Congo Attualità n. 243

INDICE

EDITORIALE: Chi è chi uccide a Beni?

  1. ALLE RADICI DELLE VIOLENZE PERPETRATE A BENI
    1. Il territorio di Beni: una base del fondamentalismo jihadista?
    2. La permutazione dei militari dispiegati a Beni
  2. L’ATTACCO ALL’AEROPORTO DI GOMA
  3. L’OPERAZIONE DI REGISTRAZIONE DEI RIFUGIATI RUANDESI

 

EDITORIALE: CHI È CHE UCCIDE A BENI?

1. ALLE RADICI DELLE VIOLENZE PERPETRATE A BENI

a. Il territorio di Beni: una base del fondamentalismo jihadista?

Il 22 maggio, preoccupati per il continuo deteriorarsi della situazione d’insicurezza nel Nord Kivu e nel Sud Kivu (stupri e omicidi costringono le popolazioni a fuggire dai loro villaggi), dieci deputati congolesi, sia dell’opposizione che della maggioranza, hanno scritto una lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, per attirare la sua attenzione sui gravi crimini contro l’umanità e sulle violazioni dei diritti umani commesse impunemente nell’est della RDCongo. A questo proposito, gli hanno chiesto di nominare urgentemente un nuovo inviato speciale per la regione dei Grandi Laghi. Ecco alcuni estratti della lettera:

«Signor Presidente,

Nonostante alcuni aspetti positivi constatati dopo la sconfitta della ribellione del M23 nel mese di novembre 2013 e gli sforzi fatti dal governo congolese e dalla comunità internazionale attraverso la Monusco, la situazione d’insicurezza è diventata sempre più preoccupante. Per esempio:

* Il Territorio e la città di Beni, nella provincia del Nord Kivu, da diversi mesi sono diventati teatro di stragi inimmaginabili che hanno causato la morte di oltre 400 civili. Gli autori di questi massacri hanno usato per lo più dei machete, delle asce e dei martelli. Nonostante che, con il sostegno della Monusco, l’esercito congolese si sia sforzato di riportare la sicurezza, questi massacri continuano e, spesso, manifestano i germi di una forma di terrorismo islamico attribuibile alle Forze Democratiche Alleate (ADF).

* Nei territori di Rutshuru, Masisi e Lubero e nella città di Butembo, nel Nord Kivu, i sequestri di persone dietro riscatto sono diventati comuni e intere comunità vivono nel terrore che i loro cari siano uccisi, qualora non trovino i soldi per il riscatto.

* La persistenza dei gruppi armati nel territorio di Walikale e la loro volontà di estendere la loro influenza su questa zona mineraria continuano a creare nuove vittime di stupri, massacri, saccheggi e altre violazioni dei diritti umani, costringendo la popolazione alla fuga.

* Nonostante le operazioni militari lanciate dall’esercito congolese contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), queste continuano a terrorizzare le popolazioni del Nord Kivu, del Sud Kivu e di parte del nord Katanga. Esse rappresentano una vera e propria minaccia per la pace nella RDCongo e nell’intera regione dei Grandi Laghi.

* La situazione d’insicurezza in Burundi, conseguente alla crisi politica creata in seguito alla candidatura del presidente Nkurunziza a un terzo mandato presidenziale e il fallito colpo di stato potrebbero avere un impatto negativo sulla fragilità della sicurezza nell’est della RDCongo, in particolare nella provincia del Sud Kivu, al confine con il Burundi, che ha già ricevuto migliaia di rifugiati. Si teme che tutto questo possa facilitare il nascere di un’ennesima ribellione.

Le situazioni politiche molto delicate e incerte nei diversi paesi della sub regione, la crescente insicurezza e l’espansione del terrorismo islamico nella parte orientale dell’Africa (il recente attentato all’università di Garissa, in Kenya, da parte degli Shebab) richiedono una maggiore attenzione da parte del governo degli Stati Uniti. Considerati tutti questi fattori, le chiediamo di nominare, il prima possibile, un nuovo inviato speciale per la regione dei Grandi Laghi».[1]

Il 23 maggio, i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Bukavu hanno pubblicato un messaggio dal titolo “Il nostro grido per il rispetto assoluto della vita umana” sulla situazione che prevale nel Nord Kivu e nel Sud Kivu in generale e nel territorio di Beni in particolare.

Dopo aver ricordato i maggiori massacri commessi dal 2014, i Vescovi ricordano che, nel territorio di Beni, oltre 837 persone sono state rapite dal 2010 in poi e che 419 persone sono state uccise tra ottobre 2014 e maggio 2015.

Come in una giungla, dei criminali hanno impunemente incendiato dei villaggi, provocando ingenti spostamenti di popolazioni verso le città, dove rischiano di morire di fame e miseria. Questi criminali uccidono con brutalità, usando machete, coltelli e asce: alcune delle loro vittime hanno la gola tagliata, molti bambini sono mutilati dei loro bracci, le donne incinte sono sventrate e intere famiglie sono state decimate. Si tratta di veri e propri atti di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Gli autori di queste violenze hanno instaurato un sistema di terrore per poter procedere a un’epurazione sistematica delle persone e hanno adottato una strategia di spostamento forzato delle popolazioni, per potere occupare progressivamente le loro terre e installarvi dei centri di fondamentalismo religioso e delle basi di addestramento terrorista. Tutto questo avviene in un contesto di un sistema economico mafioso e di un racket politico-militare alimentati da un vasto saccheggio delle risorse naturali: minerarie, forestali e petrolifere.

Per quanto riguarda l’autorità governativa e la comunità internazionale, non si può dire che non abbiano fatto nulla per risolvere questo problema. Occorre riconoscere i meriti di alcune iniziative e operazioni, come la Conferenza di Goma, l’operazione Amani Leo, l’impegno dell’esercito per sconfiggere, con l’aiuto della Monusco, la ribellione del M23 in novembre 2013.

Ma, nonostante ciò, la sicurezza, la pace e l’integrità territoriale non sembrano essere state una priorità nella strategia delle autorità. In generale, lo Stato lascia che la situazione si deteriori.

È difficile capire le ambiguità, le tergiversazioni e i paradossi del Governo. Pertanto, ci si chiede: di fronte a tanta insicurezza, il Governo sarebbe incapace, dimissionario o complice?

Incapace? Forse! Eppure, in altri casi, ha dimostrato la sua competenza. Invece, qui, nell’est del Paese, si assiste alla nomina di ufficiali che hanno un passato oscuro e che hanno causato molti danni alla popolazione. Questi ufficiali sono inviati in posizioni di frontiera molto sensibili, trovandosi di fronte ai loro ex complici. Inoltre, essi sono sostenuti, al centro del potere congolese, da loro colleghi ben conosciuti e collocati in posti strategici. Per questo, nei conflitti frontalieri si assiste a una ricorrente situazione di stallo.

Dimissionario e complice? Possibile! Ma allora perché e per quali interessi? Che fa lo Stato con l’Esercito, la Polizia Nazionale, i Servizi segreti e la Giustizia che gli sono messi a disposizione per garantire la sua sovranità? Lo Stato continua ad adempiere i propri obblighi di fronte al suo Popolo, se, pur mantenendo il monopolio della forza pubblica, lascia che individui e gruppi sovvertano impunemente la pace, l’ordine e la sicurezza? Non sarebbe già dimissionario, mantenendo il potere solo ufficialmente? Non rischia quindi di essere considerato come complice?

In questo contesto, come si potranno organizzare, in questa parte del Paese, delle elezioni che siano davvero trasparenti, libere, democratiche e pacifiche? E se una parte della popolazione si trovasse ad essere privata dei suoi diritti politici fondamentali, non si troverebbe, di fatto, in una situazione di esclusione, che sarebbe un passo verso quella balcanizzazione del Paese tanto temuta?

In questo contesto, i giovani disoccupati e, quindi, senza futuro diventano una facile preda dei gruppi armati, tra cui quelli appartenenti al fondamentalismo religioso. In effetti, nel massiccio del Ruwenzori, già ci sono dei piccoli gruppi che inoculano lo spirito jihadista nelle loro reclute che poi addestrano per il terrorismo internazionale. Tra le loro reclute ci sono delle persone appartenenti a qualsiasi tipo di nazionalità e che transitano per i campi di addestramento denominati Medina, Canada e Parking Kaza Roho. Vi si trovano anche dei giovani congolesi, ingannati da reclutatori senza scrupoli che promettono loro borse di studio per il Medio Oriente, Europa o Canada.

Quindi si è di fronte a tre grandi pericoli che un’autorità responsabile non può ignorare: un clima di genocidio, un focolaio di fondamentalismo jihadista e un processo di balcanizzazione del Paese.

“Che fare allora?”, si chiedono i Vescovi.

– Che il Capo dello Stato assuma le proprie responsabilità sovrane e garantisca la pace su tutto il territorio nazionale, per rendere possibile l’organizzazione delle prossime elezioni a tutti i livelli e per tutti i cittadini del paese.

– Che la Monusco faccia una valutazione sulla sua missione di stabilizzazione, affinché possa migliorare la propria presenza nel Paese.

– Che i Parlamentari escano dal loro silenzio e parlino a nome del loro popolo che li ha eletti.[2]

L’8 giugno, nel corso di una conferenza stampa a Kinshasa, Teddy Kataliko, Presidente del Coordinamento della società civile del Territorio di Beni e Omar Kavota, Coordinatore del Centro Studi per la Pace e i Diritti Umani (CEPADHO) hanno informato sul problema dei massacri di civili nel territorio di BENI.

Secondo i due relatori, uccidere la gente con machete o scuri, sventrare le donne incinte, frantumare le teste dei bambini sbattendoli contro il muro, è ciò che sta accadendo a Beni. Dal 2 ottobre 2014.

fino ad oggi, sono state barbaramente uccise almeno 430 persone, con una media di 54 al mese, cioè 14 per settimana e, quindi, 2 al giorno.

Chi uccide a Beni sono degli islamisti, dei jihadisti del genere Boko Haram, El Shabaab e Al Qaeda, con i seguenti obiettivi:

  • L’instaurazione di un sistema di terrore e di epurazione sistematica delle popolazioni civili,
  • Lo spostamento forzato delle popolazioni, per occupare progressivamente le loro terre e sfruttare illegalmente le risorse naturali,
  • L’installazione di centri fondamentalisti religiosi e di basi di addestramento terrorista nella zona.

Si tratta di un insieme di soggetti ugandesi, keniani, somali, tanzaniani, ruandesi, sudanesi, burundesi, centroafricani e congolesi che si nascondono dietro l’etichetta ADF-NALU (ribelli ugandesi), che oggi operano sotto un nuovo nome, la “MDI” (Muslim Defense International). Si tratta di veri terroristi con la missione d’islamizzare, con la forza delle armi, l’intera regione e di creare uno stato islamico nella regione dei Grandi Laghi Africani.

L’estremo nord del territorio di Beni, nel Parco dei Virunga, e la valle del fiume Semuliki hanno ospitato fino a poco fa dei centri d’istruzione per addestrare questi terroristi.

Poiché l’esercito congolese è riuscito a smantellare questi centri di istruzione (i campi di Madina, Canada, Issa, Makoyova, Makembi, Tsutsubo, Abia, Kambi ya Miba, Kambi ya Chui) con la collaborazione della popolazione, i jihadisti si vendicano sulla popolazione.

Per radicarsi sul territorio, questi terroristi sono riusciti a creare una rete informativa molto accurata, un circuito economico e finanziario transfrontaliero molto forte e con ramificazioni locali e internazionali. A questo proposito, nel corso del 1° semestre del 2013, si è riusciti a documentare dei casi di reclutamento di giovani in moschee del Nord Kivu, del Sud Kivu, del Maniema e dell’Ituri, il sequestro di circa 894 persone del territorio di Beni, costrette a convertirsi al musulmanesimo (secondo la testimonianza rilasciata da oltre 383 persone liberate e da combattenti delle ADF arresi o catturati dall’esercito congolese). Secondo un combattente ADF catturato, questo è stato il caso dei 3 sacerdoti della parrocchia cattolica di Mbau.[3]

b. La permutazione dei militari dispiegati a Beni

Il 29 maggio, a Beni, è iniziata un’operazione di permutazione dei militari delle FARDC considerati inefficaci dalla popolazione. Secondo fonti militari, in serata, sono arrivate delle truppe provenienti dal Sud Kivu. Anche se non è stato ancora rivelato il numero dei nuovi militari, fonti interne delle FARDC hanno precisato che le nuove truppe sono costituite da unità speciali e da reggimenti di fanteria. Secondo le stesse fonti, i militari finora stanziati a Beni sono stati inviati nel Sud Kivu.

Questa sostituzione di truppe era stata richiesta dalla società civile locale.

La città e il territorio Beni sono teatro di nuovi massacri. Venti persone sono state uccise a colpi di machete nella notte dell’11 maggio a Mapiki e a Sabu, due villaggi del settore Beni – Mbau. Il giorno prima, sei persone erano state uccise nel quartiere di Kalongo, non lontano dall’aeroporto di Mavivi, sempre in ​​territorio di Beni, portando a tredici il numero dei civili uccisi nel giro di soli tre giorni. In un rapporto pubblicato il 13 maggio, l’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNJHRO) ha affermato che, tra ottobre e dicembre 2014, sono state uccise circa 237 persone. Tra le vittime, 65 donne e 35 bambini. Di questi massacri, sono stati accusati i ribelli ugandesi delle ADF.[4]

Il 3 giugno, il generale di brigata Marcel Mbangu Mashita è stato nominato nuovo comandante del Settore Operativo del Nord Kivu, per condurre l’operazione “Sokola 1” a Beni. Originario del Katanga, il generale di brigata Marcel Mbangu proviene dalla Provincia Orientale dove era vice comandante delle operazioni nella 32ª regione militare. Ora condurrà le operazioni militari nella regione di Beni. Succede al generale Akili Muhindo. Questo cambiamento fa parte di una riconfigurazione più ampia. Quasi tutti i comandanti dei reggimenti operativi a Beni sono stati cambiati. Per esempio, il colonnello Dieudonné Muhima, sospettato di essere implicato in traffici illeciti nella regione e in un attacco contro un convoglio della Monusco. Oppure il colonnello Tito, assolto per l’omicidio del colonnello Mamadou Ndala, ma in cui la popolazione ha perso ogni fiducia. Questo cambiamento nella catena di comando delle operazioni Sokola1 era stato ripetutamente richiesto dalle forze vive della città e territorio di Beni. Per ragioni di efficienza, la società civile aveva chiesto al governo di Kinshasa, di apportare dei cambiamenti sia a livello della catena di comando che a livello delle truppe.[5]

2. L’ATTACCO ALL’AEROPORTO DI GOMA

Il 2 giugno, la mattina presto, uomini armati non identificati hanno attaccato l’aeroporto di Goma, nel Nord Kivu. L’attacco è stato respinto dalle FARDC, ha detto il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, precisando che un aggressore è stato ucciso e altri tre feriti. È rimasto ucciso anche un militare dell’esercito regolare. Sono iniziate delle indagini per accertare l’identità degli aggressori e la motivazione dell’attacco. Secondo Julien Paluku, si potrebbe trattare di combattenti che hanno probabilmente cercato di approvvigionarsi in cibo o munizioni, attaccando i depositi dell’esercito situati all’interno dei recinti dell’aeroporto di Goma.[6]

Il 3 giugno, le Forze Armate della RDCongo hanno arrestato tre persone appartenenti al gruppo che ha attaccato l’aeroporto di Goma. In un comunicato ufficiale, il ministro portavoce del Governo, Lambert Mende, ha dichiarato che le forze di sicurezza hanno arrestato anche un certo Kambale Malonga, considerato il cervello dell’assalto. Il comunicato ha precisato che Kambale Malonga è stato arrestato con la collaborazione dei servizi segreti di un paese vicino, di cui gli attaccanti dell’aeroporto di Goma stavano utilizzando la rete telefonica.

Kambale Malonga, è un criminale attivo a Butembo, nel Nord Kivu, dove ha reclutato gli esecutori dell’attacco. È ancora lui che ha organizzato il loro viaggio verso Goma e che ha poi coordinato l’attacco. Kambale e i suoi complici sono a disposizione della giustizia congolese per essere interrogati sui «misteriosi attacchi barbarici in cui hanno perso la vita centinaia di persone innocenti nella regione di Beni», continua il comunicato ufficiale firmato da Lambert Mende.

Da parte loro, fonti provinciali parlano di una ventina di persone arrestate a Goma dai servizi di sicurezza. Sono sospettate di essere implicate nel tentativo di attentato contro l’aeroporto di Goma. Queste persone dicono di appartenere a un gruppo armato denominato “Unione dei Patrioti Congolesi per la Pace”, il cui promotore sarebbe lo stesso Kambale Malonga, originario del territorio di Lubero. La maggior parte dei sospettati arrestati affermano di essere stati reclutati a Beni, Oicha, Nyamilima e Rutshuru. Diverse armi da fuoco e armi bianche sono state recuperate nel villaggio Katalengwa di Munigi.[7]

Secondo Teddy Kataliko, Presidente del Coordinamento della Società civile del Territorio di Beni e Omar Kavota, Coordinatore del Centro Studi per la Pace e i Diritti Umani (CEPADHO), il recente attacco all’aeroporto di Goma è un segno che annuncia il rischio di una nuova guerra nell’est del Paese. Sarebbe forse inappropriato ridurre una minaccia di questo tipo a un piccolo individuo di nome Kambale Malonga, ufficialmente presentato come ideatore di questo tentativo di destabilizzazione. Data la minaccia terroristica nella regione, le incursioni di militari ruandesi e ugandesi nei territori di Rutshuru, Nyiragongo e Beni osservate negli ultimi mesi, si potrebbe pensare che dietro Kambale Malonga si nasconda un’altra mano nera. Kambale sembra solo l’albero che nasconde la foresta. Partendo dal modo di procedere adottato dai combattenti, dal tipo di armi usate, dal luogo scelto per destabilizzare la città (molto strategico anche per la provincia), si poterebbe sospettare l’esistenza di una rete che può avere delle ramificazioni sia all’interno che all’esterno del paese.[8]

3. L’OPERAZIONE DI REGISTRAZIONE DEI RIFUGIATI RUANDESI

Il 25 maggio, a Lubumbashi, capoluogo del Katanga, il governo congolese ha riaperto l’ufficio per la registrazione biometrica dei rifugiati ruandesi. Terminata il 16 aprile, l’operazione di registrazione biometrica dei rifugiati è stata rilanciata con l’appoggio dell’UNHCR per registrare circa 400 altri rifugiati ruandesi. Il responsabile del settore protezione presso l’ufficio dell’UNHCR a Lubumbashi, Jean-Pierre Pungu, ne spiega il motivo: «A Lubumbashi, l’operazione di registrazione di questi rifugiati si era svolta dal 13 al 16 aprile. Ci si aspettava 1.000 persone, ma se ne sono presentate solo 599. In seguito, abbiamo ricevuto delle telefonate per richieste di registrazione». Secondo l’UNHCR, questa operazione di registrazione riguarda solo i rifugiati che sono fuggiti dal Ruanda a partire dal 1994, dopo la caduta del regime Habyarimana.[9]

Dall’8 al 9 giugno, la Commissione Nazionale per i Rifugiati (CNR) ha registrato sessantuno rifugiati ruandesi che vivono nella città di Mbandaka (Equateur). Questi cittadini ruandesi hanno ricevuto delle carte biometriche che attestano il loro statuto di rifugiati. Essi sono membri di 18 famiglie. Tra loro, anche dei bambini nati sul suolo congolese. La maggior parte di questi rifugiati sono degli Hutu ruandesi fuggiti dall’est della RDCongo, a causa delle atrocità subite durante la guerra di liberazione dell’AFDL nel 1996. L’operazione di registrazione biometrica dei rifugiati ruandesi, prevista per un mese nell’Equateur, e continuata il 10 giugno a Wendji-Secli, a 20 chilometri da Mbandaka. Essa continuerà a Boende, Basankusu, Bokungu, Ikela, Lukolela e Ngombe. Per questa prima fase su tutta la provincia dell’Equateur, si prevede di potere registrare più di 500 rifugiati ruandesi.[10]

[1] Cf Le Phare – Kinshasa, 26.05.15 http://www.lephareonline.net/insecurite-a-lest-de-la-rdc-des-deputes-ecrivent-a-barack-obama/

[2] Cf http://www.cenco.cd/?id_art=215

[3] Corrispondenza privata

[4] Cf Radio Okapi, 29.05.’15 et 01.06.’15

[5] Cf Radio Okapi, 04.06.’15

[6] Cf Radio Okapi, 02.06.’15

[7] Cf Radio Okapi, 03.06.’15

[8] Corrispondenza privata

[9] Cf Radio Okapi, 25.05.’15

[10] Cf Radio Okapi, 10.06.’15