Congo Attualità n. 225

INDICE

EDITORIALE: Il dibattito su un’eventuale revisione costituzionale, alcune conseguenze negative

  1. POLITICA INTERNA

  2. Una nuova Costituzione e una terza transizione già in corso di preparazione?

  3. Il Parlamento dovrà esaminare la questione relativa alla revisione della Costituzione

  4. KIVU

  5. La questione della demarcazione della frontiera tra RDCongo e Ruanda

  6. I rifugiati ruandesi ancora residenti in territorio congolese

  7. I ribelli ruandesi delle FDLR

  8. I ribelli ugandesi dell’ADF

  9. L’ex Movimento del 23 marzo (M23)

 

EDITORIALE: Il dibattito su un’eventuale revisione costituzionale, alcune conseguenze negative

1. POLITICA INTERNA

a. Una nuova Costituzione e una terza transizione già in corso di preparazione?

Il 25 agosto, durante il “conclave” che si è tenuto a Kingankati, nella periferia est di Kinshasa, sotto la moderazione del Capo dello Stato, Joseph Kabila, il dibattito sulla revisione o meno della Costituzione si è ulteriormente ampliato all’interno della maggioranza presidenziale.
Al di là dei due campi dei “pro” e degli “anti” revisionisti, gli osservatori hanno notato l’entrata in scena di una “terza via”, quella della stesura di una nuova costituzione. A questo proposito, si dovrebbe immediatamente istituire un gruppo di lavoro per riflettere sul nuovo testo costituzionale, completamente diverso da quello attuale, ritenuto superato perché derivante dalla volontà politica delle “Componenti” e delle “Entità”, firmatarie dell’accordo globale e inclusivo che, nel dicembre 2002 a Sun City ( Sud Africa), aveva sancito la fine del dialogo inter-congolese.

La conseguenza logica di una tale iniziativa sarebbe la chiusura definitiva della “Terza Repubblica”, nata il 18 Febbraio 2006, e l’avvento della “Quarta Repubblica”. In questo caso, i contatori sarebbero riportati a zero. Concretamente, passando la spugna su tutto, non si terrà più conto dei mandati presidenziali già esercitati da Joseph Kabila e, sotto la guida di un “governo di ampia unità nazionale”, si lancerà una nuova transizione, al termine della quale si organizzerebbero nuove elezioni legislative e presidenziali[1]

Secondo il quotidiano belga “La Libre Belgique” del 10 settembre 2014, a Kinshasa si sarebbe già cominciato  a riflettere su un’altra Costituzione. Non si tratterrebbe più di una semplice revisione della costituzione congolese del 2006 per tentare di mantenere Kabila al potere, ma di una nuova costituzione. Lo scopo principale di questa iniziativa è quello di fare “tabula rasa”, per consentire a Joseph Kabila di ripresentarsi per il terzo mandato presidenziale che l’attuale costituzione impedisce. Sarebbero già allo studio diverse modifiche rispetto al testo attuale. Il mandato del presidente della Repubblica potrebbe essere ampliato da cinque a sette anni e potrebbe essere rinnovato a tempo indeterminato. Il Capo dello Stato potrebbe essere eletto a suffragio indiretto, un’ipotesi già evocata negli ultimi mesi e che ha sollevato una grande preoccupazione, in quanto questa modalità di voto faciliterebbe la corruzione di coloro che dovranno eleggere il presidente della Repubblica. Nella nuova versione della Costituzione, l’attuale articolo 2 sulle 26 province potrebbe essere modificato riportando a 11 il numero delle province. Inoltre, potrebbe essere modificato anche l’articolo 175 che stabilisce che “il 40%” del “reddito nazionale” è assegnato alle province ed è ritenuto “alla fonte” dalle stesse province per il loro finanziamento. Di fatto, questi articoli della Costituzione attualmente in vigore, non sono mai stati applicati. Sopprimerli o modificarli significherebbe quindi rendere legale ciò che ora è illegale. Potrebbe essere modificato anche l’articolo 10, che vieta la doppia nazionalità. In tal modo, si riporterebbero in situazione legale numerosi Congolesi che sono in possesso di due passaporti. Tuttavia, se si avverassero, tutti questi cambiamenti potrebbero suscitare molte resistenze.[2]

Secondo il portavoce della maggioranza presidenziale, Sébastien Luzanga Chamandevu, la Costituzione del 2006 è già superata: «Invece di rivedere un articolo qui, un articolo là, è necessario redigere una nuova Costituzione. Se noi politici non riusciamo a metterci d’accordo, l’attuale Costituzione prevede che si possa ricorrere al popolo sovrano per referendum».

Ma secondo il senatore Jacques Djoli, non c’è alcun motivo per cambiare la Costituzione, perché la Terza Repubblica non è ancora stata completamente messa in atto: «Varie istituzioni non sono ancora state erette. La Corte costituzionale non funziona ancora. Il Consiglio di Stato non è ancora stato istituito e la magistratura deve essere ulteriormente rafforzata. Quindi, parlare di una quarta Repubblica è una fuga in avanti, per giustificare o trovare una qualche via d’uscita poco onorevole ad un individuo e al gruppo ristretto dei suoi collaboratori».[3]

Il 15 settembre, in occasione dell’apertura della sessione parlamentare di settembre, il presidente del Senato, Leon Kengo wa Dondo, ha spiegato che non si può approfittare di un’eventuale revisione costituzionale per arrivare ad un cambiamento della costituzione. A questo proposito, egli ha sottolineato che «la Costituzione del 18 febbraio 2006 è il frutto degli accordi di pace di Sun City (Sud Africa) che hanno posto fine alla seconda guerra del Congo (1998-2003). Non si può rischiare di alterare questo compromesso politico raggiunto, sotto pena di mettere in pericolo la coesione nazionale e la pace sociale».[4]

b. Il Parlamento dovrà esaminare la questione relativa alla revisione della Costituzione

Secondo fonti parlamentari, nel corso della sessione parlamentare di settembre dedicata soprattutto alla legge di stabilità, verranno esaminate anche diverse questioni politiche, tra cui la proposta di revisione della costituzione. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 9 giugno, il documento era già stato depositato presso l’ufficio dell’Assemblea nazionale poco prima della chiusura della sessione precedente. Come richiesto dal governo, la revisione costituzionale riguarderebbe il processo elettorale, e più precisamente le elezioni dei deputati provinciali e, conseguentemente, le elezioni dei senatori e governatori di provincia. La questione divide la classe politica congolese. Da un lato, ci sono coloro che vogliono che i deputati provinciali continuino ad essere eletti a suffragio diretto, e dall’altra, coloro che vogliono che siano eletti a suffragio indiretto. Secondo coloro che sono favorevoli alla revisione costituzionale, l’iniziativa è costituzionale, nella misura incide solo sugli articoli che non sono bloccati dall’articolo 220. Ma altri sospettano la maggioranza al governo di voler aprire un varco che potrebbe condurre alla revisione anche degli articoli resi intangibili dall’articolo 220 che impedisce a Joseph Kabila di candidarsi per un terzo mandato presidenziale.[5]

Il 15 settembre, in occasione dell’apertura della sessione parlamentare di settembre, il presidente del Senato, Leon Kengo wa Dondo, ha chiesto il rispetto delle disposizioni intangibili della Costituzione che, secondo lui, sono il “fondamento di tutta l’architettura costituzionale”.

«Le disposizioni intangibili della Costituzione, penso all’articolo 220 e a tutti gli altri articoli cui esso rimanda, sono la spina dorsale e il fondamento di qualsiasi architettura costituzionale», ha dichiarato il Presidente del Senato. L’articolo 220, fissa i contenuti della Costituzione che non possono essere modificati, tra cui il numero e la durata dei mandati del Presidente della Repubblica che non possono essere oggetto di alcun emendamento costituzionale. Leon Kengo wa Dondo ha infine invitato i politici alla “cultura della pace e della riconciliazione” e allo “spirito della tolleranza e dell’alternanza”, per “finalmente concentrarsi sui problemi reali della gente, la povertà, la disoccupazione, l’istruzione, la sanità, le infrastrutture, l’ambiente”.

Da parte sua, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, ha dichiarato che il suo ufficio non ha ricevuto alcuna richiesta di revisione della Costituzione al di fuori dell’articolo 197.
Il progetto di legge presentato in Parlamento dal governo riguarda solo la modalità delle elezioni dei deputati provinciali che dovrebbero essere eletti a suffragio universale indiretto.  Il cambiamento della modalità di elezione dei deputati provinciali richiede la previa modifica dell’articolo 197 della costituzione relativo alla modalità di elezione dei deputati provinciali che, attualmente, sono eletti a suffragio universale diretto per un mandato di cinque anni. Dovranno essere modificati anche gli articoli sulle elezioni dei senatori nazionali e dei governatori provinciali che, nel caso di elezioni indirette dei deputati provinciali, non saranno più eletti da questi ultimi, ma dai consiglieri dei comuni e dei settori. A proposito del dibattito in corso sulla revisione della Costituzione per consentire a Joseph Kabila di candidarsi per un terzo mandato presidenziale, Aubin Minaku ha detto che il suo ufficio non ha ricevuto alcuna richiesta in tal senso.[6]

Il 16 settembre, in un nuovo messaggio indirizzato “ai fedeli cattolici e agli uomini e alle donne di buona volontà della RDCongo”, i Vescovi membri della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) ribadiscono la loro opposizione alla modifica dell’articolo 220 della Costituzione. La CENCO è consapevole che ogni costituzione può essere oggetto di revisione, ma ricorda che l’articolo 220 è stato reso intangibile dagli stessi costituenti, proprio per evitare che sia modificato.

Secondo i vescovi, «l’articolo 220 pone le basi della stabilità del paese e dell’equilibrio dei poteri in seno alle istituzioni. Cambiarlo sarebbe fare un passo indietro sul cammino della costruzione della democrazia e comprometterebbe gravemente il futuro armonioso della Nazione».[7]

Il 18 settembre, il portavoce del governo, Lambert Mende, ha affermato che la revisione dell’articolo 220 della Costituzione non è, per il momento, all’ordine del giorno, ma ha aggiunto che, «in democrazia, tutto può essere discusso, anche le disposizioni bloccate contenute nella legge fondamentale». Ha quindi dichiarato di non escludere un referendum popolare sulla revisione dell’articolo 220 della Costituzione, che limita a due il numero dei mandati del Capo dello Stato.[8]

Il 23 settembre, l’Unione Europea ha invitato la Maggioranza Presidenziale (MP), ora al potere, ad accettare un “dialogo” con l’opposizione sull’organizzazione delle prossime elezioni, per evitare al Paese, immerso in una grave crisi politica già dalle elezioni presidenziali del 2011, di entrare in un “vicolo cieco” inutile. «Il rifiuto da parte delle autorità ad accettare un vero dialogo, soprattutto sulla sequenza delle elezioni (dapprima le elezioni locali nel 2015 e, successivamente, le elezioni presidenziali e legislative nel 2016) e sul cambiamento del sistema di voto (le elezioni dei deputati provinciali a suffragio indiretto), può condurre il processo elettorale verso un vicolo cieco», scrive la Missione di monitoraggio elettorale dell’UE nella sintesi del suo rapporto finale sulla sua visita in RDCongo in maggio e giugno. La missione dell’UE ha ricordato che i 28 Paesi membri sono pronti a sostenere il processo elettorale a condizione di effettuare “qualche miglioramento“. Come le Nazioni Unite, anche l’Unione Europea raccomanda alle autorità congolesi di pubblicare “un calendario elettorale completo e consensuale e un preventivo economico dettagliato“, per consentire ai finanziatori di contribuire all’organizzazione delle elezioni.[9]

L’8 ottobre, José Endundo Bongonge, leader del Partito dei Democratici Cristiani (PDC), un partito politico della maggioranza presidenziale, ha dichiarato che il dibattito su un’eventuale revisione della costituzione non è, per il momento, una priorità per il Paese. Secondo lui, questo dibattito serve solo ad occultare quello “fondamentale” dello sviluppo. «Sono profondamente amareggiato per il fatto che l’attuale discussione sulla revisione della costituzione serva solo ad evitare  la questione fondamentale dello sviluppo. Passiamo il tempo in elucubrazioni su come cambiare la costituzione, quando invece i problemi reali sono l’Ebola, le strade, le scuole. Queste sono le priorità», ha dichiarato in una conferenza stampa a Mbandaka. Secondo José Endundo, «la maggioranza ha il diritto di volere rimanere al potere dopo le prossime elezioni. È un suo diritto. Ma anche l’opposizione ha il diritto di accedervi».[10]

Il 12 ottobre, in un dibattito televisivo trasmesso da Kinshasa, il segretario permanente della piattaforma “Agire per Elezioni Trasparenti e Pacifiche” (Aeta) e presidente della Lega Nazionale per Elezioni Libere e Trasparenti (LINELIT), Jérôme Bonso, ha ribadito l’impossibilità di poter organizzare elezioni “credibili, trasparenti e regolari” prima del 2016.

Egli ha affermato che «il presidente della Ceni ha chiesto al governo di pubblicare, entro la fine di febbraio 2014, la lista ufficiale e la delimitazione dei raggruppamenti, la mappatura delle città, dei quartieri, dei distretti e dei settori, ciò che non è ancora stato fatto, anche se siamo già in ottobre. Il presidente  della Ceni ha chiesto al Parlamento di rivedere, al più tardi nei mesi di marzo, aprile o maggio 2014, il quadro giuridico per le elezioni urbane e municipali, locali, provinciali, senatoriali, legislative e presidenziali, ma nulla è stato ancora fatto».

Egli ha aggiunto che «i tribunali di Grande Istanza incaricati di esaminare i contenziosi delle elezioni urbane, municipali e locali, che avrebbero dovuto essere operativo entro settembre 2014, non lo sono ancora».

«Un altro motivo per cui sarà impossibile di organizzare le elezioni prima del 2016, benché siano previste per il 2015, è che sono complesse e costose, soprattutto per l’elevato numero delle circoscrizioni elettorali: 7.265 invece delle 169 delle elezioni del 2011», ha commentato Jérôme Bonso. Pertanto, egli ha sostenuto che «è difficile, quasi impossibile organizzare le elezioni urbane, municipali e locali nel 2015, perché le richieste che la Ceni, nella sua tabella di marcia, ha avanzato come condizioni preliminari, non sono ancora state soddisfatte».

Già il 9 maggio, gli esperti elettorali di AETA avevano annunciato che era «impossibile organizzare elezioni municipali e locali credibili, trasparenti e regolari prima del 2016» e avevano proposto di «proseguire il ciclo elettorale 2011-2016 organizzando, nel 2015, le elezioni dei deputati provinciali a suffragio diretto e le elezioni dei senatori e dei governatori di provincia a suffragio indiretto e, nel 2016, le elezioni presidenziali e legislative e posticipando le elezioni municipali, urbane e locali a dopo il 2016».[11]

2. KIVU

a. La questione della demarcazione della frontiera tra RDCongo e Ruanda

Degli esperti della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e del Ruanda si sono recentemente incontrati a Rubavu, in Ruanda, per fare il punto sulla questione della demarcazione della frontiera terrestre comune (27 km), compresa tra la Grande Barriera di Goma e il Monte Hehu, a nord-est del territorio di Nyiragongo. Gli esperti di entrambi i paesi si sono particolarmente interessati al problema di 22 cippi di frontiera principali e degli altri 11 secondari che dovrebbero essere eretti o ricollocati per marcare la frontiera. Per meglio delimitare la frontiera terrastre, si prevede di liberare da qualsiasi costruzione una zona neutra di sei metri su entrambi i lati della frontiera tra i due paesi. Questa disposizione comporterà, quindi, la distruzione di alcuni edifici e la delocalizzazione dei residenti, un programma che dovrebbe costare poco più di 1.122.000 dollari.[12]

b. I rifugiati ruandesi ancora residenti in territorio congolese

Il 22 settembre, in missione a Kinshasa, Bryan C. Lupton, incaricato per i rifugiati presso il Dipartimento di Stato americano, ha incontrato Berthe Zinga Ilunga, Segretaria permanente della Commissione Nazionale per i Rifugiati (CNR). Al centro del colloquio, la situazione dei 241.626 rifugiati ruandesi ancora residenti in territorio congolese. Berthe Zinga Ilunga ha fornito molti dettagli sulla localizzazione di questi rifugiati nelle province del Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema, Kasai Orientale, Katanga, Equateur, Provincia Orientale e città di Kinshasa. Secondo lei, nel corso dell’operazione di registrazione effettuata dalla Commissione Nazionale per i Rifugiati, solo il 30% di questi rifugiati hanno espresso l’intenzione di tornare in Ruanda.[13]

c. I ribelli ruandesi delle FDLR

Il 5 agosto, in una conferenza stampa organizzata in occasione del vertice Stati Uniti – Africa a New York, l’inviato speciale degli Stati Uniti per la RDCongo e la Regione dei Grandi Laghi, Russ Feingold, ha affermato che «non c’è alcun motivo per il quale le FDLR possano continuare ad essere presenti nell’est della RDCongo. Le origini delle FDLR hanno ovviamente a che fare con i “genocidari” implicati negli orribili crimini perpetrati nel 1994 durante il genocidio in Ruanda e non si può più consentire che rimangano nell’est della RDCongo».  Ha aggiunto che «non vi è alcun motivo per il quale le FDLR chiedano l’apertura di qualsiasi tipo di dialogo politico. Si tratta di un gruppo armato illegale che deve essere semplicemente eliminato». Rispondendo a una domanda di un giornalista, Russ Feingold ha precisato che «è necessario sbarazzarci delle FDLR non tanto a causa della loro capacità militare, ma soprattutto a causa di ciò che rappresentano e per il loro effetto destabilizzante, in rapporto con il Ruanda».[14]

Secondo alcuni osservatori, l’interpretazione che Russ Feingold ha dato del fenomeno FDLR rischia di alimentare il conflitto e di rallentare, quindi, il processo di pace nella Regione dei Grandi Laghi in generale e nell’est della RDCongo in particolare.

In primo luogo, secondo Russ Feingold, una persona può e deve essere considerata “genocidaria” per il solo fatto di essere membro delle FDLR, anche se non vi è alcun atto di accusa contro di essa, né un’inchiesta giudiziaria, né un regolare processo con relativa sentenza.

In secondo luogo, Russ Feingold non tiene alcun conto dei crimini commessi dalle FDLR nella RDCongo ed è più preoccupato di ciò che le FDLR rappresentano per il Ruanda, cioè lo spettro del genocidio del 1994. Secondo Russ Feingold, le FDLR sono un elemento destabilizzante più per il Ruanda che per la RDCongo, ma è la RDCongo che deve disarmarle, perché si trovano sul suo territorio. In fin dei conti, secondo Russ Feingold è la RDCongo che deve risolvere il problema che le FDLR rappresentano non tanto per essa stessa, ma per il Ruanda.

In terzo luogo, Russ Feingold respinge decisamente la richiesta, avanzata dalle FDLR, di un dialogo politico con il governo ruandese, per facilitare il loro ritorno in patria. Russ Feingold sposa in pieno la posizione del regime ruandese che, come sempre, ricorre al ricordo del genocidio per squalificare sia le FDLR che l’opposizione, interna ed esterna, accusata di collaborare con le FDLR. Ma rifiutando il dialogo, il conflitto tra governo ruandese e FDLR rimarrà intatto, anche se tale conflitto è stato, finora, spostato sul territorio congolese.

Questa versione della realtà contribuisce, di fatto, a disincentivare il processo di disarmo e di rimpatrio volontario delle FDLR. I loro membri, accusati globalmente di genocidari, non accetteranno mai di varcare la frontiera, temendo di essere immediatamente arrestati, abche gli innocenti.

La Comunità internazionale dovrà capire che le FDLR non sono un problema di origine congolese, ma di origine ruandese e che, quindi, dovrà esigere che il Ruanda stesso lo risolva, in casa propria, sul proprio territorio. E probabilmente la via maestra per risolverlo sarà proprio il dialogo!

Quando il governo ruandese risolverà il conflitto con le FDLR, anche l’est della RDCongo, dove attualmente è stato spostato tale conflitto, potrà ritornare a vivere nella pace.

Il 25 settembre, l’ex primo ministro ruandese sotto Paul Kagame, Faustin Ntwagiramungu, passato all’opposizione e costretto all’esilio in Belgio, alleato delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), ha affermato che è necessario cercare una soluzione globale per i 250.000 rifugiati ruandesi ancora residenti nella RDCongo e non concentrarsi solo sui circa 1.400 FDLR. Pertanto, ha proposto alle Nazioni Unite di convocare un “Sun City” (dialogo) ruandese per trovare risposte concrete alle questioni dei rifugiati, delle FDLR e degli altri oppositori politici residenti all’estero.

Questa proposta dall’ex primo ministro ruandese è stata respinta da Julien Paluku, governatore del Nord Kivu. Per lui, il posto delle FDLR non è in RDCongo, ma in Ruanda, loro paese d’origine. Per quanto riguarda l’idea di organizzare un dialogo ruandese a Sun City (Sud- Africa), egli ritiene che non è appropriato che le FDLR chiedano un dialogo ruandese a partire da un Paese terzo com’é la RDCongo. Tutti coloro che implorano un tale dialogo devono dapprima ritornare in patria e, dal di dentro, esigere quindi un tale dialogo teso a risolvere tutti i problemi interni del loro paese, il Ruanda.[15]

Il 28 settembre, la Società Civile del Nord Kivu ha deplorato l’eccessiva lentezza che caratterizza il processo di disarmo volontario delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
Essa ha fatto notare che, con questa lentezza, le popolazioni dei territori di Lubero, Walikale, Rutshuru e Masisi continueranno a subire ancora a lungo le vessazioni perpetrate dalle FDLR e dai gruppi armati locali. A Lubero, per esempio, le FDLR occupano una grande parte del territorio, soprattutto a sud-ovest e a nord-ovest. Esse sono ancora presenti nei raggruppamenti di Itala, Lengwe, Munjowa, Tama e nella località di Fungula-Macho, nel settore di Bapere. Secondo l’amministratore di Lubero, Bokele Joy, circa il 30% del territorio è nelle mani delle FDLR e di altri gruppi armati che gestiscono l’amministrazione e impongono le loro decisioni alle popolazioni locali. Da ormai due mesi, i ribelli ruandesi rifiutano di essere trasferiti al campo di transito di Kisangani (Provincia Orientale) e di Irebu (Equateur), come deciso dal governo congolese.

La Società civile del Nord Kivu esorta il governo congolese e la Monusco di prevedere un rapido dispiegamento delle FARDC e della Brigata d’intervento delle Nazioni Unite in tutte le zone occupate da milizie locali e forze negative. Inoltre, essa invita la comunità internazionale a fare pressione su Kigali, affinché accetti di accogliere gli ex FDLR. Dal 2002, la Monusco ha rimpatriato 11.117 membri delle FDLR e loro familiari. Quelli ancora presenti nella RDCongo sono circa 1.500.[16]

d. I ribelli ugandesi dell’ADF

Il 3 ottobre, durante la notte, uomini armati identificati come ribelli ugandesi dell’Alleanza delle Forze Democratiche (ADF) hanno attaccato il villaggio di Mukoko, nel territorio di Beni (Nord Kivu). Fonti locali hanno indicato che gli attaccanti hanno ucciso tre persone e sequestrato altre tre, obbligate a trasportare le cose rubate  agli abitanti locali. Fonti della società civile hanno rivelano che una delle persone rapite ha rifiutato di trasportare le cose rubate dagli aggressori. È stata uccisa con un machete. In preda al panico, gli abitanti sono fuggiti, alcuni in foresta, altri verso Oïcha, capoluogo del territorio di Beni.[17]

Il 5 ottobre, nella notte, quattro persone sono state uccise, otto ferite e altre sette sequestrate nel corso di un attacco perpetrato da ribelli ugandesi dell’ADF nella località di Linzo Sisene, nel territorio di Beni (Nord Kivu ). Tra i rapiti, il capo del villaggio, accusato dai ribelli di essere un traditore. Fonti locali riferiscono che la maggior parte degli assalitori erano armati di fucili e armi bianche. La Società civile del Nord Kivu ha deplorato l’aumento degli omicidi e dei sequestri registrati nei giorni scorsi in villaggi in cui i ribelli ugandesi dell’ADF erano stati recentemente sconfitti dalle FARDC e chiede al governo congolese e alla Monusco di intervenire rapidamente.[18]

Il 6 ottobre, durante la notte, i ribelli ugandesi dell’ADF hanno attaccato i villaggi di May-Moya, Kisiki e Maibo, sulla strada Eringeti-Beni (Nord Kivu). In una dichiarazione rilasciata il 7 ottobre, la società civile provinciale ha parlato di otto civili uccisi.[19]

L’8 ottobre, verso sera, i ribelli ugandesi dell’ADF hanno attaccato la cittadina d’Oicha, nel territorio di Beni (Nord Kivu). L’amministratore del territorio, Amisi Kalonda, ha affermato che gli aggressori hanno ucciso nove persone. Altre quattro sono rimaste gravemente ferite. La popolazione d’Oicha e d’Eringeti è fuggita verso le città vicine di Beni e di Butembo. Si tratta del quarto attacco dell’ADF nello spazio di una settimana sull’asse Beni-Mbau. Le persone uccise sarebbero una ventina.[20]

Il 9 ottobre, il deputato nazionale Grégoire Kiro ha dichiarato di non saper spiegarsi il perché di questi attacchi, dato il gran numero di truppe delle FARDC dispiegate nella regione. Grégoire Kiro ritiene questi attacchi inaccettabili: «Non è possibile che ciò succeda in una zona in cui molti militari sono dispiegati per l’operazione Sukola e decine di agenti di polizia sono impiegati per la sicurezza della popolazione». Secondo lui, nulla è cambiato da quando sono iniziate le operazioni militari Sokola contro i ribelli ugandesi dell’ADF, perché la popolazione continua a vivere nella più completa insicurezza. Gregoire Kiro invita le autorità a “fare il loro lavoro”: «Ci sono molte autorità militari, politiche e amministrative. Esse non possono essere lì solo per constatare i danni. Esse devono prevenirli ed impedirli».[21]

Il 15 ottobre, nella mattinata, violenti scontri tra le FARDC e le ADF / NALU hanno avuto luogo  a Pabaota-Samboko, una località del raggruppamento di Batangi Mbau, a nord-ovest del territorio di Beni. Secondo un bilancio ancora provvisorio, una decina di membri dell’ADF-NALU sarebbero stati uccisi, 5 feriti e altri catturati, tra cui una ragazza di 12 anni. Gli ADF sarebbero fuggiti nella foresta, diretti verso la Provincia Orientale.

Il 15 ottobre, durante la notte, uomini armati hanno ucciso 27 persone e ferito altre 6 a Ngadi e a Kadowu, due località del territorio di Beni. L’attacco al villaggio di Ngadi è avvenuto intorno alle ore 19 locali. Secondo fonti della sicurezza, gli assalitori hanno fatto irruzione in diverse case e hanno attaccato i civili con machete e coltelli. In questo attacco, 13 persone sono state uccise e 6 feriti. Gli stessi assalitori sono partiti da Ngadi e hanno attaccato il vicino villaggio di Kadowu, dove hanno ucciso 14 persone, tra cui sette donne. La società civile di Beni ha attribuito questi attacchi ai ribelli ugandesi dell’ADF. Quest’attacco è l’ultimo di altri attacchi condotti dai ribelli ugandesi dell’ADF contro vari villaggi del territorio di Beni. In meno di una settimana, erano state uccise 25 persone. Includendo quest’ultimo attacco,  gli ADF / Nalu hanno ucciso 52 persone in sole due settimane.

Quest’ultimo attacco condotto contro due quartieri della periferia nord di Beni, una città di circa 500.000 abitanti, preoccupa la popolazione del Nord Kivu e mette in crisi le dichiarazioni ufficiali delle autorità congolesi, secondo cui i ribelli dell’Alleanza delle Forze Democratiche – Esercito di Liberazione Nazionale dell’Uganda (ADF-NALU) sarebbero praticamente ormai completamente sconfitti. Parlando sotto anonimato, un esperto del Nord Kivu, ha affermato che non vi è alcun dubbio che gli ultimi attacchi nella regione di Beni sono opera dell’ADF-NALU. Egli aggiunge che, «dalla morte, in agosto, del generale Lucien Bahuma, che comandava l’esercito nel Nord Kivu, non ci sono state più operazioni militari significative contro l’ADF che, in tal modo, sta ricuperando forza» e fa notare che «questi attacchi rappresentano un grande schiaffo per l’esercito congolese, soprattutto dopo un’operazione militare contro l’ADF, l’operazione Sokola, in cui ci sono stati molti morti” nelle file dell’esercito e che si riteneva ormai terminata».

L’8 ottobre, il tenente colonnello Felix Prosper Basse, portavoce militare della Monusco, aveva affermato che «l’ADF-NALU conserva ancora tutta la sua valenza negativa e ciò fino a quando non si riesca a decapitare la sua direzione organizzativa».[22]

Il 17 ottobre, 24 persone sono state uccise in un attacco presumibilmente perpetrato  dai ribelli ugandesi dell’ADF, ad Eringeti, località situata a circa 60 chilometri a nordest della città di Beni. Secondo l’amministratore del territorio di Beni, Amisi Kalonda, tra le vittime ci sono nove donne, otto bambini, cinque uomini e un militare dell’esercito congolese. Secondo lui, le vittime sono state uccise all’arma bianca, con asce e machete.

Da parte loro, i giovani di Beni hanno organizzato pattuglie notturne in diverse zone della cittadina. Secondo Jimmy Kighoma, presidente del consiglio comunale dei giovani, si tratta di una strategia di auto-difesa per garantire la sicurezza in città. Il Partito Liberale per lo Sviluppo ha chiesto al ministro della difesa di «dimettersi, perché incapace di garantire la sicurezza della popolazione». Inoltre, il vice presidente di questo partito, Jean-Paul Lumbulumbu, ha chiesto a Joseph Kabila di cambiare la catena di comando dell’operazione militare “Sokola” condotta contro i ribelli dell’ADF.

Per poter sconfiggere definitivamente l’ADF, la Società Civile del Nord Kivu ha chiesto alla Monusco di «impegnarsi militarmente a fianco dell’esercito e non limitare il suo sostegno al solo appoggio logistico».[23]

Dopo gli ultimi massacri perpetrati dai ribelli ugandesi, gli abitanti di Beni cominciano a perdere la fiducia nelle autorità locali. L’ultimo messaggio del sindaco di Beni, Nyonyi Masumbuko, trasmesso alla radio: «Restate calmi nelle vostre case, le autorità controllano la situazione» non ha convinto la popolazione. «Chi dice che siamo al sicuro mente», accusa Léon (nome cambiato). «Le autorità hanno promesso di riportare l’ordine in città, ma […] non abbiamo fiducia in loro», ha aggiunto, precisando: «Da due giorni, è la popolazione civile che si è organizzata per pattugliare diversi quartieri della città».  Si tratta di piccoli gruppi che, armati di bastoni e fischietti per dare l’allarme, vegliano tutta la notte intorno a un fuoco in prossimità dei principali incroci. Nelle strade della città si nota la presenza di militari e agenti di polizia, ma nulla lascia intravvedere un vero rafforzamento della presenza visibile delle forze dell’ordine.[24]

e. L’ex Movimento del 23 marzo (M23)

Il 7 ottobre, in un comunicato pubblicato a Goma, la società civile del Nord Kivu ha affermato di essere in possesso di informazioni secondo cui dei membri dell’ex ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) hanno ripreso il reclutamento di giovani nel territorio di Rutshuru (Nord-Kivu) e ha, quindi, chiesto alla comunità internazionale e al governo congolese di aprire delle indagini su tale “possibile” reclutamento. Secondo fonti locali, due persone sono state arrestate dai servizi di sicurezza a Rutshuru, essendo state sorprese mentre partecipavano ad un incontro su un possibile ritorno dell’ex M23. Si tratterrebbe di Patrice Tambuka, di sessanta anni, infermiere presso un centro sanitario di Kiwanja, a 3 km dal centro di Rutshuru, e di Roger Hatuma, ex capo villaggio di Kiwanja durante l’occupazione del M23. Le stesse fonti hanno confermato che molti giovani che stavano partecipando alla riunione, sarebbero riusciti a fuggire al momento dell’arrivo delle forze di sicurezza. Era da circa un mese che fonti locali riferivano di operazioni di reclutamento di giovani di Rutshuru da parte di simpatizzanti dell’ex M23. Secondo la società civile del Nord Kivu, questi movimenti di reclutamento sono stati constatati a Katale e a Buvunga, nel raggruppamento di Kisigari, nella zona di Bwisha, dove diverse persone sono state contattate per conto del M23.
Da parte sua, la Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco) ha detto di aver ricevuto segnalazioni secondo cui elementi dell’ex M23 sarebbero stati visti in gruppi abbastanza grandi, di 100 persone in un caso e di 150 in un altro caso. Tuttavia, dopo alcune missioni di controllo e di verifica, la Monusco ha assicurato di non aver trovato alcuna traccia di un eventuale reclutamento e ha affermato che, per il momento, si tratta di semplici voci.[25]

L’8 ottobre, a Goma, Nord-Kivu, le forze di sicurezza congolesi hanno affermato che 54 giovani sarebbero stati reclutati da membri dell’ex M23. Questi giovani viaggiavano, senza documenti legali, a bordo di un autobus in Uganda, insieme a due membri dell’ex ribellione che non hanno ancora usufruito dell’amnistia. Sono stati arrestati dalle forze di sicurezza ugandesi che li hanno consegnati ai loro colleghi congolesi. Di età compresa tra i 13 e i 40 anni, queste persone sono originarie dei raggruppamenti di Jomba e di Butanza, nella zona di Bwisa del territorio di Rusthuru. Esse affermano di essere state contattate da due reclutatori, un congolese e un ugandese, per lavorare in alcune piantagioni dell’Uganda. Tra questi, c’erano anche due ex membri del M23 che non hanno ancora usufruito dell’amnistia.[26]

Il 9 ottobre, in un rapporto pubblicato a Ginevra (Svizzera), l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha chiesto alle autorità di Kinshasa di condurre delle “inchieste giudiziarie approfondite” sui “crimini” commessi dagli ex ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) nell’est della Repubblica Democratica del Congo. «Date le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale che sono state documentate (…) si raccomanda alle autorità congolesi di avviare inchieste giudiziarie approfondite, rigorose e imparziali sui crimini commessi da membri civili e militari del M23 nella provincia del Nord Kivu», scrive l’Ufficio dell’Onu per i Diritti Umani. L’ONU accusa in particolare i membri del M23 di aver ucciso, violentato o torturato centinaia di persone tra aprile 2012 e novembre 2013 quando occupava parte del Nord Kivu. Queste violazioni dei diritti umani, scrive l’ONU, potrebbero in certi casi “costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Le Nazioni Unite hanno chiesto alle autorità congolesi di «consegnare alla giustizia tutti i responsabili di questi crimini».

«È fondamentale che giustizia sia fatta nei confronti delle vittime e che, infine, si ponga termine ai cicli d’impunità che da troppo tempo stanno minando gli sforzi intrapresi a favore della pace nella Repubblica Democratica del Congo», ha dichiarato l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Zeid Ra Ad Al Hussein. Secondo il rapporto, più di 116 persone sono state vittime di violazioni del diritto alla vita (omicidi); 351 hanno subito violazioni del diritto all’integrità fisica, tra cui 161 stupri; 296 sono state oggetto di violazioni del diritto alla libertà e alla sicurezza, tra cui numerosi casi di sequestro di persona e di reclutamento forzato, 18 casi di lavoro coatto e 50 casi di violazione del diritto alla proprietà. Il rapporto cita il caso di un uomo ucciso a Kiwanja il 2 novembre 2012 da uomini che indossavano l’uniforme del M23 perché si era opposto al saccheggio della sua casa e quella di due giovani uccisi perché si erano opposti al loro reclutamento forzato. Gli stupri sono stati in gran parte commessi nei campi per gli sfollati nei dintorni di Goma, ma anche nel campo militare di Katindo dove, tra il 21 e il 25 novembre 2012, 49 mogli di militari sarebbero state violentate da membri del M23. Tuttavia, l’Onu ritiene che, data la difficoltà nel condurre le indagini sul campo, «il numero totale delle vittime possa essere molto più elevato».

Dopo la sconfitta del M23, nel novembre 2013, la Repubblica Democratica del Congo ha emesso 13 mandati di arresto. Ma da allora, null’altro è stato fatto. Nessuno dei capi del gruppo è stato consegnato alla giustizia. Secondo Scott Campbell, Direttore dell’Ufficio della Monusco per i Diritti Umani a Kinshasa, il fatto che gli autori di violazioni dei diritti umani godano ancora di un’impunità totale è un fattore destabilizzante nella sub-regione. Scott Campbell ha dichiarato che consegnarli alla giustizia sarebbe parte integrante del consolidamento della pace e della prevenzione contro la creazione di nuovi gruppi armati.

Anche il Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, ha insistito sul fatto che gli autori di violazioni dei diritti umani debbano rispondere dei loro atti davanti ai tribunali. Egli ha quindi invitato le autorità congolesi ad una rigorosa applicazione della legge sull’amnistia approvata nel febbraio 2014. Secondo questa legge, i membri del M23 colpevoli di gravi crimini, quali il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, non possono essere amnistiati. Ne deriverebbe che, di fatto, dall’amnistia rimarrebbero esclusi un centinaio circa di militari del M23, accusati dalla RDC e dall’Onu per le loro numerose atrocità commesse durante la ribellione.[27]

I P.P. Jean-Pierre Ndulani, Edmond Kisughu e Anselme Wasukundi, tre sacerdoti Assunzionisti, sono stati rapiti il 19 ottobre 2012 nella loro casa di Mbau, nella regione di Beni, una delle principali città del Nord Kivu. Fino ad oggi, nessuno è stato in grado di stabilire con certezza le circostanze del loro sequestro e nulla di preciso si sa sulla loro sorte. Nessuna rivendicazione, un groviglio di comunità contrapposte, assenza dello Stato in una zona isolata, gruppi armati e corruzione, voci e manipolazioni … il caso è complesso.

Circa la causa del rapimento, «i tre padri assunzionisti sono congolesi appartenenti all’etnia Nande. Erano stati inviati in una parrocchia dove la maggior parte della popolazione è per lo più Bambuba, un’etnia tradizionalmente ostile ai Nande», afferma l’editore del bimestrale “Dietro le quinte”, Nicaise Kibel’Bel Oka, secondo cui «la popolazione di Mbau aveva chiesto dei sacerdoti appartenenti alla sua comunità etnica. Parte della popolazione è probabilmente rimasta delusa dalla decisione presa dalla diocesi, in occasione della nomina, in ottobre 2012, dell’equipe sacerdotale della parrocchia. I tre sacerdoti sono stati sequestrati una settimana dopo la loro nomina, da un gruppo armato locale, per poi essere consegnati all’ADF-Nalu.

Circa i possibili autori del rapimento, Nicaise Kibel’Bel Oka evoca la responsabilità di un gruppo locale di Mai Mai e del “Brigadiere Generale” Paluku Kombi Hilaire, disertore dell’esercito congolese e vero “padrino” della zona. Secondo un osservatore, «o ha ordinato il sequestro o ha recuperato gli ostaggi da un gruppo locale che li aveva già sequestrati. Per lui, avere in mano degli ostaggi potrebbe essere stato un modo per affermare la sua autorità sulla popolazione e sugli altri gruppi armati Mai-Mai». Nicaise Kibel’Bel Oka afferma poi che Paluku Kombi Hilaire avrebbe consegnato i tre sacerdoti, in cambio di armi, a un altro gruppo armato, le Foze Democratiche Alleate – Esercito di liberazione dell’Uganda (ADF-NALU). Un’affermazione condivisa da molti osservatori della regione, come la giornalista britannica Caroline Hellyer che, in quel tempo, viveva a Beni. Contattata a Londra, dove oggi abita, ha rivelato che «alla fine dell’estate 2013, l’ADF aveva aperto delle trattative per il loro rilascio» e che un intervento militare dell’esercito congolese «aveva chiuso tutte le porte».

Circa la loro sorte, secondo il giornale Les Coulisses (Dietro le quinte) e Radio Kivu 1, i tre Assunzionisti sono stati uccisi l’estate scorsa dall’ADF-Nalu, perché avevano rifiutato di convertirsi all’Islam. Ma non ci sono prove. Tuttavia, le probabilità di trovarli ancora vivi sono, purtroppo, poche.[28]

[1] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 27.08.’14

[2] Cf La Tempête des Tropiques – Africatime, 17.09.’14

[3] Cf RFI – 7sur7.cd, 17.09.’14

[4] Cf Radio Okapi, 16.09.’14

[5] Cf Radio Okapi, 14.09.’14

[6] Cf Radio Okapi, 16.09.’14

[7] Cf Radio Okapi, 16.09.’14

[8] Cf BBC – Africatime, 19.09.’14

[9] Cf AFP – 23.09.’14

[10] Cf Radio Okapi, 09.10.’14

[11] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 14.10.’14

[12] Cf 7sur7.cd, 23.09.’14

[13] Cf ACP – Kinshasa, 23.09.’14

[14] Cf RDCongo News – 7sur7.cd, 19.08.’14 http://7sur7.cd/index.php/8-infos/8319-feingold-tres-ferme-sur-la-fin-du-mandat-de-kabila#.U_RtjOkcRdg

[15] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 26.09.’14

[16] Cf Radio Okapi, 29.09.’14

[17] Cf Radio Okapi, 04.10.’14

[18] Cf Radio Okapi, 06.10.’14

[19] Cf Radio Okapi, 07.10.’14

[20] Cf Radio Okapi, 09.10.’14

[21] Cf Radio Okapi, 09.10.’14

[22] Cf Radio Okapi, 16.10.’14; Albert Kambale  – AFP, 16.10.’14

[23] Cf Radio Okapi, 18.10.’14; Albert Kambale – AFP – Africatime, 18.10.’14

[24] Cf AFP – Africatime, 20.10.’14

[25] Cf Radio Okapi, 08.10.’14

[26] Cf Radio Okapi, 10.10.’14

[27] Cf African Press Organization (APO) – Genève (Suisse), 09.10.’14; AFP – Africatime, 09.10.’14; RFI, 10.10.’14; APA – Arusha (Tanzanie) – Africatime, 10.10.’14. Testo integrale: http://monusco.unmissions.org/Portals/MONUC-French/BCNUDH%20-%20Rapport%20VDH%20M23%20-%20Octobre%202014%20-%20VERSION%20ORIGINALE.pdf

[28] Cf Laurent Larcher – La Croix, 21.10.’14 http://www.la-croix.com/Actualite/Monde/Que-sont-devenus-les-trois-pretres-enleves-il-y-a-deux-ans-au-Nord-Kivu-2014-10-21-1252426