Congo Attualità n. 308

INDICE

EDITORIALE: NORD KIVU → DUE ALLARMI PER UN’INCHIESTA

  1. SEGNI PREMONITORI DI UNA NUOVA GUERRA NEL NORD-KIVU
    1. In aumento la voglia di rivolta tra i rifugiati tutsi congolesi in Ruanda da vent’anni
    2. Un’irruzione dell’M23 su territorio congolese a partire dall’Uganda
    3. La caduta di due elicotteri militari
    4. Alcuni elementi per un’inchiesta
    5. Chi trae vantaggio dalla guerra?

 

EDITORIALE: NORD KIVU → DUE ALLARMI PER UN’INCHIESTA

 

 

 

 

1. SEGNI PREMONITORI DI UNA NUOVA GUERRA NEL NORD-KIVU

 

a. In aumento la voglia di rivolta tra i rifugiati tutsi congolesi in Ruanda da vent’anni

 

In tutte le guerre combattute in Congo negli ultimi vent’anni, i Tutsi del Nord e Sud Kivu, comunemente noti come Banyaruanda o Banyamulenge, sono sempre stati in prima linea. In Congo nessuno ha dimenticato che, essendo la loro origine congolese messa in causa, nel 1996 i Tutsi entrarono in massa nelle file dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL) e, al fianco di soldati ruandesi e ugandesi, riuscirono a conquistare Kinshasa nel mese di maggio 1997. Un anno dopo, spinti dal Ruanda, i Tutsi congolesi parteciparono ad una seconda guerra. In seguito, nonostante l’accordo di pace di Sun City (2002), che ha permesso la riunificazione del Congo, gli stessi combattenti tutsi dell’est presero parte a diverse ribellioni, sempre fomentate da Kigali: il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) di Laurent Nkunda e, più recentemente, il Movimento del 23 Marzo (M23).

A parte alcuni politici e generali che ottennero delle poltrone e delle promozioni per sigillare gli accordi di pace con Kinshasa, la maggior parte dei Tutsi congolesi si sono accorti che queste varie guerre, tutte teleguidate da Kigali, non hanno loro apportato alcun vantaggio: se i Banyamulenge del Sud Kivu sono stati integrati nell’esercito congolese, i Banyarwanda del Nord Kivu e dell’Ituri hanno dovuto fuggire in massa verso l’Uganda e il Ruanda. Oggi, i loro genitori rimasti sulle colline del Masisi e dell’Ituri si trovano costretti a dover difendere le loro terre, perché ambite anche da gruppi armati hutu che non esitano a perpetrare massacri all’arma bianca.

Dall’altra parte del confine, la situazione non è migliore: nel corso degli anni, quasi 100.000 Tutsi del Congo hanno dovuto rifugiarsi in Ruanda e in Uganda e, oggi, si presentano come i “dimenticati del Kivu”. In effetti, forse per poter disporre di questo “esercito di riserva”, Kigali non ha, di fatto, voluto integrare questi “cugini” congolesi in una società ruandese in pieno cambiamento. Secondo i dati dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), sono 94.700 i rifugiati congolesi che si trovano in cinque campi di accoglienza in Ruanda e in tre campi in Uganda. Da due decenni, vivono in condizioni precarie e i giovani di età superiore ai 14 anni non hanno accesso all’istruzione. Secondo certe informazioni, la voglia di rivolta sta crescendo non solo tra gli adulti, che si accorgono di essere stati sacrificati per nulla, ma anche tra i giovani che, in un Ruanda superaffollato, non hanno alcuna prospettiva di futuro e sognano di ritornare sulle verdi colline del Masisi nel Nord Kivu o dell’Ituri. Inoltre, tra le varie comunità dell’est della RDCongo è nata un’alleanza denominata “Umoja wa Majamaa” che significa “famiglie unite”. Reclutando nuove leve nei campi profughi dell’Uganda e, soprattutto, del Ruanda, questa alleanza si è dotata di una componente militare e avrebbe preso contatto con altre forze. Sarebbero già stati reclutati quattro mila giovani, tra cui degli ex ribelli del M23. Questa nuova forza sarebbe pronta a venire in aiuto delle popolazioni civili del Nord Kivu attaccate da gruppi armati hutu e sarebbe disposta a combattere per forzare il ritorno dei rifugiati tutsi e il recupero delle terre … Un fatto nuovo: questi combattenti provenienti dai campi di accoglienza dei rifugiati agirebbero in modo autonomo, senza dipendere dall’esercito ruandese. La domanda è: dove troveranno le armi necessarie e come potranno liberarsi dalla tutela e dalla supervisione che Kigali esercita da vent’anni sui suoi cugini del Congo?[1]

 

b. Un’irruzione dell’M23 su territorio congolese a partire dall’Uganda

 

Il 15 gennaio, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, nel corso di una conferenza stampa organizzata a Goma, ha affermato che, a partire dall’Uganda, si sta preparando una nuova guerra contro la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Secondo lui, Sultani Makenga, ex colonnello dell’ex Movimento del 23 marzo (M23) e altri ex ufficiali di questa ribellione sono riusciti a fuggire, per la seconda volta, dal luogo in cui si trovavano in residenza sorvegliata, in Uganda, e si sono diretti verso Bunagana, cittadina di confine tra la RDCongo e l’Uganda, a 70 km a nord-est di Goma. Secondo il governatore del Nord Kivu, alcuni di loro sono già stati arrestati a Kisoro, in territorio ugandese, con 7 armi AK 47 e 1 PKM. Sempre secondo il governatore, una trentina di persone armate hanno lasciato l’Uganda e hanno tentato di “raggiungere gli scontenti dell’ex M23”, per attaccare la RDCongo e destabilizzare il paese.[2]

 

Il Movimento del 23 marzo (M23) aveva occupato gran parte dei territori di Nyiragongo e di Rutshuru, nel nord Kivu, per circa 18 mesi. Dopo l’AFDL, l’RCD e il CNDP, l’M23 è il quarto movimento armato che ha occupato il Nord Kivu tra il 1996 e il 2013. Apparso in maggio 2012 e ultimo movimento delle cosiddette ribellioni tutsi appoggiate dal Ruanda e dall’Uganda, nell’est della RDCongo, l’M23 era stato sconfitto, nel mese di novembre 2013, dall’esercito congolese appoggiato dai caschi blu della Missione delle Nazioni Unite in RDC (MONUSCO), dopo diciotto mesi di occupazione del Nord Kivu. In seguito a tale sconfitta, i miliziani dell’M23 erano fuggiti in Uganda. Nel mese di dicembre 2013, a Nairobi, il Governo congolese e l’M23 avevano firmato un accordo che, tra l’altro, prevedeva il rimpatrio della maggior parte dei combattenti degli ex ribelli, in vista del loro reinserimento nella vita civile. Ma da allora, secondo Kinshasa, su 1.500 che erano fuggiti in Uganda, solo 193 sono stati rimpatriati e sui circa 500 che erano fuggiti in Ruanda, solo 13 sono volontariamente ritornati in RDCongo.[3]

 

Non è la prima volta che si dà un simile segnale di allerta. L’11 novembre 2016, su Twitter, il governatore Julien Paluku aveva già dichiarato che Sultani Makenga, ex capo di stato maggiore dell’M23 in Uganda, era fuggito dalla zona in cui si trovava e che si stava dirigendo verso una destinazione sconosciuta. Si era poi parlato di uno scontro tra miliziani dell’M23 e un gruppo di militari congolesi in pattuglia nei pressi della frontiera. Quando sono arrivati i rinforzi dell’esercito congolese, essi hanno scoperto alcune uniformi e dei documenti, tra cui una lista di ex membri dell’M23 e un foglio di presenze, in inglese. È ciò che avevano rivelato alcune fonti militari congolesi. Ma, in quel momento, il governo congolese non aveva detto nulla.[4]

 

Il ministro della Comunicazione e dei Media e portavoce del governo, Lambert Mende, ha dichiarato che circa 300 ex ribelli dell’ex M23, pesantemente armati e provenienti dall’Uganda, sarebbero arrivati a Ishasha, in territorio congolese. Essi sarebbero sotto il comando di Makenga e Mboneza. Da parte sua, il ministro della Difesa congolese, Crispin Atama Tabe, ha chiesto al meccanismo di verifica della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), di verificare le informazioni relative a questa presunta aggressione.[5]

 

Il 16 gennaio, durante la mattinata, la polizia ugandese ha confermato le informazioni fornite dal governatore della provincia del Nord Kivu. La Polizia ugandese ha rivelato che, alla frontiera con la RDCongo, erano state sequestrate delle armi, ma ha affermato che potrebbe trattarsi dell’arrivo di membri dell’ex M23 dalla RDCongo, con l’intenzione di riorganizzarsi in Uganda.[6]

 

Il 16 gennaio, fonti militari ugandesi hanno negato che ex ribelli congolesi dell’M23 residenti in Uganda siano entrati nella Repubblica Democratica del Congo e hanno assicurato che essi si trovano ancora nel loro campo di accoglienza in Uganda. Il portavoce della Difesa ugandese, il comandante Henry Obbo, ha precisato in un comunicato che gli ex ribelli M23 si trovavano ancora nel campo militare di Bihanga, in Uganda, a 320 km a ovest della capitale Kampala, dove risiedono dal 2013. Il ministro degli Esteri ugandese, Henry Okello Oryem, aveva già reagito con forza alle affermazioni delle autorità congolesi. «Le dichiarazioni secondo cui l’Uganda fornisca delle armi ai ribelli dell’M23 o consentire loro di rimanere qui (in Uganda) per destabilizzare la RDCongo è il frutto della loro immaginazione», aveva affermato il ministro.[7]

 

Il 18 gennaio, il governatore del Nord Kivu ha severamente criticato il fatto che Roger Lumbala, presidente del RCD-N, sia stato pomposamente accolto il 15 gennaio a Kinshasa, dopo un periodo di esilio all’estero. Julien Paluku ha dichiarato di considerare Lumbala come l’”autore intellettuale” del direttivo politico dell’ex ribellione dell’M23.[8]

 

Il 18 gennaio, il comandante ad interim della 34ª regione militare, il generale Francois Kamanzi, ha presentato al governatore della provincia del Nord Kivu, Julien Paluku, due combattenti sospettati di appartenere all’ex movimento ribelle M23. Si tratta del Maggiore Zimurinda James e del vice capo Désiré Karangwa, arrestati qualche giorno prima, con delle armi nascoste dentro sacchi di patate. Secondo il generale Kamanzi, questi individui volevano attaccare la provincia, unendosi al gruppo di Sultani Makenga. Secondo il governatore Paluku, la riorganizzazione dell’M23 consta di due livelli: esterno e interno: Egli ha spiegato che «la componente esterna è costituita dalle truppe di Makenga, da quelle di Mboneza e da tutti quelli che hanno lasciato il campo militare di Bihanga, in Uganda. La componente interna è costituita da quelle persone che avrebbero dovuto unirsi a quelli che, provenienti dall’Uganda, erano già arrivati a Bunagana».[9]

 

Il 19 gennaio, in un comunicato stampa, il governo ugandese ha annunciato di avere intercettato quattro veicoli con a bordo 101 combattenti M23 diretti verso la RDCongo.

Secondo il comunicato, «dei ribelli M23 acquartierati presso la scuola di addestramento militare di Bihanga, nel distretto di Ibanda, sin dai tempi dell’accordo del 2014, sono fuggiti. La scorsa notte, a Mbarara, i servizi di sicurezza dell’Uganda hanno intercettato quattro veicoli che trasportavano 101 ex combattenti M23 diretti verso la RDCongo. Erano camuffati da viaggiatori normali. Sono stati arrestati e ora sono detenuti nella Caserma di Makenke, quartier generale della seconda divisione presso la città di Mbarara». Le autorità ugandesi hanno ammesso anche di non avere alcuna informazione su altri 40 ex ribelli dell’M23 ancora irreperibili. Esse hanno precisato che altri 270 ex-combattenti M23 si trovano ancora presso il campo militare di Bihanga, nella parte occidentale dell’Uganda. Una fonte militare ha fatto notare che il campo di Bihanga non è una prigione e che alcuni di questi ex miliziani M23 hanno la loro famiglia nei pressi della frontiera.[10]

 

c. La caduta di due elicotteri militari

 

Il 27 gennaio, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu), due elicotteri da combattimento delle Forze Armate della RDCongo (FARDC) si sono schiantati al suolo. Fonti militari hanno affermato che si tratta di un incidente provocato da condizioni climatiche avverse (un forte vento) e hanno smentito la versione secondo la quale i due velivoli sono stati oggetto di un attacco e abbattuti. Il generale Léon Mushale, comandante della Terza Zona di Difesa delle FARDC, ha categoricamente smentito l’ipotesi dell’abbattimento dei due velivoli: «I due elicotteri erano in missione di pattugliamento. Non sono in alcun modo stati attaccati o colpiti da proiettili. Si tratta di un incidente».

Tre membri dell’equipaggio di uno dei due elicotteri, di nazionalità russa, e due ufficiali FARDC, sono rimasti feriti e tratti in salvo. Invece, i tre membri dell’equipaggio del secondo velivolo e un ufficiale FARDC sono stati “catturati” da Sultani Makenga e dai suoi uomini dell’M23, poco dopo lo schianto del loro elicottero. Secondo fonti militari, due membri di questo secondo equipaggio, originari dell’Europa dell’est, e l’ufficiale congolese sono stati uccisi dopo essere stati torturati.

Entrambi gli elicotteri stavano sorvolando la zona di Karisimbi e Mikeno, nel territorio di Rutshuru, dov’è stata segnalata la presenza degli ex ribelli dell’M23. La loro missione era di bombardare il luogo in cui era stata segnalata la presenza di ex-M23. Secondo fonti militari, i due elicotteri si sono schiantati al suolo mentre stavano volando a bassa quota. Il primo elicottero è caduto a terra quando le eliche hanno sbattuto contro degli alberi. Avendo perso il contatto visivo con il primo elicottero, il secondo è ritornato indietro alla sua ricerca. Secondo le stesse fonti militari, anche il secondo velivolo ha avuto lo stesso tipo di incidente. Le informazioni fornite dall’esercito hanno rivelato che gli equipaggi dei due elicotteri non avevano la possibilità di comunicare tra loro.[11]

 

Il 29 gennaio, l’esercito congolese ha condotto un’operazione militare nella zona in cui sono avvenuti i due incidenti aerei e in cui si troverebbe una postazione dell’M23. Nello scontro, quattro miliziani dell’M23 sono stati uccisi e uno catturato. Nello stesso giorno, una trentina di persone, “senza armi” e presentandosi come “combattenti” del Movimento del 23 marzo (M23), sono passate in Ruanda, dicendo di fuggire da un’offensiva lanciata dall’esercito congolese. Secondo il generale Léon Mushale, comandante della terza zona di Difesa delle FARDC, anche Sultani Makenga sarebbe in fuga, lasciando dietro di sé molti morti. Sempre secondo le dichiarazioni del generale, questo ennesimo ritorno del Movimento del 23 marzo (M23) avrebbe la sua origine “in paesi limitrofi”.[12]

 

d. Alcuni elementi per un’inchiesta

 

Secondo i primi elementi di inchiesta sulla caduta dei due velivoli militari, si tratterrebbe di due elicotteri da combattimento MI-24/35 che potrebbero essere stati colpiti da missili portabili terra – aria (MANPADS), di fabbricazione russa, denominati SAM-7 Strela, lo stesso tipo di missili usati dal Fronte Patriottico Ruandese (FPR) per abbattere l’aereo del presidente ruandese, Juvénal Habyarimana, nell’aprile 1994 e dal movimento pro-ruandese RCD-Goma, per abbattere un aereo di linea della prima compagnia aerea congolese, LAC, il 10 ottobre 1998.

Secondo fonti militari nel Nord Kivu, i servizi di sicurezza stanno cercando di capire se questi missili siano stati lanciati dal Ruanda o in Congo. In un caso e nell’altro, sembra esserci la mano nera ruandese che, spesso, rimane invisibile poiché, generalmente, la sua strategia è quella dell’infiltrazione di suoi elementi nelle file dell’esercito nazionale congolese (FARDC). Anche se le prime ipotesi sembrano attribuire l’abbattimento dei due elicotteri all’M23, ci si può chiedere da chi quest’ultimo possa essere stato armato. Se un’ex milizia, supposta essere disarmata e collocata in campi di accoglienza, ha potuto ottenere questi missili, è perche ha probabilmente usufruito d’un appoggio logistico di paesi vicini o della complicità interna delle FARDC. Un’altra questione che fa pensare ad una complicità interna delle FARDC, riguarda il luogo in cui gli elicotteri sono stati abbattuti, cioè in territorio congolese. È chiaro che non è possibile condurre una tale operazione in modo improvvisato, senza dapprima disporre del piano di volo di questi elicotteri.[13]

 

Le prime informazioni hanno attribuito l’abbattimento dei due elicotteri ai combattenti dell’M23. Tuttavia, è improbabile che essi abbiano potuto ricevere dal Ruanda o dall’Uganda dei missili terra-aria, armi troppo pericolose da potere essere utilizzate in una zona costantemente sorvolata da aerei civili. Il commando che ha utilizzato questi missili contro i due elicotteri dell’esercito congolese potrebbe dunque essere un’unità dello stesso esercito ruandese (RDF), ciò che farebbe di questo incidente un atto di guerra e di aggressione.[14]

 

Analizzando la foto di uno degli elicotteri caduto a terra, si può constatare che si trova in posizione normale, su un terreno relativamente aperto e al bordo di una foresta che ha potuto evitare. Inoltre, sul lato della porta aperta del relitto dell’elicottero, sono chiaramente visibili degli indizi di scaricamento di una certa quantità di materiali, tra cui armi e altri effetti militari. Si può quindi dedurre che questo velivolo, che non è stato oggetto di bombardamento, né ha subito alcun guasto tecnico, si sia schiantato al suolo durante una manovra di atterraggio già pianificata in anticipo. Le cause dello schianto (cattive condizioni atmosferiche?) sono ancora poco chiare. Uno degli obiettivi di questo atterraggio finito male potrebbe essere stato quello di rifornire i ribelli dell’M23 in armi sottratte all’esercito congolese e utilizzando velivoli dello Stato congolese. Questa ipotesi rivela, ancora una volta, l’esistenza di una complicità tra alcuni ufficiali dell’esercito congolese e l’ex Movimento del 23 marzo (M23).

Nel corso delle varie guerre, il Ruanda e l’Uganda sono riusciti ad infiltrare migliaia di loro agenti in tutti gli ingranaggi dell’apparato dello Stato congolese, e in particolare nel comando gerarchico dell’esercito. Si tratta di migliaia di “talpe” che ormai agiscono a viso scoperto: sabotano le operazioni militari dell’esercito e facilitano la vittoria degli aggressori. Le guerre del Kivu hanno portato alla ribalta una lunga storia di tradimenti orchestrati dalle più alte autorità dello Stato congolese: esistenza di centri di comando militare paralleli, ordini contraddittori, contro-ordini, ordini di tregua e / o di cessate il fuoco ogni volta che l’esercito congolese si trova in posizione di vantaggio, fuga di informazioni, scambio di armi, munizioni e uniformi in cambio di minerali.

A Goma, dopo l’attacco contro i due elicotteri e l’uccisione del colonnello Ezéchiel Kwasundowe, i militari continuano a chiedersi: perché nei posti strategici dell’esercito congolese ci sono così tanti ufficiali provenienti da gruppi armati (AFDL, RCD, CNDP, …) fomentati e appoggiati dal Ruanda?[15]

 

e. Chi trae vantaggio dalla guerra?

Sul piano economico, per il Ruanda e l’Uganda, questa guerra sarebbe un’ennesima occasione di arricchimento mediante il saccheggio delle risorse naturali del Congo, un business che i due Paesi rilanciano ciclicamente ogni due – quattro anni, come è successo negli ultimi venti anni (1996-97; 1998-2003; 2004; 2008-09; 2012-13). Ogni volta, le risorse minerarie congolesi sono saccheggiate e esportate illegalmente in Ruanda e in Uganda. Per questi due Paesi, la guerra diventa l’occasione per occupare parte delle terre congolesi e per controllare i circuiti economici e i giacimenti minerari. Nel suo rapporto del 2011, l’ONG britannica Global Witness aveva fatto osservare che il Ruanda era ormai diventato uno dei principali esportatori di minerali che non si trovano nel suo sottosuolo e che, nello stesso tempo, le autorità di questo Paese “non erano affatto disposte a rendere pubblici i dati completi relativi alla produzione nazionale”. Dal 2014, il Ruanda è il primo esportatore di coltan, un minerale che importa illegalmente dall’est della RDCongo. Nel mese di agosto 2016, la compagnia mineraria AB Minerals aveva annunciato la costruzione, in Ruanda, del primo impianto industriale africano di trasformazione del coltan. La società aveva dichiarato che l’impianto sarebbe diventato operativo a metà del 2017. Il futuro di questo impianto ruandese dipende soprattutto dall’importazione di minerali provenienti dall’est della RDCongo e, in secondo luogo, dall’assenza di un impianto di trasformazione dei minerali sul suolo congolese. Una nuova guerra nell’est della RDCongo contribuirebbe a scoraggiare gli imprenditori che vorrebbero investire in Congo e lascerebbe la porta completamente aperta al Ruanda e alla compagnia AB Minerals.

– Sul piano politico, va detto che questa eventuale nuova guerra era, in un certo modo, prevedibile. A Kinshasa, il presidente Joseph Kabila è in difficoltà, in seguito alle pressioni internazionali di cui è oggetto affinché, alla fine del suo secondo ed ultimo mandato presidenziale, secondo le disposizioni della Costituzione, lasci il potere. Infatti, la maggioranza presidenziale ha utilizzato qualsiasi tipo di strategia per farlo rimanere al potere. Provocando una guerra all’est del Paese, crea una ennesima situazione di insicurezza capace di sconvolgere le priorità dello Stato. Le poche risorse finanziarie dello stato congolese dovranno essere utilizzate per gestire la crisi attraverso il finanziamento di nuove operazioni militari e diplomatiche. Nel frattempo, il presidente Kabila potrà rimanere al potere.[16]

 

Una fonte politica a Goma è stata recentemente in contatto con degli ex comandanti dell’M23 a Gisenyi (Ruanda). Essi hanno ammesso che l’obiettivo perseguito con la riattivazione dell’M23 e di altri gruppi armati è quello di costringere il prossimo governo ad investire le limitate risorse finanziarie del 2017 nello sforzo bellico. Il che servirà a giustificare la mancanza di mezzi economici per organizzare le elezioni secondo i tempi previsti nell’accordo del 31 dicembre, un accordo il cui obiettivo è, fino a prova contraria, quello di un’alternanza politica al potere nel dicembre 2017, cioè il passaggio del potere da Kabila a un altro presidente che sarà eletto. Per Kabila, la guerra nell’est del Paese potrebbe essere l’occasione per continuare a rinviare la data delle elezioni. L’obiettivo sarebbe quello di guadagnare tempo per rimanere al potere a tempo indeterminato, come la maggior parte dei suoi colleghi della regione.[17]

[1] Cf Le Carnet de Colette Braeckman – Le Soir, 29.08.’16 La révolte gronde parmi les Tutsis congolais réfugiés au Rwanda depuis vingt ans

[2] Cf Radio Okapi, 15.01.’17

[3] Cf AFP – Africatime, 17.01.’17

[4] Cf RFI, 16.01.’17

[5] Cf Stanys Bujakera – Actualité.cd, 15.01.’17

[6] Cf RFI, 16.01.’17

[7] Cf AFP – Africatime, 17.01.’17

[8] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 18.01.’17

[9] Cf Radio Okapi, 19.01.’17

[10] Cf Actualité.cd, 19.01.’17; RFI, 19.01.’17

[11] Cf Radio Okapi, 28.01.’17; Cf Politico.cd, 31.01.’17; RFI, 31.01.’17; Actualité.cd, 31.01.’17

https://actualite.cd/2017/01/31/m23-sappreterait-a-attaquer-bunagana-puis-masisi-audio/

[12] Cf Politico.cd, 31.01.’17

[13] Cf Jean-Jacques Wondo Omanyundu – DESC-Wondo.org, 28.01.’17 http://desc-wondo.org/fr/deux-helicopteres-des-fardc-abattus-joseph-kabila-laisse-t-il-faire-le-rwanda-et-louganda-jj-wondo/

[14] Cf Boniface Musavuli – Agora Vox, 30.01.’17 http://mobile.agoravox.fr/tribune-libre/article/rd-congo-rwanda-a-qui-va-profiter-189132

[15] Cf benilubero.com, 30.01.’17; Boniface Musavuli – Agora Vox, 30.01.’17;

Le foto: http://www.politico.cd/encontinu/2017/01/31/images-exclusives-crash-helicopteres-fardc.html

https://actualite.cd/2017/01/31/rutshuru-crash-helicopteres-de-fardc-4-photos/

[16] Cf Boniface Musavuli – Agora Vox, 30.01.’17 http://mobile.agoravox.fr/tribune-libre/article/rd-congo-rwanda-a-qui-va-profiter-189132

[17] Cf Jean-Jacques Wondo Omanyundu – DESC-Wondo.org, 28.01.’17 http://desc-wondo.org/fr/deux-helicopteres-des-fardc-abattus-joseph-kabila-laisse-t-il-faire-le-rwanda-et-louganda-jj-wondo/