NOVEMBRE TRAGICO A BENI (NORD KIVU):
171 PERSONE MASSACRATE DA MILIZIANI ADF
INDICE
1. L’INIZIO DELLE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE ADF
2. GLI ATTACCHI DELLE ADF CONTRO LA POPOLAZIONE CIVILE
3. LE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE ADF
a. Sul fronte di battaglia
b. Le decisioni del Consiglio Nazionale di Sicurezza
c. La collaborazione tra l’esercito congolese e la Missione dell’ONU
4. MANIFESTAZIONI A BENI, BUTEMBO E GOMA
a. 10 giorni in piazza
b. La Monusco sotto accusa
c. La Monusco risponde
d. Gli appoggi apportati alla MONUSCO
1. L’INIZIO DELLE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE ADF
Il 30 ottobre, il portavoce dell’esercito congolese, Léon Kasonga, ha annunciato l’inizio di “operazioni offensive su larga scala” contro tutti i gruppi armati attivi nell’est della RD Congo, tra cui i diversi gruppi armati Mai-Mai e, soprattutto, le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato islamico di origine ugandese. Il generale Kasonga ha affermato che tutte le risorse necessarie (umane, finanziarie e logistiche). sono state messe a disposizione dell’esercito, per permettergli di effettuare queste operazioni nelle migliori condizioni e ha assicurato che questa offensiva sarà l’ultima e definitiva opportunità in grado di riportare la pace nella regione. Secondo il generale Léon Kasonga, le operazioni verranno effettuate con il sostegno della Missione delle Nazioni Unite: «La MONUSCO è un partner essenziale e privilegiato. Essa continuerà a garantire la sicurezza dei villaggi e della popolazione e, su richiesta delle forze armate congolesi, potrà fornire degli appoggi di vario tipo».[1]
Il 5 novembre, il presidente della società civile del territorio di Beni, Janvier Kasayiryo, ha richiesto l’adozione di misure adeguate alla protezione dei villaggi, per non esporre le popolazioni ad eventuali rappresaglie da parte dei miliziani delle Forze Democratiche Alleate ( ADF): «Sarà necessario adottare adeguate misure di protezione dei villaggi affinché, nel corso delle operazioni, sia garantita la sicurezza della popolazione, perché il nemico può sempre colpire».[2]
Il 5 dicembre, quattordici civili sono stati uccisi a Kolikoko e altri dieci a Mantumbi, in due attacchi delle ADF a queste due località del settore di Beni-Mbau.
Il primo attacco è stato quello di Kolikoko, nel quartiere di Mabasele, nel comune rurale di Oicha intorno alle 4:00 del mattino. Secondo la società civile locale, tre uomini sono stati uccisi all’arma bianca sulla strada Oicha-Maliki, proprio di fronte al dispositivo di lavaggio delle mani creato nell’ambito della lotta contro l’epidemia di Ebola. I miliziani ADF hanno tagliato la testa di una vittima e le mani delle altre. Una Bibbia è stata intrisa del sangue di un’altra vittima. Erano circa le 6 del mattino che i primi militari dell’esercito sono riusciti solo verso le 6:00 del mattino.
Il secondo attacco si è svolto un po’ più a ovest, nel villaggio di Mantumbi, verso le14:00 del pomeriggio. Sono state uccise dieci persone civili, di cui quattro all’arma bianca. La società civile locale, che fornisce queste informazioni, teme che il bilancio definitivo sia più pesante, perché ci sono ancora delle persone date per disperse. Il numero delle vittime è ormai salito a 171 dallo scorso 5 novembre.[3]
2. GLI ATTACCHI DELLE ADF CONTRO LA POPOLAZIONE CIVILE
Il 5 novembre, dieci persone, tra cui sette donne e tre uomini, sono state uccise in un attacco perpetrato dalle ADF a Kokola, un villaggio del territorio di Beni, nel Nord Kivu. Altre fonti della società civile parlano di almeno 16 persone uccise. I miliziani delle ADF hanno anche rubato capre e polli. Iniziato verso le 20:00, l’attacco è durato più di un’ora.[4]
L’11 novembre, durante la notte, cinque persone sono state uccise in un nuovo attacco attribuito alle ADF e avvenuto a Kichanga, un villaggio a circa 40 km dalla città di Beni. Secondo la società civile locale, l’attacco è iniziato alle 21 e si è svolto vicino a una postazione della Monusco. I caschi blu non sono intervenuti e l’esercito congolese è arrivato in ritardo.
Da parte sua, l’esercito congolese continua le operazioni militari iniziate il 30 ottobre contro le ADF e, in una dichiarazione, ha annunciato di aver già ucciso 28 combattenti membri delle ADF.[5]
Il 15 novembre, durante la notte, almeno 14 civili sono stati uccisi nella località di Mbau, del territorio di Beni (Nord Kivu). Sei persone, tutte di una stessa famiglia, tra cui un bambino, sono state uccise nel quartiere Mabasele, situato nella zona occidentale della cittadina di Oicha e le altre otto sono state uccise a Mambalasa, in località Bololoma, vicino a Mbau.
Teddy Kataliko, uno dei leader della società civile di Beni, si è detto convinto che si tratta di un attacco di rappresaglia da parte delle ADF, in seguito all’offensiva militare condotta contro di loro dall’esercito congolese a partire dal 30 ottobre. Egli ha dichiarato che, «come al solito, il modo di agire delle ADF è sempre lo stesso: usano soprattutto armi bianche (asce e machete) per sgozzare, decapitare e tagliare a pezzi i corpi delle vittime. Per uccidere i bambini piccoli, sbattono le loro teste contro i muri. È un modo estremamente crudele per incutere paura, spavento e terrore tra la popolazione. Indossano spesso uniformi della polizia o dell’esercito regolare, il che crea una grande confusione poiché, vedendoli, si è portati a credere che siano dei militari o degli agenti della polizia in pattuglia». Dal 5 al 15 novembre, le persone uccise negli attacchi delle ADF sono almeno 40, tra cui sei militari.[6]
Il 19 novembre, durante la notte, ventuno persone sono state uccise, altre quattro ferite e alcuni minorenni sequestrati in due attacchi perpetrati dalle ADF nella città di Beni e nel comune rurale di Oicha, capoluogo del territorio di Beni.
La società civile ha riferito di essere stata informata di 7morti nel quartiere di Boikene, comune di Rwenzori, città di Beni e di 14 altri morti a Mavete e Musandaba, nel comune rurale di Oicha.
Secondo i sopravvissuti, gli aggressori sarebbero arrivati nel quartiere di Boikene della città di Beni verso le 18:00, indossando uniformi militari, ciò che ha permesso loro di essere scambiati per dei militari in pattuglia. Questo attacco è il primo che le ADF compiono nella città di Beni da ottobre 2018. Secondo altri testimoni, gli attacchi di Mavete e di Musandaba hanno colpito principalmente degli abitanti di Oicha che stavano tornando a casa dai loro campi. Dal 5 novembre, le persone uccise nei vari attacchi attribuiti all’ADF sono almeno 64.[7]
Il 24 novembre, durante la notte, le ADF hanno di nuovo preso di mira il quartiere Masiani della città di Beni (Nord Kivu), dove circa 7 persone civili sono state uccise all’arma bianca (coltelli e machete). «Domenica sera avevamo avvertito le autorità sulla presenza del nemico a Kipriani, perché l’avevamo visto mentre stava preparando la cena, ma non è stata intrapresa alcuna azione offensiva contro di lui. Alle 19:00 sono incominciati i massacri. Siamo delusi», ha dichiarato un abitante di Masiani attaccato dalle ADF.[8]
Il 27 novembre, verso le sei del mattino, 19 civili sono stati uccisi dai combattenti delle ADF a Maleki, un villaggio situato a una decina di chilometri a ovest della cittadina di Oicha, capoluogo del territorio di Beni. Le persone uccise sono dei contadini che si stavano recando nei loro campi per procurarsi il cibo.[9]
Il 28 novembre, i giovani della società civile hanno recuperato i corpi di altri 10 persone uccise il giorno precedente a Maleki, più precisamente a Musuku, un villaggio a circa 4 km dal centro di Maleki. Il numero delle vittime del massacro di Maleki è così passato da 19 a 29. Temendo gli attacchi da parte delle FARDC, le ADF stanno fuggendo da est a ovest e, per vendetta e secondo la strategia delle rappresaglie, continuano ad attaccare le popolazioni civili che incontrano sul loro cammino. Dal 30 ottobre, sono ormai più di 100 le persone che sono state uccise in almeno 15 attacchi.[10]
Il 29 novembre, i miliziani delle ADF hanno attaccato i villaggi di Kakutama, Avei e Kazaroho, a una decina di chilometri a sud-ovest di Oicha (capoluogo del territorio di Beni), e hanno ucciso almeno 13 persone, principalmente all’arma bianca. Questo massacro perpetrato dalle 13:00 locali è durato fino al tardo pomeriggio, quando l’esercito è stato avvertito. Questo nuovo massacro porta a 127, il numero dei civili uccisi dalle ADF dal 30 ottobre in poi.[11]
Il 3 dicembre, tra le 4:00 e le 5:00 del mattino, le ADF hanno fatto irruzione nel villaggio Pulu-Pulu, a 12 km da Ndama, nel Raggrupamento Batalinga. Dopo il loro raid a Pulu-Pulu, i miliziani delle ADF hanno operato nel vicino villaggio di Orototo, dove hanno ucciso altre persone, portando a 18 vittime il bilancio provvisorio dei civili massacrati dalle ADF a Pulu-Pulu e a Orototo. L’esercito, la cui posizione più vicina si trova a Kombo, vicino a Ndama (a 12 Km dai villaggi interessati) è stato allertato dopo i fatti. Quest’ultimo attacco porta a 147 i civili uccisi dalle ADF in rappresaglia dell’offensiva condotta dall’esercito congolese dal 30 ottobre al 3 dicembre.[12]
3. LE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE ADF
a. Sul fronte di battaglia
Il 15 novembre, uno dei leader della società civile di Beni, Teddy Kataliko, ha dichiarato che, in seguito degli attacchi delle ADF, la popolazione si sta spostando da est a ovest, lasciando ormai vuote le principali cittadine, come Oicha, Eringeti, Kokola e Mbau.
La società civile di Oicha ha chiesto all’esercito regolare di condurre un’offensiva anche sul versante ovest del territorio di Beni, nella zona del cosiddetto “triangolo della morte” che comprende Mbau-Kamango-Eringeti, dove i miliziani delle ADF stanno attaccando la popolazione civile sin dall’inizio delle operazioni militari avviate lo scorso 30 ottobre dall’esercito sul versante est del territorio di Beni (Mwalika, Kididiwe, P46, Masulukwede e attualmente Mayangose).[13]
Il 17 novembre, le Forze Armate della RD Congo (FARDC) hanno recuperato una delle principali roccaforti delle ADF. Si tratta di Mapobu 3. Il portavoce delle operazioni di Sokola 1, il maggiore Mak Hazukay, ha dichiarato: «Pensiamo che sia stato un bastione importante, perché vi abbiamo trovato una moschea, un centro di addestramento, un dispensario, una grande quantità di prodotti farmaceutici, più di 20 bidoni d’olio, dei pannelli solari e molte altre cose». Egli ha inoltre segnalato che, dopo più di una settimana di combattimenti, 7 postazioni delle ADF sono state riconquistate e due leader delle stesse ADF uccisi insieme ad altri miliziani.
Mak Hazukay ha anche parlato dell’appoggio fornito all’esercito congolese dalla Missione delle Nazioni Unite nella RD Congo (MONUSCO), sia per quanto riguarda la logistica che i servizi di intelligence: «la MONUSCO ci aiuta nel settore delle informazioni tramite i suoi droni e in quello dell’EVASAN (evacuazione sanitaria), aiutandoci a evacuare, con i suoi elicotteri, i nostri militari feriti o uccisi».[14]
Il 25 novembre, Trésor Kibangula, giornalista e analista del Gruppo Studi sul Congo, ha dichiarato: «L’esercito congolese ha iniziato il 30 ottobre la “Grande offensiva contro le ADF”. L’esercito afferma di aver ricuperato varie postazioni delle ADF situate in foresta. Sta attaccando questo gruppo armato fin nelle zone più remote dell’interno. Dietro di lui, la polizia congolese e le forze della Monusco dovrebbero assicurare la protezione della popolazione civile. Ma la constatazione è che, dietro l’esercito, le ADF continuano a perpetrare nuovi massacri, proprio nelle vicinanze delle grandi località».[15]
Il 25 novembre, in seguito ai massacri perpetrati dalle ADF, il Comitato provinciale di Sicurezza del Nord Kivu ha dichiarato il coprifuoco dalle 18:00 alle 06:00. Le entità amministrative interessate sono Beni, Mbau, Mavivi, Oicha, Kokola, Erigengeti e Mayimoya.
Secondo le statistiche fornite da Kivu Security, un progetto realizzato congiuntamente dal Gruppo di Studi sul Congo (GEC) e da Human Rights Watch (HRW), dal 5 novembre in poi, sono state uccise almeno 75 persone civili nel territorio di Beni (Nord Kivu).[16]
Il 29 novembre, dopo l’arrivo del capo di stato maggiore dell’esercito, il tenente generale Célestin Mbala Munsense, il comitato provinciale per la sicurezza del Nord Kivu ha revocato il provvedimento del coprifuoco nelle città di Beni, Mbau, Mavivi, Oicha, Kokola, Erigengeti e Mayimoya.[17]
Il 2 dicembre, in una conferenza stampa a Beni, il portavoce dell’esercito congolese, il generale Léon Richard Kasonga, ha annunciato l’uccisione di oltre 80 combattenti delle ADF, tra cui quattro dei sei leader del movimento. Questa cifra copre il periodo che va dall’inizio, il 30 ottobre, delle cosiddette operazioni “su larga scala” condotte dall’esercito congolese nella regione di Beni (Nord Kivu), contro le ADF. I quattro “generali” uccisi sono: il generale Nasser Abdou Hamed, il generale Tankatanka, il generale Ibrahim Mouss e il generale Muhamed Mukubwa.
Il generale Kasonga ha annunciato anche la riconquista di Tchochota, un importante centro di addestramento delle ADF, dove l’esercito ha trovato un dispensario, dei pannelli solari e un luogo di impiccagione delle persone sequestrate. L’esercito ha riconquistato anche Kididiwe 1 e 2, quartier generale delle ADF, dove erano programmate tutte le attività. L’esercito ha liberato anche Mwalika, considerato il granaio delle ADF che si dedicavano anche ad attività agricole, coltivando manioca, fagioli, mais e riso. Mwalika era anche il luogo di raccolta delle reclute e un centro di radicalizzazione dei giovani. Sempre secondo il generale Léon Richard Kasonga, in questo ultimo accampamento l’esercito ha trovato denaro di paesi stranieri, tra cui Tanzania, Burundi, Ruanda e Uganda. È stato ripreso anche Lahe, un accampamento delle ADF eretto a Mayangose, a nord-est della città di Beni. Secondo il generale Léon Richard Kasonga, era da Lahe che i ribelli delle ADF pianificavano le loro infiltrazioni e i loro attacchi sui territori di Beni e Butembo.[18]
Il 2 dicembre, in una conferenza stampa, il portavoce dell’esercito, il generale Léon Kasonga, ha annunciato la creazione di un numero verde (243820800005), per informare il centro di coordinamento delle operazioni delle FARDC su qualsiasi movimento sospetto di gruppi armati sul territorio di Beni.[19]
b. Le decisioni del Consiglio Nazionale di Sicurezza
Il 25 novembre, in un comunicato stampa, il movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) ha chiesto al governo di fornire all’esercito tutti i mezzi e le risorse di cui ha bisogno per riuscire a sconfiggere le ADF in modo totale e definitivo. Inoltre ha chiesto al capo dello stato Felix Tshisekedi di licenziare senza indugio i comandanti dell’esercito, della Polizia e dei servizi di intelligence implicati in violazioni dei diritti umani o in complicità con gruppi armati.[20]
Il 25 novembre, il presidente della Repubblica, Felix Tshisekedi, ha presieduto un consiglio di sicurezza di emergenza presso la cittadella dell’Oua. Si è deciso di installare un quartier generale avanzato delle Forze Armate della RD Congo (FARDC) a Beni (Nord Kivu) e l’attuazione di operazioni militari congiunte tra l’esercito nazionale e la Monusco, per garantire la sicurezza della popolazione civile e riportare la pace sul territorio di Beni. A questo incontro, hanno partecipato la rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite nella RD Congo Leila Zerougui, il vice primo ministro e ministro dell’interno e della sicurezza Gilbert Kankonde, il ministro della difesa nazionale Aimé Ngoy Mukena, l’amministratore dell’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR), il capo di stato maggiore delle FARDC e il comandante generale della polizia.
La MONUSCO accompagna le attuali operazioni delle FARDC contro le ADF, fornendo un appoggio per l’evacuazione dei militari feriti o uccisi sul fronte e collaborando con i servizi di intellegence congolesi nella raccolta delle necessarie informazioni.[21]
La Monusco insiste per un approccio più generale e globale per combattere questa violenza: «Sono molti gli agenti implicati nei massacri di Beni: non solo le ADF, ma anche altri gruppi armati che vivono di un’economia di guerra e a quali interessa che l’instabilità e l’insicurezza continuino».[22]
Il 26 novembre, in una dichiarazione firmata dal deputato Denis Kashoba, i gruppi parlamentari MS-G7 e AMK e alleati, membri di Insieme per il Cambiamento di Moise Katumbi, hanno deplorano il fatto che le operazioni militari iniziate il 30 ottobre contro le ADF non siano state accompagnate da azioni preventive di protezione della popolazione civile in caso di rappresaglie.
Inoltre, deplorano la mancanza di una chiara identificazione del nemico e l’assenza di una seria inchiesta sulle accuse di complicità da parte di alcuni membri delle forze di difesa e di sicurezza, cioè dell’esercito nazionale e della polizia nazionale congolese.
Nella stessa dichiarazione, questi parlamentari chiedono quindi al governo di porre fine all’impunità, mettendo urgentemente sotto inchiesta gli ufficiali sospettati di complicità con il nemico. Chiedono infine al Capo dello Stato e, in quanto tale, anche comandante supremo delle forze armate, di permutare tutti gli ufficiali che stanno prestando il loro servizio militare nella regione di Beni da molto tempo, rischiando di diventare complici dei capi dei gruppi armati attivi sul territorio.[23]
Il 27 novembre, il professor José-Adolphe Voto, vice coordinatore di “Percorsi di Pace”, movimento avviato dal dott. Denis Mukwege, ha dichiarato che le misure adottate dal Consiglio di sicurezza del 25 novembre, non sono sufficienti, data la portata e la complessità della drammatica situazione di Beni che si protrae ormai da quasi cinque anni e che si è esacerbato negli ultimi giorni. Per Percorsi di Pace, non è sufficiente stabilire un quartier generale avanzato delle FARDC a Beni o proseguire le operazioni congiunte con la Monusco. L’esercito congolese ha quasi sempre collaborato con la Monusco ma, anche se insieme, non hanno ottenuto molti risultati positivi. Il problema nella regione di Beni è duplice ed è noto sia al popolo che ai politici della provincia: si tratta della complicità di alcuni comandanti dell’esercito nazionale con il nemico da una parte e dell’inefficienza della Monusco dall’altra. Per una soluzione duratura a questo duplice problema occorre, in primo luogo, permutare i comandanti delle truppe che hanno stabilito legami commerciali con il nemico e che lo favoriscono fornendogli informazioni, mezzi logistici e appoggi economici. In secondo luogo, è necessario chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di attivare il capitolo 7 delle risoluzioni relative alla missione della MONUSCO, per consentirgli di operare a Beni come missione di imposizione di pace in una situazione di crimini contro l’umanità.[24]
Il 27 novembre, in una sua dichiarazione, la società civile ha raccomandato al governo di «procedere con la ristrutturazione dell’esercito attraverso il trasferimento e la sostituzione degli ex ufficiali militari CNDP e M23 che non vogliono lasciare la loro zona di origine come se, nella RD Congo, esistesse un esercito regionale, provinciale o territoriale».[25]
Il 29 novembre, il vicepresidente della società civile di Goma, Vicar Batundi Hangi, ha dichiarato che «occorre cambiare il comando militare a partire da Kinshasa e rafforzare la logistica dell’esercito dato che, nella zona operativa di Beni, ci sono già più di 20.000 militari. In secondo luogo, si dovrebbe chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare una risoluzione per attivare la Brigata di Intervento Rapido della Monusco, come fatto nel 2013, in occasione della guerra contro il Movimento del 23 Marzo (M23)».[26]
c. La collaborazione tra l’esercito congolese e la Missione dell’ONU
Il 26 novembre, lo Stato maggiore delle Forze Armate della RD Congo (FARDC) e l’Ufficio Operazioni della MONUSCO hanno annunciato la ripresa delle operazioni congiunte tra l’esercito congolese e le forze della Monusco, e il rafforzamento dei meccanismi della loro partnership. In una conferenza stampa a Goma, il capo di stato maggiore generale delle FARDC, Celestin Mbala, ha dichiarato che tale ripresa è conseguente alle decisioni prese in seno al Consiglio nazionale di sicurezza, cui aveva partecipato anche la MONUSCO. Il generale Célestin Mbala ha precisato che, «a Beni, la MONUSCO collabora con le FARDC, evacuando e assistendo i militari feriti. Credo che, probabilmente, la popolazione non è riuscita percepire questa sua importante collaborazione».[27]
Il 27 novembre, il Vice Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite responsabile della protezione e delle operazioni, François Grignon, è arrivato a Beni, nel Nord Kivu, accompagnato dal comandante militare della MONUSCO, il generale Thierry Lion. Insieme, hanno incontrato il comandante del settore operativo dell’operazione Sokola 1 Grand Nord, il generale Jacques Nduru Ychaligonza. Secondo le dichiarazioni di François Grignon, in questo incontro organizzato presso la sede delle FARDC, sono state decise le modalità di collaborazione in vista di operazioni congiunte FARDC-MONUSCO contro le ADF ancora attive sul territorio di Beni.
Egli ha affermato che «la MONUSCO e le FARDC si sono impegnate a lavorare insieme. In modo particolare, la Monusco si è impegnata ad appoggiare le operazioni offensive che le FARDC stanno conducendo contro le ADF e a rafforzare il dispositivo di protezione delle popolazioni civili nelle zone già ricuperate dall’esercito congolese, al fine di prevenire il maggior numero possibile di atti di rappresaglia intrapresi dalle ADF contro la popolazione civile … Dobbiamo intensificare gli sforzi per definire gli obiettivi e i mezzi e per accelerare la pianificazione e l’esecuzione. È un lavoro che si farà nei prossimi giorni … Se le FARDC lo chiederanno e se ci si troverà in una situazione in cui ci si possa assicurare che gli obiettivi fissati non causino alcun danno alla popolazione civile, la Monusco è pronta ad appoggiare le FARDC, Ne ha i mezzi e l’autorizzazione. La principale preoccupazione della Monusco circa l’appoggio alle FARDC e all’uso dei mezzi offensivi è quella di non causare ulteriori perdite tra la popolazione civile. Come si sa, ci sono dei civili e delle famiglie che sono state sequestrate dalle ADF. La Monusco non vuole, operando dei bombardamenti o degli attacchi con elicotteri da combattimento, correre il rischio di uccidere altri civili. Questo è l’obiettivo principale della Monusco. Ma dal momento in cui gli obiettivi siano chiari e privi del rischio di causare danni collaterali, la Monusco può e deve appoggiare le FARDC, anche mediante l’intervento diretto delle sue forze militari».[28]
Il 28 novembre, a Beni, il capo di stato maggiore delle FARDC, il generale Célestin Mbala e il comandante della forza militare della MONUSCO, il generale Thierry Lion, si sono incontrati per programmare il rafforzamento della collaborazione tra le FARDC e la MONUSCO, in vista di una migliore protezione della popolazione nei confronti degli attacchi delle ADF.[29]
4. MANIFESTAZIONI A BENI, BUTEMBO E GOMA
a. 10 giorni in piazza
A partire dal 21 novembre, a Beni, Butembo e Goma, i giovani sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento dei massacri perpetrati nel territorio di Beni da parte dei combattenti delle ADF, denunciare la passività, l’inazione e la complicità della Missione delle Nazioni Unite in Congo (MONUSCO) di fronte a questi massacri e chiedere quindi la partenza della Missione delle Nazioni Unite, accusata di non aver fatto nulla per impedire il risorgere delle violenze che colpiscono il territorio di Beni da oltre 5 anni.
Molte attività sono rimaste paralizzate: mercati, negozi, magazzini, uffici di telecomunicazione, distributori di carburanti, banche e scuole hanno generalmente chiuso le loro porte. I giovani manifestanti hanno spesso barricato le strade con pietre e pneumatici incendiati. Tra i danni materiali: l’incendio del municipio di Beni, della base della MONUSCO a Boikene e di un posto di controllo sanitario contro l’Ebola a Mambabeka, nella città di Oicha. Particolarmente attivi in queste manifestazioni sono stati i giovani di “Veranda Mutshanga “, del “Parlamento Furu”, dell’associazione culturale “Kyaghanda” della comunità Yira e del movimento civico “Lotta per il Cambiamento”. I manifestanti sono stati spesso dispersi dalla polizia e dalle forze di sicurezza con gas lacrimogeni e spari di intimidazione, per aprire al traffico le strade barricate.
Il 21 novembre, in una manifestazione a Butembo, il presidente di degli studenti di Oicha e dintorni Prince Musavuli, ha dichiarato: «Denunciamo la permanente insicurezza del nostro territorio di Beni, originata dai continui massacri perpetrati dalle ADF nell’ambito dell’assoluta impotenza delle Forze Armate della Repubblica e della Comunità Internazionale, rappresentata dai caschi blu della Monusco. La persistenza di questi massacri lascia intendere che ci sarebbe una velata complicità di alcuni militari malintenzionati che appoggiano il nemico che uccide e sequestra persone civili e saccheggia i beni della popolazione, giorno e notte da oltre 6 anni».
In un memorandum consegnato al sindaco della città, Sylvain Kanyamanda, il comitato degli studenti di Oicha, ha raccomandato: «Chiediamo al Presidente della Repubblica di: pagare bene i soldati impegnati sul fronte, cambiare il capo di stato maggiore dell’esercito, permutare tutti gli ufficiali superiori che prestano servizio nel territorio di Beni, istituire una commissione d’inchiesta indipendente e neutrale, dichiarare il territorio di Beni come zona sinistrata, esonerare la popolazione di Beni da qualsiasi pagamento di tasse e imposte. Chiediamo ai parlamentari originari del territorio di Beni di boicottare le attività parlamentari, fino a quando la questione di Beni non sia diventata una preoccupazione nazionale e vi sia trovata una soluzione duratura e permanente. Chiediamo alla Monusco di impegnarsi seriamente nella questione di Beni, di fornire spiegazioni chiare sulle voci che circolano sulla sua implicazione nei massacri, di sollecitare la Corte Penale Internazionale ad affrontare la questione dei massacri, attraverso un’inchiesta giudiziaria che porti all’arresto degli autori di questi crimini».[30]
Il 2 dicembre, a Kinshasa, il Movimento degli Indignati della Situazione di Insicurezza nell’est del paese (Miss) ha organizzato un sit-in davanti al palazzo presidenziale, per chiedere il ritiro delle truppe dell’ONU, accusate di passività nella loro missione di protezione delle popolazioni civili del Nord Kivu. Gli “indignati” hanno inoltre chiesto al presidente della Repubblica, Felix Tshisekedi, di adottare misure urgenti che possano salvare la situazione: «fare pulizia all’interno dell’esercito, eliminare gli infiltrati stranieri dalle FARDC, mandare al fronte dei militari non originari del posto, cambiare i quadri del comando militare, sospendere gli ufficiali già sanzionati dall’ONU, dagli USA, e dall’UE, arrestare gli ufficiali dediti ad affari economici o finanziari».[31]
Il 2 dicembre, la Corte militare del Nord Kivu ha annunciato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria contro i leader dei gruppi di pressione “La Veranda Mutsanga Beni” e “Je suis Beni”, per l’incendio del municipio di Beni e della base della MONUSCO.
Secondo il procuratore generale militare di questa giurisdizione, il colonnello Kumbu, queste persone saranno processate per utilizzo di gruppi Mayi-Mayi nelle ultime manifestazioni, incendio del municipio di Beni, della sede della MONUSCO nel distretto di Boikene e della stazione di polizia del distretto di Ma Campagne e omicidio di un agente di polizia durante le manifestazioni organizzate a partire dal 25 novembre. Secondo il colonnello Kumbu Ngoma, tutte le persone, indipendentemente dal loro grado e titolo, che hanno finanziato questi attacchi o che saranno citati in questi casi, saranno arrestate dalle forze dell’ordine.[32]
In 10 giorni di manifestazioni anti MONUSCO organizzate dalla società civile e da altri movimenti civici a Beni, Butembo e Goma (Nord Kivu) sono stati uccisi almeno 15 civili, 8 militari linciati dai manifestanti e 2 agenti di polizia.[33]
b. La Monusco sotto accusa
Il 25 novembre, in una sua dichiarazione sulla situazione della regione di Beni (Nord Kivu), il movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) ha chiesto alla Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) di “compiere semplicemente la sua missione”, quella di proteggere i civili. In caso contrario, questo movimento civico chiede alla MONUSCO di ritirarsi dalla RD Congo: «LUCHA ripete alla MONUSCO quanto segue: fa il tuo lavoro di protezione effettiva dei civili, oppure prepara le tue valige e ritorna al tuo paese! Siamo stanchi di morire sotto lo sguardo della tua falsa compassione e accanto alle tue basi che non proteggono nessuno tranne i tuoi agenti». Da parte sua, Ghislain Muhiwa, un militante di Lucha, ha aggiunto: «La Monusco deve associarsi il più rapidamente possibile all’esercito congolese. Anche i suoi caschi blu devono andare sul fronte insieme all’esercito. In caso contrario, deve andarsene».[34]
Il 27 novembre, in una conferenza stampa a Goma, il presidente del “Parlamento dei Giovani del Nord Kivu“, Johnson Ishara, ha annunciato una campagna denominata “provincia senza veicoli blindati della MONUSCO” a partire da lunedì 2 dicembre: «Nella speravano che questa misura sia applicata prima che succeda il peggio, il “Parlamento dei Giovani del Nord Kivu” chiede che la MONUSCO si ritiri da tutto il territorio in cui si stanno svolgendo le operazioni militari e lasci il compito di attaccare il nemico esclusivamente alle forze armate della RDC. E a partire dal lunedì, 1 dicembre, nessun movimento di veicoli della MONUSCO sarà autorizzato sull’intero territorio della provincia».[35]
c. La Monusco risponde
I responsabili della Monusco hanno denunciato una campagna di “disinformazione”, che mette i caschi blu in una posizione di “capro espiatorio”. La MONUSCO ricorda che essa non è stata associata, né dall’esercito né dal governo, alla pianificazione dell’operazione lanciata dall’esercito congolese alla fine di ottobre. In effetti, la Monusco ha una capacità d’azione limitata, i cui contorni sono stati definiti dall’esercito congolese stesso: l’operazione militare contro le ADF è stata programmata unilateralmente dall’esercito congolese, che ha chiesto alla Monusco solo un aiuto per gli scambi delle informazione e per l’evacuazione dei militari feriti, ma niente di più. In secondo luogo, gli attacchi perpetrati dalle ADF avvengono di notte e in villaggi all’interno della foresta, ciò che ritarda qualsiasi tipo di allerta e di intervento. Nonostante ciò, uno dei principali mandati della MONUSCO è quello di proteggere i civili, ora di fronte a un’intensa ondata di attacchi violenti da parte delle ADF.[36]
Il 24 novembre, il Vice Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la protezione e le operazioni, François Grignon, ha reagito di fronte alle dichiarazioni fatte dai giovani che hanno partecipato alle manifestazioni di Beni, accusando la MONUSCO di passività nei confronti dell’operazione offensiva intrapresa dall’esercito congolese il 30 ottobre contro le ADF, benché essa vi abbia partecipato indirettamente, mediante il suo appoggio alle FARDC, evacuando i militari feriti e mettendo a disposizione le informazioni in suo possesso.
François Grignon ha dichiarato che la MONUSCO non può partecipare direttamente all’offensiva lanciata dalle FARDC contro le ADF nel Nord Kivu, se l’esercito congolese non glielo propone. Intervenendo su Radio Okapi, François Grignon ha dichiarato: «Non possiamo partecipare alle operazioni delle FARDC se le FARDC non ci propongono di parteciparvi. Le operazioni avviate il 30 ottobre sono operazioni che le FARDC hanno voluto siano esclusivamente nazionali, cioè senza appoggio, senza pianificazione e senza esecuzione congiunta con la MONUSCO». Secondo lui, questo è un diritto dell’esercito nazionale, ma la Missione delle Nazioni Unite non può impegnarsi per operazioni offensive in una tale situazione operativa. Tuttavia, egli ha precisato che «la Monusco è pronta a utilizzare i suoi mezzi di attacco, sia aerei che terrestri, qualora si arrivi ad identificare obiettivi militari chiari», sottolineando però la necessità di evitare ulteriori vittime civili.[37]
Il 25 novembre, il portavoce della MONUSCO, Mathias Gillmann, ha dichiarato che «la rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU nella RD Congo, Leila Zerrougui, ha ben compreso la rabbia e la frustrazione della popolazione dopo gli attacchi mortali perpetrati dalle ADF. Tuttavia, ella ha sottolineato che attaccare le strutture della Missione dell’ONU e quelle delle autorità locali no fa che indebolire la lotta che le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo hanno intrapreso contro le ADF». Mathias Gillmann ha ricordato che le voci secondo cui la Monusco appoggerebbe le ADF e sparerebbe sulla popolazione civile sono della propaganda a favore del nemico che, in tal modo, potrebbe sentirsi appoggiato dalla popolazione.[38]
Il 30 novembre, a Beni, la responsabile n1 della Monusco, Leila Zerrougui, si è espressa a proposito delle varie manifestazioni organizzate ultimamente in diverse città, per chiedere il ritiro della Missione dell’ONU dalla RD Congo. Secondo le sue dichiarazioni, la missione è stata inviata nella Repubblica Democratica del Congo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con l’accordo del governo congolese e potrà, quindi, ritirarsi solo su richiesta di quest’ultimo: «Se è la popolazione che chiede il ritiro della MONUSCO, questa richiesta sarà presa in considerazione solo se inoltrata dal governo congolese, perché è l’unica entità che ha il potere di farlo. La Monusco non vuole rimanere nella RD Congo a tutti i costi. La Monusco è stata inviata nella RD Congo dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’accordo del governo congolese. Se questa decisione non è gradita, chi ha il potere di decidere dovrà prendere una decisione».[39]
Il 2 dicembre, in una conferenza stampa a Kinshasa, il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le operazioni di mantenimento della pace, Jean-Pierre Lacroix, ha affermato che non ci si deve sbagliare sul nemico: «Non ci si può sbagliare sul nemico. I nemici sono i gruppi che attaccano e uccidono la popolazione». Egli ha denunciato i “messaggi di manipolazione e di disinformazione” che, secondo lui, sono veicolati attraverso i social network e ha respinto le accuse secondo cui la Monusco sarebbe collusa con dei gruppi armati: «Non è tollerabile che sui social network si affermi che la MONUSCO collabora con le ADF. Lo dico senza dimenticare affatto la frustrazione, la tristezza e l’angoscia che la popolazione sta provando da molto tempo».
Jean-Pierre Lacroix ha sottolineato che «non ci si può nascondere il fatto che, nella regione di Beni, ci siano seri problemi di sicurezza, ma non ci si può nemmeno dimenticare che esistono anche dei problemi derivanti da un’economia di guerra che nasconde interessi che contribuiscono a mantenere questa insicurezza».
In questo contesto, egli ha rivelato che «gli atti commessi in questi ultimi giorni di manifestazioni: gli attacchi contro i nostri colleghi dell’OMS e contro la base della MONUSCO a Boikene, non sono stati spontanei, ma pianificati, organizzati e finanziati … È necessario che i responsabili di questi atti siano smascherati e rispondano delle loro azioni».
Egli ha ammesso che è necessario apportare dei miglioramenti al modo in cui si sta attualmente lavorando, come nel settore operativo: «Una cosa è recuperare un certo numero di postazioni occupate dalle ADF. Un’altra è mantenerle sotto controllo e garantire la sicurezza della popolazione dispiegandovi una presenza effettiva e duratura delle autorità e delle forze di mantenimento dell’ordine».
Jean-Pierre Lacroix ha citato il ministro della Difesa che ha ricordato il successo della collaborazione tra le forze di sicurezza congolesi e la Monusco: «Ha indicato che, sui 145 territori della RDC, 135 vanno meglio e non si trovano più in una situazione di guerra. Si tratta di una collaborazione che è stata efficace e che è ancora oggi efficace in molti luoghi. Quindi non c’è motivo per credere che questa collaborazione non porti frutto anche nel Kivu». Jean-Pierre Lacroix ha inoltre sottolineato la riaffermazione, da parte delle autorità congolesi, politiche e militari, dell’importanza del partenariato con la MONUSCO. Infine, a nome del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Jean-Pierre Lacroix ha espresso totale solidarietà e compassione verso la popolazione sofferente e, in particolare, nei confronti delle vittime delle ultime settimane.[40]
d. Gli appoggi apportati alla MONUSCO
Il 26 novembre, il Vice Primo Ministro congolese e Ministro degli Interni e della Sicurezza, Gilbert Kankonde, è arrivato a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Egli ha ribadito l’appoggio del governo congolese alle Forze della Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO): «La MONUSCO è qui e spesso interviene per la logistica. Ma il mantenimento dell’ordine e la sicurezza della popolazione sono compiti che sono principalmente di responsabilità dello stato. Tuttavia, la MONUSCO interviene in diverse settori come partner internazionale. La popolazione non deve lasciarsi manipolare da messaggi che vorrebbero far credere che la MONUSCO sia parte del problema, quando è proprio essa che ci fornisce l’appoggio internazionale di cui abbiamo ancora bisogno».[41]
Il 28 novembre, il ministro provinciale degli interni e della sicurezza del Sud Kivu, Lwabandji Luasingabo, ha dichiarato che i movimenti che stanno prendendo di mira la MONUSCO non hanno scelto la via giusta. Il governo provinciale del Sud Kivu chiede alla popolazione del Nord Kivu di abbassare i toni e di non cedere né alla manipolazione, né alla violenza.
Secondo Lwabandji Luasingabo, la responsabilità della sicurezza della popolazione spetta al governo congolese: «la MONUSCO non è che uno strumento di appoggio. L’essenziale del lavoro deve essere svolto dal governo congolese e dall’esercito congolese. La MONUSCO dovrebbe fornire un semplice appoggio. Prendersela con la MONUSCO, com’ è stato fatto, non è la risposta migliore».[42]
Il 29 novembre, da Bruxelles, la portavoce dell’Unione Europea (UE), Maja Kocijancic, si è espressa sulla situazione d’insicurezza che regna nell’est della RD Congo. Nella sua dichiarazione, la portavoce dell’UE ha condannato gli attacchi perpetrati dai gruppi armati nella provincia del Nord Kivu e ha chiesto alla popolazione di esprimere le sue proteste e richieste in modo pacifico. L’UE ha chiesto l’apertura di un’azione legale contro gli autori delle violenze commesse contro la MONUSCO: «Mentre la Monusco svolge un ruolo vitale nella stabilizzazione della RD Congo, gli atti di violenza contro di essa sono ingiustificabili. Gli autori di queste violenze devono essere citati in giustizia. Le popolazioni che vivono nelle zone colpite dai massacri devono poter esprimere le loro proteste e il loro legittimo bisogno di sicurezza e di giustizia, ma in modo pacifico». Il comunicato dell’UE aggiunge: «Come annunciato dalle autorità congolesi, è necessaria una più stretta cooperazione tra le FARDC e la MONUSCO, al fine di rafforzare le misure di protezione delle popolazioni civili. Solo così sarà possibile un ritorno a una stabilità duratura nella regione». Occorre ricordare che, il 25 novembre, nel corso delle manifestazioni, è stata incendiata e saccheggiata la base della MONUSCO a Boikene, un quartiere della città di Beni (Nord Kivu).[43]
Il 2 dicembre, in una conferenza stampa a Kinshasa, il portavoce dell’esercito, il generale Léon Kasonga, ha dichiarato che né le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), né la Polizia Nazionale Congolese (PNC), né la Missione del’ONU nella RD Congo (MONUSCO) sono nemici della popolazione di Beni. I veri nemici della popolazione di Beni sono i miliziani delle ADF. Inoltre, egli ha messo in guardia tutti i media che trasmettono messaggi di odio e di apologia della violenza.[44]
[1] Cf Radio Okapi, 31.10.’19
[2] Cf Radio Okapi, 05.11.’19
[3] Cf Radio Okapi, 06.12.’19
[4] Cf Radio Okapi, 06.11.’19
[5] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 12.11.’19
[6] Cf RFI, 16.11.’19
[7] Cf Radio Okapi, 20.11.’19 ; Roger Kambale – 7sur7.cd, 20.11.’19
[8] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 25.11.’19
[9] Cf Actualité.cd, 27.11.’19; 7sur7.cd, 27.11.’19 ; RFI, 27.11.’19
[10] Cf Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 28.11.’19
[11] Cf Jean Pierre K – Cas.info.ca, 30.12.’19
[12] Cf Radio Okapi, 04.12.’19; Bantou Kapanza Son – 7sur.cd, 04.12.’19
[13] Cf RFI, 16.11.’19; Yassin Kombi – Actualité.cd, 16.11.’19
[14] Cf Radio Okapi, 20.11.’19
[15] Cf RFI, 25.11.’19
[16] Cf Fonseca Mansianga – Actualité.cd, 25.11.’19
[17] Cf Christine Tshibuyi – Actualité.cd, 29.11.’19
[18] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 02 et 03.12.’19; Bantou Kapanza Son – 7sur7.cd, 02.12.’19
[19] Cf Radio Okapi, 03.12.’19
[20] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 25.11.’19
[21] Cf Fonseca Mansianga – Actualité.cd, 25.11.’19
[22] Cf RFI, 27.11.’19
[23] Cf Dostin Eugene Luange et Merveil Molo – 7sur7.cd, 26.11.’19
[24] Cf Actualité.cd, 27.11.’19
[25] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 28.11.’19
[26] Cf Radio Okapi, 29.11.’19
[27] Cf Radio Okapi, 27.11.’19
[28] Cf Radio Okapi, 28.11.’19
[29] Cf Radio Okapi, 29.11.’19
[30] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 21.11.’19
[31] Cf Cas-info.ca, 02.12.’19
[32] Cf Radio Okapi, 03.12.’19
[33] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 04.12.’19
[34] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 25.11.’19
[35] Cf Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 27.11.’19
[36] Cf RFI, 25 et 26.11.’19
[37] Cf Radio Okapi, 25.11.’19
[38] Cf Actualité.cd, 25.11.’19
[39] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 30.11.’19
[40] Cf Radio Okapi, 02.’12.’19; Jephté Kitsita – 7sur7,cd, 02.12.’19; Actualité.cd, 02.12.’19
[41] Cf Yvonne Kapinga – Actualité.cd, 26.11.’19
[42] Cf Radio Okapi, 29.11.’19
[43] Cf Thérèse Ntumba – Actualité.cd, 30.11.’19
[44] Cf Radio Okapi, 03.12.’19