Congo Attualità n. 396

INDICE

1. IL RISCHIO DELLA BALCANIZZAZIONE DELLA RDCONGO
a. Le dichiarazioni del cardinale di Kinshasa
b. Le precisazioni del portavoce dell’esercito
c. Le conseguenti reazioni
d. Due voci autorevoli
2. I GRUPPI ARMATI
a. Nord Kivu
– Alcuni passi avanti nella lotta contro le ADF nel territorio di Beni
– Rapporto 2019 sull’operazione “Sokola 2” nei Territori di Masisi, Rutshuru, Nyiragongo e Walikale
– Le FDLR nel Territorio di Rutshuru
b. Sud Kivu
– Il CNRD nei Territori di Kalehe e di Mwenga
– Territori di Uvira e Fizi
–  Insicurezza e crisi umanitaria
c. Ituri
– Un rapporto sui massacri in Territorio di Djugu
d. Alcune arrese: un segnale positivo
3. IL RAPPORTO DEL GRUPPO DI ESPERTI DELL’ONU: DUE CASI EMBLEMATICI

1. IL RISCHIO DELLA BALCANIZZAZIONE DELLA RD CONGO

a.  Le dichiarazioni del cardinale di Kinshasa

Il 3 gennaio, in una conferenza stampa tenuta a Kinshasa dopo la sua missione di pace nel Nord Kivu, il cardinale Fridolin Ambongo ha dichiarato che la Repubblica Democratica del Congo (RD Congo) è in pericolo, poiché il rischio della sua balcanizzazione è davvero reale, se non si prendono le dovute precauzioni.
Secondo il cardinale, delle popolazioni di origine ruandese e ugandese vengono riversate nell’Est del Paese e occupano i campi e le case abbandonate dagli autoctoni che fuggono dalle violenze. «Per quanto riguarda i Congolesi di origine ruandese o ugandese che abitano in Congo da molti  anni, nessuno può contestare la loro nazionalità congolese. Ciò che fa problema è l’arrivo di altri immigrati che si tenta di far passare come Congolesi» , ha dichiarato il prelato, aggiungendo che «il caso più evidente è quello dei rifugiati ruandesi che erano stati espulsi dalla Tanzania alcuni anni fa e che sono stati inviati in Congo, creando un senso di frustrazione e di rabbia tra le popolazioni autoctone». Egli ha insistito sulla questione della porosità delle frontiere orientali della RDC: «È molto difficile distinguere le popolazioni che abitano in Congo da molto tempo da quelle che arrivano attualmente. Ciò richiede uno stato organizzato in grado di controllare le proprie frontiere. Ma nell’Est del Paese esse sono quasi incontrollabili. Si può entrare e uscire a proprio piacimento, perché si tratta spesso di zone montuose e boscose». Tuttavia, egli ha messo in guardia dal rischio della generalizzazione: «è necessario evitare il rischio di considerare come straniere tutte le persone di espressione ruandese, perché sarebbe un grosso errore».
Il cardinale Ambongo ha denunciato l’infiltrazione delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) da parte di militari stranieri. Tuttavia, egli ha chiesto a tutti di appoggiare l’esercito congolese, riconoscendone anche i meriti, piuttosto che continuare a darne un’immagine sempre negativa: «Il nostro esercito è l’unico esercito che abbiamo. L’errore che si commetterebbe, e che spesso si commette, è quello di dare un’immagine eccessivamente negativa del nostro esercito. L’esercito è composto da nostri fratelli e sorelle che sono in prima fila. Sono persone che hanno lasciato le loro famiglie e che stanno rischiando la loro vita per proteggere il fronte orientale del nostro Paese».
Il cardinale Fridolin Ambongo ha anche sollevato la questione della Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO), affermando che essa non sta realizzando pienamente la sua missione di protezione delle popolazioni civili. Tuttavia, egli ha affermato che la RD Congo commetterebbe un grave errore se costringesse la MONUSCO a lasciare il Paese.
Per porre fine ai massacri di persone civili nella parte Est della RD Congo, il cardinale Fridolin Ambongo ha affermato che la soluzione è soprattutto di tipo diplomatico. Secondo lui, il Governo nazionale deve fare di tutto per convincere i Paesi limitrofi alla RD Congo a non riversare le loro popolazioni nella RD Congo: «Spetta al nostro Governo cercare il dialogo con i paesi limitrofi, soprattutto con l’Uganda, il Ruanda e il Burundi e ricorrere alla diplomazia, per convincerli a cessare di lasciar passare le loro popolazioni in Congo».[1]

b. Le precisazioni del portavoce dell’esercito

Il 4 gennaio, in un comunicato stampa, il portavoce delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), il generale Léon-Richard Kasonga, ha confermato l’esistenza di un piano di balcanizzazione del Paese e ha affermato che l’esercito congolese si sta scontrando con individui il cui unico obiettivo è quello della balcanizzazione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RD Congo): «Lo stato maggiore generale delle FARDC ricorda all’opinione pubblica nazionale e internazionale che, nel contesto di una guerra non convenzionale suscitata nel nord-est del Paese, le FARDC si trovano ad affrontare degli insorti, il ​​cui obiettivo finale è la balcanizzazione della parte orientale del territorio nazionale. Ciò che sta accadendo nel nord-est non è altro che una cospirazione di persone malintenzionate con ambizioni secessioniste».
Inoltre, il portavoce dell’esercito ha affermato che, per legittimare le loro attività insurrezionali, gli insorti si appoggiano sull’insoddisfazione popolare, reale o immaginaria, e su vari canali di comunicazione.
«L’obiettivo perseguito è quello del crollo delle istituzioni dello Stato, screditandole agli occhi dell’opinione nazionale e internazionale, per poi assumere il controllo politico e amministrativo dell’Est del Paese e concretizzare così la balcanizzazione della RD Congo», ha aggiunto il generale Léon-Richard Kasonga, chiedendo alla popolazione di rimanere vigilante, dissociarsi dagli insorti e di fidarsi dell’esercito nazionale, sostenendolo pienamente.
A proposito di quelli che evocano delle complicità con il nemico all’interno dell’esercito, il generale Léon-Richard Kasonga ha affermato che si tratta di una campagna di intossicazione contro l’esercito stesso: «Le FARDC affermano di essere al corrente e sufficientemente documentate sul piano ideato dai nemici della nazione per scoraggiare l’esercito e impedirgli di svolgere la sua missione. Siamo indignati di questa accusa che, benché infondata, potrebbe demoralizzare le nostre truppe e vanificare l’enorme sacrificio fatto dai nostro militari per la protezione della popolazione». A questo proposito, egli ha ricordato che, nel giro di due mesi, 60 militari sono caduti sul campo di battaglia e che altri 175 sono stati feriti.[2]

c. Le conseguenti reazioni

Il 4 gennaio, in occasione della commemorazione del 61° anniversario del Giorno dei Martiri dell’Indipendenza, il presidente nazionale della Chiesa di Cristo in Congo (ECC), il dottor Resell André Bokundoa-bo-Likabe, ha affermato che la RDC corre attualmente il più grande rischio di balcanizzazione della sua storia. Egli ha dichiarato che i barbari massacri perpetrati contro le popolazioni dell’Est del Paese hanno come unico scopo quello di creare un clima di terrore, per obbligare le popolazioni locali ad abbandonare le loro case e i loro campi. Egli ha affermato che questi massacri sono orchestrati dalle multinazionali che sono le principali beneficiarie dello sfruttamento illegale delle risorse naturali. Egli ha colto l’occasione per denunciare con veemenza l’infiltrazione delle forze di difesa e di sicurezza della RD Congo.
Egli ha quindi lanciato un patetico appello per risvegliare la coscienza patriottica dei dirigenti del paese, della classe politica, dei leader religiosi, dei membri dei movimenti della società civile, dei sindacalisti, degli studenti, degli artisti e dell’intera popolazione in generale: «Esorto il Presidente della Repubblica, nella sua qualità di garante della Nazione, affinché possa convocare urgentemente delle consultazioni nazionali, al fine di coinvolgere tutte le forze della società nella ricerca di soluzioni durature e consensuali ai problemi sopra citati».[3]

Il 4 gennaio, il segretario esecutivo della Lega dei giovani dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), Ted Beleshayi, ha dichiarato i vari allarmi lanciati qua e là su un possibile rischio di balcanizzazione del Paese sono, in realtà, una strategia adottata da alcuni per ottenere un nuovo dialogo, in vista di una nuova suddivisione del potere, dopo aver constatato il fallimento del combattimento sulla verità delle urne: «Questi discorsi allarmistici sulla balcanizzazione dell’Est del Paese sono un pretesto per ottenere un nuovo dialogo a livello nazionale. Essi sono fuori posto, perché arrivano in un momento in cui l’esercito sta prendendo il controllo su tutti i gruppi armati, nazionali e stranieri, ancora attivi nell’Est del paese … Comprendendo che il discorso sulla verità delle urne non regge più, fanno leva sulla paura e l’insicurezza della popolazione e parlano di complotto. In ogni caso, stabilire l’ordine e l’autorità dello Stato sulle frontiere è compito delle forze di sicurezza (Polizia ed Esercito), non di un ulteriore dialogo tra forze politiche». Secondo Ted Beleshayi, «come mai prima, le FARDC sono in una posizione di forza nei confronti di tutti i gruppi armati nell’Est del Paese … Le informazioni su milizie che si arrendono all’esercito, consegnando le loro armi sono buone notizie. La soluzione del problema dei gruppi armati è di tipo militare e diplomatico (buone relazioni con i Paesi limitrofi). Non è quindi necessario ricorrere ad alcun dialogo politico o a concertazioni nazionali».[4]

L’8 gennaio, il segretario permanente del Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), Emmanuel Ramazani Shadary, ha affermato che, nell’attuale contesto politico, il suo partito rifiuta qualsiasi idea di dialogo o di consultazioni tra le forze vive della Repubblica, da qualunque parte essa provenga. Secondo lui, qualsiasi proposta di trattative che metterebbe in discussione la legittimità delle istituzioni in atto è inappropriata: «Non è più il momento di venire a proporre idee retrograde su cosiddetti forum o consultazioni, che metterebbero in discussione la legittimità delle attuali istituzioni. Il PPRD si opporrà quindi a qualsiasi tentativo di riedizione di trattative e negoziati con attori che si erano rifiutati di aderire alla logica del Comitato Nazionale di Monitoraggio dell’Accordo (CNSA) del 31 dicembre 2016». Nello stesso tempo, E. Shadary ha denunciato quei «politici mal posizionati che fanno della sofferenza e dei massacri delle popolazioni di Beni un fondo di commercio». Infine, egli ha chiesto una mobilitazione totale per «arrivare alla fine di quella guerra asimmetrica nell’Est del Paese, che non è che un terrorismo ben pianificato dall’esterno con la complicità di alcuni Congolesi in cerca di posti nelle istituzioni dello Stato».[5]

Il 13 gennaio, in una conferenza stampa, Martin Fayulu, ex candidato presidenziale del 2018, ha accusato l’ex capo dello stato Joseph Kabila di favorire la balcanizzazione del Paese. Egli ha addirittura affermato che, già compiuta da Joseph Kabila per il 55%, con la complicità dell’attuale Presidente della Repubblica Félix Tshisekedi, essa sarebbe già arrivata al 70% della sua realizzazione.[6]

d. Due voci autorevoli

Il 10 gennaio, nel corso della 17ª riunione ordinaria del Consiglio dei ministri da lui presieduto presso la Cittadella dell’Unione Africana, il Capo dello Stato Félix Antoine Tshisekedi si è espresso a proposito del piano di balcanizzazione della RD Congo, precedentemente denunciato dal cardinale Fridolin Ambongo e dalle Forze Armate della RDC (FARDC). Egli ha assicurato che la balcanizzazione del Paese non avrà luogo finché egli sarà al potere. Egli si è detto determinato a non cedere alcun metro quadrato del territorio nazionale e a continuare le azioni di pacificazione di tutto l’Est del Paese, in particolare a Beni, Butembo, Ituri, altipiani di Fizi, Minembwe e Uvira.[7]

Il 15 gennaio, la rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDC, Leila Zerrougui, si è espressa a proposito delle voci che circolano su una possibile “balcanizzazione” del paese. Prima di tutto, ella ha riconosciuto l’attaccamento dei Congolesi al loro paese ma, nello stesso tempo, ha smentito categoricamente l’esistenza di una qualche cospirazione da parte della comunità internazionale o dei paesi limitrofi che mirerebbe alla balcanizzazione della RDC: «Credo che non ci sia nessuno, sia all’interno della comunità internazionale, sia all’interno dei paesi vicini, che abbia delle mire territoriali sul Congo. Nessuno contesta il Congo con le sue frontiere ereditate dalla colonizzazione. Gli stessi Congolesi non vogliono separarsi dal Congo per creare un nuovo Stato».[8]

2. I GRUPPI ARMATI

a. Nord Kivu

– Alcuni passi avanti nella lotta contro le ADF nel territorio di Beni

Il 5 gennaio, in un incontro di preghiera organizzata a Beni dalla XXª Comunità Evangelica nel Centro dell’Africa (CECA) per appoggiare le forze armate impegnate sul fronte nell’Est del Paese, il vice sindaco di Beni, Modeste Bakwanamaha, ha affermato che il successo delle operazioni militari in corso dipende dalla denuncia di nemici e traditori che possono eventualmente nascondersi all’interno dell’esercito e della popolazione locale: «Se ci sono dei traditori all’interno dell’esercito, aiutateci ad espellerli dall’esercito. Se ci sono dei traditori tra i politici, aiutateci a denunciarli. E aggiungo, se ci sono dei traditori all’interno della popolazione, denunciamoli. Non si può continuare con dei traditori, perché questo non può portarci alla vittoria».[9]

Il 9 gennaio, le Forze Armate della RDC (FARDC) hanno annunciato di aver riconquistato Madina, considerato come quartier generale dei combattenti delle Forze Democratiche Alleate (ADF). Non è la prima volta che l’esercito congolese riconquista questa postazione delle ADF, poiché essa era già stata riconquistata ai tempi del generale Jean Lucien Bauma Ambamba e ripresa dalle ADF circa un anno fa. L’esercito congolese aveva precedentemente annunciato la conquista di diverse altre postazioni delle ADF prima di arrivare a Madina, tra cui PK40, New Madina, 100 dollari, ecc. Nel suo rapporto del 2013, il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RD Congo aveva presentato le ADF come “un’organizzazione che si finanzia attraverso il commercio illegale dell’oro e del legname, gli introiti ricavati mediante una rete di taxi e mototaxi attiva nelle città di Butembo, Beni e Oicha e l’incasso di trasferimenti bancari provenienti da Londra, Kenya e Uganda, via degli intermediari congolesi di Beni e Butembo“.[10]

L’11 gennaio, in una conferenza stampa tenutasi a Beni, il portavoce delle operazioni militari Sokola 1 per l’estremo nord della provincia del Nord Kivu, il maggiore Mack Hazukayi, ha dichiarato che, negli ultimi scontri tra le forze lealiste e i miliziani delle ADF nella parte nord-orientale della città di Beni, in particolare nell’area di Mapobu, Liva e Madina, sull’asse stradale Mbau-Kamango, sono stati uccisi quaranta combattenti delle ADF, tra cui 5 loro leader.
Tra i 5 capi delleADF uccisi, c’è Kambale Atshubola, originario della località di Mayimoya e segretario privato di Djamil Mukulu, ex capo delle ADF e attualmente detenuto in Uganda. Sono state recuperate anche armi e munizioni, tra cui 5 PKM, 21 armi da fuoco, 5 bombe artigianali e armi bianche.
Il maggiore Mak Hazukay ha anche annunciato il numero dei soldati che sono morti dall’inizio di questa operazione militare contro le ADF fino alla riconquista di Medina: 30 soldati uccisi, e altri 70 gravemente feriti.
Il portavoce dell’esercito ha denunciato il comportamento di alcuni miliziani Mai-Mai, gruppi armati locali di autodifesa, che hanno servito da “stampelle” alle ADF: «Il nemico comune che dobbiamo sradicare a tutti i costi si chiama ADF. Alcuni compatrioti che si definiscono Mai-Mai hanno giocato male sul lato ovest, il che ha permesso al nemico di spostarsi da est verso ovest e ciò ha complicato la situazione … Sfortunatamente, 9 Mai-Mai che servivano da guida alle ADF nei loro spostamenti da est a ovest sono neutralizzati (uccisi) e altri tre catturati».
Infine, il maggiore Mack Hazukayi ha affermato che «questa vittoria sul male è il risultato del lavoro di tutti. Dopo la conquista di Mapobu e Madina, ci stiamo gradualmente dirigendo verso Kamango. Il messaggio più importante è questo: l’unità fa la forza. La vittoria, la condividiamo, perché è la vittoria di tutti».[11]

In due mesi circa, l’esercito ha riconquistato quattro grandi roccaforti delle ADF. Questi campi base sono presentati come centri di transito e di addestramento. Si tratta di:
– Mayangose, situato a una decina di chilometri a nord-est della città di Beni, era un punto di transito per le reclute delle ADF che si stavano dirigendo nel cosiddetto triangolo della morte, tra le località di Mbau, Kamango ed Eringeti.
– Mwalika, situato nella foresta del territorio di Beni, era un campo di addestramento per i combattenti delle ADF che attaccavano i grandi centri abitati della regione.
– Chochota era un campo di addestramento delle ADF che consentiva loro di attraversare la strada  nazionale n. 4, per effettuare operazioni di saccheggi e rifornimenti a Oicha, Kokola, Mamove ed Eringeti.
– Medina, riconquistata recentemente dalle FARDC, era il quartier generale delle ADF.
Ma, secondo fonti militari, l’attuale sfida per l’esercito è quella di consolidare le sue posizioni in queste zone riconquistate e di identificare il luogo in cui si nasconderebbero Seka Baluku, attuale capo delle ADF, e certi suoi collaboratori.[12]

Il 14 gennaio, il sindaco della città di Beni, Nyonyi Bwanakawa, ha affermato che dei combattenti ADF, dei miliziani Mayi-Mayi e dei banditi armati avrebbero infiltrato la popolazione. Ritenendo che questa situazione costituisce un pericolo permanente per la sicurezza, egli ha invitato la popolazione alla vigilanza e le ha chiesto di denunciare la presenza di qualsiasi persona sospetta.[13]

– Rapporto 2019 sull’operazione “Sokola 2” nei Territori di Masisi, Rutshuru, Nyiragongo e Walikale

Il 9 gennaio, in un comunicato stampa, il portavoce delle operazioni militari Sokola 2, il maggiore Ndjike Kaiko, ha presentato un rapporto sull’operazione “Sokola 2” nei Territori di Masisi, Rutshuru, Nyiragongo e Walikale (Nord Kivu) per l’anno 2019. Egli ha dichiarato che, nell’ambito dell’operazione “Sokola 2”, l’esercito congolese ha neutralizzato 1.388 e recuperato più di 660 armi. Secondo il portavoce delle operazioni Sokola 2, oltre la metà di questi combattenti neutralizzati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2019 provengono da 4 fazioni dei gruppi Nyatura. Altri provengono da 4 fazioni FDLR, da tre fazioni Mayi-Mayi, dall’NDC Rénové di Guidon Shimiray Mwissa, dal MAC di Mbura, dal Pi FIVE e almeno 7 dall’ex M23 e dal CNDP. Nella stessa lista, le FARDC includono i 16 leader dei gruppi armati che sono stati uccisi o arrestati, compreso il generale Sylvestre Mudacumura, membro delle FDLR / FOCA. Il maggiore Ndjike Kaiko ha chiesto alla popolazione di dissociarsi dai gruppi armati e ai combattenti membri di questi gruppi di arrendersi. Egli ha infine respinto anche le accuse di collaborazione tra l’esercito e il gruppo armato NDC-Rinnovato di Guidon, contenute nel rapporto intermedio del gruppo di esperti delle Nazioni Unite pubblicato il 20 dicembre.[14]

– Le FDLR nel Territorio di Rutshuru

Il 6 gennaio, sono stati segnalati scontri tra miliziani della Nduma Defence Of Congo – Rénové (NDC-R) e ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), alleati con la CMC / Nyatura di Domy, a Katsiru, nel raggruppamento di Bukumbo, capoluogo del distretto di Bwito, nel territorio di Rutshuru, provincia del Nord Kivu. Secondo Désiré Ngabo, portavoce dell’NDC-R, il bilancio provvisorio è di oltre 25 persone uccise, tra cui 4 donne “civili”, mogli di miliziani dell’NDC-R e 20 membri delle FDLR. I combattimenti sarebbero iniziati verso le 4:00 del mattino e sono proseguiti a Ngoromba, un villaggio a 6 km da Nyanzale.[15]

Il 15 gennaio, i ribelli delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) hanno ucciso almeno dieci persone in un attacco perpetrato nella località di Kinyandoni, in territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Delle dieci vittime, sette sarebbero membri di una sola famiglia e tre sarebbero dei vicini di casa. Apparentemente, si tratta di un’operazione di vendetta, visto che la famiglia presa di mira è quella di un agente dei servizi di intelligence (ANR). Attualmente, le FDLR / RUDI sono le più attive e aggressive nella regione di Kinyandoni.[16]

b. Sud Kivu

 – Il CNRD nei Territori di Kalehe e di Mwenga

Il 2 gennaio, il presidente del comitato di concertazione della società civile di Kalehe, Delphin Birimbi, ha rivelato che oltre 1.000 abitanti di Katasomwa, una località del territorio di Kalehe, hanno abbandonato il loro villaggio, a causa di una nuova presenza di combattenti del Consiglio Nazionale per la Rinascita e la Democrazia (CNRD), una fazione dissidente delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Egli ha insistentemente chiesto all’esercito nazionale di continuare le operazioni militari già intraprese contro di loro. Da parte loro, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno arrestato due miliziani ruandesi membri del CNRD e altri 12 giovani che detenevano illegalmente delle armi.[17]

Il 7 gennaio, il vice amministratore del territorio di Kalehe (Sud Kivu), Pascal Cimana, ha dichiarato che, a Katasomwa, nel territorio di Kalehe, la riapparizione di miliziani ruandesi membri del Consiglio Nazionale per il Rinascimento e la Democrazia (CNRD) ha già causato più di 2.700 sfollati. Egli ha precisato che, «attualmente, questi sfollati vivono in condizioni umanitarie deplorevoli. Non hanno di che mangiare, alcuni sono ammalati e non hanno accesso alle cure sanitarie». Secondo lui, a Ngazo e a Rutale, più di 300 miliziani CNRD circolano con armi da fuoco, specialmente durante la notte.[18]

Il 13 gennaio, il presidente della comunità Nyindu, Laban Kyalangaliliwa, ha affermato che, «già da 20 giorni, dei presunti ribelli ruandesi del Consiglio Nazionale per la Rinascita e la Democrazia (CNRD) sono arrivati a Kasika, nei raggruppamenti Iyanga e Mukangala, nel territorio di Mwenga. Alcuni di loro sono scomparsi nelle foreste di Kashindaba e Muhuzi. Di conseguenza, la popolazione locale vive nella paura». Egli ha quindi chiesto alle Forze Armate della RD Congo e alle autorità di fare in modo che questi ribelli siano rimpatriati nel loro paese di origine, il Ruanda.[19]

– Territori di Uvira e Fizi

Dal 2017 in poi, il Sud Kivu sta vivendo un’impennata di violenze. Si parla di una guerra tra Ruanda e Burundi attraverso l’interposizione di rispettive ribellioni. Da un lato, ci sono i ribelli hutu burundesi, le Forze Nazionali di Liberazione (FNL) e i Red Tabara (Resistenza per uno Stato di diritto), appoggiati dal Ruanda sin dal 2015, soprattutto nel reclutamento e nella formazione di nuove reclute. Questi due gruppi burundesi collaborano con vari gruppi Mai-Mai congolesi, tra cui i Mai-Mai Yakutumba e i Mai-Mai Bembe e Bafuliro.
Dall’altro lato, c’è Gumino, un gruppo di Banyamulenge appoggiato dal Congresso Nazionale Ruandese (RNC) del generale ruandese dissidente Kayumba Nyamwasa, che vorrebbe rovesciare il presidente ruandese Paul Kagame. Secondo un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Repubblica Democratica del Congo, l’RNC si è stabilito nella foresta di Bijabo, a nord di Minembwe, e ha stretto un’alleanza con i combattenti Banyamulenge Gumino.
È in questo imbroglio sociologico congolese e geopolitico regionale che alcune unità speciali dell’esercito ruandese stanno intervenendo in appoggio dei Mayi-Mayi congolesi (Yakutumba) che, in collaborazione con i ribelli burundesi (FNL e Red Tabara) che vogliono cacciare Nkurunziza dal potere, combattono contro i Banyamulenge che appoggiano l’RNC di Kayumba e contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), gruppo armato hutu di origine ruandese.[20]

Il 3 gennaio, a Masango, nei pressi di Bijombo, sugli alti e medi altipiani del distretto dei Bavira, si sono verificati violenti scontri tra miliziani di autodifesa Mai-Mai e miliziani Gumino che volevano raggiungere la località di Rurambo. Secondo la società civile locale, il bilancio delle perdite subite dai miliziani Gumino è di 10 morti e 16 feriti.[21]

Il 5 gennaio, il vice comandante delle operazioni militari nel settore di Walikale (Nord Kivu), il colonnello Michel Rukundo Makanika, ha disertato l’esercito regolare per far parte della milizia Ngumino, attiva nel territorio di Fizi (Sud Kivu). Prima di entrare nelle FARDC nel 2011, Makanika era il responsabile dell’ala armata delle ex Forze Repubblicane Federaliste (FRF), un’altra milizia dei Banyamululenge presente sugli alti e medi altipiani di Uvira, Fizi e Mwenga. Secondo diverse informazioni, egli dovrebbe ora guidare la milizia Ngumino, il cui leader, Ngumino Semahungure, è stato ucciso il 7 settembre 2019, in uno scontro con il gruppo Mai-Mai Ebwela. Secondo le informazioni di Kivu Security, il movimento Ngumino è stato creato a partire da ex gruppi armati Banyamulenge, tra cui le ex FRF e il gruppo guidato dal colonnello Tawimbi.[22]

Il 10 gennaio, almeno una persona è stata uccisa e altre quattro ferite durante degli scontri tra un gruppo di autodifesa Mai-Mai e la coalizione Ngumino -Twagiraheno a Kawela, nel comune rurale di Minembwe, nel territorio di Fizi (Sud- Kivu). Secondo Gadi Mukiza, sindaco del comune rurale di Minembwe, «gli spari sono iniziati verso le 5.00 del mattino, nel villaggio di Kawela, a una decina di chilometri dal centro di Minembwe. I Mayi-Mayi hanno attaccato una postazione de Twigwaneho ma, quando hanno voluto avanzare verso i villaggi di Rubanda, Banganji e Musinji, l’esercito regolare è intervenuto per respingerli. Prima di ritirarsi, i miliziani Mai-Mai hanno incendiato varie case e si sono impossessati di diverse mucche. Gli abitanti dei villaggi abitati  principalmente da Banyamulenge sono fuggiti. Va notato che, negli ultimi due mesi, nel comune rurale di Minembwe, la situazione era relativamente tranquilla.[23]

Il 13 gennaio, il nuovo comandante del settore operativo Sokola 2 del sud del Kivu, il generale Boswane Gaby, ha annunciato che le Forze Armate della RD Congo (FARDC) hanno ripreso il controllo su Bijombo, una località situata sugli altipiani di Uvira, nel sud di Kivu. Le mucche, che erano state saccheggiate durante i recenti scontri tra gruppi armati sono state recuperate dalle forze lealiste.[24]

–  Insicurezza e crisi umanitaria

Il 6 gennaio, in occasione della Giornata mondiale degli orfani di guerra, Namegabe Murhabazi, direttore generale del Centro Volontariato al Servizio dell’Infanzia (BVES) del Sud Kivu, ha rivelato che la media dei bambini orfani a causa dei conflitti armati oscilla tra i 350 casi al mese in tempi normali e i 300 – 500 al giorno in tempi di crisi: «La situazione può  cambiare in qualsiasi momento: quando c’è calma, in tutti i nostri centri di Uvira, Kabare , Kalehe e Bukavu possiamo avere circa 350 bambini al mese, ma quando ci sono dei conflitti in corso, come accade attualmente sugli altipiani di Fizi, Uvira, Mwenga e Kalehe, tutti i nostri centri sono completamente pieni, con una media di 350-500 bambini al giorno. I nostri centri di transito e di orientamento accolgono orfani di fatto, cioè non tutti sono orfani di padre o di madre o di entrambi i genitori. Ci sono quelli che si sono trovati separati dai loro genitori e dalle loro famiglie. Tutti questi bambini ci arrivano in condizioni molto difficili: ammalati, malnutriti, non scolarizzati e analfabeti. Quindi occorre trovare una nuova vita per loro».[25]

Il 9 gennaio, nel suo bollettino sul programma di lotta contro la criminalità e l’insicurezza, la Sinergia delle Associazioni Giovanili per l’Educazione Civica, Elettorale e la Promozione dei Diritti Umani nel Sud Kivu (SAJECEK / Forces Vives) ha denunciato la crescente insicurezza che ha caratterizzato la provincia del Sud Kivu nel 2019: «Nel 2019, il Sud Kivu è stato marcato da una crescente insicurezza provocata da banditi armati: 230 persone uccise, 462 case saccheggiate, 52 veicoli derubati, 181 sequestri di persone e 66 casi di giustizia popolare. La città di Bukavu è stata l’entità più colpita, con 62 casi di persone uccise, 18 casi di giustizia popolare e 139 casi di case private saccheggiate. Il territorio di Uvira è l’entità più colpita dai casi di attacchi ai veicoli, con 16 casi di furto e 54 casi di sequestri. Solo il territorio di Idwji non ha registrato casi di attacchi o di uccisioni da parte di gruppi armati, ma è stato teatro di ben 4 casi di giustizia popolare».[26]

c. Ituri

– Un rapporto sui massacri in Territorio di Djugu

Il 10 gennaio, in un suo rapporto, l’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) ha fatto riferimento a “crimini contro l’umanità” e a eventuali “crimini di genocidio” commessi contro la comunità Hema dell’Ituri. Il rapporto cita casi di massacri di persone di incendi di case che obbligano questa comunità ad abbandonare i suoi villaggi.
Secondo il rapporto del BCNUDH, gli ultimi massacri commessi nel territorio di Djugu (Ituri) sono iniziati in dicembre 2017 e «potrebbero presentare elementi costitutivi di crimini contro l’umanità e, addirittura, di crimini di genocidio». Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, «gli attacchi sembrano essere stati pianificati e organizzati per infliggere gravi perdite e traumi a lungo termine ai membri della comunità Hema che vivono nel territorio di Djugu, al fine di impedire loro di ritornare nei loro villaggi e di riprendere possesso delle loro terre. Una delle maggiori questioni del conflitto è proprio il controllo delle terre da parte dei Lendu».
Il rapporto ricorda che, tra settembre 2017 e settembre 2019, «almeno 701 persone sono state uccise, altre 168 sono state ferite e 142 sono state vittime di violenze sessuali … La stragrande maggioranza delle vittime degli attacchi sembra essere stata presa di mira a causa della loro appartenenza alla comunità Hema (almeno 402 persone che sono state uccise appartengono a questa comunità)». Il rapporto cita anche almeno 218 casi di saccheggio e / o distruzione di case, scuole e centri sanitari. Anche il bilancio umanitario è pesante. Da febbraio 2018, quasi 57.000 persone si sono rifugiate in Uganda e oltre 556.350 si sono trasferite nei territori vicini e nei dintorni della città di Bunia.
Abdoul Aziz Thioye, direttore del BCNUDH e rappresentante dell’Alto commissariato per i diritti umani a Kinshasa, ritorna sugli attacchi che hanno preso di mira questa comunità, attacchi attribuiti a combattenti Lendui: «Si nota una chiara volontà, da parte degli aggressori, di infliggere sofferenza a questa comunità. Hanno distrutto centri sanitarie e talvolta continuano ad attaccare i campi degli sfollati Hema. È chiaro che esiste una volontà reale, da parte degli attaccanti Lendu, di costringere la comunità di Hema a lasciare le loro terre per poterle occupare o, semplicemente, per poterle coltivare».
Tra il 1999 e il 2003, la provincia dell’Ituri fu l’epicentro di violenti scontri tra le comunità Hema e Lendu. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, tra gennaio 2002 e dicembre 2003 furono uccise circa 8.000 persone, oltre 600.000 dovettero fuggire dai loro villaggi di origine, migliaia di bambini dai 7 ai 17 anni furono reclutati forzatamente o volontariamente nei gruppi armati, innumerevoli donne furono sequestrate e sottoposte a violenze sessuali e interi villaggi furono incendiati e distrutti. Gli scontri tra i Lendu, principalmente agricoltori, e gli Hema, allevatori e commercianti, sono ripresi alla fine del 2017. Situata sulle rive del lago Alberto e confinante con l’Uganda, la provincia dell’Ituri è ricca di oro e di petrolio.[27]

Il 10 gennaio, a Kinshasa, il Consiglio dei ministri ha approvato il progetto di accordo tra il governo e la milizia Forze di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI). Questo progetto, il cui contenuto non è stato ancora rivelato, è stato presentato dalla Vice Prima Ministra e Ministra della Pianificazione, Elysée Minembwe.
Nell’ambito del progetto “Pamoja Kwa Amani” idesato per pacificare il Sud dell’Ituri, il comitato direttivo del programma nazionale di Stabilizzazione e di Ricostruzione (STAREC) ha avviato una procedura di disarmo e smobilitazione di questo gruppo armato. Più di un migliaio di miliziani FRPI e loro familiari sono stati accantonati, dallo scorso agosto, nel villaggio di Azita, vicino a Gety, nel territorio di Irumu. Questa fase precede quella del disarmo vero e proprio della milizia.
Tuttavia, contrariamente alle previsioni precedentemente annunciate dal governo, la firma dell’accordo con questa milizia sta accumulando un certo ritardo. Infatti, dopo l’incontro con il comitato direttivo del programma nazionale di stabilizzazione e ricostruzione (STAREC), il governo aveva previsto la firma dell’accordo per la fine di novembre 2019.[28]

d. Alcune arrese: un segnale positivo

Il 2 gennaio, il portavoce dell’esercito per il Sud Kivu, il capitano Dieudonné Kasereka, ha presentato ai membri del Consiglio urbano di sicurezza di Uvira (Sud Kivu) sedici miliziani membri del gruppo armato Etiopia e altri due miliziani membri dei Mai-Mai Yakutumba che si sono arresi alle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) del settore operativo SOKOLA 2 nel Sud Kivu. Secondo il capitano Dieudonné Kasereka, i 16 miliziani del gruppo Etiopia operavano nel territorio di Kabambare, nella provincia di Maniema e i 2 miliziani Mai-Mai Yakutumba agivano nel territorio di Fizi, nel Sud Kivu. Questi miliziani si sono arresi consegnando nove armi Ak 47 e delle munizioni. Il gruppo armato Etiopia era sotto gli ordini dell’autoproclamato colonnello noto come Mango Mwamadi e operava sugli altipiani di Lwama, nel villaggio di Kalunga Mukabo, nel settore Babuyu del territorio di Kabambare.[29]

Il 3 gennaio, l’ONG locale JAPED (Giovani Ambasciatori per la Pace e lo Sviluppo) ha dichiarato che, grazie alla sua azione, il 1° gennaio, a Kinyatsi, 10 km circa a nord di Lubero Centro (Nord Kivu), 39 combattenti del gruppo armato Mai-Mai denominato Forza Patriottica per la Pace / Esercito Popolare (FPP / AP) dell’autoproclamato generale Kasereka, alias Kabindon, si sono dissociati dal loro gruppo e si sono arresi con due armi da fuoco e una decina di armi bianche, Attualmente sono stati condotti presso il campo di transito di Kirumba.[30]

Il 3 gennaio, nel territorio di Djugu (Ituri), almeno 233 miliziani appartenenti al gruppo armato denominato Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) si sono arresi dopo che, il 1° gennaio, 7 di loro siano stati uccisi in scontri con le forze Armate della RDC (FARDC). Secondo il colonnello Kamuhanda Lobho Désiré, essi provengono dal villaggio di Jiba e sono attualmente raggruppati nel centro di transito di Kpandroma, nel territorio di Djugu (Ituri). Nel territorio di Djugu, gli Hema e i Lendu sono spesso in conflitto. Migliaia di civili sono stati uccisi e molte case sono state incendiate. Le ultime violenze sono scoppiate in dicembre 2017.[31]

Il 13 gennaio, sessantatre (63) miliziani del gruppo armato Nyatura Kigingi, alleato con i Mai-Mai Kapasi, si sono arresi alle Forze Armate della RD Congo. È avvenuto nel villaggio di Kikoma, nel settore Katoyi, nel raggruppamento Nyamaboko, 2, territorio di Masisi (Nord Kivu). I Nyatura Kigingi si sono arresi in seguito a una forte pressione da parte delle FARDC, nell’ambito delle operazioni militari intraprese contro i gruppi armati e richieste dal Capo di Stato Maggiore delle FARDC. I miliziani si sono arresi con 14 armi, fra cui 13 di tipo AKA 47 e 1 RPG 7.[32]

3. IL RAPPORTO DEL GRUPPO DI ESPERTI DELL’ONU: DUE CASI EMBLEMATICI

Nel suo rapporto presentato il 22 novembre 2019 al comitato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e pubblicato il 20 dicembre 2019, il gruppo di esperti dell’ONU per la RD Congo ha affermato che il gruppo amato Nduma Defence of Congo / Rénové (NDC /R), attivo nel territorio di Masisi e Rutshuru (Nord Kivu), ha ricevuto la collaborazione delle Forze Armate della RDC (FARDC), acquistando armi e munizioni da alcuni ufficiali congolesi.
Creato da Guidon Shimiray Mwissa nel 2015, l’NDC-R aveva ripreso varie zone minerarie fino ad allora controllate dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) nel nord-est del territorio di Walikale e diverse altre che erano occupate dall’Unione dei Patrioti Congolesi per la Pace (UPCP) di Lafontaine. Questo gruppo armato è oggi presente anche a sud di Lubero.
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l’NDC-R rimane operativo nonostante il mandato d’arresto emesso contro il suo leader, Guidon Shimiray, dal procuratore del Nord Kivu.
A Pinga, nel territorio di Walikale, i miliziani NDC/R hanno convissuto con le FARDC. A Buabo, nel territorio di Masisi, le FARDC e l’ NDC/R hanno effettuato operazioni militari congiunte contro l’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) di Janvier Kalahiri.
Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha potuto confermare che, a Kashuga, alcuni ufficiali dell’esercito regolare avevano procurato armi e munizioni all’NDC-R, tra cui due mortai da 82 mm e una mitragliatrice da 12,7 mm. L’NDC-R aveva precedentemente acquistato uniformi militari dalle stesse FARDC.
Secondo le testimonianze raccolte dagli esperti delle Nazioni Unite, in maggio 2019 dei combattenti dell’NDC-R hanno trascorso un’intera giornata presso una postazione delle FARDC nelle vicinanze di Mukohwa e il 10 maggio 2019, dei militari delle FARDC hanno consegnato cinque casse di munizioni a dei miliziani dell’NDC-R basati a Loashi, nel territorio di Masisi.
Sempre secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l’NDC/R continua a reclutare nuove leve. Lo dimostra il fatto che, il 7 settembre 2019, a Pinga (Walikale), Guidon Shimiray Mwissa ha presieduto una cerimonia di chiusura di una sessione di addestramento  di 250 nuovi combattenti.
Alcune autorità Nyanga e Hunde de Pinga hanno contribuito a questo recente reclutamento di nuove leve organizzando una campagna ad hoc tra i giovani dei loro villaggi.[33]

Nello stesso rapporto, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha affermato che è ancora difficile sapere chi siano questi miliziani che, da giugno 2019, compiono massacri nel territorio di Djugu (Ituri), ma afferma che la simultaneità con cui gli attacchi si sono verificati e la partecipazione in essi di aggressori provenienti da più località indicherebbero un certo livello di coordinamento, di organizzazione e di pianificazione.
Secondo il gruppo di esperti, il gruppo degli assalitori sarebbe denominato “Unione dei Rivoluzionari per la Difesa del Popolo Congolese” (URDPC) e Ngudjolo Mapa Innocent ne sarebbe il capo. Il suo obiettivo principale sarebbe quello di lottare contro le angherie che le FARDC e la Polizia Nazionale commettono contro la popolazione congolese. Finora, le autorità congolesi hanno sostenuto che una setta denominata CODECO appoggia le milizie dei Lendu, ma il gruppo di esperti dell’ONU afferma di non aver trovato prove sufficienti al riguardo.
Il gruppo ha aggiunto che alcuni assalitori indossano uniformi militari e sono muniti di diversi tipi di armi, tra cui mitragliatrici (“SMG”, secondo i testimoni) e AK47, mentre la maggior parte di essi usa dei machete, asce, frecce o lance. Testimoni e membri delle FARDC hanno osservato la presenza di alcuni cannoni, lanciarazzi RPG-7 e mitragliatrici PKM.
L’ URDPC si presenterebbe come “un movimento di autodifesa” comprendente 853 combattenti, tutti Lendu e sotto l’effettivo controllo di Ngudjolo. Secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, il campo base del movimento si troverebbe nel raggruppamento di Loe, vicino a Jiba, ma i suoi combattenti sarebbero dispersi in varie parti del territorio di Djugu. Secondo la stessa fonte, il movimento sarebbe munito di 148 fucili d’assalto AK-47, 5 mitragliatrici PKM, 7 lanciarazzi e 3 mortai, ottenuti in occasione di attacchi alle FARDC.
Infine, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha affermato che, in diversi villaggi,tra cui Ndr’li, Andri, Ndjalo e Jiba, l’URDPC avrebbe costretto la popolazione Lendu a contribuire finanziariamente allo sforzo bellico, mediante l’imposizione di tasse o il prelievo di una determinata percentuale sulle merci in circolazione.[34]

[1] Cf Radio Okapi, 03.01.’20; AFP – Lalibre.be/Afrique, 03.01.’20; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 03.01.’20; Christine Tshibuyi – Actualité.cd, 03.01.’20
[2] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 04.01.’20 ; Actualité.cd, 05.01.’20
[3] Cf Alphonse Muderwa – 7sur7.cd, 04.01.’20
[4] Cf Jeff Kaleb Hobiang – 7sur7.cd, 04.01.’20
[5] Cf Merveil Molo – 7sur7.cd, 08.01.’20
[6] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 13.01.’20
[7] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 11.01.’20
[8] Cf Ivan Kasongo – Actualité.cd, 15.01.’20
[9] Cf Radio Okapi, 06.01.’20
[10] Cf Actualité.cd, 10.01.’20
[11] Cf Radio Okapi, 12.01.’20; Yassin Kombi – Actualité.cd, 11.01.’20; Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 11.01.’20
[12] Cf Radio Okapi, 14.01.’20
[13] Cf Radio Okapi, 15.01.’20
[14] Cf Radio Okapi, 09.01.’20
[15] Cf Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 06.01.’20
[16] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 15.01.’20
[17] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 02 e 04.01.’20
[18] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 07.01.’20
[19] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 13.01.’20
[20] Cf Jean-Jacques Wondo – Deskwondo.org, 16.12.’19
[21] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 06.01.’20
[22] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 09.01.’20
[23] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 10.01.’20 ; Justin Mwamba – Actualité.cd, 10.01.’20
[24] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 14.01.’20
[25] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 07.01.’20
[26] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 09.01.’20
[27] Cf RFI, 10.01.’20; Radio Okapi, 10.01.’20; Actualité.cd, 10.01.’20
[28] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 11.01.’20
[29] Cf Radio Okapi, 03.01.’20; Deogratias Cubaka – 7sur7.cd, 03.01.’20
[30] Cf Radio Okapi, 03.01.’20
[31] Cf Franck Asante – Actualité.cd, 03 et 05.01.’20
[32] Cf Actualité.cd, 14.01.’20: Muhindo Kisatiro – 7sur7.cd, 14.01.’20
[33] Cf Radio Okapi, 06.01.’20; Actualité.cd, 06.01.’20
[34] Cf Actualité.cd, 06.01.’20