Editoriale Congo Attualità n. 223– a cura della Rete Pace per il Congo
Due temi dell’attualità congolese: il fatidico intreccio tra politica e giustizia, da una parte, e la questione del disarmo volontario delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), dall’altra.
Politica e giustizia
Il Consiglio Supremo di Difesa ha “assolto, per mancanza di prove convincenti”, il Generale Gabriel Amisi, ex Capo di Stato Maggiore delle forze terrestri, accusato di traffico d’armi a destinazione di bracconieri e di gruppi armati attivi nell’est del Paese. Il popolo congolese lo sospetta di complicità con alcuni gruppi armati e, quindi, di alto tradimento della Nazione. Nessuna inchiesta giudiziaria indipendente è stata intrapresa nei suoi confronti. È stato assolto sulla base di un’inchiesta istruita da una commissione del Consiglio Supremo della Difesa e costituita da magistrati militari e, quindi, colleghi suoi.
Cinque giorni dopo, Jean-Bertrand Ewanga, deputato nazionale e segretario generale dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC), è stato arrestato in seguito ad una manifestazione indetta dai partiti dell’opposizione contro un’eventuale revisione della Costituzione che permetterebbe all’attuale presidente della Repubblica di rimanere al potere. Accusato di offesa nei confronti del Capo dello Stato e d’incitamento all’odio tribale e razziale, è stato immediatamente processato conformemente al decreto legge relativo ai casi di flagranza di reati, oggetto, per altro, di sospetti di incostituzionalità.
Questi due casi rivelano l’evidente squilibrio di una giustizia a due velocità: debole con i potenti e impietosa con i cittadini normali. Rivelano anche il complicato rapporto tra politica e giustizia. Qualora la giustizia fosse asservita al potere di turno, essa perderebbe immediatamente le caratteristiche dell’indipendenza, della neutralità e dell’oggettività. Perderebbe addirittura la nozione stessa del diritto. Sul piano politico, le conseguenze sarebbero nefaste: l’impunità nei confronti del potere e dei suoi alleati e la repressione nei confronti dell’opposizione.
Ciò che il popolo congolese si aspetta dal Governo è il rigoroso rispetto del principio della separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, come sancito dalla stessa Costituzione.
Questo è il vero cambiamento che il popolo reclama con tutte le sue forze, non la revisione dell’articolo 220 della Costituzione che limita a due i mandati del presidente della Repubblica.
La maggioranza che si è creata intorno a lui potrà cercare un altro leader che porti avanti il suo stesso programma. Sarà il popolo a pronunciarsi attraverso le urne. Le persone passano, le istituzioni rimangono.
La questione del disarmo volontario delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda
Dopo il relativo successo della fine del mese di giugno, il processo di disarmo volontario dei membri delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) si trova, nelle ultime settimane, ad un punto morto.
Il portavoce delle FDLR, Laforge Fils Bazeye, ha recentemente dichiarato che il gruppo ha accettato di deporre le armi per continuare la lotta sul piano politico. Per questo, esige che in Ruanda si apra uno spazio politico, affinché il gruppo vi possa ritornare come partito politico ufficialmente riconosciuto. «Invece di esigere che Kigali apra lo spazio politico, l’Onu ci minaccia dandoci degli ultimatum. Questo è davvero inaccettabile», afferma Laforge Fils Bazeye.
Non ha tutti i torti. Sa bene che sono l’Onu e la Comunità Internazionale che hanno imposto al Governo congolese di negoziare dapprima con il CNDP e poi con l’M23. Le FDLR vorrebbero che l’Onu e la Comunità Internazionale imponessero lo stesso schema a Kigali.
Ci si può chiedere perché l’Onu e la Comunità internazionale camminano su un doppio binario: uno per la RDCongo e, l’altro, per il Ruanda. La risposta è che sanno bene che negoziare con un gruppo armato indebolisce lo Stato. Forse è per questo che non sono disposti a far pressione sul regime ruandese affinché accetti di negoziare con le FDLR. Preferiscono salvaguardare l’attuale relativa “stabilità” del Ruanda, anche se fondata sulla dittatura, sulla repressione, sulla mancanza della libertà di espressione e sulla violazione dei diritti umani.
Questa scelta ha un limite: è una bomba a orologeria. Verranno i tempi in cui l’attuale situazione ruandese raggiungerà i livelli dell’insopportabilità e dell’intollerabilità ed esploderà in una nuova catastrofe umanitaria. Prevenirla per evitarla esige l’apertura, in Ruanda, di un processo di democratizzazione della vita politica, in cui ci sia uno spazio per il pluralismo politico, la libertà di espressione e il rispetto dei diritti umani.
Anche le FDLR possono contribuirvi, aderendo al programma di disarmo volontario e di rimpatrio volontario / delocalizzazione in un Paese terzo diverso dalla RDCongo, anche se quest’ultima opzione comporta il caro prezzo dell’esilio. Le FDLR non possono tenere il popolo congolese in ostaggio con la forza delle armi per avanzare rivendicazioni politiche nei confronti del Ruanda. Chi fra loro ha commesso dei crimini o ha violato dei diritti umani deve rendere conto dei suoi atti davanti alla giustizia. Anche questo è il giusto prezzo che va pagato, affinché la pace cessi di essere solo un’aspirazione popolare e diventi una realtà nell’est della RDCongo e nell’intera Regione dei Grandi Laghi.