Editoriale Congo Attualità n. 346 – a cura della Rete Pace per il Congo
Il 31 dicembre, la marcia indetta dal Comitato Laico di Coordinamento (CLC) della diocesi di Kinshasa è stata violentemente repressa dalle forze dell’ordine, sparando spesso ad altezza d’uomo e lanciando gas lacrimogeni anche all’interno delle chiese. Il bilancio di tale barbarie è di una decina di morti, varie decine di feriti e più di cento arresti.
Obiettivi e modalità della marcia
L’obiettivo della marcia era quello di chiedere al Presidente della Repubblica e al Governo la piena applicazione delle disposizioni dell’Accordo tra opposizione e maggioranza firmato il 31 dicembre 2016, grazie al laborioso lavoro di mediazione dei Vescovi della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO). Tra le richieste avanzate si possono ricordare le seguenti:
«1. Una dichiarazione pubblica da parte del Presidente della Repubblica sul fatto che non sarà candidato alla propria successione, in conformità con la Costituzione;
- L’applicazione effettiva, completa e in buona fede dell’accordo di San Silvestro 2016, tra cui:
- La liberazione di tutti i prigionieri politici,
- La fine dell’esilio dei membri dell’opposizione minacciati di arresto al loro rientro in patria,
- La fine della duplicazione dei partiti politici,
- Il riconoscimento della libertà dei media e, in particolare, della RTCN,
- La riapertura di media ingiustamente chiusi,
- La ristrutturazione della Commissione elettorale, al fine di ricreare la fiducia tra l’elettorato e l’istituzione organizzatrice delle elezioni,
- L’utilizzazione del calendario recentemente proposto dalla Commissione elettorale come strumento di lavoro per l’elaborazione di un calendario elettorale consensuale,
- Il libero esercizio delle attività politiche da parte di tutti».
Per quanto riguarda le modalità della marcia, il CLC si era ispirato ai principi della non violenza e aveva raccomandato di:
«– Marciare pregando e cantando inni, portando in mano corone per il rosario, bibbie, crocifissi, immagini sacre, ramoscelli di pace.
– evitare ogni forma di violenza: incendio di pneumatici, erezione di barricate, slogan violenti, insulti, lanci di pietre e altri atti di vandalismo.
– non considerare gli agenti di polizia, i militari e altri agenti dei servizi di sicurezza come nemici.
– Non fuggire davanti alla polizia, ma serrare le file e cantare inni o inginocchiarsi. Rimanere uniti e, se la polizia vuole arrestare qualcuno, tutti i manifestanti si costituiscano come prigionieri».
Molte sono state le adesioni alla marcia indetta dal CLC, soprattutto da parte dei partiti politici dell’opposizione, dei movimenti civici e delle Ong per la difesa dei diritti umani.
Come spiegare la violenta repressione da parte delle forze dell’ordine?
– Una delle prime cause è certamente l’interdizione della marcia da parte del Governatore di Kinshasa, già da vari mesi abituato a non “prendere atto” (autorizzare) delle varie manifestazioni indette dall’opposizione. In questo caso, il Governatore è stato facilitato dal fatto che, l’intestazione della lettera che il CLC gli aveva mandato per informarlo, non riportava che il nominativo Comitato Laico di Coordinamento, senza indirizzo, né alcun numero di telefono. Inoltre, la lettera non faceva alcun riferimento ad alcuna proposta né di itinerario (punti di partenza e d’arrivo) né di orario.
– Ma la causa principale è probabilmente l’adesione dei partiti politici dell’opposizione e dei movimenti civici. Un successo della marcia dei cristiani avrebbe rappresentato una vittoria anche per i partiti politici dell’opposizione che, nel corso dell’ultimo anno, dopo il decesso del loro principale lider, Etienne Tshisekedi, all’inizio del mese di febbraio 2016, hanno visto le loro manifestazioni ridursi a semplici giornate “città morte”, in seguito alla feroce repressione da parte del regime. Un successo della marcia del 31 dicembre avrebbe potuto rinvigorire l’opposizione e darle l’opportunità di innescare quel processo di “sollevamento popolare” da essa tanto attesa e, nello stesso tempo, molto temuta dal regime kabilista, tanto più che l’opposizione continua a dichiarare di non volere riconoscere più Joseph Kabila come presidente della Repubblica a partire dal 1° gennaio 2018 e a esigere, quindi, una transizione senza Kabila per organizzare le elezioni.
– Tuttavia, malgrado la repressione, la marcia dei cristiani del 31 dicembre 2017 rappresenta un passo avanti rispetto alle anteriori manifestazioni organizzate dall’opposizione ormai ridotte, a causa della repressione, a semplici giornate città morte in cui la popolazione si limitava semplicemente a non uscire di casa. Il 31 dicembre, invece, soprattutto nella capitale, Kinshasa, almeno alcune migliaia di persone sono riuscite ad uscire in strada.
Ora la palla è nel campo del Presidente Kabila e del Governo
Le proposte avanzate dal CLC in occasione di questa marcia sono chiare. Ora la palla è nel campo del Presidente Kabila e del Governo.
– Chiedendo al Presidente della Repubblica una dichiarazione ufficiale di non ricandidarsi alle prossime elezioni, conformemente alla costituzione, il CLC né gli ha chiesto le dimissioni, né ha rivendicato una transizione senza di lui. Al contrario, esso ha pubblicamente dichiarato di riconoscerlo come Presidente fino all’organizzazione delle elezioni. Se il Presidente Kabila accettasse di rispondere positivamente alla richiesta del CLC, un simile gesto potrebbe contribuire a fargli ricuperare la fiducia di gran parte del popolo congolese che ora gli ha voltato le spalle.
– Inoltre, l’applicazione delle disposizioni di rasserenamento del clima politico previste dall’accordo potrebbe contribuire a un abbassamento della tensione attualmente esistente tra l’opposizione e la maggioranza.
Per quanto riguarda la questione dei prigionieri politici e degli esiliati, si tratta di personalità politiche ufficialmente accusate di stupro, appropriazione indebita di immobili, ingiuria contro il Capo dello Stato, attentato contro la sicurezza dello Stato, … È tuttavia noto che, dietro tali accuse spesso orchestrate a proposito (giustizia a orologeria), giacciono dei motivi politici innegabili. I motivi addotti (equità della giustizia, difesa dei diritti delle parti lese, …) per mantenere queste persone in carcere o in esilio sono spesso artificiali e funzionali ad interessi politici. Questi casi dovrebbero quindi essere rivisti, in funzione dell’interesse superiore della nazione.
Circa l’interdizione, da parte delle autorità amministrative competenti, dell’organizzazione di manifestazioni promosse dall’opposizione e del funzionamento di alcuni mezzi di comunicazione (radio, televisioni, giornali, …) gestiti da membri dell’opposizione, spesso essa costituisce una evidente violazione dei diritti di manifestazione e di espressione, a favore degli interessi politici della maggioranza al potere. La marcia del 31 dicembre no ha fatto altro che ricordare al Presidente della Repubblica e al Governo che il loro dovere è quello di rispettare e di far rispettare tali diritti, fondamentali in un regime democratico.