INDICE
1. LA SITUAZIONE UMANITARIA NELL’EST DELLA RDCONGO
2. I GRUPPI ARMATI
a. Le Forze Democratiche per le Liberazione del Ruanda (FDLR)
b. Il Movimento del 23 marzo (M23)
c. I Mai-Mai
2. IL DIBATTITO SULLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE
1. LA SITUAZIONE UMANITARIA NELL’EST DELLA RDCONGO
Da diversi giorni, nel territorio di Beni, a circa 350 km a nord di Goma (Nord Kivu), circa 160 ex ostaggi dell’Alleanza delle Forze Democratiche (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, vivono in una terribile situazione umanitaria. La società civile di Beni indica che, dal loro ritorno, queste persone non usufruiscono di alcuna assistenza da parte delle autorità o delle organizzazioni umanitarie. L’amministratore del territorio di Beni, Kalonda Amisi, ha detto di non aver alcun mezzo per aiutarli. Molti di questi ex ostaggi sono malati, mostrano segni di grave malnutrizione e soffrono di traumi psicologici per le atrocità subite, ha affermato l’Ong Convenzione per il rispetto dei diritti umani (CRDH), aggiungendo che le donne e le ragazze sfuggite dalle mani dei ribelli ugandesi sono state utilizzate come schiavi sessuali e che la maggior parte di esse sono ricoverate presso l’ospedale di Oicha. «Abbiamo accolto quattro donne che sono arrivate in stato di gravidanza. La maggior parte delle donne e delle bambine sono state violentate. Nella foresta, esse hanno vissuto in situazioni terribili. Gli ex ostaggi hanno affermato che dei membri delle loro famiglie sono stati uccisi in loro presenza e che i loro corpi sono stati decapitati e usati come cibo insieme a carne di capra. Sono quindi stati obbligati a mangiare carne umana», ha dichiarato Jean-Paul Paluku Ngongondi, presidene di CRDH. Questi ex ostaggi sono riusciti a fuggire durante la distruzione delle basi dell’ADF da parte delle FARDC, attraverso l’operazione “Sokola” (Pulizia), lanciata in collaborazione con le forze della Monusco. Ma centinaia di altri rimangono ancora ostaggi. Da parte sua, la Monusco si è già mobilitata per cercare queste persone abbandonate dall’ADF nella foresta di Beni e che vagano senza alcuna assistenza.[1]
Il 15 agosto, l’autorità amministrativa del raggruppamento di Ziralo, nel territorio di Kalehe (Sud Kivu), Melchior Nsengo Witanene, ha dichiarato che più di tremila e trecento sfollati rientrati ai loro villaggi vivono senza alcuna assistenza umanitaria già da sette giorni. Queste persone erano fuggite, lo scorso luglio, a causa di scontri tra i Mai-Mai Raia Mutomboki e i Mai-Mai Kirikicho.
Nsengo Witaneme ha aggiunto che una nuova ondata di sfollati sta già rientrando. Tutti mancano di casa, medicine, cibo e acqua potabile. L’autorità amministrativa di Ziralo chiede un urgente intervento delle organizzazioni umanitarie.[2]
Nel primo semestre del 2014, quasi 3.000 vittime della violenza sessuale sono state registrate in due province dell’est della RDCongo, dove sono attivi gruppi armati sempre più violenti. Il governo ha tentato di ridurre il numero degli stupri, ma la giustizia è troppo lenta.
«Durante la prima metà del 2014, l’ospedale Heal Africa di Goma ha identificato 2.829 vittime della violenza sessuale nelle due province del Nord Kivu e del Maniema», ha annunciato in un comunicato del 18 agosto l’ospedale Heal Africa, specializzato nell’assistenza alle vittime.
Alcune sono state violentate prima dell’inizio dell’anno. Secondo Ferdinand Mugisho, responsabile della comunicazione dell’ospedale, nel primo semestre del 2014 sono state registrate 1.679 persone, tra cui 1.573 hanno ricevuto assistenza. Heal Africa ha fornito un’assistenza medica, psico-sociale, economica e giuridica a molte vittime. 1.080 hanno ricevuto un trattamento entro 72 ore dall’aggressione, per evitare di contrarre l’HIV / AIDS e contro gravidanze indesiderate. Tuttavia, l’ospedale non ha potuto assistere tutte le vittime, soprattutto donne, perché «alcune risiedevano troppo lontano, altre sono state scoraggiate dalle stesse famiglie, quando le lesioni non erano gravi, altre ancora si sono recate presso i centri di salute vicino a loro», ha precisato Ferdinand Mugisho. Jonathan Muhindo Kasereka Lusi, rappresentante legale di Heal Africa, ha osservato che «su più di 440 casi seguiti dalle cliniche giuridiche, sono solo 98 le sentenze che sono state pronunciate» nel Nord Kivu e Maniema. Nel mese di luglio, anche Medici Senza Frontiere (MSF) aveva denunciato gli abusi commessi da milizie armate nelle zone minerarie dell’est della RDCongo, citando pratiche di “schiavitù sessuale”.[3]
Per la prima volta, i rifugiati ruandesi sono stati identificati e registrati. Finora, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite stimava a 100.000 il numero di rifugiati ruandesi nel mondo. Ma sono già quasi 245.000, nel solo Congo, quelli che si sono presentati per farsi registrare. È questa la cifra cui è pervenuta la Commissione nazionale congolese per i Rifugiati, che ha fatto il censimento con l’appoggio dell’UNHCR. È nel Nord Kivu che è concentrata la maggior parte di questi rifugiati. Sono circa 199.000 nel Nord Kivu e 42.000 nel Sud Kivu. Ma si trovano anche nel Katanga, nel Kasai Orientale, nel Maniema, nell’Equateur e anche, in misura minore, a Kinshasa.
È durante il genocidio del 1994 che queste persone hanno attraversato il confine, davanti all’avanzata delle truppe del FPR ora al potere in Ruanda. Poi, dopo l’invasione dell’esercito ruandese in Congo, essi fuggirono verso l’interno. Molti di questi rifugiati sono giovani che non hanno mai conosciuto il Ruanda. Due terzi di queste 245.000 persone dicono che non vogliono tornare al loro paese. Questo dato potrebbe cambiare – dice la Commissione Nazionale per i Rifugiati – in seguito ad una campagna di sensibilizzazione al ritorno in cui verrà coinvolto anche il governo ruandese che ha, già da tempo, chiesto l’applicazione della clausola di cessazione dello statuto di rifugiati per tutti i Ruandesi vivono all’estero. Le FDLR si presentano come i protettori dei rifugiati ruandesi e fanno sapere che senza l’apertura di uno spazio politico in Ruanda, essi non potranno ritornarvi in buone condizioni. L’UNHCR afferma di aver rimpatriato, dal 2001, circa 135.000 Ruandesi che vivono in Congo.[4]
Le comunità etniche di Kitchanga, nel Nord Kivu, hanno espresso la loro volontà di superare i loro conflitti per promuovere una coesistenza pacifica. L’hanno affermato alcuni delegati delle etnie Hunde, Hutu e Tutsi nel corso di un incontro cui hanno partecipato oltre un centinaio di persone e le autorità amministrative locali. L’incontro era stato organizzato dall’associazione “Programma di ricostruzione della pace e dello sviluppo”.
Al centro dell’incontro: un messaggio di perdono tra le varie comunità, soprattutto Tutsi, Hutu e Hunde. Due le principali raccomandazioni ai partecipanti: in primo luogo, gli Hunde sono stati invitati ad accettare i Tutsi e gli Hutu come Congolesi con cui vivere insieme. In secondo luogo, gli Hutu e i Tutsi sono stati invitati ad accettare l’autorità tradizionale del Mwami Bashali sul territorio denominato Bashali Mukoto.
Inoltre, i capi di queste comunità etniche hanno chiesto a tutti i gruppi armati: Nyatura, APCLS e ex M23 di consegnare le armi che ancora nascondono nelle loro case e che sono alla base di violenze e conflitti in questa regione. Queste comunità hanno anche concordato di rivolgersi al comitato intercomunitario di Kitshanga per risolvere tutte le eventuali controversie. Negli ultimi mesi, nel territorio di Masisi, la tensione tra le varie comunità locali era notevolmente aumentata, soprattutto per questioni fondiarie di terre.[5]
2. I GRUPPI ARMATI
a. Le Forze Democratiche per le Liberazione del Ruanda (FDLR)
Il 4 agosto, nel corso d’una conferenza stampa in occasione del vertice USA-Africa, l’inviato speciale del presidente Barack Obama per la regione dei Grandi Laghi e per la RDCongo, Russ Feingold, ha affermato che «non c’è alcun motivo che giustifichi ancora la presenza delle FDLR nell’est della RDCongo. Gli Stati Uniti ritengono valida l’opzione militare contro le FDLR. Tale operazione deve essere ormai pronta per essere utilizzata. Nello stesso tempo, gli Stati Uniti cercano di facilitare un disarmo volontario. Cerchiamo di fare in modo che il processo di disarmo sia veloce. D’altra parte, non crediamo che ci sia una giustificazione sufficiente perché le FDLR richiedano un dialogo politico. Si tratta di un gruppo armato illegale che deve essere eliminato, come è stato fatto con il M23 e l’ADF».[6]
Il 9 agosto, dei presunti membri delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) hanno ucciso quattro persone e ferito un’altra nella foresta di Mungomba, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Secondo fonti attendibili, le vittime sono state attaccate mentre lavoravano nei loro campi. Tra le vittime, un uomo è stato ucciso e bruciato vivo.
La Società civile locale denuncia l’insicurezza causata dalla presenza dei gruppi armati che, per accedere ai propri campi, esigono il pagamento di 15 $ per ogni tipo di cultura. Essa deplora anche l’assenza delle FARDC e della polizia nazionale in questa zona infestata da vari gruppi armati, tra cui compreso le FDLR-Rudi, i gruppi Mai-Mai e i Nyatura.[7]
Il 9 agosto, un centinaio di combattenti delle FDLR e 200 membri delle loro famiglie, raggruppati in un campo di transito a Kanyabayonga (Nord Kivu), dovevano essere trasportati a Beni con dei camion per essere poi condotti a Kisangani per via aerea. La Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco) aveva mandato nove camion, ma le FDLR hanno rifiutato di salire a bordo. Il segretario esecutivo delle FDLR, Wilson Irategeka, spiega che la Monusco aveva pianificato tale operazione in modo unilaterale. Egli giustifica il loro rifiuto anche per l’ostilità della società civile e delle autorità locali di Kisangani nei confronti di tale trasferimento.
La Monusco è rimasta delusa dal fatto che le FDLR abbiano rifiutato di trasferirsi a Kisangani (Provincia Orientale). Il responsabile della Monusco nel Nord Kivu, Ray Virgilio Torres, ha affermato che questo rifiuto è una chiara violazione della volontà espressa dalle FDLR di porre fine alla lotta armata. Infine, ricorda che, come rilevato dal rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu nella RDCongo, Martin Kobler, l’opzione militare rimane sempre sul tavolo.[8]
L’11 agosto, il comandante della 9ª Regione Militare, il Generale Jean-Claude Kifwa, ha vietato tutte le manifestazioni contro il trasferimento temporaneo degli ex ribelli delle FDLR a Kisangani (Provincia Orientale). Egli ha annunciato questa decisione nel corso di un incontro con i membri della società civile. «Il problema delle FDLR è strettamente militare e di competenza del governo, per cui non può essere autorizzata alcuna manifestazione pubblica», ha affermato il generale Kifwa.[9]
Il 14 agosto, i Capi di Stato dei Grandi Laghi, riuniti a Luanda (Angola), hanno dato ai ribelli hutu ruandesi delle FDLR fino al 31 dicembre, e non un giorno di più, per deporre le armi. Martin Kobler, il capo della Monusco, ha accolto con favore la decisione e ha sottolineato che «l’opzione militare è ancora sul tavolo». Egli ha chiesto alle FDLR di tornare pacificamente in Ruanda per vivere una “vita tranquilla“. Secondo lui, 11.000 ex combattenti sono tornati in condizioni accettabili.
Il Ruanda rifiuta ogni forma di dialogo politico con le FDLR, ma le incoraggia a ritornare volontariamente in patria per essere smobilitati e reintegrati nella società. Dal 2001, 11.000 ex combattenti delle FDLR sono ritornati in Ruanda, un paese riconosciuto per la sua performance economica, ma spesso criticato per le sue violazioni dei diritti umani.
Gli ex combattenti delle FDLR che ritornano in Ruanda passano attraverso il centro di smobilitazione di Mutobo, nel nord del Paese, in funzione già dai primi anni 2000. In tale centro viene inculcata un’educazione civica basata sui principi di patriottismo, di ricostruzione e di riconciliazione. Alla fine del corso, ricevono 180.000 franchi ruandesi (circa 200 euro), la promessa di una formazione professionale e la garanzia di non essere perseguiti dalla giustizia, a meno che non abbiano partecipato al genocidio dei Tutsi nel 1994. Se la Commissione di smobilitazione e di reintegrazione ha ammesso di non essere in grado di dare una cifra su procedimenti penale per genocidio, il suo presidente, Jean Sayinzoga, ha dichiarato che gli ex ribelli che ammettono i loro crimini e chiedono perdono possono vedere la loro pena ridotta à metà.
Dopo questo passaggio a Mutobo, gli ex combattenti possono ritornare ai loro villaggi di origine.
Secondo Jean Sayinzoga, «la reintegrazione è stata un successo nel 75% dei casi». Ma questi ex nemici di Kigali si possono dire veramente liberi in Ruanda? Sì, dice Jean Sayinzoga, assicurando che essi, per esempio, non sono obbligati a presentarsi alle autorità locali. Eppure, secondo varie testimonianze, alcuni di loro affermano di sentirsi molto sorvegliati. Alcuni sono stati accusati di essere implicati in attentati con granate, altri sono stati arrestati nel corso d’una recente ondata di arresti e di sequestri, come denunciato anche dagli Stati Uniti.
Il portavoce delle FDLR, La Forge Fils Bazeye, ha detto di temere la pressione di Kigali e chiede delle garanzie. «Con tutto il rispetto che ho per Martin Kobler, sembra però che egli non sia a conoscenza della situazione in Ruanda, dove non c’è alcun rispetto dei diritti umani. Non c’è democrazia», dice, aggiungendo che «è sorprendente che [Martin Kobler] non ne sia a conoscenza». Egli afferma che «le FDLR sono pronte a rientrare in Ruanda, ma non come pecore condotte al macello». Egli pone anche alcune condizioni: «L’apertura dello spazio politico, affinché le FDLR possano ritornare in patria come partito politico in grado di esercitare i diritti politici». Egli afferma anche che «quelli che sono finora tornati in Ruanda sono passati attraverso il programma di disarmo e di reinserimento (DDRRRR) effettuato presso il centro di Mutobo, che è un centro per il lavaggio del cervello. Noi non possiamo accettare».[10]
Il 15 agosto, Ray Virgilio Torres ha dichiarato che, «le FDLR chiedono (alla Monusco) di far pressione sul Ruanda affinché possano ritornare in patria come partito politico, ma questa non è la missione della Monusco». Egli ha insistito sul fatto che «la Monusco non può negoziare con i gruppi armati. Il ruolo della Monusco è di disarmarli». Dal 30 maggio scorso, la Monusco ha già speso oltre un milione di dollari per i membri delle FDLR che hanno deposto le armi.
Secondo l’analista politico Pascal Cikuru, ricercatore per la regione dei Grandi Laghi, «il disarmo delle FDLR è un problema complesso e, in questo processo, l’impegno del Ruanda è molto importante. Fino a quando il Ruanda continua a considerare i membri delle FDLR come genocidari, in questa regione non ci sarà pace duratura. Il Ruanda ha il dovere di aprire un dialogo di riconciliazione con le FDLR, come ha fatto la RDCongo con il movimento ribelle del 23 marzo (M23)».[11]
Il 18 agosto, il 34° Vertice ordinario dei Capi di Stato e di governo dei paesi membri della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC), tenutosi a Victoria Falls, in Zimbabwe, «ha approvato la decisione presa nell’ultima riunione ministeriale congiunta SADC / CIRGL che prevede il disarmo volontario delle FDLR entro sei mesi. Il vertice ha chiesto alle Nazioni Unite, in collaborazione con l’Unione Africana, di apportare il loro appoggio, rimpatriando i membri delle FDLR che hanno volontariamente deposto le armi e accogliendoli temporaneamente in paesi terzi esterni alla regione dei Grandi Laghi. Tali operazioni potrebbero essere effettuate nello spazio di sei mesi, come concordato dalla SADC e dalla CIRGL».[12]
b. Il Movimento del 23 marzo (M23)
L’11 agosto, per quanto riguarda l’applicazione della legge sull’amnistia, gli ex ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) hanno, in un comunicato, denunciato come ingiusto l’atteggiamento del governo congolese che, secondo loro, ha deliberatamente impedito ad un numero significativo dei suoi membri, rifugiati in Ruanda e in Sud Africa, di adempiere alla procedura della firma dell’atto d’impegno a non prendere più le armi. «Quelli che non hanno avuto la possibilità di firmare l’atto richiesto sono circa 500», ha dichiarato il presidente politico del M23, Bertrand Bisimwa, in esilio in Uganda, dove la maggior parte dei combattenti del M23 si sono rifugiati. La data limite per presentare tale documento scadeva proprio l’11 agosto.
Da parte sua, il governo congolese ha assicurato che lo studio degli atti d’impegno già firmati continuerà oltre tale data.
Secondo il M23, solo (…) 31 dei suoi membri sono stati ufficialmente amnistiati, su un totale di 3.657 firmatari dell’atto d’impegno e decine di persone sono state arrestate dopo aver firmato l’atto ed essere rientrati. Il M23 precisa di aver individuato, a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, 16 detenuti presso la prigione centrale di Munzenze e 7 nelle celle della National Intelligence Agency (ANR).
Le Nazioni Unite e molte organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani accusano il M23 di gravi esazioni contro i civili. Il governo ha più volte ripetuto che l’amnistia non è applicabile ai presunti responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Ma, secondo Bertrand Bisimwa, «tutti i membri del M23 sono ammissibili all’amnistia».
Il 7 agosto, Alexis Lamec, Rappresentante permanente della Francia presso le Nazioni Unite, ha dichiarato, in una riunione del Consiglio di Sicurezza, che la smobilitazione dei combattenti del M23 è ancora incompleta e che la possibilità di una sua riorganizzazione militare potrebbe essere una grave minaccia. Per questo, ha «chiesto alla RDCongo di intensificare gli sforzi, per rendere operativo il processo di disarmo, smobilitazione e reinserimento e all’Uganda e al Ruanda di cooperare, affinché si metta definitivamente fine all’attività di questo gruppo armato».[13]
Dal 15 agosto, almeno sette persone, tra cui una ferita, sarebbero detenute presso le strutture delle FARDC, a Mushaki, a una quarantina di chilometri ad ovest di Goma, nel territorio di Masisi (Nord Kivu). Sospettate di appartenere agli ex ribelli del M23, sono state consegnate alle FARDC basate a Ngungu dalla milizia dei Raia Mutomboki attivi nel raggruppamento di Ufamandu I, a sud di Masisi. Secondo varie fonti amministrative locali, violenti scontri tra questi due gruppi avevano avuto luogo a Remeka, nei giorni precedenti. Secondo il capo del raggruppamento di Ufamandu I, Joseph Misati, i sette catturati farebbero parte di un gruppo di diciotto persone arrivate a Remeka pochi giorni prima e con tredici armi. Secondo l’autorità locale, essi volevano convincere i Raia Mutomboki a collaborare con loro. Ma questi miliziani hanno respinto l’offerta e hanno preso in ostaggio i sette delegati che si erano presentati da loro. Quando i compagni degli ostaggi hanno cercato di liberarli, si è innescato uno scontro tra le due parti. Secondo fonti amministrative locale, almeno sei attaccanti sarebbero stati uccisi e vari altri feriti, tra cui uno degli ostaggi.[14]
Questo gruppo d’infiltrati sarebbe composto di alcuni disertori dell’esercito congolese, da reclute civili e da alcuni che si dichiarano “ex membri dell’esercito ruandese.” Il colonnello Kabene, dell’8ª regione militare a Goma, ha confermato che queste persone sono dei membri del M23.
Secondo un’autorità locale di Ufamandu, il capo degli infiltrati sarebbe Claude Safari, al soldo di un ex membro del M23 rifugiato in Ruanda, un certo Badege Katama. Il principale “reclutatore” di questi infiltrati sarebbe Alphonse Kapasi, un ex capitano dell’esercito ruandese. Secondo le informazioni di Radio Kivu1, questo movimento si è denominato M27. Sarebbe in combutta con l’ex braccio destro di Bosco Ntaganda, Francois Ngaruye, un non amnistiato fuggito in Ruanda. Le infiltrazioni continuano e guardie del corpo di Bosco Ntaganda e del colonnello Ngaruye sono state viste nel territorio di Masisi.[15]
c. I Mai-Mai
Il 9 agosto, la milizia della Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI) ha assassinato il capo tradizionale del villaggio di Medu, nel territorio d’Irumu (Provincia Orientale). Un’autorità locale spiega che, dopo un breve interrogatorio, i suoi aguzzini gli hanno sparato più volte a distanza ravvicinata. Lo accusavano di passare all’esercito delle informazioni sulle atrocità da loro commesse nei confronti della popolazione. I membri di questa milizia guidata da Cobra Matata hanno commesso stupri, atti di torture e saccheggi. Il 6 agosto, la milizia FRPI aveva violentato una dozzina di donne e rubato polli, capre e denaro nelle località di Kaguma, Kilonge e Zimbira.[16]
Il 10 agosto, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) hanno cacciato i Mai-Mai Cheka dalla località di Kabombo situata nel raggruppamento di Utunda, a circa 100 km a nord est della città di Walikale (Nord -Kivu). Cheka e i suoi uomini avrebbero ripiegato oltre il fiume Osso, verso le localtà di Irumba, Burongo, Katanga e Oninga, nel raggruppamento di Bakano, al confine tra i territori di Walikale e di Lubero (Nord Kivu). Secondo fonti militari, la milizia Nduma Difesa del Congo (NDC) si trova totalmente indebolita e tenta di raggiungere il territorio di Lubero, ma l’esercito è già in allerta per bloccarle la strada.[17]
2. IL DIBATTITO SULLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE
Il 4 agosto, nel corso di una conferenza stampa in occasione del vertice USA-Africa, l’inviato speciale del presidente Barack Obama per la regione dei Grandi Laghi e per la RDCongo, Russ Feingold, ha dichiarato che, «per quanto riguarda la elezioni provinciali e le elezioni presidenziali, esse devono svolgersi entro la fine del 2016, tenendo conto dei limiti applicabili ai mandati del presidente. Secondo la Costituzione congolese, i mandati del presidente sono solo due. Il Segretario Kerry l’ha molto chiaramente precisato durante la sua visita a Kinshasa e l’ha ripetuto ieri nel nostro eccellente incontro con il presidente Kabila».
Rispondendo alle domande che sono seguite, Russ Feingold ha aggiunto che «le elezioni locali non sono considerate inderogabili dalla Costituzione congolese. Ciò che è richiesto dalla Costituzione, però, è che le elezioni presidenziali si svolgano nel 2016. Nell’articolo 220 della Costituzione congolese, è esplicitamente dichiarato che un presidente può esercitare solo due mandati consecutivi. Crediamo che sia nell’interesse della RDCongo e del suo futuro che la Costituzione sia rispettata. L’articolo 220 stipula espressamente che non può essere modificato. È una delle poche disposizioni, se non l’unica nella costituzione congolese, che non può essere modificata».[18]
L’11 agosto, di fronte all’ampiezza delle reazioni a un’eventuale revisione della Costituzione, Henry Thomas Lokondo, deputato nazionale della maggioranza presidenziale, ha chiesto ai politici congolesi di allentare la tensione. Secondo lui, il dibattito sull’articolo 220 della Costituzione sta inquinando il clima politico e crea un clima di campagna elettorale anticipata, pur sapendo che le prossime elezioni presidenziali e legislative non si terranno prima del 2016. Secondo lui, i costituenti hanno designato quattro categorie di persone che potrebbero prendere l’iniziativa di chiedere la revisione della Costituzione: il Capo dello Stato, il Governo in Consiglio dei ministri, il parlamento (Senato e Assemblea Nazionale) o almeno la metà dei suoi membri e il Popolo stesso attraverso la raccolta di 100.000 firme. «Nessuna di queste categorie ha finora introdotto un progetto o proposta di legge per la modifica dell’articolo 220 della Costituzione», afferma il deputato, aggiungendo: «non credo che la modifica di altri articoli possa svuotare la sostanza dell’articolo 220. No, non lo penso».
Il governo ha recentemente presentato all’Assemblea Nazionale un progetto di legge sulla revisione costituzionale. Secondo il ministro degli Interni, Richard Muyej, la revisione non riguarda le materie bloccate dall’articolo 220 della Costituzione. Tuttavia, il ministro ha affermato che l’articolo 220, che non consente all’attuale Presidente Joseph Kabila di candidarsi per un terzo mandato presidenziale, potrebbe essere modificato con referendum popolare.[19]
Il 12 agosto, il Movimento Sociale per il Rinnovamento (MSR), seconda forza politica della Maggioranza Presidenziale (MP), è intervenuto nel dibattito in corso sulla revisione della Costituzione. Secondo il MSR, l’idea di rivedere le “disposizioni intoccabili della Costituzione” non è mai stata discussa in seno alla piattaforma politica di cui è membro. Il partito afferma che, anche se le posizioni di alcuni partiti e personalità della maggioranza su questo tema sono state rese pubbliche, rimangono tuttavia personali e non impegnano la piattaforma. Per questo, il MSR chiede un “dibattito interno franco e responsabile“.
Laurent Simon Ikenge, portavoce del MSR, ha dichiarato che lo statuto della Maggioranza Presidenziale stipula che “ogni questione relativa ad un cambiamento di fondo a livello della vita nazionale sarà necessariamente oggetto di previa discussione all’interno del Comitato Politico“. Secondo Laurent-Simon Ikenge, per quanto riguarda la questione della revisione della costituzione non si è seguito questa procedura e «il MSR non si sente vincolato dalle dichiarazioni» di quei membri favorevoli a una revisione della Costituzione.
Il MSR deplora il fatto che «la revisione costituzionale che avrebbe dovuto essere un dibattito democratico sano, si sia trasformato purtroppo in una polemica sterile». Il partito di Pierre Lumbi ha formalmente chiesto al segretario generale della Maggioranza Presidenziale, Aubin Minaku, un dibattito interno in vista di un’opzione comune su questo tema. Tuttavia, il MSR ha già indicato che le disposizioni intangibili previste all’articolo 220 della Costituzione, che impediscono a Joseph Kabila di candidarsi per un terzo mandato presidenziale, non dovrebbero far parte del dibattito politico attuale, tanto più perché non sono state incluse nella proposta di riforma costituzionale annunciata dal governo il 9 giugno scorso.[20]
Il leader del Movimento per il Rinnovamento (opposizione), Clément Kanku, ha annunciato che, nella prossima sessione parlamentare di ottobre, dovrebbe presentare in Parlamento un disegno di legge sul rafforzamento dello statuto degli ex Capi di Stato. Egli parte dal principio che tale iniziativa potrebbe incoraggiare l’attuale presidente a cedere il posto. Secondo il parlamentare del Movimento per il Rinnovamento, dicendo no alla revisione costituzionale, è tuttavia importante rassicurare il presidente Kabila sul suo futuro. Clément Kanku l’ha dichiarato durante una sua conferenza stampa: dopo la fine del loro mandato, oltre allo statuto di senatori a vita in virtù della Costituzione, gli ex presidenti dovrebbero poter usufruire di garanzie d’immunità e di sicurezza. Clément Kanku vorrebbe evitare che l’attuale presidente si senta «costretto a restare al potere a tutti i costi», un approccio che porterebbe il Paese verso «un’altra spirale d’instabilità», e ha concluso: «Presenteremo questa proposta di legge, affinché l’attuale Capo dello Stato, Joseph Kabila – che ci auguriamo sia il primo Capo di Stato a permettere questo passaggio di potere in modo pacifico – possa rimanere in Congo» [dopo aver lasciato il potere].[21]
[1] Cf Radio Okapi, 15.08.’14
[2] Cf Radio Okapi, 16.08.’14
[3] Cf AFP – Jeune Afrique, 18.08.’14
[4] Cf RFI, 20.08.’14
[5] Cf Radio Okapi, 16.08.’14
[6] Cf RDCongo News – 7sur7.cd, 19.08.’14
[7] Cf Radio Okapi, 12.08.’14
[8] Cf RFI, 12.08.’14; Radio Okapi, 13.08.’14
[9] Cf Radio Okapi, 12.08.’14
[10] Cf Reuters – RFI, 18.08.’14
[11] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 18.08.’14
[12] Cf ACP – Kinshasa, 19.08.’14 (via mediacongo.net)
[13] Cf AFP – Jeune Afrique, 11.08.’14
[14] Cf Radio Okapi, 16.08.’14
[15] Cf Magloire Paluku, 15 e 16.08.’14
[16] Cf Radio Okapi, 12.08.’14
[17] Cf Radio Okapi, 11.08.’14
[18] Cf RDCongo News – 7sur7.cd, 19.08.’14
[19] Cf Radio Okapi, 11.08.’14
[20] Cf Radio Okapi, 13.08.’14
[21] Cf RFI, 21.08.’14