INDICE
EDITORIALE: PLURALISMO ETNICO – DAL CONFLITTO ALLA COABITAZIONE
- LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)
- LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR) E LORO ALLEATI
- BULEUSA: DAL CONFLITTO AL PATTO DI PACE?
- COSA SUCCEDE IN SENO ALL’M23 E ALLE FDLR?
- LA POPOLAZIONE VITTIMA DEGLI ABUSI DELL’ESERCITO, DELLA POLIZIA E DEI MAI-MAI
- IL PROGRAMMA DI DISARMO (DDR)
1. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)
Il 5 luglio, almeno nove persone, tra cui cinque donne, sono state uccise da presunti ribelli delle Forze Democratiche Alleate (ADF), nelle località di Tenambo, Nzanza e Mamiki, nei pressi della cittadina di Oicha, a 30 km dalla città di Beni (Nord Kivu ). L’amministratore del territorio, Amisi Kalonda, indica che questi presunti ADF hanno operato dalle 4:00 alle 06:00 del mattino, sotto una grande pioggia. Mentre alcuni combattenti saccheggiavano le case per rubare cibo e piccolo bestiame, altri sparavano colpi in aria o sulla popolazione e altri ancora uccidevano persone a colpi di machete. Secondo Teddy Kataliko, presidente della Società Civile di Beni, le forze di sicurezza non hanno fatto nulla per prevenire una minaccia che era stata annunciata dalle stesse ADF nei giorni precedenti. Infatti avevano fatto circolare dei volantini in cui annunciavano un attacco imminente. Teddy Kataliko esorta le autorità a cooperare maggiormente con la popolazione e a prendere sul serio i messaggi che arrivano. Il portavoce dell’operazione militare Sokola 1, Mak Azukay, contesta questa versione. Egli afferma che le truppe dell’esercito sono in allerta da diverse settimane e precisa che il nemico [le ADF] hanno semplicemente approfittato della pioggia per attuare. Fonti locali hanno riferito che molti civili hanno lasciato l’est della cittadina di Oicha per dirigersi verso ovest, in cerca di maggiore sicurezza.[1]
L’attacco è avvenuto a circa 200 metri da una posizione delle Forze Armate della RDC (FARDC) e a 3 chilometri da una posizione dei caschi blu del Malawi. Secondo alcuni attivisti della regione, né l’esercito nazionale, né la Monusco sono intervenuti, nonostante le richieste di aiuto da parte della popolazione. Secondo alcuni testimoni, «gli aggressori indossavano una divisa militare completa, avevano dei foulard arabi intorno al collo e delle fasce rosse intorno alla testa». «Il giorno prima, erano stati avvistati da dei giovani che quasi stavano per cadere nelle loro mani», dice un attivista della società civile, assicurando che erano stati interpellati dalle forze di sicurezza, ma poi rilasciati verso le 20h00. «Continuano a chiedere alla popolazione di collaborare, ma quando lo si fa, non fanno nulla», è la denuncia di questo attivista che afferma di avere lui stesso avvertito la Monusco e l’esercito ancora all’inizio del massacro. È una versione che l’esercito smentisce, assicurando di essere intervenuto già nei primi minuti e di avere ucciso anche un aggressore, una donna “combattente delle ADF”.[2]
2. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR) E LORO ALLEATI
Il 23 giugno, con l’appoggio della Monusco, l’esercito congolese ha smantellato la postazione dei ribelli ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) a Kazaroho, nel territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu. Durante questa operazione, sono state liberate 6 persone sequestrate sulla strada Kibirizi-Rwindi.[3]
Il 1° luglio, nel corso della mattinata, la coalizione composta dall’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e dai Mai-Mai Nyatura ha simultaneamente attaccato diverse posizioni delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) della zona di Lukweti, Lwibo e Kinyumba, nel territorio di Masisi (Nord -Kivu). Fonti militari hanno parlato di diversi morti in entrambi i campi. Alcuni hanno parlato di 6 morti tra i militari dell’esercito congolese e tra i 6 e gli 8 tra i combattenti della coalizione APCLS-Nyatura. Prima d’attaccare Lukweti, Lwibo e Kinyumba, la coalizione aveva attaccato la postazione delle FARDC a Kinyumba.[4]
Il 7 luglio, dei miliziani Mai-Mai di Nduma Difesa del Congo / Ristrutturato (NDC / R), provenienti dalla zona di Ikobo, nel territorio di Walikale, e altri miliziani dei Mai-Mai Mazembe hanno lanciato un assalto in quattro località della zona di Bwito , nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Si tratta delle località di Katobo, Kitanda, Kitunda e Kikuku, da dove hanno cacciato i miliziani della coalizione composta dai Mai-Mai Nyatura e dalle FDLR, due gruppi armati provenienti rispettivamente dalla comunità hutu congolese e dai ribelli hutu ruandesi. Fonti locali hanno avanzato l’ipotesi di un bilancio di trenta morti. Gli sfollati hutu che si trovavano a Kikuku e dintorni sono fuggiti verso le località di Bwalanda e di Nyanzale, situate a 12 km da Kikuku.[5]
Il 14 luglio, due persone sono state uccise e altre due ferite in un attacco perpetrato contro la postazione delle FARDC a Tongo-Rusheshe, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Secondo la società civile locale, gli scontri sono durati circa due ore. Dopo una ritirata strategica delle FARDC, gli aggressori, identificati come ribelli hutu ruandesi delle FDLR, hanno incendiato l’accampamento delle FARDC.[6]
Il 18 luglio, nella notte, otto persone sono state uccise e altre cinque ferite, durante un’incursione di uomini armati a Kibirizi, una località situata nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Tra gli otto morti, 4 sono Nande e 4 Hutu. Tra le vittime, un bambino di un anno e delle donne uccise nelle loro case. Secondo gli abitanti di Kibirizi, gli attaccanti hanno operato per due ore, passando di casa in casa, senza alcun intervento delle FARDC. Alcune comunità attribuiscono l’attacco a dei ribelli delle FDLR alleati con i Mai-Mai Nyatura. Alcuni gruppi etnici accusano la comunità hutu di avere pianificato l’attacco con l’appoggio delle FDLR. Arrabbiati, alcuni giovani di Kibirizi hanno lapidato un civile, sospettato di collusione con gli aggressori. La maggior parte degli Hutu hanno lasciato Kibirizi a causa dell’insicurezza. Secondo altre fonti, il bilancio degli scontri tra Hutu e Nande è di dieci morti e di almeno sei feriti. Come spiega un abitante di Kibirizi: «La comunità hutu ha attaccato la comunità Nande, per vendicare l’uccisione di uno dei suoi membri avvenuta nel fine settimana precedente. Hanno ucciso sei Nande e incendiato otto loro case. Le FARDC sono intervenute dopo che il massacro, ma non è stato sufficiente per calmare i Nande che hanno ucciso vari hutu per rappresaglia. Il bilancio sarebbe di dieci morti: quattro hutu e sei Nande».[7]
Il 22 luglio, verso le 18h30, dei miliziani hutu Nyatura alleati con le FDLR hanno attaccato il villaggio di Bwalanda, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Sono entrati in casa di Janvier Mupenda, un’autorità locale della comunità Hunde e l’hanno ucciso. A loro volta, i Nande e gli Hunde hanno cominciato ad incendiare le case degli Hutu che, il giorno prima, avevano lasciato il villaggio. 35 case di Hutu sono state ridotte in cenere e 3 civili hutu, che erano in due case diverse, sono morti carbonizzati. Si teme che la coalizione Nyatura / FDLR possa ritornare a Bwalanda, per vendicare i tre Hutu morti carbonizzati e l’incendio delle 35 case degli Hutu.
Dall’inizio dell’anno, decine di persone sono morte durante gli scontri tra gli Hutu e i Nande.
I Nande accusano gli Hutu congolesi di essere complici dei ribelli hutu ruandesi delle FDLR per cacciarli fuori dal loro territorio. Gli Hutu congolesi, che non negano di essere alla ricerca di nuovi terreni agricoli, accusano i Nande di violare il loro diritto costituzionale di stabilirsi dove vogliono.[8]
Il 25 luglio, fonti della società civile hanno affermato che, in quattro giorni, tre persone sono state uccise in scontri avvenuti tra la milizia dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) di Janvier Kalahari e i Raia Tujigemeye del gruppo Nyatura a Butale, in territorio di Masisi (Nord Kivu). In seguito a questi combattimenti, l’APCLS è riuscita ad allontanare i Raia Tujigemeye dalla località di Butale. Questi ultimi, che opera nella zona da una settimana, si sono ritirati nei pressi di Kimoka e di Kiziza, nel raggruppamento di Bashali Mokoto. Questi scontri hanno causato il panico nel villaggio e molti abitanti hanno abbandonato le loro case, per trovare rifugio a Burungu e a Nyakabingu.[9]
3. BULEUSA: DAL CONFLITTO AL PATTO DI PACE?
Dal 1999 al 2015, la località di Buleusa è rimasta sotto controllo dei ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) presenti in Kivu dal 1994. Nel mese di novembre 2015, la popolazione (Hutu e Kobo) è stata costretta a fuggire a causa degli attacchi perpetrati da gruppi Mai-Mai (milizie congolesi di autodifesa) che, alla fine, sono riusciti a cacciare le FDLR da Buleusa. Prima di fuggire, le FDLR hanno incendiato il villaggio. Secondo la missione delle Nazioni Unite in Congo (Monusco), in pochi giorni l’incendio ha causato la distruzione del 90% delle case.
I Kobo, comunità autoctona del raggruppamento di Ikobo (di cui Buleusa è il capoluogo), sono stati i primi a ritornare, nel mese di gennaio, dopo la ripresa del villaggio da parte dell’esercito congolese. In seguito, sono ritornati anche gli Hutu, in marzo. Ma i Kobo non li hanno accettati. Petro Kasereka Bwanandeke, capo della località, ne ha spiegato il motivo: «Con le FDLR, si comportavano come i padroni di Buleusa». I Kobo conservano un triste ricordo dell’occupazione. «È stato un vero incubo», ha dichiarato Masumbuko Malikanda, segretario del raggruppamento, precisando: «dovevamo pagare le tasse imposte dalle FDLR, dovevamo coltivare i campi per loro, perché ci minacciavano con le armi, si prendevano le donne più belle. Hanno commesso delle violenze, hanno praticato la tortura». Egli ha parlato anche di stupri “occasionali”, non “sistematici” commessi dai miliziani delle FDLR.
Di fronte all’ostilità dei loro vicini, gli Hutu di Buleusa hanno quindi deciso di creare un loro accampamento, posto sulle alture della cittadina. Ma senza alcun mezzo di sussistenza, «hanno cominciato a rubare i raccolti dei campi degli autoctoni», ha riferito Roger Kungerwa Bihango, un funzionario provinciale nominato delegato del governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, in questo villaggio.
In questo ultimo periodo, ci sono frequenti scontri e molti morti. I Kobo e gli Hutu si accusano a vicenda di bloccare l’accesso ai campi dell’altra comunità. Tra questi agricoltori, ognuno ha un machete come strumento di lavoro e con un simile oggetto in mano, le cose possono degenerare rapidamente. A metà giugno, dei combattenti Mayi-Mayi hanno incendiato l’accampamento degli Hutu. I militari della Monusco stanziati all’ingresso del villaggio sono intervenuti e hanno ucciso sei attaccanti. I Kobo hanno subito accusato la Monusco di avere ucciso dei civili che stavano protestando. In seguito all’attacco, gli Hutu si sono rifugiati presso l’accampamento dei militari della postazione dell’esercito congolese, vivendo in condizioni di miseria. Secondo Kungerwa, in questo accampamento sarebbero arrivati anche altri Hutu provenienti da Rutshuru e Masisi e ora sarebbero più di 2.500.
I Kobo affermano che questo accampamento servirebbe come rifugio anche per dei miliziani delle FDLR e temono che gli altri Hutu – quelli che non sono di Buleusa – si impossessino delle loro terre. Inoltre, essi accusano la Monusco (che apporta assistenza) e le autorità di fornire aiuti umanitari solo agli Hutu.
Originari del Ruanda, alcuni Hutu erano già presenti nel Nord Kivu, quando gli europei vi arrivarono alla fine del XIX° secolo. Nel ventesimo secolo, continuarono ad arrivarvi per ondate successive (insieme a dei Tutsi), dapprima in seguito ad una politica di “emigrazione” voluta dai colonizzatori belgi che cercavano manodopera agricola e, successivamente, per motivi economici o politici, secondo l’evolversi della turbolente situazione del Ruanda nella seconda metà del secolo.
Lavoratori, gli Hutu acquistarono sempre più terre. Sullo sfondo di rivalità etniche e politiche che si erano accentuate verso la fine del periodo del dittatore Mobutu Sese Seko, il conflitto fondiario (relativo al problema delle terre) tra i Banyarwanda (Hutu e Tutsi, percepiti come stranieri) e le comunità autoctone (Nande, Hunde, Kobo, …) sfocia nei massacri interetnici del 1993, causando la morte di diverse migliaia di persone e la fuga dei Banyaruanda verso il Ruanda e l’Uganda. L’anno successivo, dopo la presa del potere, a Kigali (Ruanda) da parte della ribellione tutsi, più di due milioni di Hutu ruandesi si sono rifugiati in Congo, indebolendo ulteriormente un territorio già frammentato in un mosaico etnico e contribuendo allo scoppio dei due conflitti che hanno devastato il Congo tra il 1996 e il 2003.
Secondo Innocent Bahati Kayagwe, responsabile del campo degli sfollati hutu, «l’unica cosa che ci divide è la questione delle terre. Quando siamo arrivati qui, abbiamo comprato dei campi e, dopo i raccolti, abbiamo comprato delle mucche o delle capre per l’allevamento. Per questo, gli autoctoni ci invidiano». Bahati non nasconde il fatto che gli Hutu abbiano intenzione di acquistare più terre, ma ne spiega la necessità a causa della problematica fondiaria più a sud del territorio. Là, i piccoli agricoltori sono sempre più costretti ad abbandonare le loro terre, perché sono acquistate da grandi proprietari terrieri (principalmente Tutsi) o per motivi di trasmissione del patrimonio, essendo le famiglie molto numerose: un terreno venduto nel sud di Walikale, Rutshuru e Masisi permette di comprare un altro terreno, ma dieci volte più grande, a Buleusa o nei suoi dintorni.[10]
A Buleusa, dal punto di vista umanitario e della sicurezza, la situazione rimane molto tesa. Oltre 3.000 sfollati hutu si sono rifugiati presso un accampamento dell’esercito congolese in seguito all’incendio di uno dei loro campi di accoglienza per opera di membri della comunità Kobo che li accusano di essere armati e complici, se non membri, dei ribelli hutu ruandesi delle FDLR. La tensione regna anche tra i caschi blu sudafricani, che stanno montando un loro accampamento temporaneo all’ingresso del villaggio. Affermano di essere stati attaccati, la settimana precedente, da dei miliziani mentre stavano trasportando degli aiuti per gli sfollati. Da parte sua, la comunità Kobo accusa la Monusco di avere sparato su dei manifestanti civili.
Per la terza volta in 15 giorni, dei militari e dei membri civili della Monusco hanno distribuito razioni di cibo agli sfollati che erano rimasti senza cibo. «Abbiamo portato fagioli, sardine, riso e farina di mais», dice uno di loro.
Gli sfollati accusano i miliziani Mai-Mai Mazembe e la NDC/rinnovata di Guidon di essere gli autori degli attacchi subiti. Intanto, in paese, la gente inveisce contro i caschi blu dell’Onu, accusandoli di essere complici degli sfollati hutu congolesi e dei ribelli hutu ruandesi della FDLR. Sulla strada principale di Buleusa, i residenti, soprattutto Kobo, continuano ad aggiustare le loro case incendiate dalle FDLR nel fine settimana precedente. Molto arrabbiati, essi moltiplicano gli ultimatum, minacciando di attaccare l’accampamento improvvisato degli sfollati hutu congolesi.
«Se non li spostano, lo faremo noi», afferma un commerciante, aggiungendo che la Monusco e il governo sono loro complici.
Dall’altro lato del villaggio, si vedono diverse posizioni dell’esercito congolese e decine di capanne bruciate. Almeno due siti per gli sfollati, uno attaccato quindici giorni prima, l’altro incendiato dopo che gli sfollati fossero fuggiti per paura di subire la stessa sorte. «La situazione non è affatto tranquilla», dice un ufficiale congolese che teme un nuovo attacco degli autoctoni Kobo contro gli sfollati hutu. Indicando con la mano il sito su cui si sta allestendo il nuovo campo degli sfollati, afferma che i militari inviati per la loro protezione sono meno di venti. L’unico terreno “neutrale” resta il centro sanitario in cui le due comunità arrivano per farsi curare. Accuse e smentite arrivano dagli uni e dagli altri, con una sensazione comune che sia sempre “l’altra comunità” a mentire.[11]
Negli ultimi mesi, gli sfollati hutu, tra i 3.000 e i 4.000, non si sentono al sicuro. Non osano uscire dall’accampamento. «Non posso andare in paese. Dovrei andarvi per comprare il sale, ma mando qualcun altro», dice una signora. Gli sfollati sono “prigionieri”, riconoscono dei soldati congolesi. Se gli sfollati accettano di lasciare il campo militare per un’altra destinazione, tuttavia vogliono rimanere nel territorio di Walikale, “vicino ai loro campi”, terreni di cui i Kobo e le altre comunità locali non riconoscono loro la proprietà. Da parte sua, la comunità Kobo vive nella paura di un attacco da parte degli sfollati hutu o, addirittura, dei ribelli hutu ruandesi delle FDLR. Una madre mostra una capanna carbonizzata. «La mia casa è stata incendiata dalle FDLR. Non riesco a ricostruirla, perché non ne ho la possibilità, anche se sono rientrata da tre mesi», dice. Come tutte le altre, la sua casa era stata incendiata dai ribelli hutu ruandesi in rappresaglia per un attacco dei Mai-Mai Mazembe e della NDC/rinnovata di Guidon.
Non tutti hanno i mezzi sufficienti per ricostruire la loro casa, perché non hanno soldi in seguito alla perdita dei raccolti. Per questo vogliono che gli hutu siano trasferiti da Walikale verso altre zone.[12]
Un gruppo di esperti è stato inviato a Buleusa per una missione di valutazione sul posto. Questa missione non è stata facile poiché, in un primo momento, la comunità Kobo si era dimostrata apertamente ostile ad essa.
Il primo obiettivo era quello di identificare le zone di origine di questi sfollati hutu. La prima sorpresa è che proverrebbero principalmente dal vicino Masisi, dove vivevano in accampamenti per sfollati ultimamente chiusi. Proverrebbero dal campo di Mokoto, chiuso e incendiato dalla polizia dopo che vi fosse stata scoperta un’arma; dai campi della zona di Mpati, temporaneamente chiusi durante le operazioni delle FARDC contro le FDLR; dal campo di Miriki, chiuso dietro pressione della comunità Nande, dopo il massacro della famiglia di un capo tradizionale di Buleusa; ma anche in accampamenti di altre località circostanti.
Il secondo obiettivo era quello di trovare un nuovo sito per ospitare temporaneamente gli sfollati che attualmente si trovano nell’accampamento militare. Missione quasi impossibile, data la presenza, nelle vicinanze di Buleusa, di gruppi armati ostili agli sfollati hutu, anche se per la loro sicurezza, è arrivato un piccolo gruppo di una ventina di poliziotti. Ma secondo una fonte locale, “sono arrivati senza niente”. Gli organismi umanitari stentano ad intervenire per la mancanza di risorse, l’insicurezza e la paura di essere associati all’uno o all’altro belligerante. Essi sanno che gli agenti della Monusco sono stati aggrediti proprio mentre cercavano di distribuire cibo agli sfollati hutu.[13]
Il 16 luglio, un’équipe della Commissione Nazionale per i Rifugiati (CNR) è arrivata a Buleusa per identificare gli ospiti del campo degli sfollati, per potere distinguere tra gli Hutu di Buleusa e gli Hutu provenienti da altre zone (eventualmente non congolesi), per permettere ai primi di ritornare a casa loro e per spostare altrove i secondi. Ma i Kobo chiedono alle autorità di “far partire” da Buleusa tutti gli sfollati e di procedere all’operazione di “identificazione” altrove.[14]
Secondo alcune autorità tradizionali locali di Rutshuru e membri della Baraza la Wazee, struttura che comprende tutte le comunità etniche del Nord Kivu, le tensioni tra i gruppi etnici locali sono alimentate da certi politici in cerca di posizionamento alla vigilia delle prossime elezioni. Deo Tusi Bikanaba, vice presidente della Baraza la Wazee, ha affermato che i conflitti sorti in questa provincia sono sempre stati creati e alimentati da alcuni politici disonesti e assetati di potere. «Alla popolazione, chiediamo di non prestare orecchio a questi cattivi politici e di dissociarsi dai gruppi armati che non fanno altro che uccidere e commettere ingiustizie», ha egli dichiarato.[15]
Il 23 luglio, a Buleusa, le comunità Kobo e Hutu in conflitto tra loro da diversi mesi, nel raggruppamento d’Ikobo, situato tra i territori di Lubero e di Walikale (Nord Kivu), hanno firmato un patto di pace. I Kobo, autoctoni di Buleusa, protestavano contro il ritorno massiccio degli sfollati hutu, non autoctoni, sospettandoli di farsi accompagnare dai ribelli ruandesi delle FDLR. Da parte loro, gli Hutu non accettavano l’autorità del capo tradizionale dei Kobo e entravano nei campi dei Kobo per raccoglierne i prodotti. Tutto ciò creava tensione e scontri tra i due gruppi etnici. Le due comunità hanno firmato un atto di impegno alla presenza di una delegazione mista Governo – Monusco, guidata dal Vice Primo Ministro dell’interno, Evariste Boshab. Da parte sua, il rappresentante della comunità hutu, Innocent Bahati Kayago, si è impegnato a riconoscere l’autorità del capo tradizionale locale. Il vice Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite incaricato di questioni umanitarie ha annunciato la realizzazione di alcuni progetti di integrazione, a favore di queste due comunità. Per un prossimo futuro, egli ha promesso la costruzione di una scuola e di un centro medico per i bambini e gli abitanti di tutte le comunità a Buleusa. Da parte sua, Evariste Boshab ha promesso di inviare una certa quantità di sementi, per consentire loro di rilanciare le attività agricole.[16]
4. COSA SUCCEDE IN SENO ALL’M23 E ALLE FDLR?
Il 1° giugno, il governo ha annunciato di aver ufficialmente riconosciuto l’ex ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) come partito politico denominato “Alleanza per la Salvezza del Popolo” (ASP). La registrazione del partito è stata certificata mediante decreto ministeriale del 30 maggio 2016, firmato dal Vice Primo Ministro e Ministro degli Interni Evariste Boshab. «Siamo come l’interlocutore civile del governo congolese nelle discussioni sull’accordo quadro di Addis Abeba e in ogni altro negoziato», ha dichiarato Moïse Chokwe, uno dei membri fondatori dell’ASP.
Da parte sua, Jean-Marie Runiga Lugerero, membro dell’ex M23 fuggito in Ruanda e autorità morale dell’ASP, ha affermato: «Il nostro partito è nella logica di una transizione con il presidente Kabila. Non dobbiamo ignorare che Kabila ha sempre avuto la maggioranza nella RDC e che la sua presenza è inevitabile in una transizione di tre anni per un’organizzazione di elezioni pacifiche».[17]
In un comunicato, Bertrand Bisimwa, presidente del M23 e fuggito in Uganda, ha affermato che, «finora, la direzione del gruppo ribelle non ha iniziato alcuna procedura amministrativa per trasformare il movimento in partito politico». «È tuttavia legittimo che qualsiasi membro che abbia cessato o meno il suo rapporto con il Movimento o per ragioni sue proprie, crei o aderisca a una organizzazione politica diversa dal M23, senza che la sua decisione abbia alcuna incidenza sul Movimento del 23 marzo, sulle sue strutture, sulle sue attività e, tanto meno, sulla sua filosofia politica», ha precisato Bisimwa. Da ricordare che, il 27 maggio, il M23 e il governo si erano incontrati a Kinshasa, nell’ambito del comitato di monitoraggio dell’esecuzione delle due dichiarazioni firmate a Nairobi il 12 dicembre 2013.[18]
Una parte delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda ha deciso di abbandonare la ribellione hutu per creare un proprio movimento, il Consiglio Nazionale per il Rinnovamento e la Democrazia (CNRD). Questa decisione viene a confermare la frattura tra il capo dei ribelli, Victor Byiringiro, e il suo vice presidente, Wilson Irategeka.
È la questione del censimento biometrico dei rifugiati ruandesi in Congo che avrebbe contrapposto il colonnello Irategeka, favorevole a questa disposizione, al suo presidente, Victor Byiringiro, che ha deciso di sospenderlo dal movimento. «Irategeka è strumentalizzato dalla comunità internazionale o, peggio, dal Ruanda», ha affermato un membro delle FDLR. Ma nel CNRD, si cerca di prendere le distanze. «Noi non siamo FDLR, ma dei semplici rifugiati ruandesi», ha affermato il portavoce del movimento che, tuttavia, annuncia le stesse rivendicazioni delle FDLR: un dialogo politico con Kigali e un ritorno in Ruanda nella dignità.[19]
Il Coordinamento Provinciale della Società civile del Nord Kivu in forma con preoccupazione sulla nascita di una nuova ribellione nella zona di Bwito, nel territorio di Rutshuru. Secondo le informazioni ottenute, questa ribellione denominata “Consiglio Nazionale per il Rinnovamento Democratico” (NDRC) sarebbe una coalizione di ribelli hutu ruandesi FDLR (FOCA e Rudi) e di ex M23. «Non è da oggi che noi della società civile parliamo di infiltrazioni di elementi ruandesi, di ritorno incontrollato di elementi M23, di FDLR rimpatriati in Ruanda e di ritorno nella RDC».[20]
5. LA POPOLAZIONE VITTIMA DEGLI ABUSI DELL’ESERCITO, DELLA POLIZIA E DEI MAI-MAI
I giovani del territorio di Nyiragongo (Nord Kivu) accusano i militari dispiegati nel loro territorio di arrestarli senza alcun motivo valido. Secondo il presidente del consiglio territoriale dei giovani, Faustin Zabayo, gli stessi militari impongono anche delle multe per futili motivi. «Abbiamo constatato tali irregolarità soprattutto tra i militari dell’802° Reggimento il 313° commando basati a Munigi. Quando la popolazione si reca dai militari per denunciare dei movimenti sospetti, è la stessa popolazione che diventa vittima. Arrestano delle persone ed esigono una somma tra i 100 e i 150 $», ha affermato Faustin Zabayo. Egli ha fatto osservare che questo comportamento dei militari crea una sfiducia della popolazione nei confronti dell’esercito. «Attualmente, non riusciamo più a collaborare con l’esercito, che è diventato uno dei nemici del popolo», ha deplorato il presidente del consiglio territoriale dei giovani di Nyiragongo. Il Direttore dell’Ufficio Stampa della 34ª regione militare, il capitano Guillaume Ndjike Kaiko, ha respinto tali accuse.[21]
In un comunicato del 29 giugno, l’Associazione Africana per la Difesa dei Diritti Umani (ASADHO) si è detta preoccupata per l’elevato numero di barriere e di tasse illegali di cui la popolazione del Sud Kivu è vittima da parte dei militari e della polizia.
In effetti, secondo l’ASADHO, «i posti di blocco installati per proteggere i civili dagli atti di violenza e dagli abusi commessi dalle milizie sono diventati dei grandi posti di riscossione di tasse illegali da parte delle FARDC e della polizia nazionale congolese. Queste percezioni sono effettuate giorno e notte, nella più totale indifferenza delle autorità politiche e amministrative. Secondo le inchieste effettuate dall’ASADHO, nella provincia del Kivu Sud ci sono più di 74 posti di percezione di tasse illegali (Fizi: 16 barriere, Kalehe: 14 barriere, Mwenga: 13 barriere, Shabunda: 8 barriere, Walungu 7 barriere, Bukavu: 16 barriere …)». Ad ogni barriera, ogni passante e ogni mezzo di trasporto (moto, bici, veicolo,…) deve pagare una somma di denaro compresa dai 1.000 ai 20.000 FC al giorno e per ogni passaggio, cioè tra 1 e 20 $, senza ricevere alcuna ricevuta. Il tragitto verso Mulungu è il più costoso, a causa dell’attività mineraria che vi si svolge. Qui, ogni passeggero deve pagare 10.000 FC, cioè 10 $ al giorno. Con una frequenza di 500 – 1.000 persone al giorno, la polizia e i militari adibiti a questa barriera di Mulungu riescono a racimolare almeno 5 – 10.000 $ al giorno. L’ASADHO raccomanda al governo di eliminare tutte le barriere che non siano strettamente necessarie per la sicurezza delle persone e dei loro beni. L’ONG ha anche chiesto l’apertura di un’inchiesta per identificare tutti i militari e gli agenti di polizia implicati nella percezione di tasse illegali.[22]
Dei miliziani Mai-Mai Kifuafua sono accusati di aver commesso delle vessazioni contro la popolazione di Kiraku edintorni, nel territorio di Walikale (Nord Kivu). Secondo alcune testimonianze, gli abitanti di queste località sono vittime di arresti arbitrari, torture, imposizione di tasse e di multe illegali. A volte, i Mai-Mai Kifuafua, il cui capo è Delphin Maenda, si occupano illegalmente dei conflitti interpersonali o interfamiliari e alla persona riconosciuta nel torto impongono multe che possono arrivare fino a 100.000 FC (circa 100 $) e una capra. Secondo quanto riferito da un abitante, «se vengono a sapere che, in casa, hai litigato con tua moglie, ti arrestano. Se hai un po’ di bestiame o qualche terreno, inventano un’accusa contro di te e ti inviano subito un mandato d’arresto e se vuoi essere liberato, devi pagare». Su alcune strade, erigono delle barriere illegali e costringono coloro che passano con dei capi di bestiame a pagare tra 500 FC (0,5 $) e 4.500 FC (5 $). «I commercianti, per esempio, devono pagare 5 dollari per ogni mucca, capra o maiale», ha riferito la stessa fonte, deplorando anche degli atti di tortura fisica: «me ne sono rimasti dei segni sul corpo. Mi hanno mantenuto legato per 3 ore e mi hanno picchiato forte. Hanno picchiato anche il presidente del gruppo dei giovani e il capo del villaggio. Siamo stati arrestati per due settimane».[23]
6. IL PROGRAMMA DI DISARMO (DDR)
Il 18 giugno, il ministro della Difesa nazionale, Crispin Atama Tabe, ha dato l’avvio ufficiale ad un’operazione di trasferimento degli ex combattenti di gruppi armati dell’est della RDCongo, stanziati presso la base militare di Kamina (Haut-Lomani), in vista del loro reinserimento nelle rispettive famiglie. Cinquantatre ex combattenti smobilitati sono partiti per Goma (Nord Kivu), a bordo di un Antonov 26 dell’esercito nazionale. A ciascuno sono stati consegnati 100 $. A Kamina rimangono ancora circa 2.200 ex combattenti, tra cui quelli dell’ex M23. Essi denunciano le cattive condizioni in cui sono costretti a vivere.[24]
Gli ex-combattenti smobilitati arrivati a Goma (Nord Kivu) dalla base militare di Kamina (Haut-Lomani), hanno espresso la loro preoccupazione per non aver ricevuto i kit di reinserimento [attrezzi per esercitare i mestieri appresi nel centro di Kamina] promessi, dopo aver trascorso più di due anni di formazione in questo centro militare. Da parte sua, il governo assicura di aver previsto tali kit per ogni ex combattente smobilitato. Il portavoce, Lambert Mende, ha dichiarato che questi materiali saranno loro consegnati quando arriveranno sul luogo del loro reinserimento, in un prossimo futuro.[25]
Il 24 giugno, alla base militare di Kamina (Haut-Lomani), l’operazione di trasferimento degli ex combattenti smobilitati verso le loro zone di origine è stata sospesa, solo sei giorni dopo il suo inizio. Da parte delle autorità militari, finora non è stata data alcuna spiegazione. Secondo il ministro provinciale degli interni dell’Alto Lomami, questa sospensione è dovuta a un problema logistico. Egli ha assicurato che, una volta risolto il problema, l’operazione continuerà. Secondo i dati lui forniti, in questa prima fase dell’operazione, sono già stati effettuati quattro voli, il che ha permesso di trasferire verso il Nord Kivu, il Sud Kivu e il Maniema un totale di 453 ex combattenti smobilitati.[26]
[1] Cf Radio Okapi, 05.07.’16
[2] Cf RFI, 06.07.’16
[3] Cf Radio Okapi, 25.06.’16
[4] Cf Radio Okapi, 02.07.’16
[5] Cf Radio Okapi, 08.07.’16
[6] Cf Radio Okapi, 15.07.’16
[7] Cf Radio Okapi, 19.07.’16; RFI, 19.07.’16
[8] Cf Cepadho – Bulletin d’Information du 23 Juillet 2016 ; AFP – Jeune Afrique, 24.07.’16
[9] Cf Radio Okapi, 26.07.’16
[10] Cf AFP – Africatime, 19.07.’16
[11] Cf RFI, 26.06.’16
[12] Cf RFI, 27.06.’16
[13] Cf RFI, 29.06.’16
[14] Cf AFP – Africatime, 19.07.’16
[15] Cf Radio Okapi, 21.07.’16
[16] Cf Radio Okapi, 23.07.’16
[17] Cf Xinhua, 03.06.’16
[18] Cf VOA, 02.06.’16
[19] Cf RFI, 03.06.’16
[20] Cf Politico.cd, 24.06.’16
[21] Cf Radio Okapi, 31.05.’16
[22] Cf Politico.cd, 29.06.’16
[23] Cf Radio Okapi, 21.05.’16
[24] Cf Radio Okapi, 19.06.’16
[25] Cf Radio Okapi, 22.06.’16
[26] Cf Radio Okapi, 24.06.’16