Editoriale Congo Attualità n. 268 – a cura della Rete Pace per il Congo
Tutto è bloccato
Rimangono ormai solo nove mesi per potere organizzare le elezioni presidenziali nel rispetto delle disposizioni costituzionali ma, finora, nulla dimostra che tali elezioni possano essere organizzate entro i tempi previsti dalla costituzione, cioè entro la fine del mese di novembre di quest’anno.
Tutto sembra bloccato, sia a livello della preparazione delle elezioni, sia a livello dell’organizzazione del dialogo politico nazionale.
A livello della preparazione delle elezioni
Il 10 febbraio, invece di pubblicare un calendario elettorale globale, aggiornato, consensuale e conforme alle scadenze elettorali previste dalla Costituzione, la Commissione Elettorale ha pubblicato un calendario elettorale parziale che prevede solo le elezioni, il 26 marzo, dei governatori e vice-governatori delle 21 nuove province.
Il 13 febbraio, nel corso di un incontro con le istituzioni provinciali di Kinshasa, il presidente della Commissione elettorale, Corneille Nangaa, ha affermato che l’operazione di revisione del database elettorale necessaria per organizzare le elezioni potrebbe durare almeno sedici o diciassette mesi.
Ciò significa che non sarebbe possibile organizzare le elezioni prima di settembre – ottobre 2017.
A livello dell’organizzazione del dialogo politico nazionale
Il presidente Kabila lo ha proposto già da tempo per “preparare elezioni credibili e pacifiche”, senza però fare alcun riferimento alle scadenze elettorali previste dalla costituzione, il che fa sospettare un loro possibile rinvio che gli permetterebbe di prolungare il suo secondo e ultimo mandato presidenziale. Inoltre, il presidente Kabila vuole un dialogo inclusivo, cioè con la partecipazione di tutte le forze politiche, includendo le varie tendenze dell’opposizione, ma con un’attenzione particolare rivolta all’UDPS, il maggior partito dell’opposizione e principale rivale nelle scorse elezioni del 2011.
Tuttavia, l’UDPS rifiuta il dialogo come proposto da Kabila, cioè convocato da lui stesso e con una moderazione interna congiunta maggioranza – opposizione. L’UDPS propone invece un dialogo convocato e moderato dalla comunità internazionale, rispettoso delle scadenze elettorali previste dalla Costituzione e, quindi, con l’obiettivo di organizzare le elezioni presidenziali entro la fine di novembre 2016.
Secondo l’UDPS, il dialogo trae le sue origini in tutto ciò che è successo in occasione delle elezioni presidenziali del 2011: Etienne Tshisekedi ha vinto le elezioni, ma è Joseph Kabila che è stato proclamato vincitore. La pubblicazione dei falsi risultati delle elezioni presidenziali del 2011 ha causato la divisione del Paese in due blocchi, quello di Tshisekedi e quello di Kabila.
L’UDPS auspica quindi un dialogo bipolare tra i rappresentanti del campo di Etienne Tshisekedi e quello di Joseph Kabila. Le altre piattaforme dell’opposizione, come la Dinamica dell’Opposizione, il G7 e il Fronte Anti-Dialogo dovrebbero semplicemente allinearsi dietro l’UDPS, ciò che mai potranno accettare.
D’altra parte, l’insistenza dell’UDPS sul dialogo sembra alquanto contraddittoria, in quanto sembra sostenere una cosa e il suo contrario: l’organizzazione del dialogo, ciò che richiede molto tempo, come finora dimostrato e, contemporaneamente, l’organizzazione delle elezioni presidenziali entro novembre 2016, ciò che esige di accelerare le procedure il più possibile. Inoltre risulta incomprensibile che, da una parte, l’UDPS affermi di non riconoscere Joseph Kabila come Presidente della Repubblica e, dall’altra, insista nel volere dialogare con lui e la sua maggioranza. Persistendo nella logica di un simile dialogo, l’UDPS rischia di dividere e di indebolire l’opposizione e di contribuire al rinvio delle elezioni e, quindi, al prolungamento dell’attuale secondo e ultimo mandato del presidente Joseph Kabila.
Prospettive per il futuro
– Auspicato sia dal Presidente Kabila che da Etienne Tsisekedi, il dialogo potrebbe aprire la strada ad un periodo di transizione con un governo di unità nazionale o, meglio, di coabitazione tra il PPRD e l’UDPS. Presieduto presumibilmente da un membro dell’UDPS, tale governo sarebbe incaricato di preparare le future elezioni. Forse è proprio questo che sia il PPRD di Kabila, sia l’UDPS di Etienne Tshisekedi si aspettano dal dialogo, nonostante le loro profonde divergenze.
Questa prospettiva non risolverebbe affatto l’attuale crisi politica. Anzi, la peggiorerebbe, in quanto Kabila resterebbe presidente della Repubblica oltre il suo secondo e ultimo mandato costituzionale.
– Un’altra possibilità è che l’UDPS rinunci a dialogare con il PPRD di Kabila e che inizi a dialogare con gli altri partiti e coalizioni dell’opposizione che rifiutano di partecipare a un dialogo “politico nazionale inclusivo” che rischia di arrivare a delle “conclusioni e proposte” che violano la Costituzione. Questa seconda possibilità potrebbe contribuire ad aumentare la pressione sulla Maggioranza Presidenziale, sullo stesso Presidente della Repubblica e sulla Commissione elettorale, affinché cessino di porre ostacoli al processo elettorale e si impegnino a organizzare le elezioni nel rigoroso rispetto delle scadenze costituzionali. La decisione di Etienne Tshisekedi, espressa nel suo messaggio del 15 febbraio, di appoggiare «tutte le manifestazioni pacifiche programmate per fare pressione sul governo, in particolare la “giornata città morta” prevista per il 16 febbraio 2016» potrebbe essere stato un primo passo in questa direzione.
La strategia della “resistenza pacifica non violenta”
L’adesione dell’UDPS alla giornata città morta del 16 febbraio a certamente contribuito al buon esito della manifestazione, il che dimostra che, unita, l’opposizione può ottenere migliori risultati.
La riuscita di questo evento ha dimostrato che anche le “strade deserte” possono essere una forma di protesta come quella delle “piazze piene”. Anche le “strade vuote” possono molestare il potere, ma hanno il vantaggio di evitare lo scontro frontale dei “manifestanti” con le cosiddette forze dell’ordine. È la strategia della “resistenza pacifica non violenta”. Oltre alla modalità “città morta”, il popolo saprà trovare altre forme altrettanto efficaci per far sentire la sua voce.