INDICE:
EDITORIALE: MINERALI PER LA POPOLAZIONE E NON PER I GRUPPI ARMATI
- IL RAPPORTO INTERMEDIO DEL GRUPPO D’ESPERTI SULLA RDCONGO
- GRUPPI ARMATI
- Le Forze Democratiche Alleate (ADF)
- Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)
- RISORSE NATURALI
- Cassiterite, stagno, tantalio e tungsteno
- Oro
- Implicazione di militari congolesi nel commercio del legname
- RACCOMANDAZIONI
- GRUPPI ARMATI
- LA DICHIARAZIONE DEL CEPADHO SUL RAPPORTO DELL’ONU
- GLI ATTACCHI DELLE ADF NEL TERRITORIO DI BENI
- I SEQUESTRI DI PERSONE NEL TERRITORIO DI RUTCHURU
- L’M23 MINACCIA DI RITIRARE LA SUA FIRMA DALLA DICHIARAZIONE DI NAIROBI
EDITORIALE: MINERALI PER LA POPOLAZIONE E NON PER I GRUPPI ARMATI
1. IL RAPPORTO INTERMEDIO DEL GRUPPO D’ESPERTI SULLA RDCONGO
Il 16 ottobre, il Gruppo di Esperti dell’ONU sulla Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) ha presentato un suo rapporto intermedio al Presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.[1]
I. GRUPPI ARMATI
A. Le Forze Democratiche Alleate (ADF)
Comando ed effettivi
Nonostante l’operazione militare Sukola I condotta contro le ADF sin dal mese di gennaio 2014, la struttura di comando del gruppo, nel territorio di Beni (Nord-Kivu), rimane in gran parte intatta. Nel mese di agosto 2014, le ADF erano già ritornate nella zona delle loro ex roccaforti, situate a est della strada Beni – Eringeti, una zona cruciale per l’approvvigionamento del gruppo in viveri. Questo ritorno era stato possibile per il fatto che le truppe delle Forze Armate della RDCongo (FARDC) non erano più presenti in queste posizioni.
Secondo le liste di distribuzione di cibo ritrovate dalle FARDC in un accampamento abbandonato dalle ADF a Bango nel febbraio 2015, i seguenti capi civili e militari del gruppo risultavano ancora vivi in gennaio 2015: Seka Baluku, Hood Lukwago, Katende, Muzzanganda, Werason, Sentongo e Rumisa. Nel mese di aprile 201, anche Richard Mugisa e vari altri comandanti, tra cui Kabode, Braïda e Canada, risultavano ancora vivi.
Le FARDC hanno affermato di aver ucciso l’ex vice comandante delle ADF, Muzami Kiribaki Kasadha (alias Kalume / Mzee Wako), nei pressi di Bango nel mese di aprile 2015, ma il gruppo d’esperti non è stato in grado di confermare tale informazione.
Secondo le stime delle FARDC e del Meccanismo congiunto di verifica, le ADF disporrebbero di circa 150 uomini. La Monusco stima a 260 il numero dei combattenti del gruppo. Secondo due ex combattenti delle ADF, i membri del gruppo si aggirerebbe sui 100-140 combattenti. A proposito della lista citata sopra e ritrovava nell’accampamento di Bango, un ex combattente e un ex dipendente hanno fatto una distinzione tra i combattenti e i non combattenti del gruppo guidato da Seka Baluku. Delle 114 persone indicate nella lista, 28 erano dei combattenti e 86 erano dei familiari (dipendenti). Il gruppo guidato da Baluku è considerato il principale gruppo delle ADF. Nonostante l’arresto di Fiston Muhoya (alias Kaberebere), citato da ex combattenti delle ADF come il numero due della rete di approvvigionamento verso la fine del 2014, la rete sembra essere rimasta intatta. Il suo capo, Amadi Elo (alias Issa Kambale / Okapi), è ancora a piede libero. Tuttavia, secondo un ex combattente delle ADF, l’operazione Sukola ha interrotto temporaneamente alcune attività di approvvigionamento fino all’inizio del 2015.
Il gruppo di esperti ha esaminato i presunti legami tra le ADF e dei gruppi terroristici stranieri come Al-Shabaab, ma non ha trovato alcun elemento di prova che possa corroborare tale ipotesi.
B. Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)
Le operazioni militari condotte dalle FARDC contro il gruppo hanno costretto molte unità FDLR ad abbandonare temporaneamente delle posizioni occupate da lungo tempo e hanno interrotto alcune loro fonti di reddito. Tuttavia, nel mese di agosto 2015, la catena di comando, la composizione degli effettivi e le capacità militari generali del gruppo sono rimaste in gran parte intatte.
Disarmo volontario
Secondo il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), tra maggio e dicembre 2014, 339 combattenti delle FDLR sono stati disarmati, consegnando 253 armi.
Se i 339 combattenti in questione sono stati disarmati, essi non sono però ancora stati smobilitati. In altre parole, hanno continuato a far parte delle FDLR e sono rimasti sotto gli ordini della gerarchia del gruppo.
I tentativi fatti per incoraggiare il rimpatrio volontario in Ruanda sono stati in gran parte vani, anche dopo avere separato gli ufficiali e i facinorosi dal resto del gruppo nel mese di giugno 2015. Al 21 agosto 2015, un totale di 307 ex combattenti e 1.030 familiari si trovavano ancora nei campi di transito della Monusco a Walungu (48 combattenti e 158 familiari) nel Sud Kivu, a Kanyabayonga (67 combattenti e 269 familiari) nel Nord Kivu e nel campo militare delle FARDC a Kisangani (192 combattenti e 603 familiari) nella provincia di Tshopo. Non è ancora chiaro come il governo congolese intenda gestire la situazione dei combattenti disarmati e dei loro familiari che continuano a rifiutare il loro rimpatrio in Ruanda.
Il gruppo di esperti ritiene che il fallimento del disarmo volontario fosse inevitabile. Sin dall’inizio, le FDLR l’avevano presentato come un processo concordato subordinato all’accettazione, da parte delle autorità ruandesi, di negoziati che avrebbero dovuto portare ad un accordo di condivisione del potere (vedi S / 2014/428, par. 44 e annesso 12).
Degli ufficiali superiori delle FDLR hanno dichiarato al gruppo di esperti che essi si aspettavano che i governi occidentali e la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe facessero pressione sul governo ruandese, affinché accettasse un dialogo inter-ruandese. Da parte loro, le autorità ruandesi non hanno mai annunciato né la loro disponibilità a partecipare a un tale dialogo, né la loro volontà di impegnarsi in esso. Il gruppo di esperti ha appreso che, in diverse occasioni, dei responsabili ruandesi avevano qualificato i negoziati con le FDLR di assurdità e di stratagemma orchestrato per impedire le operazioni militari contro il gruppo armato stesso.
Operazione Sukola II
Il 28 gennaio 2015, FARDC ha annunciato l’inizio dell’operazione militare Sukola II, che mirava a neutralizzare le FDLR nell’est della RDCongo e, in particolare, nelle province del Nord -Kivu, Sud Kivu e Tanganica.
Le FARDC sono riuscite ad allontanare le FDLR da molte delle loro posizioni senza che nessuna delle due parti subisse troppe perdite. Secondo tre ufficiali e otto combattenti delle FDLR, era stato dato l’ordine di fuggire piuttosto che combattere. Cinque combattenti delle FDLR hanno informato il gruppo di esperti che le FDLR sapevano in che momento avrebbero dovuto abbandonare i loro accampamenti, perché dei militari delle FARDC li avvertivano prima degli attacchi. Nel mese di settembre 2015, le FDLR erano riuscite a ritornare gradualmente in alcune zone del Sud Kivu precedentemente abbandonate. Cinque ufficiali delle FARDC che hanno partecipato all’operazione Sukola II hanno dichiarato al gruppo di esperti che il ritorno delle FDLR in quei territori era stata possibile per il fatto che le FARDC non disponevano degli effettivi necessari per continuare l’offensiva.
Vittime e prigionieri
Secondo le FARDC, dal 2 gennaio al 24 agosto 2015, 35 combattenti delle FDLR sono stati uccisi durante i combattimenti e altri 313 sono stati catturati o si sono arresi (Tanganyika: 10 uccisi e 12 catturati o arresi; Sud -Kivu: 13 uccisi e 111 catturati o arresi; Nord Kivu: 22 uccisi e 190 catturati o arresi) e poi inviati al carcere militare di Angenga (provincia di Mongala). Tuttavia, nel mese di agosto 2015, il gruppo di esperti non ha potuto verificare la presenza in questa prigione che di 175 presunti membri del FDLR. Le autorità carcerarie hanno spiegato che erano state incarcerate 177 persone e che due erano decedute prima della visita del gruppo di esperti.
Secondo le liste di trasferimento dei prigionieri redatte dalle FARDC, tra i 177 detenuti non figuravano che 14 ufficiali (3 comandanti, 5 capitani, 4 luogotenenti e 2 sotto-luogotenenti). Durante l’intervista con il Gruppo di esperti, sette dei presunti ufficiali delle FDLR hanno affermato di non essere degli ufficiali o, addirittura, di non appartenere alle FDLR.
Sui 175 presunti combattenti delle FDLR, 86 hanno dichiarato al Gruppo di esperti di essere dei civili. Se queste affermazioni non sono state tutte verificate dal Gruppo di esperti, alcune sono tuttavia state confermate dai notabili locali. Tre membri della società civile e di un notabile di Kilembwe (Fizi) hanno affermato che molti dei prigionieri arrestati in quella località erano dei civili. Essi hanno spiegato che il comandante del reggimento 3303 delle FARDC, il colonnello Ringo Heshima, aveva invitato tutti i rifugiati ruandesi della regione ad una riunione a Kilembwe, dove egli li ha arrestati e inviati a Bukavu come “combattenti” delle FDLR.
Attività lucrative
In alcune zone, l’operazione Sukola II ha contribuito a ridurre provvisoriamente le varie fonti di reddito delle FDLR, interrompendo le loro attività agricole, la produzione di carbone e di legname, l’estrazione di minerali, la riscossione di tasse illegali e altre piccole attività commerciali. Questo si spiega sia per il fatto che le FDLR hanno dovuto abbandonare le posizioni da loro occupate da molto tempo e per l’interruzione delle relazioni commerciali con dei membri delle FARDC. In altre zone, invece, le FDLR hanno continuato le loro attività lucrative e intensificato i saccheggi, per compensare le perdite subite nelle altre zone. In generale, le FDLR continuano a trarre vantaggi dall’imposizione di tasse che riscuotono illegalmente nei villaggi e sulle strade sotto loro controllo, dall’estrazione dell’oro, dalla vendita di legname (assi) e di carbone e da saccheggi condotti sui veicoli.
II. RISORSE NATURALI
Le inchieste condotte dal gruppo di esperti hanno permesso di confermare che i gruppi armati e degli ufficiali delle FARDC continuano a dedicarsi all’estrazione e al commercio di risorse naturali come la cassiterite, lo stagno, il tantalio, il tungsteno, l’oro e il legname.
A. Cassiterite, stagno, tantalio e tungsteno
Cassiterite
La fazione dei Raïa Mutomboki guidata dal “generale” Paul Kikuni Sabikugi (alias “Juriste”) fino a dicembre 2014, ha ceduto alle FARDC il controllo dell’aeroporto di Tchonka, situato nel territorio di Shabunda (nel Sud-Kivu), ma ha continuato a imporre delle tasse illegali sui siti di estrazione della cassiterite.
Due commercianti e un dipendente di un’agenzia mineraria congolese di Lulingu hanno spiegato al Gruppo di esperti che gli acquirenti devono versare 350 franchi congolesi (0.36 $) per ogni kg di cassiterite ai delegati dei Raïa Mutomboki presenti nei vari punti controllo installati nei pressi delle miniere. Gli acquirenti sono di solito degli intermediari che rivendono il minerale ai commercianti autorizzati di Lulingu o di Tchonka, che lo trasportano poi a Bukavu.
Il gruppo di esperti ha consultato i documenti di volo degli aerei decollati dall’aeroporto di Tchonka da novembre 2014 a maggio 2015. Secondo questi documenti, 126.228,5 kg di cassiterite provenienti dalle zone controllate dai Raïa Mutomboki sono stati inviati all’aeroporto di Kavumu, nei pressi di Bukavu. Secondo gli stessi documenti, questa cassiterite è stata inviata a Bukavu per conto di 12 agenzie, a bordo delle seguenti compagnie aeree: BBC, Mango, Swala, Busy Bee e Malu. Il gruppo di esperti ritiene che, da novembre 2014 a maggio 2015, le fazioni dei Raïa Mutomboki della regione abbiano prelevato più di 40.000 dollari di tasse sulla cassiterite.
Esportazione illegale di stagno, tantalio e tungsteno da Bukavu verso il Ruanda
Lo stagno, il tantalio e il tungsteno continuano ad essere esportati di contrabbando dall’est della RDCongo verso il Ruanda, passando attraverso il lago Kivu e il fiume Ruzizi. A Bukavu, le attività di contrabbando hanno generalmente luogo durante la notte e i punti di partenza delle esportazioni di questa filiera di contrabbando verso il Ruanda sono tre: Ruzizi 2, Ruzizi 3 e Muhumba
Vendita di etichette sul mercato nero in Ruanda
Nei mesi di giugno, luglio e agosto 2015, il Gruppo di esperti ha raccolto delle prove che dimostrano la vendita, sul mercato nero, di 12 etichette di certificazione di origine dei minerali. Ha inoltre ottenuto dei documenti amministrativi corrispondenti provenienti da tre imprese ruandesi: RF e GM, Africa Multibusiness Line e la Società Mineraria del Katanga (SOMIKA). Oltre alle etichette, tra i documenti ci sono delle copie dei registri dei siti di estrazione dei minerali, dei documenti ministeriali circa l’attribuzione di licenze di esplorazione alle imprese in questione e dei documenti amministrativi che autorizzano dei dipendenti a trasportare i minerali.
Le tre società in questione hanno rivenduto le etichette sul mercato nero in Ruanda. Questa operazione fraudolenta è stata facilitata da tre agenti responsabili dell’etichettatura che lavorano presso il Dipartimento di Geologia e Miniere del Ministero ruandese delle Risorse Naturali e che hanno firmato i registri dei siti minerari.
Secondo il gruppo di esperti, la vendita di etichette sul mercato nero è una pratica che può facilitare l’immissione sul mercato internazionale di minerali provenienti da zone dell’est della RDCongo controllate da gruppi armati e, di conseguenza, provenienti per contrabbando da zone di conflitti.
B. Oro
Imposizione di tasse illegali da parte dei Raïa Mutomboki sul fiume Ulindi
Il gruppo di esperti ha rilevato che due fazioni di Raïa Mutomboki traggono vantaggi dall’imposizione di tasse illegali sulla produzione dell’oro sul fiume Ulindi, in territorio di Shabunda. Una fazione, guidata dal “generale” Kabe, che ha sostituito il “generale” Sisawa, ha la sua base a Tchombi e controlla la riva nord del fiume Ulindi. L’altra, guidata dal “generale” Kimba, ha la sua base a Kazozola e controlla la riva sud. A Shabunda, l’oro alluvionale viene estratto con draghe. Questo tipo di estrazione è mobile e si sposta in funzione della presenza d’oro. Entrambe le fazioni impongono tasse illegali, sia sui proprietari o utilizzatori di draghe, sia sui cercatori d’oro. Secondo alcune fonti locali, i Raïa Mutomboki hanno istituito dei posti di blocco sulla strada che, lungo il fiume, porta verso la zona di estrazione dell’oro. Secondo le informazioni ottenute dal Gruppo di esperti, nel mese di luglio 2015, i posti di blocco “ufficiali” erano cinque. Ogni passeggero a bordo dei battelli che transitavano per tali posti di blocco era costretto a pagare 1.000 franchi congolesi (1,06 $). Inoltre, lungo la stessa strada, dei gruppi di combattenti dei Raïa Mutomboki installano a volte dei posti di blocco temporanei.
Tre proprietari di draghe hanno spiegato al Gruppo di esperti che hanno pagato a ciascuna delle due fazioni 500 $ al mese, più 500 $ per l’installazione di una draga e altri 500 $ per ogni spostamento verso una nuova zona di estrazione. Hanno indicato che queste tasse sono state pagate in contanti o in oro. Hanno anche detto che i gruppi armati chiedono loro occasionalmente delle tasse supplementari, ma il Gruppo di esperti non è stato in grado di verificare se tali imposte sono state riscosse in modo sistematico. Il Gruppo di esperti ha esaminato i registri contabili di un altro proprietario di draghe, che dimostrano che egli ha pagato delle tasse ad altri due capi dei Raïa Mutomboki, Sentia e Kimusi. Sentia appartiene alla fazione di Kabe e Kimusi è un “colonnello” della fazione di Kimba.
Nel mese di aprile 2015, l’Ufficio della Direzione generale delle entrate amministrative, giudiziarie e Demaniali di Shabunda ha contato almeno 150 draghe operative lungo il fiume Ulindi. Secondo un recente rapporto della società civile sulla situazione di Shabunda, le draghe sarebbero 171. Il gruppo di esperti osserva, tuttavia, che non tutte le draghe si trovano in zone controllate dai Raïa Mutomboki, non avendo essi il controllo su tutto il fiume. Secondo le informazioni ricevute, si stima che, nel mese di agosto 2015, circa 50 draghe erano operanti in aree controllate dai Raïa Mutomboki. Prima di tale data, erano più numerose ma, in giugno 2015, le draghe hanno iniziato a spostarsi verso il raggruppamento dei Baliga, controllato dalle FARDC e con un rendimento più elevato.
Implicazione di militari congolesi nell’estorsione d’oro a Misisi (Fizi)
Fin dalla sua creazione nel 2011, l’unità Agricoltura e Risorse naturali Unità delle FARDC e dipendente dalla 33ª Regione Militare, mira a garantire la smilitarizzazione dell’estrazione delle risorse naturali nelle province del Sud-Kivu e del Maniema e a impedire che le FARDC partecipino all’attività mineraria. Sei militari di questa unità sono attualmente dispiegati nella zona aurifera di Misisi. Quattro testimoni hanno dichiarato che, dal mese di febbraio 2014, dei membri di questa unità militare avevano regolarmente commesso atti d’estorsione nei confronti dei proprietari delle miniere d’oro, costretti a pagare, ogni tre o sei mesi, gli introiti derivanti dalla loro produzione media di 24 ore. A Misisi, ci sono almeno 175 pozzi auriferi.
Nel 2015, fino al momento della redazione del presente rapporto, per quanto riguarda tre pozzi auriferi appartenenti a tre diversi proprietari, dei testimoni hanno riferito al Gruppo di esperti che gli ufficiali avevano riscosso tra i 24 e i 60 grammi d’oro al giorno. Nel momento in cui il Gruppo degli esperti stava conducendo la sua inchiesta, il prezzo dell’oro a Misisi era di circa 43 dollari al grammo). I pesi utilizzati dai mercanti per misurare i grammi sono spesso vecchie monete zairesi (Makuta) e un “grammo Makuta” equivale generalmente a 1,3 – 1,45 grammi. Secondo alcuni testimoni, nel corso di questo stesso periodo, un membro della FARDC, il tenente Benguela Bravo, ha esigito tali pagamenti a cinque riprese per ciascuno dei tre pozzi.
Le autorità minerarie provinciali hanno informato il Gruppo di esperti che la produzione annua di oro a Misisi è stimata a 2 tonnellate. Se il gruppo non è stato in grado di confermare questa stima, può tuttavia confermare che Misisi, con migliaia di minatori, è uno dei primi siti di estrazione artigianale d’oro nell’intero paese. L’implicazione dei membri delle FARDC nelle attività illecite descritte impone di qualificare le miniere come quelle di Misisi come siti minerari “rosse” o “gialle”, ciò che, secondo la legge congolese, impedisce ogni tipo di esportazione di minerali che vi vengono estratti.
C. Implicazione di militari congolesi nel commercio del legname
Nel corso di varie missioni effettuate in maggio, giugno e luglio 2015, il Gruppo di esperti ha rilevato che dei membri delle FARDC dispiegati nell’ambito dell’operazione Sukola I contro le ADF erano implicati nella produzione e nella vendita di legname nel territorio di Beni, soprattutto nelle zone di Kamango e di Erengeti.
Due membri delle FARDC hanno riferito al Gruppo di esperti che i militari della loro unità avevano avuto la possibilità di scegliere se combattere contro i gruppi armati o dedicarsi alla sfruttamento del legname nella zona Kamango per conto dei loro superiori. Un terzo soldato delle FARDC ha confermato queste informazioni, aggiungendo che dei membri delle forze armate usano dei veicoli appartenenti ad ufficiali delle FARDC per trasportare delle assi fino a Beni.
Secondo fonti del gruppo di esperti e secondo le sue proprie constatazioni, le assi vengono poi caricate su camion civili di Beni per essere trasportate verso il mercato di Kasindi, vicino al confine con l’Uganda. Quando si è recato su questo mercato nei mesi di giugno e di luglio 2015, il Gruppo di esperti ha appreso che la maggior parte degli acquirenti provenivano dal Kenya, dall’Uganda e dal Ruanda. Cinque commercianti hanno dichiarato di avere acquistato, nel 2015, delle assi da degli ufficiali delle FARDC. Uno di loro ha ammesso di aver comprato due carichi di assi (provenienti dalla zona Kamango) al mese, al prezzo di 11.100 dollari per ogni carico, da un tenente colonnello delle FARDC che partecipava all’operazione Sukola I, anche durante i periodi in cui la zona era sotto controllo delle ADF.
Un funzionario e un membro delle FARDC, destinati ai vari posti di blocco sulla strada che va da Beni a Kasindi, hanno consegnato al Gruppo di esperti dei documenti ufficiali che indicano che dei civili e dei membri delle FARDC trasportano assi per conto di ben sei ufficiali delle FARDC. L’ufficiale più elevato della lista era il comandante dell’operazione Sukola I, il colonnello Dieudonné Muhima.
Il Gruppo di esperti ritiene che l’implicazione degli ufficiali militari dell’operazione Sukola I nel settore del legname abbia contribuito all’inefficacia della risposta militare delle FARDC alle minacce contro la sicurezza nel territorio di Beni.
III. RACCOMANDAZIONI
Il gruppo di esperti raccomanda che il governo congolese:
- a) apra un’inchiesta e intraprenda azioni penali contro gli ufficiali delle FARDC citati in questo rapporto e che estorcono oro a Misisi, in territorio di Fizi, e che si dedicano alla produzione e commercio illegale di legname nel territorio di Beni
- b) ristabilisca e mantenga il controllo delle zone riprese nel corso delle operazioni militari e impedirne la rioccupazione da parte dei gruppi armati
- c) Faccia rispettare la normativa in vigore (Decreto Ministeriale n. 0057), impedendo alle società di trasporto aereo di fare uscire dei minerali dalla zona di Lulingu, in territorio di Shabunda, dove i miliziani Raïa Mutomboki traggono vantaggi dall’imposizione di tasse illegali.
Il gruppo di esperti raccomanda che il governo ruandese:
- a) apra un’inchiesta e, se è il caso, delle azioni penali nei confronti delle imprese che vendono illegalmente delle etichette e dei documenti amministrativi relazionati allo stagno, al tantalio e al tungsteno in Ruanda.
2. LA DICHIARAZIONE DEL CEPADHO SUL RAPPORTO DELL’ONU
Il 5 novembre, in una sua dichiarazione resa pubblica, il Centro Studi per la promozione della Pace, della Democrazia e dei Diritti umani (CEPADHO) ha affermato che, pur condividendo gran parte del contenuto del rapporto, ritiene tuttavia che alcune affermazioni fatte circa le ADF e l’operazione militare condotta contro di esse non siano conformi con la realtà sul posto.
A titolo illustrativo, il CEPADHO nota che:
1) Il Gruppo di Esperti riconosce che, nonostante le operazioni militari condotte fino ad oggi contro le ADF, la loro catena di comando rimane intatta. Ha anche citato una decina di comandanti ADF considerati ancora in vita. Paradossalmente, il gruppo di esperti stima che, attualmente, i combattenti delle ADF siano solo un centinaio;
2) Il gruppo di esperti dice di non aver trovato alcuna prova che stabilisca il legame tra le ADF e altri gruppi terroristici stranieri. Sembra un’assurdità, dal momento in cui, attualmente, tra il centinaio di membri delle ADF che sono stati catturati, vi si trovano degli islamisti di nazionalità somala, keniana, tanzaniana, ruandese, sudanese, ugandese e congolese. È curioso che il gruppo di esperti abbia passato sotto silenzio questa realtà.
3) Inoltre, per quanto riguarda l’ex Comandante dell’operazione Sukola1, il generale Akili Mundos, il gruppo di esperti afferma che, per tutta la durata del suo comando, nessuna persona sospettata di essere direttamente responsabile degli omicidi (massacri di civili) è stata arrestata e rinviata davanti al procuratore militare. Si tratta di un’affermazione alquanto gratuita, dal momento in cui, nella prigione centrale Kangwayi di Beni, vi si trova un buon numero di combattenti ADF catturati, oltre a diverse decine di altri che sono stati condotti a Kinshasa e a Goma in luoghi di detenzione di alta sicurezza (e che, a volte, sono stati mostrati alla nazione sugli schermi della Radio Televisione nazionale del Congo).
Il CEPADHO incoraggia il Gruppo di Esperti ad approfondire maggiormente e a diversificare le proprie fonti di informazioni, in occasione della prossima missione.
Il CEPADHO invita anche la Giustizia militare (Tribunale Militare di Guarnigione, Corte Militare Operativa) ad iniziare l’istruzione pubblica dei dossier relativi ai massacri di Beni, per permettere l’inizio dei processi nei confronti delle persone, al fine di informare anche la pubblica opinione.
3. GLI ATTACCHI DELLE ADF NEL TERRITORIO DI BENI
Il 21 ottobre, nel pomeriggio sono stati scoperti tre cadaveri a Kamakombu, nel territorio di Beni (Nord Kivu). Le vittime, abitanti di Oicha che erano andate a lavorare nei loro campi, sono state uccise a colpi di machete.[2]
Il 22 ottobre, nella sua newsletter, il CEPADHO informa che tra il 13 e il 19 ottobre, si sono osservate varie incursioni ugandesi in rinforzo delle ADF. Delle altre erano state effettuate precedentemente nel mese di settembre.
Dalle informazioni ricevute dalla popolazione, risulta che due sono le porte d’entrata utilizzate per le varie incursioni. Si tratta di KIDEDEYA (Distretto di Bundibugyo, Uganda), confinante con il Settore di Rwenzori (territorio di Beni, nel Nord Kivu) e di WASA (Distretto Ntoroko / Uganda), al confine con la Chiefdom di Bahema – Sud (territorio d’Irumu, nell’Ituri).
Per quanto riguarda le incursioni attraverso KIDEDEYA, almeno 60 combattenti ugandesi hanno attraversato il confine il 14 ottobre e si sono infiltrati nella RDC, entrando per Muhola (località di Kasangali) del raggruppamento di Banyagala (Settore del Rwenzori), nel Territorio di Beni. Altri 13 erano entrati il 12 settembre e ancora altri 87 il 25 settembre.
Per quanto riguarda le incursioni attraverso WASA (Distretto di Ntoroko / Uganda), almeno 450 combattenti, armati e in uniformi dell’UPDF, avrebbero fatto il loro ingresso nel territorio congolese il 17 ottobre. Due giorni dopo, il 19 ottobre, sempre attraverso WASA (Uganda), sono entrati nella RDCongo almeno altri 350 uomini armati provenienti dall’Uganda.
Delle inchieste condotte dal CEPADHO in Uganda rivelano che i combattenti infiltrati nella RDCongo a lato delle ADF sarebbero stati reclutati tra i giovani ugandesi di Kyaka II (distretto di Fort-Port, ex Kabarole) e del distretto di Kasese.
Altri sarebbero stati reclutati tra i combattenti dell’ex M23 raggruppati in Uganda, tra altri rifugiati congolesi (di espressione ruandese) nel Camp Kyangwali (nel distretto di Hoima / Uganda) o tra i membri delle FDLR che transitano per il paese di Museveni.
I colonnelli disertori delle FARDC, John Tsibangu e Richard Bisamaza, affiancherebbero gli Ugandesi nella missione di reclutamento a favore delle ADF e di altri gruppi satellitari che collaborano con le ADF nella RDCongo.
Tra i reclutatori ugandesi, si citano tra altri Richard Mukulu, figlio maggiore di Jamili Mukulu (responsabile delle ADF arrestato in Tanzania e estradato in Uganda) e capo della Musilim Defense Internal (MDI). Anche un capo miliziano dell’Ituri, Jacques Mbadu, sarebbe implicato in questo circuito come collaboratore interno.
La maggior parte dei combattenti infiltrati nella RDCongo sarebbero stati addestrati dall’esercito ugandese nei campi militari dell’UPDF (Uganda People Defense Forces / Forze di Difesa del Popolo Ugandese) di Kavamba (Verso Angole) e di Muhothe (nel distretto di Fort-Port).[3]
Il 26 ottobre, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) hanno respinto alcuni attacchi perpetrati dai ribelli delle ADF contro le località di Makembi, Jéricho e Nadwi, nella zona di Beni Mbau (Nord Kivu). I ribelli ugandesi avevano attaccato simultaneamente diverse posizioni delle FARDC, nel tentativo di riprendere il controllo delle loro ex roccaforti. Secondo fonti militari, dopo due giorni di intensi combattimenti, sono rimasti uccisi diciannove ribelli ADF e undici soldati delle FARDC. Nei ranghi dell’esercito regolare, sono stati registrati anche tre feriti.[4]
Il 29 ottobre, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) e la Brigata d’intervento della MONUSCO hanno lanciato una nuova grande offensiva contro diverse posizioni dei ribelli ugandesi delle ADF, ancora presenti in diversi villaggi del settore di Beni Mbau, nel territorio di Beni, nel Nord Kivu. Secondo fonti militari, lo scopo di questa offensiva è quello di distruggere le posizioni da cui i ribelli organizzano attacchi contro le popolazioni civili e le postazioni dell’esercito nella zona.[5]
Il 30 ottobre, quattro persone sono morte e una quinta è rimasta ferita nel corso di un attacco armato perpetrato contro un veicolo sulla strada nazionale numero 4, nel territorio di Beni, nel Nord Kivu. L’incidente è avvenuto all’altezza della località di Linzo-Sisene, situata a 50 km dalla città di Beni. Il veicolo che trasportava delle assi e alcuni passeggeri da Mambasa nell’Ituri verso Kasindi, al confine con l’Uganda, è stato colpito da un razzo sparato da uomini armati identificati come ribelli ugandesi delle ADF.[6]
Il 6 novembre, un civile è stato ucciso in un attacco simultaneo delle ADF a tre postazioni dell’esercito a Linzo-Sisene, sulla strada nazionale 4. I ribelli ugandesi musulmani ADF sono accusati di aver ucciso più 400 civili – soprattutto a colpi di machete, in una serie di omicidi o di attacchi perpetrati da ottobre 2014 in territorio di Beni. Da settembre scorso, gli attacchi attribuiti a questa milizia sono piuttosto effettuati con armi automatiche e sono diretti contro postazioni militari o veicoli che transitano sulla strada statale 4, tra Beni e l’Ituri, più a nord.[7]
Il 9 novembre, nel tardo pomeriggio, presunti ribelli ugandesi delle ADF hanno attaccato un quartiere della città di Oicha, Tenambo, in territorio di Beni. Secondo fonti della sicurezza, gli aggressori hanno sparato contro un campo militare e hanno ucciso un civile. I militari congolesi hanno risposto alla sparatoria durata circa 20 minuti.[8]
Il 9 novembre, il Circolo Internazionale per la Difesa dei Diritti Umani, la Pace e l’Ambiente (CIDDHOPE), ha segnalato di avere registrato, nel corso degli ultimi tre mesi, 27 persone uccise, 12 ferite, 4 veicoli e 4 moto bruciate, e questo solo a Linzo Sisene e a Opira, una zona controllata dalla 31ª brigata dell’esercito congolese (FARDC). Secondo il CIDDHOPE, il problema è dovuto alla mancanza di volontà del comando militare della zona. Si sospetta, infatti, una collusione permanente o una complicità di alcuni funzionari militari con i gruppi armati, in particolare con le ADF ugandesi. Le immense risorse minerarie e forestali della regione alimentano l’avidità dei vari gruppi armati che sono alla ricerca di mezzi per la loro sussistenza, ma anche di alti ufficiali dell’esercito regolare che prelevano notevoli “commissioni” su questi traffici. L’ONG propone di «sostituire senza indugio il colonnello Tippy Joseph Ziroziro, comandante della 31ª Brigata e tutti gli ufficiali militari e le truppe del 1° settore militare». Infine, per una maggiore efficienza sul terreno, il CIDDHOPE auspica l’invio di militari delle unità di rapida reazione.[9]
4. I SEQUESTRI DI PERSONE NEL TERRITORIO DI RUTCHURU
Il 22 ottobre, la Società civile di Goma ha denunciato un drastico aumento dell’insicurezza sulle due strade Rutshuru-Kanyabayonga e Butembo-Beni e la mancanza di misure per porre fine a questa situazione. I responsabili di questa organizzazione hanno evocato diversi casi di sequestri di persone e di attacchi di veicoli. Il 21 ottobre, a Kahunga, un minibus è stato intercettato da uomini armati che hanno ucciso un giovane di 19 anni. Il 16 ottobre, è stato attaccato un veicolo della parrocchia cattolica di Kanyabayonga. Gli aggressori hanno ucciso due persone e sequestrato altri viaggiatori.[10]
Il 26 ottobre, la società civile del territorio di Lubero, nel Nord Kivu, ha promosso tre giorni di “città morte” dal 26 al 28 ottobre. Lo scopo: denunciare l’aumento di insicurezza sulla Strada Nazionale N. 4. La Società civile di questa entità territoriale indica che, in due settimane, sono stati uccisi dieci civili e molti altri sono stati sequestrati e portati in foresta.
L’obiettivo di questa iniziativa denominata “città morta” è quello di attirare l’attenzione dell’autorità competente sui sequestri di persone e sulle uccisioni di viaggiator, un fenomeno diventato ormai comune nel Parco Nazionale dei Virunga. Nella mattinata, tutte le attività erano paralizzate nelle grandi località come Kaina, Kirumba, Kanyabayonga, Kasehe, Alimbongo e Miriki. I veicoli provenienti da Beni e diretti a Goma erano fermi nei parcheggi. Tutti i movimenti di veicoli diretti a Butembo-Beni erano sospesi.[11]
Il 1° novembre, quattordici agenti del Centro per lo Sviluppo Rurale (Cederu), una ONG congolese basata nell’est della RDCongo, sono stati sequestrati a Katwiguru, una località a circa 120 km a nord est di Goma, nel Nord Kivu, mentre stavano ritornando da una missione per valutare la situazione nutrizionale a Kisharo, nel territorio di Rutshuru.
«L’identità degli aggressori non è ancora nota», ha dichiarato Paul Muhasa, direttore del Cederu. La Vice Amministratrice del territorio, Liberata Burotwa, ha detto di sospettare i ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), aggiungendo che «l’esercito li sta attaccando e, quindi, si vendicano sulla popolazione».[12]
Il 2 novembre, i quattordici agenti del Cederu sono stati rilasciati. Il direttore della ONG, Paul Muhasa, ha affermato che il loro rilascio è stato reso possibile attraverso la mediazione di autorità religiose e tradizionali della zona e ha lasciato capire che era stato pagato un riscatto. Secondo il Centro Studi per la Promozione della Pace, la Democrazia e i Diritti umani (CEPADHO), per telefono (tramite i cellulari dei loro ostaggi), i rapitori avevano chiesto dapprima 20.000 $, poi 15.000 $ se il riscatto fosse stato pagato lo stesso giorno, il 2 novembre. Infine, gli ostaggi sono stati rilasciati dopo il versamento di 10.000 $.[13]
Da quattro mesi, nel territorio di Rutshuru, il fenomeno dei sequestri di persona è in piena espansione. Gli attacchi si concentrano per lo più su commercianti o agenti umanitari (dipendenti di ONG e di organizzazioni dell’ONU), identificati come quelli che possono pagare un riscatto. Risultato, in certe zone, varie ONG hanno sospeso alcune delle loro attività.
Chi c’è dietro a questi attacchi? A livello locale, alcune autorità e diverse organizzazioni della società civile puntano il dito contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR). Ma secondo il ricercatore Christoph Voge,l questa ipotesi è improbabile. Se i ribelli hutu ruandesi hanno compiuto diversi sequestri a scopo di reclutamento forzato, non hanno invece l’abitudine di utilizzare i sequestri a scopo di riscatto. Il ricercatore privilegia la pista di banditi armati opportunistici che, privi di un’agenda politica, traggono vantaggio dall’insicurezza che persiste nella regione.[14]
Il 4 novembre, l’amministratore del territorio di Rutshuru (Nord Kivu), Justin Mukanya, ha accusato alcuni giovani della zona di creare un clima di insicurezza nella sua entità territoriale. Secondo lui, questi giovani sono gli autori delle varie vessazioni commesse contro i civili, come i sequestri, i saccheggi e gli attacchi ai veicoli.
Secondo l’amministratore di Rutshuru, si tratta per lo più di giovani delle località di Nyamilima, Kiseguro, Katwiguru e Kisharo, del raggruppamento di Binza, nella chiedo di Bwisha. Fonti locali aggiungono che essi sono spesso armati e che operano in gruppi di cinque o dieci. Secondo queste fonti, questi giovani sono spesso associati a gruppi armati locali, tra cui i Nyatura / FDDH, le FDLR / Foca, le FDLR / Rudi e i Mai Mai Charles.[15]
5. L’M23 MINACCIA DI RITIRARE LA SUA FIRMA DALLA DICHIARAZIONE DI NAIROBI
Il 23 ottobre, in una nota l’ex ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) ha denunciato quello che definisce come un rifiuto, da parte del governo congolese, di attuare gli impegni assunti nel quadro della dichiarazione firmata nel mese di dicembre 2013 a Nairobi. Facendo sapere di non volere rimanere costantemente vincolato agli obblighi derivanti da queste dichiarazioni, l’M23 ha minacciato di ritirare la sua firma.
D’altra parte, il coordinatore del meccanismo nazionale di monitoraggio dell’attuazione dell’accordo quadro di Addis Abeba, Francois Muamba, ha accusato i leader di questa ex ribellione di tenere in ostaggio le loro truppe, per potere non rispondere delle accuse di violazioni dei diritti umani emesse nei loro confronti. Egli ha affermato di essere arrivato a tale conclusione in seguito ai suoi cinque viaggi in Uganda e in Ruanda, dove si è rifugiata la maggior parte degli ex ribelli dell’M23, dopo la loro sconfitta militare del 2013 nel Nord Kivu.
Le dichiarazioni di Nairobi avevano posto fine alle trattative tra il governo congolese e l’M23. Quest’ultimo aveva occupato, per diversi mesi, parte del Nord Kivu, prima di essere sconfitto dall’esercito congolese appoggiato dalla Monusco, la Missione dell’Onu nella RDCongo. In queste dichiarazioni, l’M23 si era impegnato a rinunciare alla ribellione armata. Da parte sua, Kinshasa si era impegnato a mettere in atto un programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli ex ribelli e a presentare al Parlamento un progetto di legge sull’amnistia.[16]
Il 27 ottobre, in un comunicato pubblicato da Bujumbura (Burundi), il Segretario Generale della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), Ntumba Luaba, ha espresso profonda preoccupazione per le posizioni espresse dalla leadership dell’ex M23 attraverso il suo comunicato stampa del 23 ottobre. Secondo il Segretariato generale della CIRGL, questa posizione non può agevolare l’attuazione della dichiarazione di Nairobi. Egli ha quindi invitato i leader dell’ex M23 a «continuare ad impegnarsi per l’attuazione degli impegni presi e a mantenere lo spirito delle dichiarazioni di Nairobi, per contribuire alla pace e alla stabilità nella RDCongo e nella regione».[17]
[1] Cf testo completo in francese: http://www.un.org/french/documents/view_doc.asp?symbol=S/2015/797
[2] Cf Radio Okapi, 22.10.’15
[3] Cepadho – Bulletin d’information, 22.10.’15
[4] Cf Radio Okapi, 27 et 28.10.’15
[5] Cf Radio Okapi, 29.10.’15
[6] Cf Radio Okapi, 31.10.’15
[7] Cf AFP – Africatime, 10.11.’15
[8] Cf Radio Okapi, 10.11.’15
[9] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 10.11.’15
[10] Cf Radio Okapi, 27.10.’15
[11] Cf Radio Okapi, 27.10.’15
[12] Cf AFP – Jeune Afrique, 02.11.’15 ; Radio Okapi, 02.11.’15
[13] Cf Radio Okapi, 02.11.’15; Bulletin d’Information – CEPADHO2 du 03 Novembre 2015
[14] Cf RFI, 03.11.’15
[15] Cf Radio Okapi, 04.11.’15
[16] Cf Radio Okapi, 24.10.’15; RFI, 26.10.’15
[17] Cf Radio Okapi, 28.10. ‘15