Editoriale Congo Attualità n. 281– a cura della Rete Pace per il Congo
Tre sono i temi che, nelle ultime settimane, hanno attirato l’attenzione dei media: il non rispetto delle scadenze elettorali previste dalla Costituzione e l’ormai quasi certo rinvio delle elezioni presidenziali previste nel mese di novembre 2016; la sentenza della Corte costituzionale a proposito dell’interpretazione dell’articolo 70 della Costituzione, relativo alla fine del secondo ed ultimo mandato presidenziale del Presidente Kabila e la violenza dei massacri commessi nel territorio di Beni (Nord Kivu). A questo proposito, i partiti dell’opposizione e la società civile hanno indetto varie manifestazioni di protesta. Ma le manifestazioni sono state puntualmente interdette o represse e molti organizzatori e manifestanti regolarmente arrestati e incarcerati.
In tale contesto,
– Il 4 maggio, l’ex governatore dell’ex Katanga, Moïse Katumbi, dichiaratosi candidato per le prossime elezioni presidenziali, è stato accusato di “reclutamento di mercenari stranieri” e di “attentato contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato” e, successivamente, posto sotto mandato di arresto provvisorio.
– Il 20 maggio, a Kinshasa, Bienvenu Matumo e Héritier Kapitene, due membri del movimento Lotta per il cambiamento (Lucha) e Victor Tesongo, attivista dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC, un partito di opposizione), sono stati condannati per “incitamento alla disobbedienza civile, diffusione di false informazioni e attentato contro la sicurezza dello Stato”.
Questi tre attivisti erano stati arrestati, insieme ad altri otto membri di Lucha, nella notte tra il 15 e il 16 febbraio, al termine di un incontro dedicato alla preparazione di una giornata “città morta” prevista dalla società civile congolese e dall’opposizione proprio il 16 febbraio stesso.
– Il 21 maggio, a Kinshasa, la Polizia Nazionale Congolese (PNC) ha impedito una marcia pacifica indetta per denunciare i massacri di Beni (Nord Kivu). L’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (BCNUDH) ha parlato di almeno venticinque persone arrestate.
– Il 26 maggio, le manifestazioni previste sull’insieme del territorio nazionale, per protestare contro l’ultima sentenza della Corte costituzionale e per esigere l’organizzazione delle elezioni presidenziali entro i tempi previsti dalla Costituzione sono state vietate ovunque, tranne a Kinshasa e a Bukavu. Se a Bukavu la manifestazione si è ben svolta, a Kinshasa è stata dispersa dalla Polizia a causa di un “non rispetto dell’itinerario concordato”.
Alcune considerazioni:
– «La libertà di manifestazione è garantita» dall’articolo 26 della Costituzione, secondo il quale
“Ogni manifestazione su strade pubbliche o all’aperto richiede agli organizzatori di informare per iscritto l’autorità amministrativa competente. La legge ne stabilisce le misure di attuazione“.
Secondo il portavoce della polizia, il colonnello Mwana Mputu, «gli organizzatori devono, in linea di principio, scrivere all’autorità politico-amministrativa competente», per informarla sulla data, luogo, percorso, motivo, ecc. Sempre secondo il colonnello Mwana Mputu, l’autorità convocherà gli organizzatori per «studiare insieme i possibili diversi percorsi, in modo che l’autorità politica e amministrativa possa dare le debite istruzioni alla polizia, al fine di accompagnare i manifestanti fino al punto di arrivo», per assicurare l’ordine pubblico e prevenire – evitare atti vandalici o violenze contro le persone.
– Nella misura in cui una dichiarazione informativa di manifestazione è conforme alla legge, nessuna autorità ha la facoltà di “impedire” unilateralmente lo svolgimento della manifestazione annunciata, né le forze di sicurezza possono intervenire per disperderne i partecipanti, apportando come motivo che la manifestazione non è stata “autorizzata” o perché sconvolge l’ordine pubblico, in quanto “intralcia il traffico stradale”.
– Il silenzio del Presidente della Repubblica, Joseph Kabila, davanti alle interdizioni e repressioni di molte manifestazioni pacifiche lascia intravvedere la sua più totale incapacità di essere il primo garante del rispetto dell’articolo 26 della Costituzione e lascia il via libera al sospetto che sia proprio lui il mandante delle interdizioni e repressioni deplorate. Basterebbe una sua sola parola a difesa dell’articolo 26, per dissipare immediatamente tale sospetto.
– Le manifestazioni del 26 maggio hanno dimostrato che, sebbene fossero “interdette” o “non autorizzate”, e ciò in violazione della stessa Costituzione, il popolo congolese ha cercato di parteciparvi, sfidando i gas lacrimogeni, gli spari e gli arresti. Ciò denota un’appropriazione, da parte dei cittadini, del loro diritto di manifestazione e, quindi, un passo avanti nel cammino della democratizzazione del Paese “a partire dal basso”.
– La manifestazione di Kinshasa, il 26 maggio, iniziata con un “carattere tipicamente festivo” mediante la presenza di bandiere, bande musicali, tamburi, canti, danze, striscioni, slogan, ha dimostrato che il popolo congolese sa manifestare pacificamente e ha confermato che “l’unione fa la forza”. Ne consegue che quelle parti politiche e sociali che vogliono un vero cambiamento nella vita politica del Paese, devono necessariamente unire i loro sforzi.
– La volontà di cambiamento, la fedeltà ai valori costituzionali e democratici, l’unità, la determinazione e la non violenza sono “le uniche armi” di cui può disporre il popolo, per combattere quelle deviazioni politiche che, appoggiandosi sulla corruzione, sulla forza delle armi, sulla violenza e sull’impunità, favoriscono regimi autoritari che difendono interessi di parte o individuali, a scapito del bene comune.
– Anche se interdetta e repressa, quindi apparentemente perdente, una manifestazione pacifica ha sempre un aspetto positivo: quello di rivelare che un regime che è costretto a ricorrere alla repressione per continuare ad esistere è, in realtà, un regime debole che, prima o poi, scomparirà.
La Comunità Internazionale potrebbe contribuire a questa vittoria del popolo nella misura in cui riuscisse a rendere effettiva l’applicazione di sanzioni (negazione di rilascio di visa e blocco dei beni depositati all’estero) nei confronti di ministri, governatori e ufficiali dei servizi di sicurezza responsabili di atti di interdizione e di repressione di legittime manifestazioni.