INDICE
1. KIVU
a. Situazione socio-umanitaria
b. Persistenza dell’attivismo dei gruppi armati
c. Un nuovo gruppo armato, denominato “Protezione del Popolo Hutu”
d. Due capi miliziani uccisi, un terzo deceduto
2. L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE SULL’AMNISTIA
1. KIVU
a. Situazione socio-umanitaria
L’8 maggio, nel suo rapporto settimanale, l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha dichiarato che, nel mese di aprile, oltre 230 famiglie sono fuggite dalle loro località, a causa dell’insicurezza causata dall’attivismo dei gruppi armati a Lubero e Walikale (Nord Kivu). Nella sua newsletter pubblicata ai primi di aprile, OCHA aveva affermato di aver registrato 1.076.745 sfollati nel solo Nord Kivu. Il documento fa riferimento alle persone che avevano abbandonato i loro luoghi di origine tra gennaio 2009 e febbraio 2014. L’agenzia umanitaria informa che questa cifra rappresenta il 37% del numero degli sfollati interni registrati in tutto il Paese, stimato a 2,9 milioni di persone. Per porre fine a questa situazione, gli sfollati chiedono l’intervento delle autorità provinciali del Nord Kivu.[1]
OCHA ha inoltre riferito che, nel mese di aprile, nel Nord Kivu, 92.846 sfollati sono ritornati a casa loro, il che rappresenta una diminuzione di circa il 9%. Al 25 aprile, nel Nord Kivu, gli sfollati erano 998.721.[2]
Il 26 maggio, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha messo in guardia gli agenti dei servizi pubblici che non sono autorizzati ad esercitare presso il posto di frontiera. In effetti, i commercianti affermano di essere vittime di soprusi quando devono attraversare la “piccola barriera”, il posto di frontiera tra Goma e Gisenyi. Ritenendo “inaccettabili” questi soprusi, il governatore ha minacciato di revocare qualsiasi recalcitrante. Secondo quanto riferito dai commercianti, delle persone sedute alla “piccola barriera” esigono una somma giornaliera compresa tra i 100 FC (0,1 $) e 200 FC (0,2 $) per passeggero, senza rilasciare alcuna ricevuta. Tra i servizi pubblici non autorizzati, Julien Paluku ha citato il servizio di intelligence militare “TD”, la DEMIAP, la Guardia repubblicana e l’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR). Solo cinque sono i servizi pubblici autorizzati: la Direzione Generale delle Dogane e Accise (DGDA), la Direzione Generale di Migrazione (DGM), l’Ufficio Congolese di Controllo (OCC), la Polizia di frontiera e il servizio d’igiene.[3]
Il 4 giugno, il capo provinciale della Direzione Generale delle Dogane e Accise (DGDA / Nord Kivu), Nkongolo Kabila, ha rivelato che questo dipartimento ha raggiunto il record di 11 miliardi di franchi congolesi (circa 12 milioni di dollari), entrati nelle casse dello Stato durante il solo mese di maggio. Secondo lui, tale record è il risultato di un migliore rispetto della legislazione doganale da parte degli importatori e degli esportatori.[4]
b. Persistenza dell’attivismo dei gruppi armati
Il 30 aprile, a Nyabiondo (Nord Kivu), sei militari e una donna sono stati uccisi in scontri tra le forze armate della RDCongo e la milizia dell’Alleanza Patriottica per un Congo Libero e Sovrano (APCLS). Secondo fonti militari, sono rimasti feriti anche altri cinque soldati e due caschi blu della Monusco. In seguito a questi combattimenti, circa tre mila persone si sono rifugiate presso la base della Monusco a Nyabiondo. Una settimana prima, le FARDC avevano sloggiato i miliziani dell’APCLS dalle località di Matembe, Mirenge e Maniema, nel raggruppamento di Ihana nel territorio di Walikale. La maggior parte dei miliziani si erano ritirati nei pressi di Mutongo. Nel mese di febbraio, il capo dell’APCLS, Janvier Kalahire, era stato cacciato da Nyabiondo dalle FARDC. A Lukweti, l’esercito era riuscito a smantellare molte sue posizioni e il suo quartier generale.[5]
Il 7 maggio, l’esercito congolese ha respinto un attacco dei miliziani dell’APCLS contro le sue postazioni sulla collina Sinai, a 3 km da Lukweti. L’esercito ha mantenuto il controllo delle sue postazioni e ha ucciso quattro miliziani.[6]
Il 15 maggio, il comitato locale degli sfollati ha indicato che, nell’ultimo mese, più di seicentoquaranta famiglie si sono fatte registrare nel villaggio di Kasugho, a circa 90 chilometri a sud-ovest di Butembo (Nord Kivu). Queste persone sono fuggite dai combattimenti tra i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e i miliziani della Nduma Defense of Congo (NDC) di Cheka che da due mesi si scontrano regolarmente. I villaggi svuotati dei suoi abitanti sono: Fatuwa, Mabombi e Vumiliya. Le zone interessate sono: Make, Makusa, Ngumba, Kitowa e Masekeseke.[7]
Raggruppati a Mubambiro (a 25 km ad ovest di Goma), più di 400 ex miliziani attendono, da quasi due mesi, il loro trasferimento verso un centro d’addestramento militare più appropriato. Provenienti da diversi gruppi armati del Nord e Sud Kivu, si lamentano della mancanza di un programma per il loro trasferimento. Vari hanno già lasciato il centro di accoglienza e sono ritornati nella foresta. Il piano di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DDR) nella vita civile presentato dal governo congolese concernerebbe circa 12.000 ribelli e costerebbe circa 100 milioni di dollari.[8]
Il 28 maggio, dopo quattro giorni di combattimenti, le FARDC hanno ripreso le località di Lesse e d’Abya, a circa 70 km a nord-est della città di Beni, in pieno Parco Nazionale del Virunga (Nord-Kivu) e occupate dai ribelli ugandesi dell’ADF. Il comandante dell’8ª Regione Militare e dell’Operazione “Sokola”, il Generale Lucien Bauma, ha parlato di 64 ribelli uccisi, di uno catturato e di centinaia d’armi e munizioni recuperate. Egli ha menzionato anche cinque feriti tra le FARDC.[9]
Il 29 maggio, fonti locali hanno affermato che da alcuni giorni si stanno registrando dei combattimenti tra i Maï-Maï Ceka (NDC) e una coalizione delle FDLR e PARECO, a Oninga, nel territorio di Walikale (Nord Kivu). Le FDLR hanno incendiato diverse case e scuole. La popolazione è fuggita nella boscaglia e verso altri villaggi del sud del territorio di Lubero.[10]
Il 2 giugno, i Maï-Maï Ceka, guidati da Ntabo Ntaberizi, alias Ceka, da cinque giorni occupano le località di Kibati, Busi, Ndurumo e Abulo, nel territorio di Walikale (Nord Kivu). Fonti locali indicano che, per occupare questi villaggi, i Maï-Maï Ceka hanno approfittato del dispiegamento delle truppe dell’esercito regolare in un’altra zona, verso Kashebere. Venuti da Mungazi e Kichanga, nel sud del raggruppamento di Luberiki, i Maï-Maï Ceka impongono una tassa di 1.000 FC (1,1 $) per ogni abitante delle zone occupate. Per non pagare questa tassa, la maggior parte degli abitanti di queste quattro località hanno deciso di abbandonare le loro case. Alcuni hanno preso la direzione di Kashebere e Kikamata e gli altri si sono rifugiati a Matshumbi, a una decina di chilometri dai loro luoghi di origine.
Raggiunta per telefono, un’autorità locale ha affermato che la strada Ndurumo – Kembo, 80 km circa, è di nuovo controllata dalle milizie NDC, a causa dell’assenza dei militari. Per questo, l’autorità locale chiede il dispiegamento dell’esercito in questa zona, per garantire la sicurezza della popolazione civile. Un appello che non ha ancora trovato risposta da parte delle FARDC.[11]
Il 16 giugno, sono passati sei mesi da quando l’esercito congolese aveva lanciato, il 16 gennaio, l’operazione Sokola contro le ADF-Nalu presenti nel Nord Kivu. Il governatore della provincia, Julien Paluku, ha annunciato dei progressi, ma crede che ci vorranno altri sei mesi o un anno per poter sconfiggere questi ribelli ugandesi. Molti sono preoccupati per la sorte degli ostaggi, circa 900 secondo la società civile, rapiti negli ultimi anni dalle ADF-Nalu, tra cui sacerdoti, medici e operatori umanitari.
Sei mesi fa, l’ADF-Nalu controllava due terzi del territorio di Beni. Oggi, la maggior parte delle loro basi militari sono state recuperate dall’esercito congolese, ma pochissime sono le informazioni su questi combattenti e le loro famiglie che, per alcuni, vivono nella RDCongo da quasi 20 anni.
Il governatore della provincia parla di un centinaio di morti tra i ribelli e anche di prigionieri. Tuttavia, secondo fonti indipendenti, solo una decina di membri dell’ADF-Nalu sono in carcere. Ciò che, dopo sei mesi di offensiva,è a dir poco sorprendente.
Non si sente nemmeno parlare di combattenti dell’ADF/Nalu nei centri di smobilitazione. Dove sono andati a finire gli ADF-Nalu? Secondo alcune fonti, si sarebbero ritirati sulle montagne del Rwenzori o nella Provincia Orientale, il che era già avvenuto durante le operazioni del 2005-2006 e del 2010. Ma dopo il ritiro delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), gli ADF-Nalu, noti per la loro capacità di guerriglia, sono riapparsi più forti che mai.
Un’altra questione che rimane in sospeso è quella di sapere chi è stato sepolto nella fossa comune trovata nei pressi di una base militare degli ADF-Nalu. Molti chiedono un’inchiesta per verificare se quei corpi non siano quelli delle centinaia di ostaggi sequestrati negli ultimi anni.
La società civile riconosce gli sforzi fatti dalle FARDC. Tuttavia, la maggiore sfida che resta è la liberazione di almeno 884 ostaggi, tra cui tre sacerdoti di Mbau, il medico direttore dell’ospedale di Oicha, i 4 operatori di MSF, più di 250 bambini e molte donne che sono ancora nelle mani dei ribelli ugandesi.[12]
c. Un nuovo gruppo armato, denominato “Protezione del Popolo Hutu”
Il 9 maggio, la Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) ha annunciato la creazione, nel Nord Kivu, di un nuovo gruppo armato, denominato “Protezione del Popolo Hutu” (PPH). Il nuovo gruppo è stato creato il 6 maggio a Luofu. Questa cittadina si trova nel territorio meridionale di Lubero, a circa 120 km a nord di Goma, capoluogo del Nord Kivu, ma il PPH sarebbe presente anche nei territori limitrofi di Masisi e di Rutshuru. È composto principalmente da membri delle FDLR/Foca, FDLR/RUD e Maï-Maï Nyatura. Le Foca (Forze Combattenti Abacunguzi) e il RUD (Raggruppamento Unito per la Democrazia sono i due rami principali dei ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). I Maï-Maï Nyatura sono una milizia di autodifesa hutu. Secondo la Monusco, «il PPH sarebbe stato creato per assicurare la protezione degli Hutu, indipendentemente dalla loro nazionalità, cioè gli Hutu congolesi e gli Hutu ruandesi rifugiati nella RDCongo, ma il vero obiettivo sarebbe di ostacolare il piano d’azione» dell’esercito congolese e della Brigata d’intervento della Monusco contro le FDLR, il maggior gruppo armato presente nell’est della RDCongo, composto da circa 1.500-2.000 combattenti. Sparsi nel Nord e Sud Kivu, i miliziani delle FDLR rifiutano ancora di aderire al programma di disarmo, smobilitazione e rimpatrio in Ruanda promosso dalle Nazioni Unite. Senza attaccarli frontalmente, le FARDC e le truppe dell’Onu stanno, da diversi mesi, aumentando la pressione militare su questo gruppo, dispiegandosi nelle zone in cui è presente, sperando di favorire la sua resa.[13]
Secondo alcuni osservatori, Il gruppo FPPH combatte per la protezione degli Hutu e per ottenere una provincia autonoma che sarebbe gestita dai finanziatori di questa ribellione e che dovrebbe includere i territori di Rutshuru, Masisi, Nyiragongo, Walikale e la città di Goma come capoluogo. La formazione militare dei membri dell’FPPH è organizzata a Mwekwe, Munol, Buleusa, Busu e Kisavulo. La FPPH è guidata da un certo Kasongo, un colonnello non diversamente identificato. Secondo fonti di Lubero, Kasongo sarebbe un brigante di strada, ex miliziano dell’RCD e del CNDP. Secondo alcune informazioni, questo movimento sarebbe finanziato da alcuni deputati nazionali eletti per il Nord Kivu e da vari altri membri del governo. Sarebbe lui che assicurerebbe il collegamento tra Kinshasa e il Nord Kivu.[14]
Il 14 giugno, il vice-presidente della comunità hutu congolese, Alexis Ndalihoranye, ha affermato che «la comunità hutu congolese non ha bisogno di creare un gruppo armato per la sua protezione, perché è già protetta dal governo». Tale è stata la sua reazione in seguito alla diffusione della notizia sulla creazione di un nuovo gruppo armato noto come Forze per la Protezione della Popolazione Hutu (FPPH) nel sud del territorio di Lubero, nel Nord Kivu.
In una dichiarazione, i responsabili hutu del Nord Kivu hanno affermato che la loro comunità non ha nulla a che fare con questo nuovo gruppo armato, mettendone in discussione anche l’esistenza. «Questo presunto gruppo armato non è in alcun modo creato dalla nostra comunità, soprattutto quando sappiamo che è la nostra comunità che ha subito i maggiori orrori della guerra di questi ultimi due decenni. Sappiamo che la nostra comunità non può che essere protetta dal governo della Repubblica, ovviamente con l’appoggio della Monusco», ha sottolineato Alexis Ndalihoranye.
Egli chiede alla comunità nazionale e internazionale di «aprire bene gli occhi, perché il nemico della pace usa diverse strategie». «Incoraggiamo la Monusco, il governo congolese e le FARDC a perseguire tutti i fautori di disordini e tutti coloro che ne tirano le file, per sradicare definitivamente tutti i gruppi armati dal territorio congolese, in modo che tutti possano vivere in pace, ritornare alla vita normale e lavorare per il tanto auspicato sviluppo», ha continuato Alexis Ndalihoranye.
Il gruppo armato sarebbe stato creato lo scorso aprile. Più di 230 famiglie hanno abbandonato i loro villaggi, a causa dell’insicurezza causata dall’attivismo dei gruppi armati attivi a Lubero e a Walikale (Nord Kivu). Secondo l’Ufficio del Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) di Goma, degli sfollati provenienti dalla località di Buleusa hanno detto di fuggire dai loro luoghi di origine, in seguito alla creazione di un nuovo gruppo armato chiamato “Forze per la Protezione della Popolazione Hutu” (FPPH).[15]
d. Due capi miliziani uccisi, un terzo deceduto
Il 12 aprile, Paul Sadala, alias Morgan, capo della milizia Maï-Maï Simba, si è arreso alle Forze Armate della RDCongo (FARDC), con altri quarantadue combattenti, a Bandegaido, situato a 300 km a sud-ovest di Bunia, nell’Ituri (Provincia Orientale). Secondo il rapporto di una ONG locale, la Rete Haki na Amani (Giustizia e Pace), pubblicato nel mese di agosto 2013, a Mambasa, tra il 2010 e il 2013, i miliziani di Morgan avrebbero ucciso 62 persone e violentato 24 donne.[16]
Il 14 aprile, Paul Sadala è morto nel corso d’una sparatoria sorta tra i suoi combattenti e un gruppo di militari nel villaggio di Molokai, nel territorio di Mambasa. Dopo essersi arreso all’esercito, due giorni prima, Morgan avrebbe dovuto essere trasferito a Bunia, per continuare la procedura del suo disarmo, ma ha rifiutato di eseguire gli ordini dei militari che erano venuti per scortarlo, esigendo di essere dapprima nominato generale. Ne è conseguito un alterco tra gli uomini di Morgan e i militari dell’esercito e Morgan è stato colpito in entrambe le gambe. Gravemente ferito e privo di sensi, è deceduto in seguito alle ferite riportate.[17]
Il 19 maggio, si è terminata, a Bunia, la prima fase dell’inchiesta giudiziaria sulle circostanze della morte di Paul Sadala, alias “Morgan”. Il rapporto medico redatto da medici dell’esercito congolese indica che Paul Sadala è deceduto in seguito a lesioni traumatiche dovute a torture. A seguito di un esame radiologico sul corpo dell’ex miliziano, il referto medico indica ferite profonde causate da un oggetto appuntito, fratture a livello della tibia e ferite da arma da fuoco. Dopo la morte di Morgan, il deputato provinciale Joseph Ndiya aveva messo in causa militari congolesi, accusandoli di aver ucciso il capo miliziano. Finora, il maggiore Enoch Kinzambi è l’unico sospettato ad essere arrestato per la morte di Morgan.[18]
Il 9 maggio, il colonnello Jules Mutebusi è morto a Kigali, in Ruanda. 54 anni, è deceduto in seguito ad una malattia. Le truppe di Jules Mutebusi e del generale Laurent Nkunda avevano assediato Bukavu, nel Sud Kivu, dal 2 al 9 giugno 2004. Sconfitto dall’esercito regolare, Mutebusi era fuggito in Ruanda, a fine giugno 2004, con più di trecento uomini.[19]
Il 10 maggio, il capo ribelle degli Enyele, Udjani Mangbama, è morto a Brazzaville. È stato ucciso nel corso di una sparatoria ingaggiata con agenti della polizia del Congo/Brazzaville, che lo avevano fermato per un controllo di routine, a Oando. Nella sparatoria, Udjani ha dapprima ucciso quattro poliziotti poi, colpito da proiettili, è morto a causa delle ferite riportate. Originario dell’Equateur, membro del Movimento per la Liberazione e l’Indipendenza e Alleati (MLIA), si era rifugiato in Congo/Brazzaville nel 2009, dopo essere stato sconfitto dalle FARDC. Kinshasa ne aveva chiesto l’estradizione, ma le autorità della Repubblica del Congo hanno rifiutato, sostenendo che Udjani era in stato di arresto. Secondo Lambert Mende, portavoce del governo della RDCongo, «le circostanze della sua morte, indicano che Udjani non era affatto in prigione».[20]
2. L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE SULL’AMNISTIA
Il 19 aprile, la ministra della Giustizia e dei Diritti Umani, Wivine Mumba, ha pubblicato la lista dei primi 50 beneficiari della legge sull’amnistia approvata dal Parlamento il 3 febbraio. Si tratta di ex membri di gruppi armati, tra cui 15 membri del Movimento del 23 Marzo (M23), 15 membri (undici militari, tra cui tre colonnelli, e quattro civili) dell’insurrezione responsabile dell’attentato contro la residenza del Capo dello Stato, il 27 febbraio 2011 a Kinshasa, 10 membri (cinque militari e cinque civili) dell’Esercito di Resistenza Popolare (ARP), di Faustin Munene e altri 10 (sei militari e quattro civili) di un gruppo guidato dall’ex Ministro del regime di Mobutu, Honoré Ngbanda.
Tra i membri del M23, ci sono anche:
René Abandi, capo della delegazione per le trattative di Kampala;
Jean- Serge Kambasu Ngeve, negoziatore principale;
Sendugu Museveni, responsabile della politica interna della ribellione.
La legge sull’amnistia approvata il 3 febbraio dall’Assemblea Nazionale copre i fatti d’insurrezione, i fatti di guerra e le infrazioni politiche commesse tra il 1° gennaio 2006 e il 20 dicembre 2013.[21]
Il 21 aprile, sono stati liberati quaranta beneficiari della legge sull’amnistia, tra cui 20 militari e 20 civili. 11 erano detenuti nel carcere militare di Ndolo e 29 nella prigione centrale Makala, a Kinshasa. I civili sono direttamente rientrati a casa loro insieme alle loro famiglie. Invece, i 20 militari e agenti di polizia sono stati portati in un centro di riabilitazione, nella periferia di Kinshasa. L’autorità penitenziaria di Ndolo ha indica che i militari amnistiati possono scegliere tra la reintegrazione nell’esercito o il ritorno alla vita civile.[22]
Sette decreti legge firmati dalla ministra della Giustizia portano a 271 il numero totale di coloro che possono usufruire della legge sull’amnistia. Scarica i decreti legge qui: ici.[23]
Il 30 aprile, sono stati rilasciati altri cento nuovi beneficiari della legge sull’amnistia. Questo secondo gruppo è costituito da elementi dell’ex M23, dell’ARP di Faustin Munene, del GALCD di Honoré Ngbanda, degli assalitori della residenza del Capo dello Stato, di Bundu dia Kongo, dei Bakata Katanga, dell’«Imperium» di Diomi Ndongala e del gruppo A7 di Roger Lumbala e John Tshibangu. Tra questi amnistiati, c’è anche il deputato Muhindo Nzangi, condannato in agosto a tre anni di carcere per attentato alla sicurezza dello Stato. Il portavoce del governo, Lambert Mende, ha assicurato che altre liste di amnistiati sarebbero rese pubbliche, nella misura in cui le persone che possono usufruire dell’amnistia faranno pervenire la loro documentazione al governo, attraverso il Ministero della Giustizia e dei diritti umani.[24]
Il 10 maggio, una cinquantina di militari e di agenti di polizia beneficiari dell’amnistia e recentemente liberati dalle carceri di Ndolo e di Makala, a Kinshasa, non sono ancora tornati presso le loro famiglie. Alloggiati in un centro di transito della città Mama Mobutu, affermano di non godere di libertà di movimento. Peter Ngomo, il loro avvocato, ha chiesto alle autorità congolesi di chiarire la situazione dei propri clienti. Da parte sua, il portavoce del governo, Lambert Mende, ha affermato che i 58 militari e agenti di polizia sono già stati amnistiati e che sono liberi. Ma, poiché hanno scelto di integrare l’esercito o la polizia, sono soggetti al programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (DDR) e in transito verso un centro di reintegrazione, a Kamina o a Kitona.[25]
Il 30 maggio, l’avvocato dei militari e degli agenti di polizia che hanno potuto usufruire dell’amnistia, ma che si trovano ancora in un luogo di transito a Kinshasa, accusa il governo di non rispettare la legge sull’amnistia per fatti di guerra e d’insurrezione.
Jean-Marie Kabengele afferma che alcuni di questi che sono stati amnistiati sono prelevati, di notte, dal luogo dove sono ospitati, nella zona Mama Mobutu, e condotti in altre città del paese, senza nemmeno avvisare le loro famiglie. «Kwadeba e Kabongo sono stati presi. Hanno trascorso la notte presso il campo militare Kokolo. Destinazione: Mbuji – Mayi. Kobambu è stato portato a Goma. Agolowa, Yimbi e Epumba sono stati inviati a Kisangani, senza che le loro famiglie ne fossero informate. Il colonnello Lingongo ed altri sono stati inviati in luoghi sconosciuti», dice l’avvocato, aggiungendo: «Non si sa se si tratta di un’effettiva attuazione della legge di amnistia o se si tratta solo di un cambiamento dei luoghi di detenzione, per ingannare l’opinione nazionale e internazionale. Siamo ormai convinti che il governo non vuole attuare la legge sull’amnistia». L’avvocato ha riferito che i suoi clienti prelevati dal loro sito di transito situato in zona Mama Mobutu sono scortati da agenti dell’Agenzia Nazionale dei Servizi Segreti (ANR) e da militari di Camp Kokolo. Secondo lui, gli amnistiati sono trasferiti dapprima al Camp Kokolo per poi essere condotti all’aeroporto.[26]
Il 3 giugno, il coordinatore del meccanismo di monitoraggio sull’attuazione dell’accordo di Addis Abeba, François Muamba, ha riferito agli inviati speciali dell’ONU, dell’UA, dell’UE e degli USA, in visita ufficiale a Kinshasa, che le autorità ruandesi rifiutano di accettare che una delegazione militare congolese si rechi in Ruanda, per consegnare i formulari di richiesta di amnistia ai membri dell’ex M23, fuggiti in Ruanda nel mese di aprile 2013. Kigali vorrebbe che la RDCongo concedesse loro uno “statuto speciale”. Secondo un attivista della società civile del Nord Kivu, per gli ex ribelli dell’M23 Kigali vorrebbe un’amnistia generale, collettiva e non selettiva, caso per caso. François Mwamba ha insistito sul fatto che la comunità internazionale dovrebbe far pressione su Kigali, affinché permetta agli esperti congolesi di entrare in Ruanda, per condurre a termine la procedura di concessione dell’amnistia agli ex membri dell’M23. Secondo lui, non si può ritornare a rinegoziare con questo paese, il Ruanda, dimenticando gli impegni presi nell’ambito dell’accordo di Addis Abeba.
In risposta, i rappresentanti della comunità internazionale per la Regione dei Grandi Laghi hanno ribadito che il Ruanda deve collaborare. A questo proposito, Mary Robinson, inviata speciale del Segretario Generale dell’ONU per la Regione dei Grandi Laghi, ha promesso di contattare le autorità ruandesi.[27]
[1] Cf Radio Okapi, 09.05.’14
[2] Cf Radio Okapi, 27.05.’14
[3] Cf Radio Okapi, 26.05.’14
[4] Cf ACP – Goma, 05.06.’14 (via mediacongo.net)
[5] Cf Radio Okapi, 30.04.’14
[6] Cf Radio Okapi, 07.05.’14
[7] Cf Radio Okapi, 15.05.’14
[8] Cf Radio Okapi, 13.05.’14
[9] Cf Radio Okapi, 29.05.’14
[10] Cf Radio Okapi, 29.05.’14
[11] Cf Radio Okapi, 02.06.’14
[12] Cf Sonia Rolley – RFI, 16.06.’14
[13] Cf AFP – Goma, 09.05.’14
[14] Cf Congo24 – Africatime, 23.05.’14
[15] Cf Radio Okapi, 14.06.’14
[16] Cf Radio Okapi, 12.04.’14
[17] Cf Radio Okapi, 14.04.’14
[18] Cf Radio Okapi, 20.05.’14
[19] Cf Radio Okapi, 11.05.’14
[20] Cf Radio Okapi, 11.05.’14
[21] Cf Radio Okapi, 19.04.’14; Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 19.04.’14
[22] Cf Radio Okapi, 24.04.’14: http://radiookapi.net/actualite/2014/04/24/rdc-listes-officielles-de-271-beneficiaires-de-la-loi-damnistie/#.U3NioOmKBdg
[23] Cf Radio Okapi, 24.04.’14: http://radiookapi.net/actualite/2014/04/24/rdc-listes-officielles-de-271-beneficiaires-de-la-loi-damnistie/#.U3NioOmKBdg
[24] Cf Radio Okapi, 02.05.’14
[25] Cf Radio Okapi, 12.05.’14
[26] Cf Radio Okapi, 30.05.’14
[27] Cf Radio Okapi, 03.06.’14; 7sur7.cd – Kigali, 03.06.’14