Editoriale Congo Attualità n. 229– a cura della Rete Pace per il Congo
Nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), il problema maggiore rimane quello dei gruppi armati, sia nazionali che stranieri, tra cui le Forze Democratiche Alleate (ADF), d’origine ugandese, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), di origine ruandese, il Movimento del 23 marzo (M23) e le varie fazioni delle milizie Mai-Mai.
Massacri di Beni: non solo ADF
Drammatica resta la situazione a Beni, città del Nord Kivu, nell’est della RDCongo, dove le ADF, gruppo armato d’origine ugandese, stanno decimando la popolazione locale, perpetrando continui attacchi ai villaggi e uccidendo, all’arma bianca, intere famiglie.
Secondo il governo congolese, in seguito alla ripresa delle operazione militari, sono già state arrestate più di un centinaio di persone, appartenenti a diverse nazionalità: Ugandesi, Ruandesi, Tanzaniani e Congolesi. I massacri di Beni sono quindi stati commessi con delle complicità interne, quali l’ex M23, il RCD-KML di Mbusa Nyamwisi e alcuni gruppi Mai-Mai. L’obiettivo sarebbe quello di preparare la via a un nuovo “movimento di liberazione”.
Dal 17 al 20 dicembre, la Società Civile ha organizzato un dialogo sociale per il ripristino della pace e della sicurezza, cui hanno partecipato rappresentanti di Ong per la difesa dei diritti umani e per lo sviluppo, membri di confessioni religiose, autorità locali e personalità politiche.
I partecipanti hanno constatato che «gli autori dei massacri hanno chiaramente un carattere ibrido. Si tratta infatti di gruppi residuali delle ADF-NALU presenti sul territorio da più di due decenni, ma anche di cittadini locali che collaborano con loro attraverso una rete di operazioni mafiose transfrontaliere e di scambi d’informazioni. Il nemico è spesso riuscito a fare aderire alla sua causa criminale, comprendente anche pratiche jihadiste, certe personalità politiche, ufficiali militari, operatori economici e autorità tradizionali. Il nemico è gradualmente passato da una strategia di offensiva classica a quella intermedia della guerriglia per, infine adottare la strategia del terrorismo».
I partecipanti hanno raccomandato al Governo congolese di «a) adottare una strategia militare adattata a quella del nemico; b) rafforzare la sorveglianza all’interno delle FARDC, per smascherare gli infiltrati e i traditori; c) continuare il lavoro di identificazione degli autori dei massacri e d) accelerare le inchieste relative alle persone sospettate». Alla Comunità Internazionale, i partecipanti hanno chiesto di «aprire un’inchiesta internazionale sui massacri commessi».
Operazione rimpatrio volontario: il rifiuto del M23
A proposito dell’ex Movimento del 23 marzo (M23), il 16 dicembre, in collaborazione con il governo ugandese, il governo congolese ha tentato una prima operazione di rimpatrio volontario dei 330 ex combattenti del M23 già amnistiati e disposti al rientro nella RDCongo, ma ancora presenti a Bihanga, in Uganda, dove erano fuggiti dopo la loro sconfitta in novembre 2013. Il campo militare di Bihanga ospitava un totale di 1.678 combattenti del M23. L’operazione non è ben riuscita perché, sui 330, si è riusciti a rimpatriarne solo 120. Tutti gli altri presenti a Bihanga sono fuggiti, rifiutando di essere rimpatriati, apportando come motivi il timore per la loro sicurezza qualora fossero rimpatriati e il non rispetto delle dichiarazioni di Nairobi. In realtà, dietro questo rifiuto c’è la volontà di far pressione sul governo congolese, per ottenere vantaggi finora non raggiunti, quali la concessione dell’amnistia anche ai capi politici e militari del movimento, anche se ricercati dalla giustizia per avere commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità, l’integrazione nell’esercito nazionale congolese e, infine, l’inserimento degli esponenti politici nella vita politica del Paese. Nel caso in cui non riuscisse ad ottenere tali vantaggi, il M23 potrebbe preparare una nuova ribellione, con la complicità di alcuni ufficiali dell’esercito congolese, in collaborazione con le ADF ugandesi e con l’appoggio del Ruanda e dell’Uganda.
Per evitarlo, il governo congolese dovrebbe fare tutti gli sforzi necessari per accelerare la procedura della concessione dell’amnistia a tutti i membri del M23 che ne soddisfino i requisiti, procedere al rimpatrio volontario degli amnistiati e facilitare la loro adesione al programma nazionale di Disarmo, Smobilitazione e reinserimento sociale (DDR). Per quanto riguarda i membri del M23 che non possono usufruire dell’amnistia, per avere commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e gravi violazioni dei diritti umani, il Governo congolese dovrebbe assicurarsi che siano portati a termine i loro dossier giudiziari, si emettano i necessari mandati di arresto nei loro confronti e si inoltrino le richieste di estradizione.