I massacri del Kasai –> sintomi della crisi politica

Editoriale Congo Attualità n.325 a cura di Rete Pace Congo

 

Il 19 giugno, in una nota tecnica sulle violenze commesse nel Gran Kasai, la Nunziatura Apostolica in RDCongo rivela che, dal 13 ottobre 2016 (data del primo attacco a una parrocchia), i “morti segnalati” sono 3.383, i villaggi “completamenti distrutti” sono 20, tra cui “10 dalle FARDC (l’esercito congolese), 4 dai miliziani e 6 da ignoti” e che le case private incendiate o distrutte sono 3.698. La nota riferisce l’esistenza di 30 fosse comuni, invece delle 42 segnalate dalle Nazioni Unite. Da parte sua, l’ONU condanna sia le violenze perpetrate dalla milizia Kamwina Nsapu, sia la repressione da parte dell’esercito che fa un ricorso all’uso sproporzionato della forza.

La causa di un’assurda violenza

Nel tentativo di identificare le vere cause di tanta violenza, in una loro dichiarazione del 31 maggio, i vescovi membri dell’Assemblea Episcopale Provinciale di Kananga (ASSEPKA), affermano che si tratta di una «crisi politica».

Certamente i Vescovi fanno qui riferimento a quella crisi politica sorta in seguito alla non organizzazione, delle elezioni presidenziali, legislative nazionali e legislative provinciali nel 2016. Ne è conseguito che tutte le Istituzioni dello Stato a carattere elettivo (Presidente della Repubblica, Senatori, Deputati nazionali, Deputati provinciali e Governatori) si trovano ormai “fuori mandato” e senza la legittimità delle urne.

Di fronte a tale situazione, la popolazione del Kasai, tradizionalmente prossima all’opposizione e particolarmente colpita dalla repressione delle forze dell’ordine in occasione di certe manifestazioni di carattere politico, non poteva certamente rimanere indifferente. Un banale conflitto relativo alla successione di un capo tribale tradizionale è ben presto sfociato nella creazione di una milizia e si è rapidamente trasformato in un’insurrezione contro i simboli dello Stato (edifici pubblici, agenti della Polizia, agenti della Commissione elettorale, capi tradizionali locali sottomessi al potere centrale … ).

 

Scelte sbagliate

Secondo i Vescovi, «la via scelta dai sostenitori di Kamwina-Nsapu è un vicolo cieco. Non è attraverso la violenza, né attraverso la cultura della morte che si può contribuire alla democratizzazione e allo sviluppo del Paese».

Riferendosi quasi sicuramente alla firma dell’annesso dell’accordo del 31 dicembre 2016 in assenza del Raggruppamento dell’Opposizione (RASSOP), alla nomina di un Primo Ministro (Bruno Tshibala) non proposto dal RASSOP, ma da una sua componente dissidente, alla formazione di un nuovo Governo senza la partecipazione del RASSOP …), i vescovi dell’ASSEPKA affermano che «le false soluzioni messe in atto non contribuiscono al bene comune e non fanno che aumentare la sofferenza del popolo» e che «questa crisi politica la si può risolvere solo con l’avvento di un vero e proprio stato di diritto».

 

Per uscire dalla spirale della violenza

Pertanto, i Vescovi chiedono a tutti quelli che hanno preso le armi, e in particolare ai miliziani di Kamwina Nsapu, di «ritornare alla ragione, rinunciare all’odio e alla violenza e impegnarsi sulla via della pace».

Inoltre, essi si dicono convinti che «la piena attuazione dell’accordo politico globale e inclusivo del Centro interdiocesano di Kinshasa, promosso dalla CENCO e firmato il 31 dicembre 2016, è la via migliore per riconciliare il paese e porre le basi per un futuro rassicurante per tutti».

Infine, i Vescovi chiedono alla Giustizia di «accertare le responsabilità e punire i colpevoli». Per quanto riguarda l’esistenza di fosse comuni nella regione, essi ritengono che sia necessario e urgente «intraprendere un’inchiesta indipendente per far luce sui massacri commessi».

 

La via della giustizia

A questo proposito, l’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani aveva chiesto la creazione di una “commissione di inchiesta internazionale indipendente”, visto che anche due esperti dell’Onu sono stati barbaramente assassinati. Il Governo congolese vi si è accanitamente opposto, invocando motivi di “sovranità nazionale”, ma forse anche perché ha qualcosa da nascondere, sia sull’esistenza delle fosse comuni che sull’assassinato dei due esperti dell’Onu.

Infine, il Consiglio dell’Onu per i diritti umani ha deciso l’invio di un semplice “gruppo di esperti internazionali”, per raccogliere informazioni sulle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commesse nel Kasai, determinare i fatti, precisare le circostanze in cui tali violazioni dei diritti umani si sono verificate e individuare gli autori e i mandanti di tali violenze. Secondo la risoluzione del Consiglio, questi esperti forniranno le conclusioni delle loro indagini al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e alle autorità giudiziarie congolesi dopo un anno di lavoro.

Per stabilire la verità e assicurare che i responsabili siano citati in giustizia, è quindi ora indispensabile che le autorità civili, politiche e militari congolesi concedano a questo “gruppo di esperti internazionali” un accesso pieno e illimitato a tutti i luoghi, documenti e persone che saranno ritenuti utili per l’inchiesta che intraprenderà.