno di migrazioni di ruandofoni. Tuttavia, non è chiaro fino a che punto essi abbiano facilitato la partecipazione di questi ruandofoni ai massacri, tenuto conto delle dinamiche preesistenti. Una fonte dell’intelligence, due membri della 31ª brigata, un leader della società civile e due combattenti, hanno dichiarato che Mundos era certamente implicato in questo fenomeno di migrazioni. Due membri della 31ª brigata hanno detto che Mundos ha collaborato con alcuni altri comandanti di Sukola I per facilitare il passaggio dei migranti sulla strada Eringeti-Kainama-Boga. Altri hanno detto che Mundos ha collaborato con combattenti ruandofoni per compiere dei massacri. Un partecipante alle violenze ha affermato che, durante i massacri, spesso le truppe congolesi sono servite da guida per i migranti ruandofoni.
Quando il generale Mundos fu allontanato da Beni, Tipi Ziro Ziro continuò questo appoggio. In una sua telefonata, Tipi Ziro Ziro ha riconosciuto di aver collaborato con Serufuli, per facilitare le migrazioni di ruandofoni attraverso Beni, anche durante i massacri. Un ufficiale della 31ª brigata ha dichiarato che Serufuli ha collaborato per questo anche con Mundos.
È chiaro che gli ufficiali di Sukola I stavano reagendo ai tentativi dei capi locali e dell’ex-APC di servirsi dei ruandofoni. Ad esempio, a Mayangose, nel 2013 Adrian Loni aveva collaborato con Kakolele, Lusenge e Mbonguma per introdurre dei “ruandesi” in gruppi armati organizzati congiuntamente. Adrian Loni ha continuato queste attività anche durante l’organizzazione degli attacchi, dopo essere entrato a far parte della 31ª brigata dell’esercito nazionale.
Un reclutatore di esecutori dei massacri ha dichiarato che Adrian lo informò sul fatto che degli Hutu avrebbero partecipato agli attacchi: «Adrian mi disse che, in questi territori, si sarebbero stabiliti dei Banyarwanda, ma solo dopo che gli agricoltori Nande, che li occupavano, fossero stati mandati via». Un comandante della milizia di Mayangose ha affermato che Adrian Loni ha collaborato con Kakolele e Birotsho per portare dei “soldati ruandofoni nella zona di Mayangose” e che ha “negoziato molte volte con Mbonguma” perché ciò avvenisse.
Questo comandante della milizia di Mayangose ha dichiarato che, nel mese di settembre 2014, Adrian ha collaborato con Mundos per portare dei Ruandofoni da Mbonguma e che gliene aveva portato una decina circa nei giorni precedenti agli attacchi di Ngadi e Kadohu, affinché partecipassero a quei massacri. Secondo un’altra fonte, Mundos ha incontrato Mbonguma per discutere della questione dei migranti ruandofoni, presentandogli la loro “missione speciale” e promettendogli di ripagarlo per accettarli. Kakolele e Adrian avrebbero pagato Mbonguma per mettere a disposizione dei terreni per dei combattenti ruandofoni.
8. CONCLUSIONE
Quasi quattro anni dopo l’inizio dei primi massacri, poco è stato fatto per scoprire chi ne sono i mandanti e gli esecutori. Il sistema giudiziario congolese ha tenuto una serie di processi, ma questi
hanno preso di mira principalmente dei membri dell’opposizione e dei capi locali. Mentre alcune testimonianze risultanti da questi processi sono state interessanti, il procuratore militare. Il Generale Timothée Mukuntu non ha seriamente preso in considerazione le prove sull’implicazione di ufficiali militari congolesi.
Tuttavia, non si può dimenticare ciò che è successo a Beni. Non si tratta solo di una questione di responsabilità e di rispetto nei confronti delle tantissime vittime. Le dinamiche apparse a Beni
forniscono utili lezioni per i conflitti in altre parti del Congo e, soprattutto, possono darci un’idea di come funzionano l’esercito congolese e il sistema giudiziario congolese. Esse possono aiutare a comprendere meglio le strategie che certe entità militari, come gli ufficiali dell’ex-APC, possono adottare per sopravvivere e prosperare. In particolare, l’uso della violenza come mezzo per giustificare la repressione o l’insurrezione, o come strumento per cooptare e controllare i rivali, è una cinica tattica impiegata a Beni sia dai gruppi dell’opposizione che dall’esercito congolese.
Un’altra strategia è stata la creazione di una confusione sistematica e il ricorso alla dissimulazione. Un partecipante ai massacri ha ricordato: «Abbiamo adottato il modo operativo delle ADF. Per dissimulare la nostra responsabilità, abbiamo adottato il loro metodo delle ADF … Donne e bambini sono stati inclusi nel gruppo e hanno ucciso, perché questo è lo stile dell’ADF … È così che i massacri sono stati quasi sempre attribuiti alle ADF». Spesso, gli esecutori dei massacri camuffavano intenzionalmente la loro identità attraverso le uniformi che indossavano e i gruppi che non erano ADF spesso agivano sotto l’etichetta “ADF”.
Questo rapporto ha tentato di superare questa confusione, mettendo in evidenza cinque dinamiche diverse, ma tra loro intrecciate:
• Il tentativo, da parte dei gruppi di ufficiali dell’ex-APC e dei membri dell’RCD-K / ML, di affermare il loro controllo sulla regione del Grande Nord del Nord Kivu e di proteggere i loro interessi politici, economici e militari;
• Una mobilitazione delle comunità etniche minoritarie – in particolare Vuba e Bapakombe – contro i migranti Nande, che controllavano gran parte delle terre e delle strutture di potere locali;
• Il tentativo, da parte delle élite delle FARDC e di Kinshasa, di cooptare (infiltrare e collaborare) i membri di queste due reti, per riutilizzare le violenze preesistenti ai propri fini;
• Il tentativo, da parte delle ADF, di assicurarsi la propria sopravvivenza, usando la violenza per distrarre e delegittimare le FARDC e intimidire le comunità locali, promuovendo nel contempo le loro relazioni con altri attori armati;
• L’implicazione di una nebulosa di agenti ruandofoni, composta probabilmente da più gruppi, benché non sia chiaro se essi siano stati coinvolti su base mercenaria o per promuovere interessi politici esterni.
Prese in considerazione nel loro insieme, queste dinamiche spiegano una sequenza di eventi che hanno visto queste reti competere tra loro, sovrapporsi e integrarsi l’una nell’altra. Mentre parte di tutto questo è stato guidato e orchestrato dalle FARDC, è possibile che l’iniziativa per altri massacri venisse da altri gruppi. Tuttavia, tutti i gruppi erano interessati a deviare la responsabilità sulle ADF, rafforzando la fuorviante idea che i massacri fossero compiuti solo da un gruppo islamista radicale.
Molte domande rimangono però ancora senza risposta. Mobilitate nel 2010, le componenti dell’ex- APC funzionavano nell’ambito di una chiara gerarchia e collegate a Mbusa Nyamwisi?
Quale ruolo hanno avuto i leader dell’ex M23 nelle violenze? Fino a che punto la gerarchia delle FARDC a Kinshasa era a conoscenza e controllava le attività del generale Mundos a Beni?
[1] Cf http://congoresearchgroup.org/new-crg-investigative-report-mass-killings-in-beni-territory/?lang=fr