Editoriale Congo Attualità n. 344 – a cura della Rete Pace per il Congo
Il punto più discusso: la soglia di eleggibilità
Il Parlamento ha finalmente approvato la legge elettorale. Il punto più discusso nel corso del dibattito parlamentare è stato quello relativo all’introduzione di una soglia di eleggibilità. Per le elezioni legislative nazionali, la Camera dei deputati aveva approvato uno sbarramento dell’1% a livello nazionale. In seconda lettura, il Senato aveva confermato lo sbarramento dell’1%, ma a livello di circoscrizione elettorale.
Secondo la versione della Camera dei deputati, per ottenere un seggio all’Assemblea nazionale è necessario che un partito politico ottenga almeno 400.000 voti su 40 milioni di elettori effettivi a livello nazionale. Secondo la versione del Senato invece, basterà che ottenga solo 10.000 voti su 1 milione di votanti di una determinata circoscrizione elettorale.
Essendo la legge stata approvata dalle due Camere in termini diversi, si è istituita una commissione paritaria Camera dei deputati – Senato, con l’obiettivo di trovare un accordo su un testo unico, ciò che non è avvenuto. Nel caso di una mancanza di accordo tra le due istituzioni parlamentari, in conformità con le disposizioni della Costituzione, è il punto di vista della Camera dei deputati che prevale. La soglia di eleggibilità (sbarramento) è stata quindi confermata all’1% a livello nazionale.
Il punto più debole: la mancanza di consenso tra le due Camere
L’approvazione, da parte della Camera dei deputati, di una legge così importante com’è quella elettorale, senza aver raggiunto un accordo con il Senato, lascia molto perplessi e dubitativi sulla sua accettazione e applicazione, ma anche sul modo di far politica all’interno delle due principali Istituzioni del Paese: il Governo e il Parlamento.
Il Governo, cui spetta l’iniziativa di proporre i disegni di legge al Parlamento, ha aspettato il 14 novembre scorso per approvare il progetto di revisione della legge elettorale. Eppure è da anni che sa che tale legge doveva essere emendata, ma i vari che si sono susseguiti governi (Matata Ponyo, Samy Badibanga, Bruno Tshibala) non hanno mai affrontato tale questione, il che rivela la chiara intenzione di non volere organizzare le elezioni o, quanto meno, di volerle rimandare all’infinito.
Il Parlamento, cui spetta il dovere di controllare l’azione del Governo, non ha mai fatto pressione su di esso, affinché affrontasse la questione della revisione della legge elettorale, rivelandosi così suo complice. Inoltre, le due Camere del Parlamento si sono rivelate incapaci di dialogare e di armonizzare i loro punti di vista. Avrebbero dovuto esplorare la possibilità di una soluzione mediana come, per esempio, un ulteriore abbassamento della soglia di eleggibilità al 0,5% a livello nazionale o un eventuale innalzamento di questa soglia di eleggibilità al 5% a livello di circoscrizione elettorale. Ovviamente, si tratta qui solo di esempi, non di proposte vere e proprie, che richiederebbero studi approfonditi e calcoli precisi.
Il punto più deludente: la mancanza di una pressione popolare
Un altro aspetto da rilevare è quello della più totale assenza di manifestazioni popolari durante gli ultimi giorni del dibattito parlamentare sulla riforma della legge elettorale, a differenza degli ultimi giorni di gennaio 2015, quando la stessa Camera dei deputati aveva già approvato una disposizione che condizionava l’organizzazione delle elezioni al previo svolgimento di un censimento generale della popolazione, ciò che avrebbe rinviato le elezioni per diversi anni. Ciò fu evitato grazie alla pressione popolare che, attraverso vari giorni di manifestazioni senza interruzioni, spinse il Senato a sopprimere il paragrafo 3 dell’articolo 8 della legge elettorale, quello appunto che determinava il quoziente elettorale sulla base del numero degli abitanti e non degli elettori iscritti nel registro elettorale. Questa mancanza di manifestazioni popolari indica che l’opposizione ha perso molta parte del suo potere di convocatoria e che essa organizza le manifestazioni secondo date ideologiche e non secondo le necessità e le urgenze del momento. Dopo solo poco meno di tre anni, il 19, 20 e 21 gennaio 2015 sembrano già molto lontani e quasi caduti nell’oblio.
Ciò che ora è auspicabile
Dato che la riforma elettorale è stata approvata dal Parlamento senza un reale consenso, sarebbe auspicabile che, prima di promulgarla ufficialmente, il Capo dello Stato la rinviasse di nuovo al Parlamento, per un esame più approfondito nel corso della sessione parlamentare straordinaria da egli richiesta e convocata per il 2 gennaio 2018. Ciò potrebbe permettere di rimediare ad alcune lacune e, soprattutto, di raggiungere quel consenso generale di cui avrebbe bisogno una legge di tale importanza.
In ogni modo, ora spetta al Capo dello Stato promulgarla con urgenza, al Governo fornire i mezzi finanziari e logistici per attuarla e alla Commissione elettorale applicarla in modo rigoroso e indipendente, nella consapevolezza che le nuove Istituzioni (Capo dello Stato, Parlamento e Governo) che sorgeranno dalle prossime elezioni di fine 2018, dovranno continuare la riforma elettorale a partire già dal 2019, per poter organizzare le elezioni del 2023 nel miglior modo possibile.