Congo Attualità n. 249

LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE – ESERCITO NAZIONALE PER LA LIBERAZIONE DELL’UGANDA (ADF – NALU)

2ª Parte: la componente islamica del gruppo

 

 

FONTI:

– International Crisis Group [ICG] – L’Est du Congo: la rébellion perdue des ADF-Nalu – Briefing Afrique N°93 – Nairobi/Bruxelles, 19 décembre 2012.[1]

– Assemblée Épiscopale Provinciale de Bukavu [ASSEPB] – Notre cri pour le respect absolu de la vie humaine – Butembo, 23 mai 2015.[2]

– Aide à l’Église en Détresse [AED] – RDC: l’AED dénonce des camps djihadistes pour enfants – 20 juillet 2015.[3]

– Jean-Claude Willame [JCW] – La Revue Nouvelle – Le djihadisme en Afrique sub-saharienne,

10 mars 2015.[4]

Caroline Hellyer [CH] – ADF-NALU and Islam, militant and mercenary – Digitaldjeli, 4 janvier 2014.[5]

 

 

INDICE:

INTRODUZIONE

  1. UNA MINACCIA ISLAMISTA NELL’AFRICA CENTRALE?
    1. L’installazione di centri d’integrismo islamico e di basi di addestramento terroristico [ASSEPB]
    2. L’AED denuncia la presenza di campi jihadisti per bambini [AED]
    3. Una strategia assassina in ascesa [JCW]
  2. IL MOVIMENTO MUSULMANO TABLIGH IN UGANDA [ICG]
  3. LE ADF E LE ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE DI ORIGINE ISLAMICA [ICG]
    1. Jamil Mukulu e l’Islam radicale
    2. La debole impronta islamica delle ADF
  4. ADF E ISLAM, MILITANTE E MERCENARIO [CH]
    1. L’evoluzione del progetto ADF – Islam
    2. Un’interpretazione a senso unico dell’Islam militante
    3. L’Islam Tabligh
    4. Individuare gli interessi e le realtà che si celano sotto la violenza

 

 

INTRODUZIONE

 

L’Alleanza delle Forze Democratiche (ADF) è il ramo islamista dell’ex ribellione ugandesi denominata ADF-Nalu, nata nel 1995 dall’alleanza tra i membri del movimento islamico Tabligh e i combattenti dell’Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (NALU). Fin dalla sua creazione, i suoi combattenti hanno trovato rifugio nella RDCongo (ex Zaïre), sulle pendici verdeggianti della catena vulcanica del Ruwenzori, che supera i 5.000 metri di altezza. Coltivavano caffè che vendevano alle popolazioni locali in cambio di altri prodotti. Il gruppo è stato preso di mira, per la prima volta, nel 2005, mediante un’offensiva congiunta dell’esercito congolese e della Missione delle Nazioni Unite (MONUC, ora MONUSCO). Dopo non essere riusciti a rovesciare il regime di Kampala, i membri del Nalu si sono arresi nel 2007. Jamil Mukulu, un cristiano convertito all’Islam e capo militare delle ADF, si è quindi trovato solo al comando della milizia.

Nel 2010 e 2014, l’esercito congolese ha lanciato due nuove offensive contro il movimento, distruggendo varie sue basi, ma senza potere sconfiggere il gruppo in modo definitivo.

Nel 2001, gli Stati Uniti avevano registrato le ADF-Nalu nella lista delle organizzazioni terroristiche. Il 12 ottobre 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha iscritto Jamil Mukulu sulla lista delle persone colpite dalle sanzioni previste dalla risoluzione 1533. L’Unione europea lo farà il 2 dicembre 2012.

Relativamente sconosciuto, Jamil Mukulu è certamente un islamista radicale. Ma è davvero fra quei jihadisti disposti a sacrificarsi per amore di Allah? Niente è meno certo. A partire dal 2007, sotto la guida di Mukulu, le ADF si sono trasformate da una milizia “ordinaria” del Nord Kivu in una componente della nebulosa islamista radicale africana. Mukulu ha imposto ai combattenti del gruppo la conversione obbligatoria all’islam. Tuttavia, le motivazioni ideologiche delle ADF, come quelle di Mukulu, rimangono poco chiare. Difficile dire se questo gruppo sostiene la jihad o se semplicemente difende i propri interessi politici e finanziari.[6]

 

 

1. UNA MINACCIA ISLAMISTA NELL’AFRICA CENTRALE?

 

a. L’installazione di centri d’integrismo islamico e di basi di addestramento terroristico (ASSEPB)

 

Il 23 maggio, i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Bukavu hanno pubblicato un messaggio dal titolo “Il nostro grido per il rispetto assoluto della vita umana” sulla situazione che prevale nel Nord Kivu e nel Sud Kivu in generale e nel territorio di Beni in particolare. In tale messaggio, i Vescovi affermano che, nel territorio di Beni, oltre 837 persone sono state rapite dal 2010 in poi e che 419 persone sono state uccise tra ottobre 2014 e maggio 2015.

Come in una giungla, dei criminali hanno impunemente incendiato dei villaggi, provocando ingenti spostamenti di popolazioni verso le città, dove rischiano di morire di fame e miseria. Questi criminali uccidono con brutalità, usando machete, coltelli e asce: alcune delle loro vittime hanno la gola tagliata, molti bambini sono mutilati dei loro bracci, le donne incinte sono sventrate e intere famiglie sono state decimate. Si tratta di veri e propri atti di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Gli autori di queste violenze hanno instaurato un sistema di terrore per poter procedere a un’epurazione sistematica delle persone e hanno adottato una strategia di spostamento forzato delle popolazioni, per potere occupare progressivamente le loro terre e installarvi dei centri di fondamentalismo religioso e delle basi di addestramento terrorista. Tutto questo avviene in un contesto di un sistema economico mafioso e di un racket politico-militare alimentati da un vasto saccheggio delle risorse naturali: minerarie, forestali e petrolifere.

In questo contesto, i giovani disoccupati e, quindi, senza futuro diventano una facile preda dei gruppi armati, tra cui quelli appartenenti al fondamentalismo religioso. In effetti, nel massiccio del Ruwenzori, già ci sono dei piccoli gruppi che inoculano lo spirito jihadista nelle loro reclute che poi addestrano per il terrorismo internazionale. Tra le loro reclute ci sono delle persone appartenenti a qualsiasi tipo di nazionalità e che transitano per i campi di addestramento denominati Medina, Canada e Parking Kaza Roho. Vi si trovano anche dei giovani congolesi, ingannati da reclutatori senza scrupoli che promettono loro borse di studio per il Medio Oriente, Europa o Canada.

 

b. L’AED denuncia la presenza di campi jihadisti per bambini (AED)

 

Fonti prossime all’associazione Aiuto alla Chiesa Perseguitata (AED) – che non possono essere citate per motivi di sicurezza – hanno rivelato che una milizia islamista ha reclutato dei giovani e che li ha condotti in accampamenti dove sono stati brutalizzati e indottrinati. Reagendo a queste rivelazioni, Maria Lozano, Vice Direttrice di AED e incaricata delle comunicazioni, ha dichiarato: «Abbiamo avuto accesso a una serie di documenti che presentano dei soldati che, armati di fucili, addestravano dei ragazzi di età compresa tra i nove e i quindici anni, in uniformi militari e sottoposti ad esercitazioni militari». Questi ragazzi sono stati raccolti in almeno tre accampamenti situati sulle montagne del Ruwenzori, nell’est della RDCongo. Sono stati avvistati in tenuta militare mentre erano sottoposti ad esercitazioni militari sotto la supervisione di soldati armati. Inoltre, più di una sessantina di ragazze sono state portate in questi accampamenti, costrette ad indossare il burqa e a prepararsi per sposare dei combattenti islamici.

Maria Lozano continua: «Siamo molto preoccupati per i bambini, perché sono stati attratti con la promessa di uscire dalla povertà. Alcuni sono orfani, altri hanno abbandonato le loro famiglie, essendo stati ingannati dai loro reclutatori che avevano fatto loro balenare la speranza di studiare in Medio Oriente, in Europa o in Canada. Secondo le informazioni in nostro possesso, le ragazze sono costrette a sposarsi o sono trattate come schiave sessuali».

Fonti prossime all’AED collegano l’improvvisa comparsa di questi campi di addestramento per la jihad alle forze della missione dell’Onu per la Stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO). Queste fonti sostengono che certi membri della MONUSCO sono dei musulmani fondamentalisti pakistani che, nel loro tempo libero, fondano delle scuole coraniche e lavorano in cantieri di costruzioni di moschee.

 

c. Una strategia assassina in ascesa [JCW]

 

Il Daech (lo Stato Islamico) cerca soprattutto di apparire come un vincitore, di manifestare la sua potenza e, quindi, di far scuola a partire da un territorio – lo spazio iracheno e siriano – che intende amministrare gestendo la giustizia e il suo bottino di guerra (petrolio, materiale militare sequestrato un esercito quasi sconfitto, tasse, etc.) e … tagliando teste.

L’esempio del Daech sembra essere stato avvertito anche in regioni in cui i musulmani rappresentano una piccola minoranza della popolazione. Tale è il caso delle ADF (Forze Democratiche Alleate) che, create nel 1995 da un conglomerato di oppositori ugandesi, per lo più musulmani, hanno stabilito il loro quartier generale nei pressi della città di Beni nel Nord Kivu (RDCongo). Le ADF sono guidate energicamente da un cristiano convertitosi ad una forma rigorista dell’Islam (il Tabligh), Jamil Mukulu, che ha frequentato campi di addestramento in Afghanistan e in Pakistan e che ha risieduto alternativamente a Kampala, Nairobi e nel Kivu. Nel 2007, questo gruppo armato è passato dall’essere una milizia ordinaria ad essere una componente della nebulosa islamica africana composta da 800-1400 combattenti.

Secondo il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, il gruppo si mantiene, in gran parte, attraverso il commercio illegale del legname e dell’oro, la gestione di una rete di taxi e moto-taxi attiva nelle città di Butembo, Beni e Oicha e dei trasferimenti bancari provenienti da Londra, dal Kenya e dall’Uganda. In quest’ultimo caso, il denaro viene incassato da intermediari congolesi residenti a Beni e a Butembo. «Questo gruppo armato congolo-ugandese ha dimostrato una sua straordinaria resistenza, dovuta alla sua posizione geostrategica, al suo inserimento nell’economia transfrontaliera e alla corruzione delle forze di sicurezza», ha affermato International Crisis Group in un suo rapporto del 2012. Secondo il gruppo degli esperti dell’Onu, nell’est della RDCongo, le ADF dispongono di diversi campi di addestramento e di una certa quantità di materiale bellico, come mortai, mitragliatrici e granate con propulsione a razzo. La milizia ha aumentato i suoi effettivi attraverso campagne di reclutamento e una serie di sequestri di persone.

Sia che si tratti reclute o di familiari dei combattenti, anche le donne e i bambini sono costretti ad un addestramento militare e alla conversione obbligatoria all’islam. In un video trovato nel domicilio keniano di Jamil Mukulu, è possibile ascoltare la predicazione del capo che, vestito in abiti civili, a volte parla in swahili, altre volte in arabo, ed è circondato, da un lato, da un gruppo di donne africane con il capo velato, e dall’altro, da un gruppo d’uomini in uniforme militare e di bambini dai 5 agli 8 anni, cui si insegna a marciare al passo.

Anche in questo caso, i casi di brutalità sono frequenti. L’uccisione e la mutilazione di donne e bambini sono comuni e, come già lo faceva notare nel 1999 un vice commissario di un distretto ugandese, “uccidono in maniera indiscriminata, giusto per uccidere”. Recentemente, nel Nord Kivu, in un mese hanno massacrati con machete più di 250 civili, a causa della diffusione di volantini della MONUSCO che li invitava ad arrendersi.

Secondo molti servizi di intelligence e il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, Jamil Mukulu avrebbe dei legami più o meno stretti con Al Shabaab della Somalia, ma anche con il “Califfato” di Boko Haram. Inoltre, avrebbe anche cercato di entrare in contatto con lo stato islamico. Se questo ultimo tentativo rimane ipotetico e probabilmente è stato infruttuoso, indica però che anche in questa zona il Daech è diventato un punto di riferimento.

Nell’Africa sub-sahariana, il “religioso” è spesso associato alla “guerra” e al “banditismo”, come dimostrato dagli eccessi di violenza perpetrati dall’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), fondato dalla profetessa Alice Lankwema e distorto dal suo successore e cugino Joseph Kony, e dall’esercito tutsi di Laurent Nkunda nel Kivu, che spesso citava la Bibbia e amava presentarsi come pastore pentecostale.

Ma, come dimostrato da numerosi esempi, sono le guerre per l’accaparramento delle risorse naturali che costituiscono il fondamento dei conflitti e delle lotte per il potere. Di fronte a questo, la religiosità non è che una sovrastruttura che attira nelle sue reti delle popolazioni prive di punti di riferimento significativi. Il Daech e i suoi complici africani non sono che l’ultima manifestazione – particolarmente letale – di questa constatazione. Si arriva sempre alla stessa conclusione: le operazioni militari contro queste deviazioni mortali non saranno la panacea. Come non lo sono le centinaia di milioni di dollari spesi per l’assistenza umanitaria durante e dopo i conflitti. Oltre a una “società civile” organizzata e capace di immergersi nel fango della gestione dei conflitti, è necessaria la presenza dello Stato, o di qualcosa di simile, che si sostituisca a dei regimi o a delle milizie che, finora, non hanno che incarnato dei sistemi predatori.

 

 

2. IL MOVIMENTO MUSULMANO TABLIGH IN UGANDA [ICG]

 

Dopo la caduta di Amin Dada nel 1979, i musulmani ugandesi sono oppressi dai regimi di Milton Obote e di Museveni. Negli anni 1980, il movimento islamico Tabligh[7] utilizza questa oppressione e il sostegno finanziario del governo sudanese per reclutare nuove leve tra la gioventù ugandese e diventare un gruppo importante all’interno della comunità musulmana locale. La lotta per il controllo sullo spazio religioso che ne consegue si traduce in atti di violenza. Il 22 marzo 1991, a Kampala, i membri del Tabligh si scontrano con quelli del Consiglio Superiore dei Musulmani ugandesi (UMSC), uccidendo cinque persone, tra cui quattro poliziotti. In seguito a queste violenze, i leader dei Tabligh, tra cui Jamil Mukulu, capo del movimento giovanile, sono arrestati e incarcerati dal 1991 al 1993. Dopo il loro rilascio, i membri del gruppo, guidato dallo sceicco Sulaiman Kakeeto, si ritirano presso Hoima, nell’Uganda occidentale.

È a Hoima che, nel 1994, creano il Movimento dei combattenti ugandesi per la libertà (UFFM), che subito riceve l’appoggio del regime di Khartoum. L’UFMM è anche conosciuto come l’Esercito Musulmano di Liberazione dell’Uganda (MULA). Kampala reagisce distruggendo il loro campo di addestramento nel 1995. In seguito alla distruzione della loro base, i membri dell’UFFM si rifugiano nella città congolese di Bunia, vicino al confine con l’Uganda, dove continuano a ricevere il sostegno del Sudan. I leader della setta Tabligh in Uganda, tra cui lo sceicco Sulaiman Kakeeto e Jamil Mukulu, fuggono in Kenya e in Tanzania.

 

 

3. LE ADF E LE ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE DI ORIGINE ISLAMICA [ICG]

 

Anche se, a partire dal 2007, le ADF non hanno più organizzato attacchi sul territorio ugandese, il governo di Museveni continua a presentare questo gruppo come una minaccia islamista collegata a reti terroristiche regionali e denuncia una collaborazione tra le ADF e al-Shabaab della Somalia. Con Jamil Mukulu, le ADF-Nalu hanno cessato di essere un problema congolo-ugandese e hanno assunto una dimensione internazionale come parte della nebulosa islamista radicale attiva nell’Africa orientale. Tuttavia, da un lato, ci sono ancora molte zone d’ombra sul suo passato e sui suoi legami con i movimenti islamici radicali presenti nella regione; in secondo luogo, l’islamismo delle ADF è oggetto di discussione, tanto più che le autorità ugandesi non hanno mai cessato di associarlo alle differenti minacce islamiste sin dal 1995.

 

a. Jamil Mukulu e l’Islam radicale

 

Come capo indiscusso delle ADF a partire dal 1998, Jamil Mukulu è stato in contatto con il governo di Khartoum. Oltre ai suoi legami con Khartoum, le autorità ugandesi evidenziano i suoi legami con le nuove minacce islamiste nella regione: dapprima con Al Qaeda[8] e, dal 2010, con al-Shabaab[9] della Somalia.

Secondo Kampala, Jamil Mukulu sarebbe stato nominato numero due di Al Qaeda per l’Africa Orientale – il che non è confermato dagli esperti dei movimenti islamisti in Somalia. In seguito agli attentati del 2010 commessi da Al Shabaab a Kampala,[10] vari rapporti delle Nazioni Unite e dei servizi di sicurezza ugandesi e congolesi hanno segnalato la presenza di Somali tra i membri delle ADF. L’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR) della RDCongo segnala, per esempio, l’arrivo, a Erengeti, alla frontiera tra la RDCongo e l’Uganda, di diciotto uomini dalle sembianze somale, per entrare a far parte delle ADF. Il gruppo degli esperti dell’ONU per la RDCongo evoca anche l’invio, da parte di al-Shabaab, di formatori somali destinati alle ADF.

Tuttavia, queste informazioni non sono mai state confermate da altre fonti esterne ai servizi di sicurezza ugandesi. Sempre secondo questi ultimi, le ADF cercano di reclutare nuove leve tra le comunità somale dell’est dell’Uganda ma, la Commissione ugandese per l’amnistia ha aperto, nel 2010 e nel 2011, delle inchieste presso tali comunità, senza tuttavia riuscire a dimostrarlo. L’esistenza di una cooperazione diretta tra al Shabaab e le ADF non resta che una ipotesi, tanto più che il governo ugandese sfrutta la minaccia terroristica islamista per fini di politica interna ed estera. Kampala solleva regolarmente lo spettro della minaccia terroristica contro la comunità musulmana ugandese che, sentendosi ostracizzata, appoggia piuttosto l’opposizione. Questo sfruttamento della minaccia ADF nei confronti dei partner stranieri e dell’opinione pubblica nazionale è parte integrante della politica adottata dal regime di Kampala.

 

b. La debole impronta islamica delle ADF

 

Se i fondatori storici delle ADF (Jamil Mukulu, Yu-suf Kabanda et Sheik Kamoga) sono dei musulmani che lottano contro Kampala, tuttavia, il movimento non presenta le caratteristiche di un organizzazione islamica terrorista, come descritto dalle autorità ugandesi.

In primo luogo, l’ambiente immediatamente circostante alle ADF non presenta indici di radicalizzazione religiosa. Nella RDCongo, le comunità musulmane di Beni e di Bunia, tra cui il gruppo recluta le nuove leve, hanno da tempo rapporti con il Sudan e con il Kenya, ma senza che le organizzazioni musulmane radicali presenti in questi due paesi si siano installate in queste due città congolesi. Fondata nel 1972, la Commissione islamica della RDCongo (Comico) ha intessuto dei legami con l’Università islamica internazionale dell’Africa di Khartoum a metà degli anni 1990, ma non ha alcuna relazione con il Tabligh.

D’altra parte, le ADF non si presentano come un’organizzazione fondamentalista. Se i suoi membri hanno apertamente frequentato alcune moschee di Erengeti e di Beni, tuttavia i recenti reclutamenti nella RDCongo non sono prioritariamente effettuati tra i musulmani. La maggior parte di ex combattenti delle ADF che hanno aderito al programma di disarmo DDRRR della MONUSCO hanno piuttosto parlato di un reclutamento forzato e di sequestri indiscriminati. A Goma, i combattenti del gruppo hanno rapporti con due individui della Moschea di Birere implicati in trasferimenti di armi e munizioni. Hanno dei contatti anche con dei dirigenti e delle reclute provenienti dal Ruanda. Ma, come a Bunia e a Beni, l’Islam radicale, o prossimo a quello delle ADF, sembra estremamente minoritario. Secondo la Comico di Goma,[11] a volte arrivano in RDCongo dei predicatori musulmani radicali, principalmente attraverso il Ruanda, ma senza avere alcun rapporto con essa.

Inoltre, le ADF non hanno manifestato alcun segno di un particolare proselitismo tra i loro compagni di lotta – il Nalu – o tra la popolazione congolese con cui convivono da anni. Nelle loro rivendicazioni, non si menziona l’installazione di un califfato o l’instaurazione dell’Islam come religione di Stato e i volantini, che qualche volta hanno diffuso, solo molto raramente hanno fatto riferimento all’Islam. Solo un volantino diffuso nel 2012 fa esplicito riferimento a dei passaggi del Corano.

 

 

 

4. ADF E ISLAM, MILITANTE E MERCENARIO [CH]

 

a. L’evoluzione del progetto ADF – Islam

 

Alcune riprese video[12] di un accampamento delle ADF dimostrano che la lingua principale parlata è il Kitoro, che l’indottrinamento dei bambini è un punto fermo dell’ADF e che si tratta di un campo altamente organizzato, ordinato ed efficiente (notare l’orologio sull’albero nella seconda clip).

Rispetto a precedenti riprese video, si può constatare che c’è stato un passaggio da un modo di vestire povero, riscontrato anche presso i miliziani Mayi-mayi e la popolazione, a un modo di vestire migliore, ciò che fa pensare ad un’operazione ben finanziata.

Un terzo cambiamento che appare nel filmato più recente è l’adozione (per scelta personale o imposta con la forza) della niqab e abaya completa, spesso nera, da parte delle donne. Precedentemente, le donne musulmane dei campi ADF portavano sul capo solo un velo dai vari colori, comune alle donne musulmane in molte parti del’Africa, ma non coprivano mai i loro volti.

 

b. Un’interpretazione a senso unico dell’Islam militante

 

L’Islam del Congo è quasi invisibile, nonostante l’importante contributo di vari gruppi mussulmani della società civile nell’ambito della costruzione della pace, dello sviluppo e dell’educazione.

In effetti, solo dopo l’assassinio del colonnello Mamadou, molte persone sono venute a conoscenza che l’eroe nazionale del Congo era un musulmano.

Questa invisibilità è dovuta al fatto che, in passato, la polizia e i servizi di sicurezza ugandesi hanno cercato i reclutatori per le ADF sotto ogni letto musulmano e ingiustamente hanno reso vittime le stesse persone che avrebbero dovuto difendere.

Per l’imam di Beni, questa mancanza di riconoscimento dell’Islam in Congo è stata fonte di grande preoccupazione da sempre, soprattutto dopo le insistenti voci di alcuni gruppi della società civile che, a proposito delle ADF, si sono affrettati a parlare di ‘terrorismo’.

Secondo un attivista musulmano in Uganda, il reclutamento delle ADF tende a colpire coloro che non hanno avuto una buona educazione coranica. Ma recentemente, una nuova legge per far rispettare la licenza per le scuole coraniche in Uganda ha provocato un grande tumulto nelle comunità musulmane. Come ha osservato lo sceicco Yahya Lukwago: “Anche i cattolici svolgono un programma simile, senza dimenticare che anche le chiese protestanti praticano programmi di insegnamento teologico alla Domenica. Tutti questi programmi sono da loro (chiesa cattolica e protestante) realizzati per assicurarsi che i loro figli si comportino da cristiani. Perché il nostro caso dovrebbe essere diverso?”.

 

c. L’Islam Tabligh

 

L’Islam Tabligh è una corrente ‘riformista’ del movimento sunnita islamico, nata in India, verso gli anni 1920, in parallelo ai movimenti riformisti indù, alla fine dell’Impero. Entrambi i movimenti riformisti (musulmani e indù) devono essere visti storicamente attraverso la lente della tendenza coloniale di identificare, classificare e controllare. Questa tendenza portò a un sistema giuridico distinto per i musulmani e per gli indù e a una necessità per entrambi, indù e musulmani, di competere nel mondo con il cristianesimo. In questo modo, le pratiche religiose che in precedenza erano fluide e sincretiste, furono cristallizzate, codificate e alcune di loro divennero politicamente comunitarie con diversi gradi di militanza.

In Uganda, l’ideologia della leadership ADF è stata fortemente influenzata dall’Islam Tabligh del Pakistan. Sembra che questa militanza estrema abbia raggiunto una posizione più forte nei campi ADF in Congo. Infatti, secondo Stig Jarle Hansen, il Tabligh è ‘eclettico’ e sembra essere un ‘contenitore (nave) per il radicalismo’. Come tale, esso sembra attirare i giovani disillusi che poi, a volte, diventano abbastanza radicali da prendere una marcia in più verso l’attivismo violento.

Ci sono alcuni aspetti Tabligh essenziali che sono esemplificati nell’ADF. Solo recentemente è diventato obbligatorio, per i membri dell’ADF, diventare musulmani praticanti. Anche se ciò non era una ‘normale’ pratica Tabligh, può essere diventato un modo per garantire una solida base ideologica e certamente sembra essere diventata una pratica dei Tablighi più apertamente militanti.

In generale, l’Islam Tabligh non cerca di convertire i non-credenti, essendo il suo obiettivo la ‘perfezione’ della pratica islamica dei musulmani stessi. Tuttavia, molti membri delle ADF sono stati arruolati coercitivamente, mediante operazioni di sequestri e reclutamento obbligatorio; perciò è altamente improbabile che ci sia una motivazione unificata che li spinge.

È comune rappresentare il Tabligh come una realtà ‘apolitica’. È una delle ragioni per cui, fino ad oggi, nel Regno Unito le autorità hanno lasciato loro via libera, considerandoli come moderati, ‘buoni’. Questo è un esempio, comune anche altrove, di come si divide il mondo fra “buoni” e “cattivi”, trascurando tutte le sfumature. In realtà, L’Islam Tabligh non vedono la necessità di partecipare alla vita politica “locale” perché, secondo loro, il processo di cambiamento verso un califfato islamico è a lungo termine. Dunque, se lo stato-nazione è, per ora, una realtà impossibile, perché impegnarsi per esso?

Spesso, i Tabligh operano in piccoli gruppi locali, hanno un’intensa disciplina ed insistono sulla subordinazione ai leader. Nonostante che la maggior parte dei Musulmani in Congo e in Uganda non siano politicizzati, i dirigenti dell’ADF che vivono in Inghilterra, in Congo, in Kenia e in Sudan aderiscono ad un’ideologia islamista tabligh particolarmente radicale che ha provocato dei conflitti con gli altri Tabligh di Kampala. Alcuni precedenti tentativi di colloqui in vista del loro disarmo e di un’eventuale amnistia sono in fase di stallo, a causa sia dell’impossibilità di raggruppare insieme i vari membri del Gruppo di Comando, sia degli interessi di quelli che, al di là del gruppo, non hanno alcuna voglia di vedere i ribelli deporre le armi.

 

d. Individuare gli interessi e le realtà che si celano sotto la violenza

 

Troppo spesso le analisi sulle ADF hanno totalmente respinto l’aspetto islamico, chiamandoli ribelli ugandesi e congolesi (come se essere ugandese e congolese escludesse la possibilità di essere anche islamico); oppure, come dopo il primo attacco a Kamango nel luglio 2013, le analisi hanno intrapreso la scorciatoia del ‘terrorismo’ in Africa orientale e hanno gridato alla presenza di Al Shabaab. Pochi considerarono che possano essere tutti e due insieme.

L’ADF può essere considerate come una “organizzazione ibrida”, non solo perché l’origine dei suoi membri è diversa, ma anche perché è il prodotto di 20 anni di guerriglia condotta in una zona di confine, ciò che ha offuscato le linee tra criminale, ribelle, cittadino, soldato e stato.

Queste linee sfocate ci portano lontano da qualsiasi militanza islamica. Esse sono, invece, il prodotto di una politica locale e regionale che è stata costruita con l’ausilio di un’intraprendente violenza militare. Questa nuova situazione si nutre di tante complessità fortemente localizzate, come i conflitti sulla proprietà delle terre, le identità politicizzate e lo scollamento tra la popolazione e lo Stato.

La sfida per affrontare il problema multistrato delle ADF richiede molto più che soluzioni militari. L’inefficacia della lotta contro le ADF sta nella valutazione inadeguata delle ADF stesse, nella mancanza di pianificazione delle operazioni e nel procedere con annunci e risposte eclatanti.

A Beni, si sente spesso dire due cose: “bisogna capire le dinamiche della Politica”, cioè dei potenti-mediatori locali di Beni e Butembo, e “si tratta di una guerra mediatica”. Questa guerra mediatica è praticata a tutti i livelli nel Gran Nord del Nord-Kivu, sia con dichiarazioni pubbliche, con il terrore di minacce e sequestri di persone, con l’estrema violenza dei massacri.

Tutti questi elementi sono concepiti per inviare un messaggio. Il pericolo sta nel leggere e rispondere a quei messaggi, invece di capire gli interessi e le realtà che essi rappresentano.

[1] Cf http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/africa/central-africa/dr-congo/b093-lest-du-congo-la-rebellion-perdue-des-adf-nalu.pdf

[2] Cf http://www.cenco.cd/?id_art=215

[3] Cf http://www.aed-france.org/actualite/rdc-laed-denonce-des-camps-djihadistes-pour-enfants/

[4] Cf http://www.revuenouvelle.be/Le-djihadisme-en-Afrique-sub-saharienne

[5] Cf http://digitaldjeli.com/2014/adf-nalu-and-islam-militant-and-mercenary/

[6] Cf Benjamin Roger – Jeune Afrique, 19.12.’13

[7] La setta Tabligh è un movimento islamico che, apparso nel 1920 nel subcontinente indiano, sostiene un’interpretazione molto letterale e ortodossa dell’Islam. Al suo interno, si contrappongono due tendenze: la prima è non violenta e pacifica, la seconda è piuttosto radicale, fondamentalista e violenta. Questa setta è arrivata in Uganda verso gli anni 1970. Inizialmente, era molto un gruppo minoritario nella comunità musulmana ugandese.

[8] Nonostante i vari rapporti e articoli sulle relazioni tra Jamil Mukulu e al-Qaeda, è impossibile confermarle con certezza.

[9] Al-Shabaab è un ramo armato dell’Unione dei Tribunali Islamici (UIC), apparso dopo l’operazione militare etiope del 2006 in Somalia.

[10] Organizzati durante i mondiali di calcio, questi attentati, che hanno ucciso più di 70 persone, avevano preso di mira gli edifici frequentati da occidentali ed erano stati concepiti come atti di rappresaglie contro il regime ugandese, a causa della sua partecipazione alla missione dell’Unione Africana in Somalia (Amisom).

[11] Il ramo della Comico di Goma ha dei contatti soprattutto con l’Associazione dei Musulmani del Ruanda (AMUR) e con la Diyanet işleri Başkanliği, la Direzione degli affari religiosi della Turchia, che l’aiuta durante il Ramadan e in occasione di altre feste religiose. Essa è anche in relazione con l’Arabia Saudita, per potere beneficiare di alcuni programmi della Banca islamica per lo sviluppo.

[12] http://digitaldjeli.com/2014/adf-nalu-and-islam-militant-and-mercenary/