Congo Attualità n. 236

INDICE

EDITORIALE: Quale futuro per le operazioni militari contro le FDLR?

  1. UN RAPPORTO SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL 2014

  2. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)

  3. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

  4. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

  5. LE FORZE DI RESISTENZA PATRIOTTICA DELL’ITURI (FRPI)

  6. LE VARIE FAZIONI MAI MAI

 

EDITORIALE: QUALE FUTURO PER LE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE FDLR?

Dopo la scadenza, il 2 gennaio, dell’ultimatum intimato alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato d’origine ruandese attivo nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), ci si aspettava che l’esercito congolese e le forze della Missione dell’Onu in RDCongo (Monusco) iniziassero finalmente un’operazione militare congiunta contro di esse.

Forte tensione tra Joseph Kabila e la Comunità Internazionale

Ma quando, il 29 gennaio, il capo di stato maggiore generale dell’esercito congolese ha annunciato l’inizio imminente delle operazioni, il portavoce ha subito precisato che si trattava di un’operazione pianificata e condotta dal solo esercito congolese e non congiuntamente con la Monusco, come previsto inizialmente. Tuttavia, la gerarchia militare congolese non esclude l’appoggio logistico della Monusco. Per spiegare questa decisione, gli ufficiali congolesi hanno spiegato che l’Onu aveva ingiustamente accusato Kinshasa di volere ritardare le operazioni e di essere, quindi complice delle FDLR, quando invece chiedeva semplicemente più tempo per la preparazione.

Il 31 gennaio, la Monusco ha chiesto al governo congolese la sostituzione di due generali, Sikabwe Fall e Bruno Mandevu, nominati il  25 gennaio rispettivamente comandante della Regione militare del Nord Kivu e capo dell’operazione militare contro le FDLR. I nomi dei due generali appaiono infatti su una lista rossa dell’Onu, perché certe truppe precedentemente sotto loro comando erano state accusate di gravi violazioni dei diritti umani.

Il 5 febbraio, il Governo congolese ha annunciato che non ha intenzione di sostituire i due generali.

L’11 febbraio, la Monusco ha annunciato la sospensione temporanea del suo appoggio alle operazioni militari dell’esercito congolese contro le FDLR, a causa del disaccordo con Kinshasa sulla nomina dei due generali.

Il 14 febbraio, la Monusco ha “messo fine” al suo appoggio all’offensiva dell’esercito congolese contro le FDLR, perché Kinshasa non ha accettato di sostituire i due generali controversi.

Il 15 febbraio, il governo congolese ha annunciato di rinunciare a qualsiasi forma di appoggio della Monusco nelle operazioni militari di disarmo delle FDLR.

Il motivo?

Secondo il portavoce del Governo, Lambert Mende, il Presidente ha ritenuto “irrispettoso” che la Monusco richieda la sostituzione di due generali da lui nominati a capo delle operazioni anti-FDLR.

Ma secondo alcuni osservatori i veri problemi sono altri.

Rifiutare il sostegno delle Nazioni Unite potrebbe essere un modo per non avviare vere operazioni militari contro le FDLR. In effetti, l’offensiva annunciata a fine gennaio non è, in realtà, ancora iniziata. Kinshasa esita a combattere contro un gruppo armato che gli è stato spesso molto utile per combattere contro le successive ribellioni congolesi (RCD, CNDP e M23) appoggiate dal Ruanda. Si sospetta che alcuni ufficiali congolesi abbiano “subappaltato” varie operazioni militari alle FDLR e che mantengano con loro relazioni di tipo lucrativo (commercio illegale di minerali, oro e carbone …). Un commerciante accusa addirittura alcuni membri dell’esercito di collaborare con le FDLR: «Le FDLR vivono in zone strategiche dove ci sono molti minerali. Alcuni alti comandanti delle FARDC collaborano con loro e non possono combatterli: sono amici».

Inoltre, Kinshasa vuole, in tal modo, affermare la sua “sovranità”, come affermato dal portavoce del governo,  Lambert Mende, in un conferenza stampa a Kinshasa: «Si tratta di una decisione di sovranità … la RDCongo non è sotto tutela di nessuno». Tuttavia, questa volontà di affermare oggi la propria “sovranità” può nascondere un atteggiamento di rivincita sulla Comunità Internazionale che sta prendendo posizioni chiare in campo politico, soprattutto a proposito delle prossime elezioni presidenziali previste nel 2016.

Una raccomandazione

L’assenza delle forze militari della Monusco lascia dubitativi certi specialisti della situazione congolese che dubitano che: «da solo, l’esercito congolese possa fare qualcosa contro le FDLR, perché queste si ritireranno nella foresta, in posti molto difficili da raggiungere». Secondo loro, anche la vittoria delle FARDC sui ribelli del M23, fine 2013, era stata possibile solo grazie al sostegno logistico della brigata d’intervento dell’ONU.

Per questo, l’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ) ha chiesto al presidente Joseph Kabila di «riconsiderare la sua decisione di rinunciare all’appoggio della Monusco» alle operazioni dell’esercito nazionale contro le FDLR e gli ha raccomandato di: «privilegiare il dialogo con le Nazioni Unite, perché ne va della riuscita di tali operazioni, soprattutto per quanto riguarda la protezione delle popolazioni civili».

1. UN RAPPORTO SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL 2014

Per il 2014, l’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) nella RDCongo ha registrato 2.360 violazioni dei diritti umani, ciò che rappresenta una lieve diminuzione rispetto al 2013 con 2.600 casi segnalati. Le province più colpite sono le province dell’est della RDCongo (oltre 1.730 violazioni): la provincia del Nord Kivu (con 975 violazioni), la Provincia Orientale (con 525 violazioni) e la provincia del Sud Kivu (con 230 violazioni).

Secondo il BCNUDH, gli agenti dello Stato hanno commesso 1.354 violazioni, il che rappresenta oltre il 57% del numero totale delle violazioni dei diritti umani registrate nel 2014. Tra gli agenti dello Stato, i membri dell’esercito (FARDC) avrebbero commesso 699 violazioni e gli agenti della Polizia (PNC) ne avrebbero commesse 546.

I combattenti dei gruppi armati, nel loro insieme, avrebbero commesso 1.004 violazioni. Tra i gruppi armati, i combattenti Mai Mai sono stati i principali responsabili delle violazioni dei diritti umani (285 violazioni), seguiti dai combattenti delle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR) (157 violazioni).

Nelle province colpite dal conflitto. il BCNUDH ha registrato 364 adulti vittime di violenze sessuali: la Provincia Orientale (184 donne), la provincia del Nord Kivu (122 donne e tre uomini), la provincia del Sud Kivu (29 donne) e la provincia del Katanga (26 donne).

In tutto il territorio della RDCongo, il BCNUDH ha registrato 67 violazioni dei diritti umani contro 50 difensori dei diritti umani, 48 giornalisti e 44 membri dell’opposizione politica.[1]

2. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)

a. L’esercito congolese annuncia un’azione militare unilaterale contro le FDLR

Il 29 gennaio, il capo di stato maggiore generale dell’esercito congolese, il generale Didier Etumba, ha annunciato l’inizio imminente delle operazioni militari contro i combattenti delle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR). Questa operazione è annunciata quattro settimane dopo l’ultimatum emesso dai paesi della regione contro i ribelli ruandesi attivi nell’est della RDCongo.

Il Generale Léon Kasonga, portavoce delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), ha confermato l’inizio delle operazioni militari contro le FDLR, sottolineando che «si estendono anche alle altre forze negative che si trovano sullo stesso spazio dei ribelli ruandesi». Il Generale Léon Kasonga ha anche detto che si tratta di una “operazione dell’esercito congolese” e che la Monusco, di cui fa parte la brigata d’intervento dell’ONU, rimane un “partner essenziale” delle FARDC, per la neutralizzazione di tutti i gruppi armati presenti nell’est della RDCongo.

Da parte sua, il comandante militare della Monusco, il General Dos Santos Cruz, ha detto che la Monusco userà tutti i mezzi a sua disposizione e in conformità con il suo mandato che è quello di appoggiare le FARDC per disarmare le FDLR. Dopo diversi appelli al disarmo volontario, le FDLR non hanno ancora deposto le armi. La Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e la Comunità degli Stati dell’Africa australe (SADC) avevano loro dato un ultimatum di sei mesi, scaduto il 2 gennaio 2015.[2]

Secondo le autorità militari congolesi, l’operazione è pianificata dalla RDCongo e da sola, e non congiuntamente con la Monusco, come inizialmente previsto.

Per spiegare questa decisione, gli ufficiali congolesi hanno spiegato che l’Onu aveva ingiustamente accusato Kinshasa di volere ritardare le operazioni e di essere, quindi complice delle FDLR, quando invece chiedeva semplicemente più tempo per la loro preparazione. Le FARDC ricordano, tra l’altro, che è stato il presidente Kabila a promettere di disarmare i gruppi armati ancora attivi nel paese. Annunciando questa offensiva dell’esercito nel Nord e Sud Kivu, Kinshasa vuole oggi affermare la sua sovranità. Tuttavia, la gerarchia militare congolese non esclude l’appoggio della Monusco durante questa operazione.

Ma dietro le quinte, davanti a questa politica del fatto compiuto, le Nazioni Unite non nascondono un certo disagio. Una fonte diplomatica ha rivelato che, nelle ultime settimane, il presidente Kabila non rispondeva più a Ban Ki-moon quando lo chiamava per telefono. E se la gerarchia militare congolese ha affermato di non escludere l’appoggio logistico della Monusco, tuttavia il suo margine di manovra resta molto confuso. «Le Nazioni Unite non saranno associate alla pianificazione strategica e non avranno accesso a tutte le informazioni», afferma preoccupato un analista che, come molti, teme brutte conseguenze sulle popolazioni civili. Infatti, l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (OCHA) ha già tirato il campanello d’allarme, prevedendo decine di migliaia di civili probabilmente costretti a fuggire dalle loro case.

Tenendo conto di questo rischio, il piano originariamente concepito dalla Monusco includeva delle misure di protezione delle popolazioni civili. In effetti, i ribelli hutu ruandesi vivono mescolati con la popolazione e le precedenti operazioni militari del 2009 avevano causato centinaia di migliaia di sfollati. Preoccupazione, dunque, sul piano umanitario e scetticismo sulla reale capacità delle  FARDC nel condurre da sole queste operazioni.[3]

Ripetutamente rinviata, l’operazione militare contro le FDLR è stata finalmente annunciata il 29 gennaio. La neutralizzazione delle FDLR è sempre stata una questione delicata tra Kinshasa e Kigali. Il Ruanda considera ancora questo gruppo come una “minaccia” per la sua sicurezza, mentre le autorità congolesi sospettano il Ruanda di non volere vedere scomparire un gruppo, la cui presenza gli serve da pretesto per continuare ad intervenire militarmente in territorio congolese.
D’altra parte, Kinshasa esita a combattere contro un gruppo armato che gli è stato spesso molto utile per combattere contro le successive ribellioni congolesi (RCD, CNDP e M23) appoggiate dal Ruanda. Si sospetta che alcuni ufficiali congolesi abbiano “subappaltato” varie operazioni militari alle FDLR e che mantengano con loro relazioni di tipo lucrativo (commercio illegale di minerali, oro e carbone …). È per questo che l’annuncio di un’offensiva contro le FDLR condotta dal solo esercito congolese lascia gli esperti internazionali un po’ dubitativi sul suo esito finale.

L’operazione militare «è stata completamente progettata dalle FARDC», ha affermato il comandante della Monusco, precisando che non si tratta di una “operazione congiunta”, come’era avvenuto in passato. L’assenza delle Nazioni Unite lascia dubitativi certi ambienti diplomatici che «temono che le FARDC siano completamente inefficaci senza l’appoggio della Monusco». La vittoria delle FARDC sui ribelli del M23, fine 2013, era stata possibile solo grazie al sostegno logistico della brigata d’intervento dell’ONU. L’assenza delle forze militari della Monusco è vista come un grave handicap dagli specialisti della situazione congolese. «Da solo, l’esercito congolese non potrà fare nulla contro le FDLR, che si ritireranno nella foresta, in posti molto difficili da raggiungere», prevede un esperto. Nelle operazioni contro le FDLR, le reali intenzioni delle autorità congolesi rimangono ambigue. Lo statu quo nel Kivu è sempre stato utile ai principali belligeranti. Senza soluzione politica, nessuno (RDCongo, Ruanda) ha interesse a sconfiggere la FDLR, eterna merce di scambio tra i due Paesi vicini. L’operazione “Sokola 2” contro le FDLR rischia d’impantanarsi, se non ci sarà un forte intervento della Monusco in appoggio alle FARDC. Ma per il momento, nessuna operazione congiunta FARDC-MONUSCO è all’ordine del giorno.[4]

Il 9 febbraio, l’inviato speciale degli Stati Uniti  per la regione dei Grandi Laghi, Russ Feingold, ha dichiarato che la neutralizzazione dei ribelli ruandesi delle FDLR rimane un’importante questione che non ha ancora trovato una soluzione. Secondo Russ Feingold, «ci siamo sentiti incoraggiati quando il governo congolese ha annunciato l’inizio delle operazioni militari contro i ribelli delle FDLR, ma siamo rimasti delusi dal fatto che, fino ad oggi, non c’è stata alcuna azione concreta».
Per questo, Russ Feingold ha confermato il sostegno del suo governo alle FARDC affinché possano risolvere la problematica dei vari gruppi armati, tra cui le FDLR ancora presenti nel Kivu. «La neutralizzazione delle FDLR esige che si prenda di mira la loro leadership e che si consegnino alla giustizia quelli che hanno commesso violazioni dei diritti umani», ha detto il diplomatico statunitense. Egli ha anche incoraggiato le diverse parti implicate nell’accordo per la pace, la sicurezza e la cooperazione, firmato in febbraio 2013 ad Addis Abeba (Etiopia), a rispettare gli impegni presi: «I firmatari dell’accordo di Addis Abeba non possono appoggiare gruppi armati, né offrire rifugio a criminali di guerra. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrà sanzionare coloro che sostengono gruppi armati».[5]

b. La Monusco condiziona il suo appoggio alla sostituzione di due generali

La Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco) ha chiesto al governo congolese la sostituzione del generale Sikabwe Fall e del generale Bruno Mandevu, rispettivamente nominati il  25 gennaio comandante della Regione militare del Nord Kivu e capo dell’operazione militare Sokola 2, condotta contro le FDLR, i ribelli hutu ruandesi che si trovano ancora nell’est della RDCongo. I nomi dei due generali appaiono infatti su una lista rossa dell’Onu, perché certe truppe precedentemente sotto loro comando erano state accusate di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui numerosi abusi, massacri e stupri. «Se a causa del passato di certe unità militari, o dei loro comandanti, ci sono motivi validi per ritenere che vi sia un rischio reale che esse commettano ancora gravi violazioni dei diritti umani, l’appoggio a queste unità verrà ritirato, salvo che si prendano le appropriate misure correttive», ha dichiarato un alto responsabile della Monusco. A New York, un importante responsabile delle operazioni di peacekeeping ha spiegato che «l’Onu deve assicurarsi che il suo appoggio a delle forze che non appartengono alle Nazioni Unite non contribuisca alla perpetrazione di gravi violazioni dei diritti umani».[6]

Il 5 febbraio, il Governo congolese ha annunciato che non ha intenzione di sostituire i due generali designati per combattere contro i ribelli hutu ruandesi, anche se accusati di violazioni dei diritti umani dalla Monusco. «Per essere sospesi dal comando, dovrebbero essere oggetto di una condanna da parte della giustizia militare. Ma non c’è nulla di simile», ha affermato Lambert Mende, portavoce del governo, in un conferenza stampa a Kinshasa. «La RDCongo non è sotto la tutela di qualcuno e, per ora, questi sono i (generale) che sono stati designati per condurre le operazioni contro le FDLR», ha affermato Mende, aggiungendo: «Si tratta di una decisione di sovranità e siamo determinati a riportare la sicurezza nel nostro paese».[7]

L’11 febbraio, il portavoce della Monusco, Charles Bambara, ha annunciato la sospensione temporanea dell’appoggio della Monusco alle operazioni militari dell’esercito congolese contro i ribelli ruandesi delle FDLR, a causa di un disaccordo con Kinshasa sulla nomina di due generali a capo di queste operazioni. La Monusco li aveva già accusati di violazioni dei diritti umani da loro commesse in passato. In una conferenza stampa, il portavoce del governo Lambert Mende aveva già messo in chiaro che il governo di Kinshasa non avrebbe sostituito i due ufficiali. Tuttavia, il portavoce della Monusco, Charles Bambara, ha affermato che le Nazioni Unite erano in contatto con le autorità congolesi, in vista di una rapida soluzione che possa garantire il successo delle operazioni contro le FDLR, perché «la Monusco, da un lato, deve applicare una politica di condizionalità relativa ai diritti umani e, dall’altro, il mandato le impone di neutralizzare tutte le forze negative ancora attive comprese quindi le FDLR e le ADF. Per questo, per il momento, la Monusco ha deciso una pausa nella sua collaborazione con le FARDC, in attesa di un chiarimento di questa situazione».[8]

Il ministro ruandese della Difesa, James Kabarebe, ha accusato la Tanzania e il Sud Africa, due Paesi che hanno fornito la maggior parte dei militari alla brigata d’intervento della Monusco, di non volere ingaggiare combattimenti contro i ribelli delle FDLR: «Le truppe tanzaniane e sudafricane hanno attaccato con veemenza il M23 (…) ma non attaccheranno le FDLR». In particolare, James Kabarebe ha pubblicamente accusato la Tanzania di collaborare con le FDLR. Anche un recente rapporto del gruppo di esperti dell’Onu aveva riferito di viaggi di responsabili di questa ribellione e di trasferimenti di denaro dalla o per la Tanzania.[9]

c. La Monusco ha “messo fine” al suo appoggio all’offensiva dell’esercito congolese contro le FDLR

Il 14 febbraio, l’Onu ha “messo fine” al suo appoggio all’esercito congolese per quanto riguarda l’offensiva contro le FDLR, perché Kinshasa non ha rispettato la data limite proposta per sostituire i due generali controversi. «Il tempo limite di due settimane inizialmente concesso per sostituire i due generali accusati dall’Onu di violazioni dei diritti umani è scaduto il 13 febbraio e la Monusco ha effettivamente messo fine al suo sostegno alle FARDC (forze governative)», ha dichiarato un alto funzionario delle Nazioni Unite che ha chiesto l’anonimato.[10]

Il 15 febbraio, il Presidente Joseph Kabila ha convocato agli ambasciatori accreditati a  Kinshasa e ha loro annunciato che il governo congolese ha rinunciato a qualsiasi forma di appoggio della Monusco nelle operazioni militari di disarmo delle FDLR.

La ragione? Secondo il portavoce del Governo, Lambert Mende, il Presidente ha ritenuto “irrispettoso” che la Monusco richieda la sostituzione di due generali nominati a capo delle operazioni anti-FDLR. Secondo Lambert Mende, né il presidente né il governo erano stati informati delle accuse di violazione dei diritti umani che incombono sui due ufficiali.

Ma secondo alcuni osservatori il vero problema è un altro. Rifiutare il sostegno delle Nazioni Unite potrebbe essere un modo per non avviare vere operazioni militari contro le FDLR. In effetti, l’offensiva annunciata alla fine di gennaio, non è ancora davvero iniziata.

A Goma, capitale del Nord Kivu, la questione di una possibile offensiva contro le FDLR senza  l’appoggio della Monusco fa parte degli argomenti di conversazione. Sembra che molte persone dubitino della capacità dell’esercito congolese di agire da solo. Secondo Abdul, uno studente, per sconfiggere le FDLR è necessario il sostegno della Monusco: «rinunciare al sostegno della Monusco è un rischio. Le FARDC non sanno cosa sia la disciplina. Non si sa come possano fare senza il sostegno della Monusco. C’è ancora bisogno della Monusco per quanto riguarda la logistica, la politica, la strategia». Un commerciante accusa addirittura alcuni membri dell’esercito di collaborare con le FDLR: «Le FDLR vivono in zone strategiche dove ci sono molti minerali. Alcuni alti comandanti delle FARDC collaborano con loro e non possono combatterli: sono amici». Altri credono che l’azione militare non è la soluzione e rinviano la palla a Kigali per un dialogo con le FDLR, per preparare il loro rimpatrio, ciò che Kigali continua a rifiutare.[11]

Il 16 febbraio, nel corso di una conferenza stampa a Kinshasa, il portavoce del governo Lambert Mende ha spiegato che la decisione di rinunciare all’appoggio della Monusco riguarda solo la collaborazione tra le FARDC e la MONUSCO per le operazioni militari contro le FDLR e ha affermato che la Monusco può sempre condurre, da sola, delle operazioni proprie, senza le forze armate della RDCongo, contro tutti i vari gruppi armati ancora attivi, perché fa parte del suo mandato. Secondo il portavoce del governo, «la decisione di rinunciare all’appoggio della Monusco nelle operazioni contro le FDLR non influisce su altre operazioni o altri compiti affidati a questa missione, tanto più che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite le dà il mandato di attaccare e di disarmare i gruppi armati, con o senza le forze di difesa e di sicurezza della RDCongo». Lambert Mende ha ricordato che se l’esercito congolese intende condurre da solo un’operazione contro le FDLR, nulla impedisce alla Monusco di fare la stessa cosa, secondo il suo mandato: «Dal momento che la RDCongo vuole fare a meno dell’ONU, la Monusco dovrebbe decidere un’altra iniziativa per disarmare queste persone senza le FARDC, visto che occupano un’area abbastanza vasta comprendente ben due province. Può farlo anche senza le FARDC, se davvero è venuta per questo, cioè per attaccare e disarmare i gruppi armati».[12]

Il 17 febbraio, in un comunicato, l’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ) ha chiesto al presidente Joseph Kabila di «riconsiderare la sua decisione di rinunciare all’appoggio della Monusco» alle operazioni delle FARDC contro le FDLR: «Siamo profondamente preoccupati per la decisione e raccomandiamo al Presidente Kabila di privilegiare il dialogo con le Nazioni Unite, perché ne va della riuscita di tali operazioni, soprattutto per quanto riguarda la protezione delle popolazioni civili».[13]

3. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

Il 3 febbraio, durante la notte, almeno diciassette persone, secondo una fonte della polizia, sono state uccise, all’arma bianca, nel villaggio di Mayangose, a una decina di chilometri dalla città di Beni, nel nord della provincia del Nord Kivu. La società civile parla di 25 persone uccise e sospetta che siano stati dei ribelli ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF-Nalu) a commettere questa ennesima barbarie, anche se, finora, poche sono le informazioni disponibili.[14]

Il 4 febbraio, sei corpi decapitati, quattro uomini e due donne, sono stati ritrovati a Melyota, un villaggio a sette chilometri dalla città di Bwanasura, a 120 km a sud di Bunia (Provincia Orientale). La società civile di Komanda ha affermato che, probabilmente, queste persone sono state uccise da ribelli ugandesi delle ADF.[15]

4. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

Il 10 gennaio, il coordinatore per l’attuazione delle dichiarazioni di Nairobi per conto del Movimento del 23 marzo (M23), René Abandi, ha annunciato le sue dimissioni. Egli accusa Kinshasa di non volere attuare le dichiarazioni di Nairobi e di organizzare un rimpatrio (dei membri del M23 fuggiti in Uganda dopo la loro sconfitta nel novembre 2013) che viola queste stesse dichiarazioni.
Da parte sua, il coordinatore nazionale del meccanismo di controllo dell’accordo quadro di Addis Abeba, Francois Mwamba, respinge tali accuse, affermando che «l’operazione di rimpatrio ancora in corso è stata condotta sulla base di un protocollo d’accordo firmato tra la RDCongo e l’Uganda e controfirmato dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e dalla Comunità degli Stati dell’Africa meridionale (SADC)» e aggiungendo che il processo di rimpatrio è «volontario e trasparente». Egli qualifica le accuse di «fuga in avanti da parte del M23, che aveva messo a punto una sua agenda che sta crollando». «Per quanto riguarda  l’attuazione delle dichiarazioni di Nairobi», ha dichiarato Muamba, «mi rimetto alla valutazione della CIRGL e della SADC che ne sono i garanti». Secondo il governo congolese, solo 180 ex combattenti del M23, sui quasi 600 già amnistiati, sono stati rimpatriati nella RDC, tutti nel mese di dicembre 2014.[16]

Il 5 febbraio, a Kigali (Ruanda), una delegazione del governo congolese condotta dal Vice Ministro della Difesa nazionale ha firmato un comunicato congiunto con le autorità ruandesi sul rimpatrio degli ex ribelli del M23. In totale, sono stati identificati 453 ex membri del M23 fuggiti in Ruanda dopo la loro sconfitta da parte delle FARDC nel novembre 2013. Ad oggi, circa 120 ex-M23 residenti in Ruanda hanno beneficiato della legge di amnistia. Secondo il rapporto finale del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo, sui circa 700 ribelli arrivati in Ruanda, 320 sono scappati dai centri dove risiedevano.[17]

5. LE FORZE DI RESISTENZA PATRIOTTICA DELL’ITURI (FRPI)

Il 2 gennaio, il capo della milizia della Forza di Resistenza Patriottica in Ituri (FRPI), Matata Banaloki, alias Cobra Matata, è stato arrestato dalle FARDC nel villaggio di Dele, principale via d’uscita verso il sud della città. Un ufficiale delle FARDC l’ha accusato di avere voluto lasciare segretamente la città, per ritornare alla guerriglia, nascondendosi nella foresta di Walendu Bindi. Tuttavia, questo arresto ha sollevato molti interrogativi circa il proseguimento del lento processo di disarmo di questa milizia, avviato dal mese di novembre dello scorso 2014. Infatti, solo 65 miliziani, tra cui molti bambini, hanno accettato di uscire dalla foresta e di deporre le armi. Dei luogotenenti di Cobra Matata si trovano da oltre un mese, con oltre un migliaio di combattenti, ad Aveba, un villaggio del territorio di Walendu Bindi, nei pressi di un campo militare delle forze lealiste. Non sono stati forniti dettagli circa la loro sorte dopo l’arresto del loro capo.[18]

Il 5 gennaio, in mattinata, il capo della FRPI, Justin Banaloki, alias Cobra Matata, è stato trasferito a Kinshasa. Il Pubblico Ministero lo ha accusato di diserzione con armi da guerra, costituzione di movimento insurrezionale, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, tentativo di fuga e reclutamento di bambini soldato.

Da parte loro, le autorità dell’Ituri si sono dette preoccupate circa la continuazione o meno del processo di disarmo degli oltre cinquecento membri della FRPI che si trovano ad Aveba, nel territorio di Walendu Bindi, dopo l’arresto del loro capo.

Tuttavia, l’organizzazione per la difesa dei diritti umana Justice-Plus accoglie con favore la notizia circa il trasferimento di Cobra Matata a Kinshasa. Secondo il suo direttore esecutivo, Xavier Maky, l’Ituri è stato a lungo vittima delle esazioni perpetrate dalla FRPI. Questa ONG chiede un rapido  processo che renda giustizia alle vittime.[19]

Il 9 gennaio, una viva tensione si è accesa tra le milizie della FRPI e i militari dell’esercito congolese stanziati ad Aveba. Le forze lealiste hanno chiesto ai miliziani di deporre volontariamente le armi. In caso contrario, saranno disarmati con la forza. Il comandante delle forze della Monusco, il Generale Dos Santos Cruz, ha incontrato separatamente le due parti, per raccomandare loro che il processo di disarmo avvenga pacificamente e senza scontri armati. La popolazione di Aveba ha abbandonato il villaggio, perché il rischio di uno scontro armato era molto alto.[20]

Il 13 gennaio, a Aveba, una delegazione congiunta delle FARDC e della Monusco si è incontrata con i miliziani della FRPI di Cobra Matata, per discutere insieme sul loro disarmo volontario. Durante questi scambi, la milizia ha chiesto, come presupposti per il loro disarmo, l’amnistia, la loro integrazione nelle FARDC con la conferma dei loro gradi militari e il mantenimento dei combattenti durante tutto il processo di disarmo. Da parte sua, il governo non ha dato alcuna risposta ufficiale.[21]

Il 15 gennaio, dopo infruttuose trattative per un disarmo volontario, si sono registrati violenti combattimenti tra i militari dell’esercito congolese e i miliziani della FRPI di Cobra Matata. «Al mattino presto, i militari hanno improvvisamente attaccato i combattenti della FRPI per disarmarli con la forza», ha affermato il vice commissario del distretto di Ituri, Fataki Adroma. «Continuavano a imporre condizioni», ha egli spiegato, indicando che avevano chiesto di essere integrati nell’esercito, mantenendo i loro gradi ottenuti durante la ribellione. Da parte loro, le forze lealiste affermano che sono stati i miliziani che li hanno attaccati. Fonti militari hanno precisato che il comandante del settore operativo delle FARDC in Ituri, il generale David Rugayi, era stato attaccato con le sue guardie del corpo dai miliziani della FRPI. Secondo altri testimoni, appena dopo l’alba, i miliziani della FRPI hanno attaccato di sorpresa i militari congolesi che circondavano il loro campo. Presi alla sprovvista, i militari non hanno potuto evitare che alcuni miliziani fuggissero di nuovo nella foresta. Tra le due parti, sono allora iniziati intensi combattimenti durati varie ore fino al primo pomeriggio. Il bilancio provvisorio: 14 morti dal lato della FRPI, e sei dal lato delle FARDC. In serata, il villaggio di Aveba era di nuovo sotto il controllo delle FARDC.  Migliaia di abitanti, tra 15.000 e 30.000, secondo le diverse fonti,  sono fuggiti dai combattimenti.[22]

Il 17 gennaio, i combattenti della FRPI sono ritornati nella foresta, nei villaggi Nyaibo, Katoto e Toro, verso Burasi, nei pressi del fiume Semuliki, al confine con l’Uganda. Secondo la società civile di Aveba, questi miliziani ben armati sono accompagnati dai loro familiari.[23]

6. LE VARIE FAZIONI MAI MAI

Il 29 dicembre, sei persone, tra cui tre militari dell’esercito e tre miliziani, sono state uccise in seguito a dei combattimenti tra le FARDC e i miliziani Raia Mutomboki, a nord di Kigulube, bei territorio di Shabunda (Sud Kivu). Fonti militari hanno precisato che anche tre militari sono stati feriti e che le FARDC hanno catturato un miliziano e recuperato tre armi.

Kigulube era ancora una roccaforte dei Raia Mutomboki sotto il comando di Ngandu e di Donat.

Nel mese di settembre scorso, in seguito all’assassinio di un ufficiale militare a Lugungu, le FARDC avevano avviato delle operazioni di rastrellamento contro queste milizie nel territorio Shabunda. Dal 27 novembre, avevano rafforzato il loro controllo sul territorio con il recupero del piccolo campo d’aviazione di Tshonka e della località di Lulingu. Da allora, le FARDC hanno continuato a guadagnare terreno. Durante la loro avanzata, erano stati uccisi alcuni capi della milizia, tra cui Sisawa e Mwami Alexandre. Altri si sono arresi, come Juriste Kikuni, con 138 suoi miliziani che sono ancora in attesa di essere trasportati a Bukavu. Secondo l’amministratore di Shabunda, Eloko Nsana, le FARDC ora controllano la maggior parte del territorio, prima quasi interamente occupato dai Raia Mutomboki.[24]

Il comandante del 101° settore delle FARDC stanziato a Nyabibwe, un centro commerciale situato a 100 km a nord-ovest di Bukavu, nel Sud Kivu, ha chiesto alle forze negative ancora attive di deporre le armi. La presenza di forze negative nel territorio di Kalehe risale a più di cinque anni fa. Secondo il comandante del 101° settore delle FARDC basato a Nyabibwe, il colonnello Ginaro Nzomoni, si tratta dei gruppi armati Raia Mutomboki e Mai Mai Kifuafua. Sulla lista dei gruppi armati che operano nella regione, ha citato anche i Mai Mai Kirikicho, i Mai Mai dell’Esercito Rosso e i Mai Mai Ntakalaba. Questi gruppi sono attivi nello Ziralo, a Bulambika, a Kalonge e nel Mubugu (Sud Kivu). Secondo il colonnello Guinaro Nzomoni, i membri di questi gruppi armati sono alla base di molte angherie commesse sulla popolazione locale. Ha citato il caso dei furti e delle violenze sessuali, degli arresti arbitrari e dell’erezione di posti di blocco illegali per estorcere denaro ai cittadini. Secondo Désiré Majagi, presidente della società civile di Kalehe, questi combattenti impongono tasse illegali ai commercianti e agli abitanti che si recano al mercato o nei campi, rubano i prodotti dei campi degli abitanti e, se qualcuno non ubbidisce ai loro ordini, usano la frusta. Questa situazione di estrema insicurezza costringe la popolazione a fuggire altrove per salvare la propria vita.[25]

Il 6 gennaio, l’organizzazione per i diritti umani, Human Rights Watch, ha chiesto che «l’esercito congolese e le truppe della Monusco devono raddoppiare gli sforzi per arrestare Sheka Ntabo Ntaberi, capo di una milizia, prima che altri civili siano vittime dei suoi crimini». Quattro anni fa, il 6 gennaio 2011, le autorità congolesi avevano emesso un mandato di arresto, per crimini contro l’umanità, contro Sheka Ntabo Ntaberi, alias Sheka, leader della milizia Nduma Defense of Congo (NDC), di etnia Nyanga e attiva nei territori di Walikale e di Masisi, nella provincia del Nord Kivu.

Human Rights Watch ha constatato che, «dall’emissione del mandato di arresto contro Sheka, la sua milizia ha ucciso almeno 70 civili, molti dei quali sono stati massacrati a colpi di machete». HRW accusa la NDC di aver commesso molte atrocità a Pinga, tra il Masisi e Walikale, da agosto 2012 a novembre 2013: omicidi, mutilazioni, decapitazioni, insulti a carattere etnico contro gli Hunde, costretti a fuggire. Sheka è oggetto di sanzioni (congelamento dei beni, divieto di viaggiare all’estero) da parte dell’Onu che accusa la sua milizia di aver violentato circa 400 persone, di avere incendiato o saccheggiato quasi un migliaio di case e magazzini e di avere costretto un centinaio di civili al lavoro forzato, crimini commessi nel territorio di Walikale tra il 30 luglio e il 2 agosto 2010. Secondo l’Onu, questi fatti potrebbero costituire dei “crimini contro l’umanità”. Human Rights Watch mette in causa anche i suoi legami con gli ufficiali dell’esercito. Malgrado il mandato d’arresto, Sheka aveva potuto presentare la sua candidatura in occasione delle elezioni legislative del mese di novembre 2011.[26]

Il 12 gennaio, il comandante delle operazioni militari delle FARDC “Sokola 2”, il Generale Abedi Masudi, ha pubblicato il bilancio generale dell’operazione organizzata congiuntamente con la Monusco contro i gruppi armati Raia Mutomboki, Fronte Nazionale di Liberazione (FNL – Burundi) e alleati nel quadro dell’operazione “Kamilisha Usalama” (nota: consolidamento della pace). Egli ha fatto riferimento a 39 morti dalla parte dei combattenti, 24 catturati, 178 arresi.

L’esercito ha ricuperato 55 armi, 65 caricatori e 473 munizioni. Dal lato delle FARDC, ci sono stati otto soldati uccisi, quattro feriti e la perdita di materiale bellico. Inoltre, sui venti principali gruppi armati ancora attivi nel Sud Kivu, «quattro sono stati completamente smantellati», ha affermato il generale Abedi Masudi, senza però nominarli. Egli ha anche promesso di mantenere la pressione militare sulle FDLR.

Il responsabile delle operazioni Sokola 2, ha affermato che è stato preparato un piano per la resa dei gruppi armati: «per quanto riguarda i vari gruppi armati dei Raia Mutomboki della zona di Shabunda, la fazione di Kimusi sarà accolta presso il centro di raggruppamento di Shabunda e le fazioni di Sisawa e di Bikambe saranno raggruppate a Kalonge. La fazione di Cukuru Kawanya sarà raggruppata a Chambucha». Inoltre, sempre secondo l’ufficiale congolese, i combattenti del gruppo dei Raia Mutomboki di Makombo, che accettino il disarmo volontario, verranno raggruppati a Lubila. Quelli di Ngandu dovrebbero essere raggruppati a Nzovu e quelli di Lukoma saranno raggruppati presso lo stato maggiore delle FARDC a Evary.[27]

Dal 15 gennaio, cinquanta combattenti dei Raia Mutomboki d’Isangi sono raggruppati a Miassa, un settore situato a circa 40 km a sud del capoluogo del territorio di Walikale (Nord Kivu). Questi miliziani si sono detti favorevoli alla loro integrazione sociale. I combattenti Raia Mutomboki d’Isangi sono attivi nel raggruppamento di Bakano, in cui operano da diversi mesi.[28]

Il 23 gennaio, i Mai Mai Raia Mutomboki hanno costretto circa 750 minatori artigianali a lasciare i siti minerari situati lungo il fiume Ulindi, in territorio di Shabunda (Sud Kivu). Questa milizia aveva iniziato ad esigere, da ogni minatore, la somma di 150.000 franchi congolesi (160 dollari), per potere accedere ai siti minerari. Secondo fonti attendibili, i miliziani li hanno costretti a lasciare il loro posto di lavoro, dicendo loro che stavano preparando un’offensiva contro le forze armate della RDC (FARDC). Questi minatori hanno lasciato sui siti minerari più di 30 draghe. La popolazione di Shabunda teme che la cessazione delle attività estrattive, con la conseguente disoccupazione, possa avere degli effetti negativi sull’economia locale.[29]

Il 24 gennaio, circa 85 ex miliziani Raia Mukombozi si sono arresi alle Forze Armate della RDC (FARDC) a Bukavu (Sud Kivu). Secondo la gerarchia militare della 33ª Regione Militare, questi miliziani Mai Mai sono provenuti dal territorio di Shabunda e hanno deciso volontariamente di abbandonare le armi per integrarsi nell’esercito regolare.

Le stesse fonti indicano che 45 di loro saranno presto trasferiti a Mubambiro, nel Nord Kivu. Da lì, saranno poi inviati in centri di formazione, tra cui Kitona e Kamina, per ricevere una formazione militare specifica al fine di integrare le FARDC. Altri 40 sono rimasti al campo militare Saio di Bukavu. Tra questi, il programma DDR ha ricuperato 15 minorenni.

Ai primi di gennaio, Nyanderema, capo della milizia Raia Mutomboki che porta il suo nome, si era arreso allo Stato Maggiore della 33ª Regione Militare, nella località di Luizi, in territorio di Kabare, a più di 60 km da Bukavu (Sud Kivu). Era accompagnato da altri nove miliziani che avevano consegnato 12 armi e una trentina di cartucce.[30]

[1] Cf Godé Kalonji Mukendi – La Tempête des Tropiques- Kinshasa, 05.02.’15

[2] Cf Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 29.01.’15 ; Radio Okapi, 29.01.’15

[3] Cf RFI, 30 et 31.01.’15

[4] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 29.01.’15

[5] Cf Radio Okapi, 10.02.’15

[6] Cf RFI, 31.01.’15; Reuters – Kinshasa, 02.02.’15 (via mediacongo.net); AFP – Africatime, 04.02.’15

[7] Cf AFP – Africatime, 05.02.’15

[8] Cf RFI, 11.02.’15; Radio Okapi, 11.02.’15

[9] Cf RFI, 11.02.’15

[10] Cf AFP – Jeune Afrique, 14.02.’15

[11] Cf RFI, 15.02.’15

[12] Cf Radio Okapi, 16.02.’15; RFI, 17.02.’15

[13] Cf AFP – Africatime, 18.02.’15

[14] Cf AFP – Africatime,  04.02.’15; RFI, 04.02.’15

[15] Cf Radio Okapi, 05.02.’15

[16] Cf Radio Okapi, 11.01.’15 ; AFP – Kinshasa, 11.01.’15 (via mediacongo.net)

[17] Cf RFI, 04.02.’15; Radio Okapi, 05.02.’15

[18] Cf Radio Okapi, 02.01.’15

[19] Cf Radio Okapi, 05.01.’15

[20] Cf Radio Okapi, 10.01.’15

[21] Cf Radio Okapi, 14.01.’15

[22] Cf AFP – Africatime, 15.01.’15 ; Radio Okapi, 15.01.’15 ; RFI, 16.01.’15

[23] Cf Radio Okapi, 18.01.’15

[24] Cf Radio Okapi, 30.12.’14

[25] Cf Radio Okapi, 01.01.’15

[26] Cf AFP – Africatime, 06.01.’15

[27] Cf Radio Okapi, 13.01.’15

[28] Cf Radio Okapi, 18.01.’15

[29] Cf Radio Okapi, 25.01.’15

[30] Cf Radio Okapi, 25.01.’15