INDICE
1. KASAÏ: CASO KAMWINA NSAPU, LA STORIA DI UNA SCINTILLA CHE HA INNESCATO UN INCENDIO
a. I primi disaccordi con il potere
b. A Kinshasa, cresce la diffidenza nei suoi confronti
c. Il sistema “Kamwina Nsapu”
d. La goccia che ha fatto traboccare il bicchiere
e. Gli ultimi due giorni di Kamwina Nsapu
f. La rivolta si espande a tutto il Kasaï
g. Raggiunto un accordo con la famiglia di Kamwina Nsapu, ma la crisi non sembra risolta
2. KASAI: L’INSURREZIONE DI KAMWINA NSAPU E LA REPRESSIONE DELL’ESERCITO
a. Un esercito al servizio di una “forza straniera di occupazione”
b. Il generale Eric Ruhorimbere, un ex ribelle alla direzione della repressione
c. A Tshimbulu, il colonnello François Muhire e 19 fosse comuni
d. Il “luogotenente Julle”, l’altro “macellaio”
e. Trasferiti verso altre zone operative
3. KASAI: IL LIBRO BIANCO DEL GOVERNO (TOMO 1°)
Prefazione
I: Posizione del raggruppamento di Kamuina Nsapu
II. Identità e situazione amministrativa del defunto capo Kamuina Nsapu
III. Genesi del conflitto e svolgimento dei fatti
IV. Il carattere terroristico del modo operativo di Kamuina Nsapu
V. Metodi d’azione e traffico di stupefacenti
1 KASAÏ: CASO KAMWINA NSAPU, LA STORIA DI UNA SCINTILLA CHE HA INNESCATO UN INCENDIO
(Sonia Rolley – Radio France Internationale / RFI)
È la storia di una scintilla che ha innescato un incendio. Il 12 agosto 2016, Jean-Prine Mpandi, il 6° “Kamuina Nsapu” (capo tradizionale) dei Bajila Kasanga, viene ucciso da un gruppo di militari inviati per arrestarlo. Tutto avviene presso il suo domicilio, nella provincia del Kasaï centrale. Dieci mesi dopo, si contano centinaia di morti (forse migliaia), ma anche migliaia di bambini reclutati più di un milione di sfollati, almeno quarantadue fosse comuni e migliaia di minorenni reclutati come miliziani.
a. I primi disaccordi con il potere
È alla fine del 2012 che Jean Prince Mpandi diventa il 6° “Kamuina Nsapu”, uno dei capi più importanti del territorio di Dibaya, nel Kasaï centrale. Ha 46 anni.
Per le autorità congolesi, Jean Prince Mpandi è un avventuriero, un criminale che avrebbe trascorso la sua gioventù tra le città di Tshikapa e di Lubumbashi, il Zambia e il Sud Africa. Difficile tracciare il suo percorso. È a Lubumbashi, nel Katanga, dove ha frequentato una scuola tecnica a indirizzo agricolo, ma non avrebbe completato gli studi. Negli anni 2004-2005, riappare a Tshikapa, nel Kasai. Apre una clinica tradizionale e dice di aver appreso la medicina da praticanti cinesi. A volte dice di essersi recato in Cina. Altre volte, si presenta come veterinario. Adotta già un discorso dagli accenti politici e parla di unire la sua etnia, i Bajila Kasanga, in uno stesso movimento.
Nessuno saprebbe definire la sua appartenenza politica, ma a tutti sono ben noti i suoi rapporti con il Sudafrica, dove vive la sua famiglia, con gli ambienti contestatari, come i “combattenti” dell’UDPS, e con Etienne Kabila che, auto-proclamatosi “fratello” di Joseph Kabila, è stato indagato dalla giustizia e poi assolto dall’accusa di tentato colpo di stato contro il Capo dello Stato.
Il capo Kamuina Nsapu voleva ripristinare un potere tribale tradizionale libero da interferenze politiche. Per questo, ha rifiutato di far parte di un partito della maggioranza presidenziale e ne avrebbe pagato il prezzo, dapprima con il mancato riconoscimento, come capo tradizionale, da parte dello Stato e, poi, con la sua morte.
È lo scontro tra due mondi: da un lato Kinshasa, il potere centrale, il denaro, la corruzione e, dall’altro, la campagna del Gran Kasai, emarginata, ma dove si ricorda ancora i tempi in cui i capi tribali tradizionale erano dei veri re. Kamuina Nsapu sperava di ritagliarsi un proprio regno nel Congo di Joseph Kabila e di ritornare alle tradizioni degli antenati senza lo Stato.
Dal punto di vista di Kinshasa, è in giugno 2015 che la situazione si complica, come dimostrato da un documento, mai reso pubblico, ma recentemente citato dalle autorità congolesi che, avendolo trovato tra gli effetti personali di Jean Prince Mpandi, lo presentano, da gennaio 2017, come prova della sua volontà di fomentare un’insurrezione.
Nel mese di gennaio 2017, il ministro degli Interni, Emmanuel Ramazani Shadari, ha riferito all’Assemblea Nazionale che il governo detiene un documento firmato del capo Kamuina Nsapu dal titolo “No alle elezioni nel 2016“. Secondo il regime di Kinshasa, Jean Prince Mpandi avrebbe insistito sulla necessità di ripristinare i poteri tribali tradizionali, “emanazioni naturali della nazionalità’, avrebbe chiesto ai giovani di erigere posti di controllo e barricate per cacciare tutti gli stranieri dal Gran Kasai, ad eccezione dei “diplomatici”.
«Kamuina Nsapu critica la negligenza che lo Stato congolese avrebbe dimostrato sin dalla sua indipendenza (…), tratta i funzionari civili dello stato e i membri delle forze di sicurezza (esercito, polizia e servizi di intelligence come dei “mercenari” e accusa il governo nazionale di essere “un governo di occupazione”». (Risposta Emmanuel Ramazani Shadari, Ministro degli Interni, all’interpellanza presentata da un deputato di Dibaya, Martin Kabuya, all’Assemblea nazionale il 17 gennaio 2017).
b. A Kinshasa, cresce la diffidenza nei suoi confronti
La RDCongo è vittima di una grande crisi economica: crollo della moneta nazionale, carenza di valuta, aumento dei prezzi e disoccupazione dilagante. L’economia del Gran Kasai sprofonda al ritmo del fallimento della MIBA, la società mineraria del Bakwanga, una delle aziende di maggior successo ma che sta terminando l’estrazione delle riserve di diamante di Mbuji Mayi e che oggi ha 200 milioni di dollari di debito. Come i loro sudditi, anche i capi tradizionali si trovano impoveriti.
Nel mese di dicembre 2014, Évariste Boshab è nominato da Joseph Kabila Vice Primo Ministro e Ministro degli Interni e della Sicurezza, e quindi è diventato il principale interlocutore di Kamuina Nsapu.
Dal 2015, è entrata in vigore una nuova legge sullo statuto di capi tribali tradizionali. Essa prevede la pubblicazione, da parte del ministero degli Interni, di un decreto di riconoscimento di ogni capo tradizionale come tale e l’erogazione di uno stipendio per ciascuno di loro.
Alcuni capi tradizionali, accusati poi di essersi sottomessi al regime, ottengono facilmente il riconoscimento del loro status. Ma altri, come Kamuina Nsapu, devono attendere molti mesi, o addirittura degli anni, per ricevere una risposta dal governatorato. Jean Prince Mpandi cerca di aver pazienza, ma non ottiene nulla.
Il Vice Primo Ministro e Ministro degli Interni e della Sicurezza, Evariste Boshab, viene allora accusato di moltiplicare i decreti di riconoscimento dello status di capo tradizionale a quelli che accettano di aderire alla Maggioranza Presidenziale, fomentando in tal modo dei doppioni delle entità tradizionali o di crearne delle nuove.
Il regime di Joseph Kabila è così accusato di usare la nuova legge a fini politici, per affermare il suo controllo sul Grande Kasai, regione simpatizzante dell’opposizione.
c. Il sistema “Kamwina Nsapu”
Il “Cyota” è il nome del focolare, un fuoco permanente o temporaneo, presso la casa del capo tradizionale. È il canale privilegiato per parlare con gli antenati, è un luogo di incontro dove si parla di tutte le questioni più importanti legate alla sopravvivenza della tradizione tribale. Per i Kamwina Nsapu, la Tshiota è soprattutto un centro di iniziazione. Nel caso dell’attuale conflitto, per diventare un vero miliziano, si deve passare attraverso un Tshiota e accettare un particolare “battesimo”. Per i Kamwina Nsapu, questo “battesimo” consiste nel bere una pozione magica che, secondo le credenze locali, rende invulnerabile e invincibile chi la beve. Il battesimo è uno dei passi essenziali nel processo di iniziazione. Le figure chiave sono i feticisti, i “guardiani della tradizione”. Ogni Tshiota ha il suo feticista, come ogni gruppo di miliziani ha il suo leader. I feticisti organizzano i riti di iniziazione e preparano il battesimo. Tutto ciò spiega la natura non strutturata del movimento Kamwina Nsapu. Infatti, ogni Tshiota può dar origine a diversi gruppi di miliziani che, dopo la morte di Jean Prince Mpandi, non fanno più riferimento a un solo capo.
– I Kamwina Nsapu attaccano principalmente i simboli dello Stato che, secondo loro, è diventato un regime repressivo e usurpatore che deve quindi essere considerato come un “nemico”. È lo stato degli “stranieri” che parlano un’altra lingua e che devono essere cacciati fuori dalla terra sacra. I loro bersagli preferiti sono le forze di sicurezza: l’esercito, la polizia, l’Agenzia nazionale di Intelligence (ANR) e la Direzione Generale delle migrazioni (DGM). Anche la Commissione Elettorale è presa di mira, perché accusata di manipolare il processo elettorale. I “nemici” possono essere decapitati dopo essere stati accusati pubblicamente.
– I Kamwina Nsapu considerano come dei “traditori” gli stessi abitanti del Kasai, capi tradizionali o autorità locali, che si rifiutano di aderire al movimento Kamwina Nsapu, schierandosi quindi dalla parte dello Stato. I conflitti tra capi tribali tradizionali spiegano in gran parte la vastità della diffusione della rivolta. Più di un centinaio di capi tribali tradizionali hanno accusato il potere politico-amministrativo di interferire sul potere tribale tradizionale, creando dei doppioni o delle nuove entità. I traditori costituiscono spesso i loro primi obiettivi. Anch’essi possono essere decapitati.
– Anche le scuole e la Chiesa cattolica sono spesso presi di mira. I giovani miliziani lo spiegano per il fatto che essi stessi non possono studiare. Sono la generazione della scuola a pagamento. Dal 1984, lo stato paga poco, o non paga affatto, gli insegnanti, costringendo i genitori a pagare delle tasse scolastiche troppo elevate in rapporto con il loro livello di vita. La Chiesa cattolica, che gestisce la metà delle scuole del paese, si ritrova accusata di racket. Dal punto di vista della milizia, la Chiesa cattolica è anche quella che, attraverso un dialogo politico tra maggioranza e opposizione, ha mantenuto il presidente Joseph Kabila al potere anche dopo la fine del suo secondo e ultimo mandato presidenziale. Le chiese e le scuole possono quindi essere saccheggiate e addirittura incendiate, il loro personale può essere maltrattato, ma raramente ucciso.
d. La goccia che ha fatto traboccare il bicchiere
L’influenza di Kamuina Nsapu cresce. Non solo a causa dei sui discorsi di contestazione che egli pronuncia davanti alla Tshiota, il fuoco sacro, ma anche perché organizza delle cerimonie, tra cui un certo tipo di battesimo, in cui viene somministrata agli adepti una pozione magica, per renderli più forti e invulnerabili davanti alle pallottole delle armi. Secondo un funzionario dei servizi di sicurezza, che ha chiesto l’anonimato, queste cerimonie,associate a dei discorsi dagli accenti politici erano già in corso prima del 3 aprile 2016, data in cui, mentre Kamuina Nsapu si trovava in Sud Africa, la polizia procede a una serrata perquisizione nella sua casa.
«Sulla base delle informazioni ricevute, nel mese di aprile 2016, da un corrispondente dei servizi di intelligence, sulla presenza di armi da guerra presso il domicilio di Kamuina Nsapu, il Consiglio provinciale di Sicurezza aveva inviato sul posto una missione congiunta ANR – FARDC – PNC per procedere alla verifica dei fatti». (Risposta del Vice Primo Ministro degli Interni, Emmanuel Ramazani Shadari, all’interpellanza presentata da un deputato di Dibaya, Martin Kabuya, all’Assemblea nazionale il 17 gennaio 2017).
Per Jean Prince Mpandi, questa perquisizione è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tornando dal suo lungo soggiorno in Sud Africa, dove risiede la sua famiglia, il capo tradizionale ha dato ordine di erigere delle barricate intorno alla sua casa e inizia una rivolta contro le istituzioni simbolo dello Stato centrale.
– Il 23 luglio 2016, dei presunti seguaci di Kamuina Nsapu hanno lanciato un’operazione punitiva contro Ntenda, un capo tribale vicino ma rivale di Jean Prince Mpandi, perché collaboratore del potere centrale. Sono state incendiate un centinaio di capanne e uccise almeno sei persone.
– La notte tra il 03 e il 04 agosto 2016, altri miliziani attaccano la stazione e il posto di polizia di Mfuamba, nel territorio confinante di Demba. Bastonano gli agenti della polizia e si impadroniscono di un Kalashnikov.
– L’8 agosto, il capo tradizionale prende d’assalto la città di Tshimbulu. Il Commissario, il sotto commissariato, le residenze del comandante della polizia e del sindaco della città e la sede della Commissione elettorale sono incendiati e distrutti. Il bilancio ufficiale è di nove morti, tra cui cinque agenti di polizia.
e. Gli ultimi due giorni di Kamwina Nsapu
– Il giovedì 11 agosto 2016, il Consiglio Nazionale di Sicurezza (CNS), guidato dal Vice Primo Ministro degli Interni, Evariste Boshab, si trova nel Kasai centrale. Tutti i capi delle forze e dei servizi di sicurezza fanno parte della missione. A Kananga è arrivata anche una delegazione di deputati nazionali eletti nella circoscrizione della provincia. Tra di loro c’è anche Clément Kanku, un deputato dell’opposizione, che viene convocato lo stesso giorno dal CNS, per il suo presunto appoggio al capo Kamuina Nsapu, come dedotto da intercettazioni telefoniche con un presunto miliziano. Le autorità chiedono ai deputati di trasmettere a Jean Prince Mpandi un ultimatum di 24 ore, per arrendersi alle forze di sicurezza. In caso contrario, sarà ucciso. Kamuina Nsapu propone ai parlamentari di andare a casa sua per parlare. Egli insiste sul fatto che la MONUSCO debba intervenire per garantire la sua sicurezza.
– Il venerdì 12 agosto 2016, mentre attende l’arrivo della delegazione dei deputati, Jean Prince Mpandi si accorge che sta invece arrivando un gruppo di militari. Kamuina Nsapu l’aveva già detto ai parlamentari: se doveva morire, egli aveva deciso di morire a casa sua, nella sua terra. Jean Prince Mpandi affronta le forze di sicurezza. Ferito, è costretto a ritirarsi. Verso le 16h00, il 6° Kamuina Nsapu è colpito da una pallottola nello stomaco e muore. Il suo corpo è stato portato via dalle forze dell’ordine.
f. La rivolta si espande a tutto il Kasaï
Lungi dal spegnere il fuoco, la morte di Jean Prince Mpandi lo ravviva e permette al suo “sogno” di avverarsi. Un esercito di giovani insorge contro l’autorità dello Stato. La sua morte segna l’inizio di una rivolta senza precedenti e di una violenta repressione da parte delle forze di sicurezza.
Dal mese di agosto 2016, il conflitto si è diffuso oltre la ristretta zona posta sotto la giurisdizione tribale di Kamuina Nsapu. L’intero Gran Kasai è diventato una zona di guerra che assomiglia sempre più all’est della RDCongo e i conflitti etnici sono strumentalizzati a scopi politici o economici.
All’inizio di settembre 2016, per quanto riguarda il territorio di Dibaya, le Nazioni Unite già parlano di almeno 51 morti, 21 località direttamente colpite dal conflitto, 806 capanne incendiate, vari edifici dello Stato saccheggiati e distrutti e circa 12.000 sfollati.
Alla fine di dicembre 2016 e all’inizio di gennaio 2017, nel territorio di Kamuina Nsapu arrivano dei rinforzi militari. Si tratta di truppe comandate da ufficiali per lo più ruandofoni. Tra loro ci sono anche quelli che egli stesso, quando era ancora in vita, aveva accusato di aver distrutto i suoi feticci, simboli del suo potere, e di aver mantenuto il Presidente Joseph Kabila al potere, anche dopo la fine del suo secondo e ultimo mandato.
Ma i miliziani di Kamwina Nsapu continuano ad attaccare tutto ciò che rappresenta lo Stato.
Lanciano i loro attacchi “mistici” il giovedì e il venerdì per commemorare non solo la morte del loro capo, ma anche per ricordare le ultime ore che l’hanno preceduta. Uccidono, e a volte decapitano, gli agenti dello Stato che riescono a catturare.
Si tratta di una violenza di matrice politica e le vittime sono ben precise: i membri delle forze di sicurezza, le autorità e i capi locali che collaborano con il potere e considerati quindi come dei “traditori”, gli agenti della Commissione elettorale. Come i militari dell’esercito nazionale, anche i giovani miliziani si fotografano e, anche se raramente, si riprendono in video insieme con le loro vittime.
Ma si tratta soprattutto di una rivolta popolare. I commercianti che si rifiutano di pagare delle tasse sempre più elevate si proclamano “Kamuina Nsapu” sempre più facilmente. I giovani che vivono in città portano volentieri una fascia rossa, segno emblematico della rivolta. Quando vengono arrestati, è sufficiente per considerarli miliziani. E quando arrivano nei villaggi, scappando dalle forze di sicurezza, sono facilmente accettati. Gli abitanti dei villaggi dicono di riconoscersi nella rabbia che essi incarnano. Tuttavia li rimproverano di attirare dietro sé i militari che li stanno ricercando seminando la morte dove passano. Inoltre li accusano di attaccare anche scuole e chiese.
L’insurrezione si diffonde nelle cinque province dell’ex Gran Kasai. Quanto più il governo li reprime con la forza delle armi, tanto più i miliziani si diffondono e fanno nuovi adepti. I Tshiota (fuoco sacro), i “battesimi” di iniziazione, la rivolta contro le ingerenze del potere nella vita tribale tradizionale, l’emarginazione, il rifiuto della povertà e del mantenimento di Joseph Kabila al potere … sono alcuni dei temi che “parlano” agli abitanti del Gran Kasai. La diffusione del movimento Kamwina Nsapu avviene per contagio , di bocca in bocca.
g. Raggiunto un accordo con la famiglia di Kamwina Nsapu, ma la crisi non sembra risolta
Il 17 marzo 2017, il nuovo Ministro degli Interni, Emmanuel Ramazani Shadari, annuncia la fine del fenomeno Kamuina Nsapu. È stato raggiunto un accordo con la famiglia. Un mese dopo, i rappresentanti della famiglia designano il nuovo capo Kamuina Nsapu. Jacques Kabeya Ntumba ha collaborato con il deputato Clément Kanku a Kinshasa ed è, quindi, considerato prossimo alle autorità. Molto rare sembrano le voci dissenzienti. Ufficialmente, il corpo di Jean Prince Mpandi è restituito alla famiglia che invita a cessare le ostilità. Ma sul terreno, nulla sembra cambiare.1
2. KASAI: L’INSURREZIONE DI KAMWINA NSAPU E LA REPRESSIONE DELL’ESERCITO
(Sonia Rolley – Radio France Internationale / RFI)
In dieci mesi, il Gran Kasai, una zona di pace per oltre 40 anni, si è trasformato in una zona di conflitto. Dal momento della morte del capo Kamuina Nsapu, si contano centinaia (forse migliaia) di morti, almeno quarantadue fosse comuni e più di un milione di sfollati. Di fronte a una rivolta senza precedenti, le forze di sicurezza hanno condotto una violenta campagna contro-insurrezionale. La violenza ha raggiunto una inaspettata intensità. In dieci mesi, il conflitto tra i seguaci del capo tribale tradizionale Kamuina Nsapu e le forze di sicurezza si è esteso a ben cinque province.
I responsabili di questa operazione contro-insurrezionale sono noti. Sono gli stessi che sono stati alla base delle ore più buie della storia del Congo, quelle delle sue due guerre e delle atrocità perpetuate nell’Est del Paese.
a. Un esercito al servizio di una “forza straniera di occupazione”
I Kamuina Nsapu non hanno fatto che reagire al dispiegamento, sul loro territorio, di militari provenienti dall’Est del paese, come avevano già fatto i gruppi di autodifesa di tipo Mai Mai all’inizio della prima guerra del Congo. Per i miliziani, questi militari, e in particolare quelli che hanno partecipato alle ribellioni fomentate e appoggiate dal Ruanda, sono dei veri invasori, come lo è stato l’esercito ruandese.
Gli ufficiali dispiegati nel Gran Kasai hanno iniziato la loro carriera militare nel 1996-1997, all’epoca dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL) di Laurent Désiré Kabila. Ufficiali o “Kadogo”, per la maggior parte, essi sono dei militari dell’Est, inviati sulla terra “sacra” del capo Kamuina Nsapu, in seguito alla ristrutturazione dell’esercito congolese.
Il motivo per cui il governo ha spostato dei generali dall’est verso l’ovest è perché vuole interrompere i loro rapporti con il Ruanda e l’Uganda., ciò potrebbe evitare che questi ex ribelli inizino delle nuove ribellioni nell’est del Paese. Questo spostamento è stato effettuato a scapito degli abitanti del Kasai, che considerano questi militari come degli stranieri, dei “Ruandesi”, ritenuti criminali e oppressori.
Uno dei primi ad aprire la via est-ovest è stato il generale Obed Rwibasira, allora comandante della regione militare del Nord Kivu e ora vice capo di stato maggiore dell’esercito di terra, responsabile dell’amministrazione e della logistica. È stato accusato di permettere all’esercito ruandese di entrare in territorio congolese. In dicembre 2004, è stato trasferito a Mbuji-Mayi (Kasai Orientale), poi a Kananga (Kasai-centrale).
In seguito, quando scoppia la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), lo stato maggiore dell’esercito teme che alcuni dei suoi ufficiali si uniscano agli ammutinati. In particolare, lo stato maggiore è preoccupato dell’811° reggimento comandato dal colonnello Innocent Zimurinda. Lo trasferisce quindi a Kananga nel mese di aprile 2012. Solo circa 700 soldati arrivano a destinazione. Il resto, tra cui Innocent Zimurinda, ora rifugiato in Ruanda, ha aderito al generale Bosco Ntaganda e alla ribellione dell’M23.
b. Il generale Eric Ruhorimbere, un ex ribelle alla direzione della repressione
Capo delle operazioni, è accusato di aver fatto ricorso a un uso eccessivo della forza e di essere responsabile delle esecuzioni sommarie commesse dai suoi militari nel Gran Kasai.
Se ora egli ha la sua sede a Mbuji-Mayi, nel Kasai Orientale, Eric Ruhorimbere ha partecipato a tutte le ribellioni del Kivu.
Membro dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL) durante la prima guerra del Congo (1996-1997); ufficiale dell’esercito del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) nella seconda guerra del Congo (1998-2003); nel 2004, durante l’assedio di Bukavu, si ritrova insieme con il colonnello insorto Jules Mutebutsi. Come lui, egli sarà costretto a fuggire per un po’ di tempo in Ruanda. Tre anni dopo, aderisce alla ribellione del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) di Laurent Nkunda. A differenza di altri ribelli dell’Est, Eric Ruhorimbere non aderisce al Movimento del 23 marzo (M23), anche se è stato a lungo agli ordini di Bosco Ntaganda, detto “Terminator”, iniziatore della ribellione nel 2012. Mentre l’M23 ha dovuto fuggire in Uganda e in Ruanda, Eric Ruhorimbere è stato “ricompensato per la sua fedeltà” all’esercito nazionale. Anche se fa parte del gruppo di generali considerati dalla MONUSCO come “rossi” (non affidabili), è stato promosso al grado di generale nel 2014. Joseph Kabila lo nomina quindi, insieme ad altri generali “rossi”, per il Kasai.
c. A Tshimbulu, il colonnello François Muhire e 19 fosse comuni
L’8 agosto 2016, i seguaci di Kamwina Nsapu prendono d’assalto il commissariato di polizia e altri edifici pubblici di Tshimbulu, nel Kasai centrale. Il bilancio di questi scontri è di una decina di morti. Ma è da gennaio 2017 che iniziano i veri “fiumi di sangue”. In cinque mesi, a Tshimbulu e dintorni, i miliziani di Kamwina Nsapu compiono dieci attacchi e sono massacrati. Delle quarantadue fosse comuni che l’ONU ha finora documentato, diciannove sono state scoperte proprio a Tshimbulu.
Da gennaio 2017 e da quando si sono scoperte le fosse comuni, l’ufficiale responsabile delle operazioni a Tshimbulu è François Muhire Sebasonza. Fa parte del 2101° reggimento ufficialmente dispiegato a Kananga. La giustizia militare congolese lo ha accusato di essere uno dei principali responsabili di un massacro (almeno 200 morti e centinaia di case incendiate o saccheggiate) commesso a Kitchanga (Nord Kivu), nel febbraio 2013, quando era al comando dell’812° reggimento. Dopo il massacro di Kitchanga, François Muhire e i suoi uomini scompaiono dalla scena delle operazioni del Nord Kivu e sono trasferiti nel Katanga.
Ma nel 2016, quando l’812° reggimento dovrebbe ufficialmente trovarsi nel Katanga, lontano dal Gran Kasai e quando inizia la crisi Kamuina Nsapu, almeno quattro degli ufficiali sospettati di aver partecipato al massacro di Kitchanga, nel Nord Kivu, si trovano invece a Kananga, poi a Tshimbulu, nel Kasai centrale. È nel corso delle loro operazioni militari che le fosse comuni si moltiplicano.
Le fosse comuni di Tshimbulu sono facili da individuare. Tutti gli abitanti ne parlano. Si trovano vicino alla strada. Inoltre, nelle immediate vicinanze, ci sono tracce di sangue, talvolta braccia, gambe, un corpo intero, che non sono stati sepolti bene o che rimangono sulla superficie. Si nota che la terra è stata rimossa di recente. Queste fosse comuni si trovano, per lo più, in un raggio di meno di cinque chilometri da Tshimbulu.
Tra l’8 agosto 2016 e il 4 gennaio 2017, a Tshimbulu non si registra nessun scontro. Il colonnello Muhire e i suoi uomini arrivano e, subito dopo la fine di dicembre 2016, i miliziani lanciano il loro primo attacco. Secondo i miliziani Kamuina Nsapu, gli ufficiali ruandofoni dell’esercito nazionale sono dei “Ruandesi”, degli stranieri che occorre buttar fuori dalla loro “terra sacra”. L’arrivo di questi militari è sinonimo di invasione. Quasi ogni mese, i miliziani attaccano la città di Tshimbulu dove sono stanziati questi soldati. Sotto il comando del colonnello François Muhire, l’esercito nazionale replica loro con dei lanciarazzi.
d. Il “luogotenente Julle”, l’altro “macellaio”
A Tshimbulu, c’è un altro nome che cui si parla: è quello di un luogotenente. Julle Bukamumbe si dice originario del Kasai. Sarebbe addirittura originario del territorio di Kazumba (Kasai centrale). Sarebbe un “vero” Kasaiese che parla il Tshiluba, ma anche le altre due lingue usate all’interno dell’esercito, il lingala e il swahili. Il “luogotenente Julle” è arrivato alla fine di dicembre 2016. Parla molto con la popolazione locale. Si lamenta delle cattive relazioni con i “Ruandesi”, favoriti dalla gerarchia militare. Come i miliziani Kamuina Nsapu, accusa i suoi commilitoni ruandofoni di essere degli “stranieri”. Ma non sembra molto popolare. Il tenente Julle “ne ha uccisi molti”, dicono gli abitanti del villaggio, e non solo Tshimbulu. Degli abitanti del territorio di Dibaya, dov’è iniziata la rivolta, dicono di avere riconosciuto la sua voce nei video dell’uccisione del capo Kamuina Nsapu, il 12 agosto 2016. Tre di loro affermano di averlo chiaramente identificato. Tra loro, l’autore di uno dei due video girati.
e. Trasferiti verso altre zone operative
Da quando, l’8 marzo 2017, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha chiesto un’indagine internazionale, gli ufficiali “più visibili” dell’esercito congolese sono progressivamente scomparsi dalla zona delle operazioni. Attualmente, sia il colonnello François Muhire che il luogotenente Julle Bukamumbe non si trovano più a Tshimbulu. A Kananga, quasi tutto il comando operativo è stato rimpiazzato. Sembra che siano stati tutti nominati in altre zone operative.2
3. KASAI: IL LIBRO BIANCO DEL GOVERNO (TOMO I)
Prefazione
Attraverso questo “Libro bianco” datato del 12 giugno 2017, il governo congolese vuole ristabilire la verità sugli avvenimenti che hanno sconvolto la Repubblica Democratica del Congo in generale e le province di Kasai in particolare.
E ciò, al fine di permettere all’opinione nazionale e internazionale di sapere che cos’è realmente accaduto, nonostante le molte voci discordanti e le campagne di intossicazione qua e là constatate.
Molti civili innocenti sono rimasti uccisi perché hanno semplicemente rifiutato di aderire alla ideologia della milizia Kamuina Nsapu. Centinaia di poliziotti e di militari congolesi sono rimasti uccisi e poi decapitati, perché volevano far rispettare l’ordine pubblico e difendere la patria. Anche due esperti delle Nazioni Unite (ONU) sono stati vilmente assassinati, perché volevano cercare di sapere cosa stesse realmente accadendo nel Kasai centrale. Alcuni membri delle forze dell’ordine del nostro paese hanno violato il codice di etica e deontologia militari, attaccando con violenza dei civili innocenti nel villaggio di Mwanza Lomba, nel Kasai Orientale. Questi atti non fanno onore al nostro Paese.
I: Posizione del raggruppamento di Kamuina Nsapu
Il Raggruppamento di Kamuina Nsapu si trova nel settore di Dibataïe, Territorio di Dibaya, a 100 km a est della città di Kananga. È composto di sette villaggi: Tshimpanga, Kalunga, Ntambue Kayembe, Nsabanga, Kena Kalamba, Nanshakale e Kamuina Nsapu.
II. Identità e situazione amministrativa del defunto Capo Kamuina Nsapu
– Nome e cognome: Nsapu Pandi John Prince
– Luogo e data di nascita: Tshikula, 06.04.1966
– Origine: Raggruppamento Kamuina Nsapu, Settore Dibataïe, Territorio Dibaya, Provincia Kasai centrale. Emigrato in Sud Africa dal 1998, Jean Prince Nsapu Pandi vi ha ottenuto lo statuto di rifugiato politico. Nel 2009, ha fondato un partito politico chiamato “SAVEP” (Sanità verde per il Progresso), la cui sede si trova nel Comune di N’Djili, viale Kibula, 25 – Kinshasa.
Nel 2012, dopo la morte di suo zio paterno, il capo Ntumba Mupala Kamuina Nsapu, ex membro delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), Nsapu Pandi Jean Prince rientra in patria per succedergli nelle funzioni di capo del Raggruppamento di Kamuina Nsapu.
Tuttavia, non era ancora stato riconosciuto come capo tribale tradizionale mediante decreto del ministro degli Interni, come previsto dalla legge.
Contrariamente alle voci che circolano, non c’è mai stata alcuna procedura ufficiale avviata in tal senso dal defunto capo Kamuina Nsapu Pandi … Negli archivi dell’amministrazione del Kasai centrale e del Kasai occidentale, non esiste alcun dossier Nsapu Pandi, a qualsiasi livello ci si riferisca (Raggruppamento, Settore, Territorio, Governo provinciale).
III. Genesi del conflitto e svolgimento dei fatti
I fatti risalgono a marzo 2016, in occasione di una denuncia da parte di Ngalamulume Dieumerci, un ex militare, che informa i Servizi di Sicurezza di un suo incontro con il Capo di Raggruppamento Kamuina Nsapu Pandi Jean Prince, che gli parla di un suo piano per creare una milizia e gli chiede di esserne il comandante e di garantirne la formazione. Ngalamulume Dieumerci dice anche che, per ottenere la sua fiducia, il capo Kamuina Nsapu gli ha consegnato un’arma tipo GP 9 mm, di fabbricazione russa, e gli ha mostrato anche varie altre armi da guerra, per lo più dei AK-47, da distribuire, in seguito, ai miliziani che sarebbero reclutati.
L’ex militare rivela alla sua famiglia biologica il contenuto del suo incontro con il capo Kamuina Nsapu. La famiglia gli raccomanda di rinunciare a tale offerta. Ngalamulume decide quindi di denunciare i fatti ai servizi di intelligence della 21ª Regione Militare e di consegnare il GP 9 mm ricevuto dal capo del Raggruppamento.
Successivamente, l’uditore superiore militare firma un mandato di perquisizione, per ulteriori indagini e, eventualmente, ricuperare le armi e le munizioni in possesso del capo Kamuina Nsapu Pandi. Arrivata sul posto, la Commissione non ha potuto incontrarlo, perché si trovava in Sud Africa. La ricerca delle armi non porta ad alcun risultato.
Non convinto delle conclusioni della missione di perquisizione e sulla base di nuove informazioni in suo possesso, il Comandante della 21ª Regione Militare scrive al governatore del Kasai centrale, Alex Kande Mupompa, per chiedere l’arresto del capo Kamuina Nsapu, per detenzione illegale di armi da guerra. Da parte sua, il Governatore della Provincia esige dapprima un approfondimento delle prime inchieste.
Nel frattempo, il capo Kamuina Nsapu Pandi, di ritorno dal Sud Africa nel mese di aprile 2016, riunisce i capi dei villaggi del raggruppamento, chiede a ciascuno di loro di mettere a sua disposizione dei giovani, al fine, secondo lui, di “farsi carico della protezione del suo raggruppamento”, la cui sicurezza sarebbe minacciata dai militari che hanno perquisito la sua residenza in sua assenza, profanato i suoi oggetti simbolo del potere tradizionale e tentato di violentare la moglie.
In alcune registrazioni sonore diffuse sui media, si fa allusione a un’udienza presumibilmente richiesta al governatore della provincia del Kasai centrale ma, secondo i servizi di protocollo del Governatore, non risulta alcuna richiesta in tal senso. La stessa cosa vale anche per quelle false dichiarazioni sull’esistenza di condizioni politiche poste a Nsapu Pandi e relative a una previa adesione a un certo partito politico della Maggioranza Presidenziale, per poter ottenere il suo riconoscimento come capo per decreto ministeriale.
Il capo Kamuina Nsapu Pandi riesce, infine, a mobilitare più di 800 giovani del suo raggruppamento e di altri raggruppamenti vicini, per rafforzare la sua milizia. Le reclute sono soggette a varie cerimonie esoteriche, a delle pratiche feticiste, al consumo di canapa e di altri stupefacenti, per renderli invulnerabili alle armi e ai proiettili e, quindi, invincibili.
Ma il Capo Kamuina Nsapu Pandi non si limita a questo. Cerca reclute anche nei raggruppamenti vicini. I capi di questi raggruppamenti gli oppongono una forte resistenza.
Arrabbiato, il capo Kamuina Nsapu Pandi invia spedizioni punitive contro le popolazioni civili dei raggruppamenti ostili al suo movimento.
È così che il vicino Raggruppamento di Ntenda è stato completamente distrutto e incendiato il 20 luglio 2016, poiché il suo capo aveva rifiutato di aderire alla causa di Kamuina Nsapu. Tutte le abitazioni, una chiesa dei Testimoni di Geova, il mercato locale e le scuole, tutto è stato sistematicamente incendiato; molte persone sono state uccise con armi da fuoco o con armi bianche; i sopravvissuti hanno dovuto fuggire, alcuni verso il Kasai Orientale e altri verso la città di Kananga.
La milizia di Kamuina Nsapu Pandi detta la sua legge e impone il terrore su tutto il settore di Dibataïe. Persegue gli uomini in divisa, erige barriere e procede a delle perquisizioni sistematiche di tutti i veicoli e passeggeri. In seguito, il movimento si estende verso altri settori del Territorio di Dibaya. È così che nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2016, nel settore di Kasangidi, la milizia attacca il sotto commissariato di Mfuamba e un treno alla stazione ferroviaria, uccidendo tutti gli uomini in divisa che vi si trovavano.
L’8 agosto 2016, la milizia attacca Tshimbulu e ne saccheggia il Municipio, l’ufficio e la residenza del comandante della polizia nazionale congolese, gli uffici della Commissione elettorale nazionale indipendente e tutti i simboli dello Stato. Continua a seminare il terrore, bruciando vivi degli agenti della polizia e attaccando un altro treno a bordo del quale c’erano altri agenti della polizia nazionale congolese (PNC) e delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) che immediatamente uccide …
Dato che il conflitto intaccava la sicurezza e la stabilità della Repubblica Democratica del Congo, il Vice Primo Ministro incaricato degli Interni e della Sicurezza, Evariste Boshab, si reca a Kananga ai primi di agosto 2016, accompagnato dai responsabili nazionali dei servizi della sicurezza: il direttore generale dell’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR), il Direttore Generale delle Migrazioni (DGM), il commissario generale della Polizia Nazionale Congolese (PNC), il vice capo di stato maggiore responsabile dell’Intelligence militare (DEMIAP), il direttore nazionale dell’Intelligence della Polizia Nazionale Congolese, l’amministratore principale responsabile del Dipartimento Interno dell’ANR. Facevano parte della delegazione anche sette deputati nazionali, al fine di giungere ad una soluzione pacifica del conflitto: gli onorevoli deputati nazional. Clément Kanku, Kapongo, Kalombo, Kankonde, Martin Kabuya, Kamukuni, Manshimb e il Mwami Godefroid Munongo, Senatore e Presidente dell’associazione denominata Alleanza Nazionale delle Autorità Tradizionali del Congo (ANATC). Il Mwami Munongo è accompagnato da altri capi tribali tradizionali: Difima, Mbueshi, Kapena e Mwant Yav. Ma anche gli sforzi di mediazione fatti anche dai deputati e dai capi tribali tradizionali falliscono. Il capo Kamuina Nsapu Pandi rimase intransigente. Nel frattempo, i massacri continuano.
Il governo della Repubblica decide quindi di ristabilire l’ordine pubblico nel territorio di Dibaya.
L’Uditore superiore militare di Kananga firma un mandato d’arresto contro Kamuina Nsapu Pandi, al fine di condurlo a Kananga. Dopo molta resistenza, il 12 agosto 2016 iniziano degli scontri tra la milizia del capo Kamuina Nsapu Pandi e le forze dell’ordine. Sei poliziotti sono stati uccisi dal capo stesso e le loro armi sono prese dai miliziani. In preda alla collera, gli agenti della Polizia attaccano i miliziani di Kamuina Nsapu Pandi che continuavano ad attaccare la polizia con armi da fuoco. Nel corso di questi scontri, Kamuina Nsapu Pandi viene accidentalmente colpito da uno sparo e muore all’istante.
Viene sepolto il giorno dopo, a Kananga, dopo che il Vice Primo Ministro incaricato degli Interni e della Sicurezza, Evariste Boshab, abbia chiesto al Mwami Munongo e ai suoi colleghi di contattare la famiglia di Kamuina Nsapu Pandi, al fine di ricuperare il corpo del defunto. Non avendo ricevuto alcuna risposta e in mancanza di un obitorio adeguato, le autorità decidono di seppellirlo il 13 agosto 2016.
Nel mese di novembre 2016, la milizia di Kamuina Nsapu Pandi riprende le operazioni. Essa utilizza i media locali, tra cui “Full Contact”, per proferire minacce contro il potere pubblico e ricomincia i suoi attacchi contro i simboli dello Stato.
Dal 3 al 4 gennaio 2017, i miliziani compiono una serie di uccisioni, tra cui quelle di due poliziotti e alcuni civili. Un bilancio provvisorio indica un totale di 10 morti. Il 5 gennaio 2017, la Croce Rossa scopre trenta cadaveri, sedici dei quali lungo il fiume Moyo, a circa 125 km da Kananga. Alla fine del mese di gennaio 2017, si deplorano già 144 morti.
Va notato che, col passare del tempo, il movimento insurrezionale di Kamuina Nsapu Pandi si è evoluto, fino ad includere quattro diversi gruppi:
– milizia di partenza avviata da Kamuina Nsapu Jean Prince;
– milizia creata dai rivali dei Capi tradizionali ufficialmente riconosciuti, nel contesto di conflitti relativi all’autorità tribale tradizionale e in vista di ottenere il potere;
– milizia che raccoglie dei banditi, dei contestatori, dei delinquenti comuni e altre categorie di delinquenti comunemente chiamati “shégués” e “Kuluna”;
– milizia recuperata e mantenuta da alcuni politici della Provincia.
IV. Il carattere terroristico del modo operativo di Kamuina Nsapu
Le atrocità perpetrate dai miliziani di Kamuina Nsapu non hanno nulla a che fare con delle rivendicazioni relative al riconoscimento di un’autorità tribale tradizionale. Si tratta semplicemente di una milizia ben organizzata e con obiettivi terroristici. Si tratta di un meccanismo progettato, studiato e organizzato per seminare il terrore, con la chiara intenzione di destabilizzare tutti i territori circostanti, il Kasai centrale e l’intero paese, mediante azioni di disobbedienza civile a scopi bellici. L’obiettivo finale sarebbe quello di mettere “in ginocchio” tutte le Istituzioni della Repubblica, per imporre la loro filosofia e la loro legge all’intero Paese.
V. Metodi d’azione e traffico di stupefacenti
Giovani combattenti tra gli 8 e i 25 anni di età, reclutati volontariamente o con la forza, indottrinati e introdotti a pratiche mistiche, uccidono e decapitano a sangue freddo degli innocenti. Consumatori di droghe, intraprendono azioni terroristiche, prendono in ostaggio persone innocenti, effettuano esecuzioni sommarie e mutilazioni di cadaveri, al fine di provocare il panico tra la popolazione e servirsene come mezzi di ricatto per trattative e negoziazioni.3
1 Cf RFI, 13.06.’17 Testo integrale: http://webdoc.rfi.fr/rdc-kasai-violences-crimes-kamuina-nsapu/chap-01/
2 Cf. RFI, 13.06.’17 Testo completo: http://webdoc.rfi.fr/rdc-kasai-violences-crimes-kamuina-nsapu/chap-02/