DALLA GIUNGLA MINERARIA ALLA CERTIFICAZIONE D’ORIGINE DEI MINERALI
INDICE
1. L’EX RIBELLIONE DELL’M23 HA FINANZIATO LE SUE ATTIVITÀ MILITARI
ATTRAVERSO IL COMMERCIO ILLEGALE DELL’ORO
2. LA GIUNGLA MINERARIA DI WALIKALE
3. CASSITERITE CON CERTIFICAZIONE D’ORIGINE
1. L’EX RIBELLIONE DELL’M23 HA FINANZIATO LE SUE ATTIVITÀ MILITARI ATTRAVERSO IL COMMERCIO ILLEGALE DELL’ORO
Il 10 ottobre 2013, in un rapporto sullo sfruttamento dei minerali da parte dei gruppi armati nell’est della RDCongo, Enough Project, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Goma, ha rivelato che lo sfruttamento dell’oro apporta alle varie milizie una rendita di 500 milioni di dollari all’anno, con un contrabbando di almeno 12 tonnellate d’oro.
Nel suo rapporto, Enough Project fa notare che i gruppi armati hanno diminuito la loro attività di sfruttamento di altri minerali, come la cassiterite e il coltan, che richiedono ingenti mezzi per il trasporto, ma soprattutto a causa della legge statunitense Dodd Frank sui minerali di sangue, che impone alle industrie statunitensi di rendere pubblica l’origine dei minerali importati. L’obiettivo di tale legge è di poter ridurre il commercio di minerali estratti in zone di conflitto. Fidel Bafilemba, ricercatore presso Enough Project, spiega inoltre che l’oro è più facile da trasportare, il che facilita la sua commercializzazione illegale attraverso le frontiere, in una regione afflitta da numerosi conflitti armati. “Si può mettere in tasca l’equivalente di 20.000 dollari e attraversare tranquillamente la frontiera”, ammette il ricercatore di Enough Project. È così che l’oro è diventato il minerale di conflitto più importante dell’est della RDCongo.
In Particolare, l’ONG accusa l’M23 di finanziare le sue attività militari attraverso il commercio dell’oro illegalmente sfruttato e di utilizzare i ricavi di questo commercio illecito a favore dei suoi dirigenti e dei suoi alleati ruandesi e ugandesi, il che dimostra che la guerra attualmente condotta dall’M23 gli serve come copertura per facilitare il saccheggio delle enormi ricchezze della RDCongo.
Secondo Enough Project, l’M23 ha costruito alleanze militari con altri gruppi armati che controllano territori intorno alle miniere d’oro e ha tessuto una rete di contatti con commercianti stranieri, il che gli permette di fare contrabbando d’oro, soprattutto attraverso l’Uganda e il Burundi, dove è venduto sul mercato internazionale. Gran parte di quest’oro proveniente da zone di conflitto raggiunge poi i mercati degli Emirati Arabi Uniti, per essere venduto alle raffinerie, prima di passare al settore industriale della gioielleria.
Secondo il rapporto, l’attuale comandante dell’M23, Sultani Makenga, ha ricuperato una rete di contrabbando d’oro che l’ex comandante Bosco Ntaganda aveva costruito nell’arco di diversi anni. Come capo militare del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), precursore dell’M23, Ntaganda avrebbe negoziato, nel 2011, diversi contratti di vendita d’oro per un valore di diversi milioni di dollari, a Goma (RDCongo), a Kampala (Uganda) e a Nairobi (Kenya), con alcuni acquirenti d’oltre oceano, ma attraverso l’intermediario di commercianti congolesi. Nel 2012, quando Ntaganda era, di fatto, al comando dell’M23, egli ha facilitato il trasferimento di circa 325 chili d’oro, per un valore di 15 milioni di dollari, a Kampala, per esservi venduto.
Nel marzo 2013, Ntaganda si è arreso all’ambasciata americana in Rwanda, da dove è stato trasferito al Tribunale penale internazionale (CPI), perché accusato di crimini di guerra. Da allora, Makenga ha sostituito Ntaganda nei rapporti con i trafficanti d’oro in Uganda.
Per prendere il controllo su una quota maggiore del commercio dell’oro, l’M23 ha stretto alleanze con persone e gruppi armati che controllano grandi miniere nell’est della RDCongo. Si tratta di
• Sheka Ntabo Ntaberi, del Nduma Difesa del Congo (NDC), un gruppo armato attivo nel territorio di Walikale,
• Justin Banaloki, alias “Cobra Matata” , capo di un gruppo armato attivo nel distretto dell’Ituri,
• Hilaire Kombi, disertore dall’esercito congolese e capo di una milizia attiva nei territori di Beni e Lubero.
Superando divisioni etniche e politiche, queste alleanze si basano soprattutto sul guadagno economico.
Tre principali esportatori d’oro permettono all’M23 e ai gruppi armati associati di trarre profitto dal commercio dell’oro:
• Rajendra “Raju” Kumar, che attualmente opera attraverso Mineral Impex Uganda e in passato attraverso Machanga Ltd.
• Mutoka Ruganyira, che attualmente opera attraverso Ntahangwa Mining Burundi e in passato attraverso Berkenrode
• Madadali Sultanali Pirani, che attualmente gestisce Mineral Argento in Uganda.
Inoltre, uno dei principali esportatori congolesi avrebbe esportato oro, per diversi anni, dalle miniere controllate dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e da altri gruppi armati: Evariste Shamamba, che attualmente gestisce lo stabilimento Namukaya e New Congocom Airlines.
Alcuni esempi.
Walikale.
Secondo il gruppo di esperti dell’ONU, parte dell’oro che Ntaganda ha tentato di vendere in Uganda, nel 2012, proveniva da giacimenti di Walikale controllati da Sheka, suo alleato. Sheka ha controllato la miniera d’oro di Omate, nel territorio di Walikale, dal maggio 2011 al gennaio 2012. L’oro sarebbe stato comprato da una società denominata AR-Oro con sede a Goma e una filiale a Dubai, entrambe gestite da Sibtein Alibhai. La sua ultima esportazione, di 10 kg d’oro per un valore di 525,371 $, risale al 2 novembre 2011. Questa spedizione è stata molto controversa, perché il ministro provinciale delle miniere del Nord Kivu aveva rifiutato di firmare l’autorizzazione di esportazione, sospettando una frode. Tuttavia, AR-Oro è riuscita ad inviare l’oro, senza le firme delle autorità locali e attraverso il Ruanda, a Karim Somji, di Bujumbura, in Burundi. Somji gestisce una società di esportazione, la “gold and golden”, che esporta oro a Dubai.
Ituri.
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, un’altra parte dell’oro che Ntaganda ha tentato di vendere a Kampala, nel 2012, l’ha ottenuto dagli alleati dell’M23 in Ituri. Nel 2012, l’M23 si è alleato con Justin Banaloki, alias “Cobra Matata”, capo delle Forze Resistenti Patriottiche dell’Ituri (FRPI). Cobra Matata risiede a Bavi [una miniera d’oro] ed è un importante commerciante d’oro a Bunia. Cobra Matata vende il suo oro ad ufficiali dell’esercito ugandese e a commercianti congolesi che riforniscono “Mineral Argent” e Rajendra “Raju” Kumar, due esportatori con sede a Kampala. Secondo il gruppo di esperti dell’ONU, la prima società di Kumar, la Machanga Ltd., fu sanzionata dalle Nazioni Unite nel 2007, a causa dei suoi acquisti d’oro presso una milizia dell’Ituri. Da allora, Kumar ha continuato a esportare l’oro a Dubai attraverso una nuova società, la Mineral Impex Uganda. D’altra parte, sempre secondo gli esperti delle Nazioni Unite, “Mineral Argent” dichiara di esportare oro proveniente dal Sud Sudan, come paese di origine.
Beni – Lubero.
Mentre Ntaganda aveva alleati in gran parte a Walikale e in Ituri, Makenga sembra aver ampliato le alleanze dell’M23 a gruppi armati e a commercianti dei territori di Beni e di Lubero, nel nord del Nord-Kivu. Tra questi nuovi alleati, c’è Hilaire Kombi, che ha disertato l’esercito congolese nel giugno 2012 con il sostegno di Mbusa Nyamwisi, un influente parlamentare congolese. Nel mese di ottobre 2012, il gruppo di Kombi, l’Unione per la Riabilitazione della Democrazia in Congo (URDC), ha pubblicamente riconosciuto, in un comunicato, la sua connessione con l’M23. Kombi collabora anche con Paul Sadala, noto anche come maggiore Morgan, dell’Ituri.
Secondo una fonte militare congolese, alla fine di dicembre 2012, Kombi e Morgan hanno inviato, per conto dell’M23, circa 60 kg d’oro (per un valore di oltre 300.000 dollari) e 1,5 tonnellate d’avorio a Kasese, in Uganda, da consegnare a un generale ruandese. Una fonte prossima a Kombi ha rivelato che una parte dell’oro è rimasta a Kasese, custodita da un membro della famiglia di un ex ufficiale del CNDP, l’ex generale Bwambale Kakolele, oggetto di sanzioni da parte dell’Onu.
Secondo il gruppo d’esperti dell’Onu, l’oro e l’avorio avrebbero potuto servire come pagamento per la fornitura di armi al gruppo di Kombi da parte dell’M23.
Un’altra parte dell’oro procurato da Nkombi è venduta sul mercato di Bujumbura, in Burundi, attraverso un ufficiale di collegamento tra Nyamwisi e l’M23, Andy Patandjila, residente a Gisenyi, in Ruanda. Secondo uomini d’affari congolesi a Bujumbura, in questo traffico sarebbe implicato anche il personale dell’ambasciata congolese a Bujumbura. Secondo queste fonti, si sospetta che il personale dell’ambasciata ottenga dell’oro da Patandjila e da altri commercianti di Goma, Bukavu e Uvira e lo introducano in Burundi su veicoli diplomatici. Secondo fonti prossime a Kombi, nel 2012 sarebbero state realizzate quattro spedizioni d’oro, per un totale di almeno 150 kg, presumibilmente appartenente a Makenga, e per un valore di 7 milioni di dollari. L’ambasciatore congolese in Burundi ha smentito qualsiasi tipo di implicazione personale o di gruppo nel commercio dell’oro tra Congo e Burundi e ha offerto la sua collaborazione per scoprire se qualcuno della sua equipe possa esservi coinvolto. Sempre secondo uomini d’affari congolesi a Bujumbura, una volta che l’oro proveniente da Beni e da Lubero arriva a Bujumbura, in Burundi, è acquistato da un uomo d’affari burundese, Mutoka Ruganyira, e da un altro acquirente non identificato di origine araba. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite e le autorità burundesi, Ruganyira è il titolare della società esportatrice più importante di Bujumbura, la Ntahangwa Mining che, nei primi otto mesi del 2012, ha esportato circa una tonnellata d’oro verso gli Emirati Arabi Uniti. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, nei primi mesi del 2012, Ruganyira ha venduto il suo oro tramite intermediari indiani al gioielliere Al Fath, di Sharjah. Da parte sua, Ruganyira afferma di aver venduto la Ntahangwa Mining nel 2011 e smentisce, quindi, eventuali acquisti di oro dal Congo negli ultimi anni.
Come si può constatare, entrando in connessione con individui come Kombi a Lubero, un parente di Kakolele in Uganda, Patandjila in Ruanda e il personale dell’ambasciata congolese in Burundi, l’M23 ha ampliato il suo controllo sia sulle fonti che sulle vie di transito dell’oro congolese.
Soluzioni.
a. Sanzioni.
La comunità internazionale ha fatto molto poco per combattere, in modo efficace, la vendita di oro proveniente da zone di conflitto. Nessuno dei soggetti citati sopra, o le società che attualmente gestiscono, sono stati oggetto di sanzioni da parte dell’ONU, degli USA o dell’UE. Le uniche sanzioni internazionali contro la società d’oro di conflitto sono state emanate nel 2007, ma i proprietari delle società sanzionate hanno immediatamente creato nuove imprese esportatrici d’oro con nomi diversi. In effetti, quando si sanzionano le aziende, i proprietari cambiano nome alle loro imprese ed eludono, in tal modo, le sanzioni e continuano a commerciare oro proveniente da zone di conflitto. L’applicazione di sanzioni alle persone che gestiscono e / o possiedono le società è, invece, il mezzo essenziale per evitare l’evasione dalle sanzioni.
L’imposizione di sanzioni sui proprietari effettivi delle società esportatrici citate nel rapporto (AR Gold, Silver Minerals, Mineral Impex Uganda, Ntahangwa Mining, Etablissement Namukaya, …) sarebbe un primo e fondamentale passo per mettere fine al commercio dell’oro proveniente da zone di conflitto dell’est della RDCongo. L’imposizione delle sanzioni richiederebbe anche che i governi della Regione dei Grandi Laghi iniziassero delle procedure giudiziarie contro questi esportatori. Non sarà facile, date le complicità dei governi stessi con queste reti di esportazione.
b. Dovere di diligenza ragionevole.
Ci sono due principali sfide da superare per conoscere la tracciabilità dell’oro.
In primo luogo, l’oro è facile da nascondere. D’altra parte, gli esportatori dichiarano di comprare oro solo all’interno del proprio paese o di comprarlo in paesi non sottoposti alle sanzioni dell’Onu e smentiscono, quindi, di comprare oro proveniente da zone di conflitto della RDCongo.
In secondo luogo, la tracciabilità dell’oro congolese proveniente da zone di conflitto diventa difficile quando l’oro è trasportato a mano su voli commerciali diretti verso i paesi consumatori, in particolare verso gli Emirati Arabi Uniti. È difficile individuare i partner commerciali degli esportatori d’oro in Medio Oriente e di esigere loro di praticare una diligenza ragionevole. Negli Emirati Arabi Uniti , l’oro artigianale arriva a mano, in forma di polvere d’oro o di pepite e in volumi inferiori a 50 chili. Secondo le procedure doganali degli Emirati Arabi Uniti, il trasportatore deve dichiarare un compratore autorizzato destinatario della merce, ma non vi è alcun controllo. Il destinatario dichiarato può, in tal modo, essere o non essere il vero acquirente.
I raffinatori degli EAU affermano che nessuna quantità d’oro congolese proveniente da zone di conflitto entra nelle loro strutture perché, dicono, non hanno contratti con fornitori artigianali, raffinano solo oro riciclato e rifiutano l’oro che potrebbe essere di origine congolese. Negli Emirati Arabi Uniti, la mancanza di esattezza e di chiarezza per quanto riguarda le importazioni d’oro e l’identità degli acquirenti costituiscono un vero problema.
Il primo passo per risolvere questi problemi sarebbe la raccolta di informazioni precise da parte dell’Independent Mineral Chain Auditor (IMCA, un organismo di controllo sulla catena di produzione ed esportazione del minerali) a livello della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). In secondo luogo, nei paesi di importazione, soprattutto negli EAU, i dati registrati alla dogana (quantità, qualità e valore dell’oro, nomi degli enti esportatori e importatori, destinatari, …) dovrebbero essere messi a disposizione delle raffinerie, dei produttori di gioielli, degli organismi statali di supervisione, come il Dubai Multi Commodity Centre (DMCC) e di eventuali osservatori esterni, in modo che sia possibile, attraverso controlli e verifiche, assicurarsi che l’oro importato non provenga da zone di conflitto e che non abbia contribuito ad alcuna forma di finanziamento di gruppi armati. Tale procedura è denominata “dovere di diligenza ragionevole” e la sua applicazione è richiesta dall’ONU e dall’OCSE.
Raccomandazioni.
1. Il Comitato per le sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe aggiungere i nomi delle quattro persone sopra citate, alla lista di individui e gruppi già oggetto di sanzioni da parte dell’Onu. Imporre sanzioni su persone fisiche, piuttosto che sulle aziende, eviterebbe che i proprietari sanzionati ricorrano al semplice cambiamento di nome dell’azienda, per continuare ad operare.
2. L’inviata speciale del Segretario Generale dell’Onu per la Regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson, e l’inviato speciale degli Stati Uniti per i Grandi Laghi, Russ Feingold, dovrebbero sollecitare l’Uganda, il Burundi e la RDCongo di prendere provvedimenti, secondo le rispettive legislazioni nazionali, contro questi esportatori.
3. Il governo degli Stati Uniti dovrebbe sollecitare gli Emirati Arabi Uniti ad intensificare i controlli normativi sulle importazioni d’oro, attraverso la verifica dell’autenticità dei documenti di esportazione e del’identità degli importatori d’oro.
4. L’inviata speciale dell’ONU, Mary Robinson, e l’inviato degli Stati Uniti, Russ Feingold, dovrebbero lavorare con i governi della RDCongo, del Ruanda e dell’Uganda, affinché la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi porti a termine il processo di certificazione e di verifica indipendente della filiera mineraria, progettato per indagare sulla frode e sanzionare gli esportatori dei minerali provenienti da zone di conflitto.[1]
2. LA GIUNGLA MINERARIA DI WALIKALE
A Walikale, nel Nord Kivu, “il saccheggio delle risorse minerarie continua a pieno ritmo“, denuncia l’Ufficio Studi per lo Sviluppo del territorio di Walikale (BEDEWA). Secondo l’ONG congolese, il commercio illegale dei minerali non solo alimenta la guerra nell’est della RDCongo, ma intacca anche lo stato centrale. Paradossalmente, le risorse naturali si sono trasformate in una vera “maledizione” per il Paese. Ricco di vari minerali (oro, coltan, cassiterite, litio), il territorio di Walikale sta diventando una vera e propria “giungla mineraria”, secondo BEDEWA, che lancia un grido di allarme sullo sfruttamento illegale delle risorse minerarie del territorio. Secondo Prince Kihangi Kyamwami, segretario dell’ONG, «i corruttori, i corrotti e gli approfittatori ne traggono enormi profitti, senza alcuna contropartita per le comunità locali interessate». Egli denuncia, inoltre, “l’esistenza di tasse legali e illegali”, di cui non si conoscono né la finalità, né l’utilizzo.
Corruzione
Tra gli accusati, BEDEWA cita le autorità di Kinshasa che attribuiscono “abusivamente i titoli minerari”. L’ONG spiega che oggi, “tre quarti del territorio sono attualmente coperti da titoli minerari“. Conseguenza: la possibile “delocalizzazione delle popolazioni a causa dell’attività mineraria“. I ricavi provenienti dal commercio dei minerali contribuiscono a finanziare i molti gruppi armati che abbondano nella regione (FDLR e Mai Mai), ma anche molti ufficiali dell’esercito regolare (FARDC). Nel 2011, un parlamentare britannico aveva stimato a 4.200.000.000 € le perdite dello Stato a causa del commercio illegale dei minerali. Nelle aree minerarie, si è gradualmente instaurato un vasto sistema di corruzione a vantaggio di ufficiali militari, capi di gruppi armati, personalità politiche, multinazionali e paesi limitrofi come il Ruanda e l’Uganda.
Certificazione
BEDEWA denuncia anche il “traffico delle etichette di certificazione” tra i vari siti di estrazione e di raccolta. Prince Kihangi Kyamwami spiega che “grandi quantità di minerali vengono estratte in siti non ancora convalidati, ma sono immesse nel circuito del mercato come se provenissero dai siti vicini già ufficialmente riconosciuti“.
Frustrazioni
Nel territorio di Walikale, le frustrazioni si accumulano. Prince Kihangi Kyamwami fa osservare che, “se la situazione non cambia, in un prossimo futuro le comunità locali potrebbero esigere la chiusura dei lavori di estrazione e impedire, così, tutte le attività dei detentori di titoli minerari“. In altre parole: BEDEWA avverte che potrebbero sorgere gravi conflitti tra la popolazione locale, “derubata” per lo sfruttamento illegale dei minerali, e le entità implicate in tale settore.
Risanamento
L’ONG propone varie raccomandazioni per le autorità congolesi in vista di un “risanamento” del commercio dei minerali di Walikale. BEDEWA chiede di “mettere fine al clientelismo nel rilascio delle concessioni minerarie, sospendere le attività irregolari di estrazione di diamanti e oro sul fiume Osso, vietare la presenza di militari sui siti minerari e far rispettare le misure di trasparenza e di tracciabilità dei minerali“. BEDEWA stima che il risanamento del settore minerario di Walikale permetterebbe ai diversi siti della regione di essere “qualificati e convalidati” e che la certificazione dei minerali prodotti permetterebbe finalmente alle popolazioni locali di poter usufruire delle ricchezze del loro sottosuolo.[2]
3. CASSITERITE CON CERTIFICAZIONE D’ORIGINE
Da ottobre 2012, a Nyabibwe, nel Sud Kivu, è operativo un importante centro per la certificazione dei minerali, fornendone la tracciabilità sin dalla miniera di origine. Si tratta di una procedura rigorosa indispensabile per la vendita dei prodotti sul mercato internazionale.
In effetti, le società americane ed europee, come Microsoft, Apple, Nokia, HP …, che utilizzano la cassiterite e il tantalio per fabbricare computer e telefoni, hanno sviluppato un sistema di controllo abbastanza draconiano, attraverso le loro due associazioni, la Electronic Industry Citizenship Coalition (EICC), con sede a Washington e la eSustainability Global Initiative (GeSI), con sede a Bruxelles, per evitare di acquistare “minerali insanguinati” che alimentano conflitti nella regione dei Grandi Laghi. Non è facile sapere da dove provengono i metalli utilizzati, soprattutto perché gran parte dei minerali del Congo transitano illegalmente per paesi vicini (Burundi, Ruanda, Tanzania …) prima di arrivare alle fonderie e raffinerie dell’Asia.
È quindi necessario seguirne il percorso (tracciabilità). Da ottobre 2012, a Nyabibwe è iniziato il primo sito pilota del Sud Kivu. Tutto inizia nella miniera stessa. Seduti nel loro piccolo ufficio all’ingresso del sito minerario di Kalimbi, gli agenti del SAESCAM (Servizio di Assistenza e di inquadramento dei minatori artigianali) ricevono i sacchi dei minerali estratti dai numerosi pozzi di questa miniera di cassiterite. I sacchi sono pesati, registrati ed etichettati.
«Nessun chilo di cassiterite esce da questo sito senza essere etichettato», dice Justin Wema, ingegnere del BGR (Ufficio federale tedesco di Geoscienze e delle risorse naturali) che collabora con l’ITRI (International Tin Research Institute) nel processo di etichettatura e tracciabilità dei minerali di questo sito pilota.
Tracciabilità dal pozzo fino al consumatore finale.
«Il processo di etichettatura inizia nella miniera stessa e prosegue fino al consumatore finale», precisa il capo ufficio del SAESCAM di Nyabibwe. Servizi appositi annotano tutti i dati relativi ai minerali estratti: nome del minatore, peso del sacco, nome del sito … Ad ogni sacco viene attribuito un numero di serie (Tag di miniera). Poi i minatori trasportano, sul dorso o sulla testa, il sacco fino al villaggio più vicino, a una decina di chilometri, per consegnarlo a degli intermediari o a delle cooperative.
Altri agenti del Saescam e della Divisione delle miniere riaprono i sacchi. «Dobbiamo controllare che i dati contenuti sulla bolla di accompagnamento e sull’etichetta siano conformi al contenuto dei sacchi portati», dice Bene Mugisho, del Saescam. Viene quindi redatta una nuova scheda e consegnata al commerciante. Un’etichetta corrispondente (Tag commerciante) sigilla i sacchi da 50 kg ciascuno.
La procedura continua. Dal commerciante locale, la merce viene trasportato fino ai centri di acquisto e di esportazione di Bukavu, abilitati dallo Stato. «Verifichiamo se le merci sono conformi alle indicazioni poste sulla bolla di trasporto e sull’etichetta», dice un ufficiale del CEEC (Centro di analisi, valutazione e certificazione) che deve verificare anche l’identità del commerciante. Secondo Justin Uwema, del BGR, «tutti i dati della catena di approvvigionamento sono pubblicati in un database online. Tale tracciabilità permette agli acquirenti finali, ovunque essi siano, anche in Inghilterra, di seguire l’intero percorso dei minerali che ricevono, dalla miniera fino al destinatario finale».
L’accesso al mercato internazionale.
Questo centro di Nyabibwe permette agli operatori del settore minerario un più facile accesso al mercato internazionale. “Non tutti i minerali sono “minerali insanguinati” o provenienti da gruppi armati”, ha spiegato Olive Mudekereza, presidente provinciale della Federazione delle Imprese del Congo (FEC). Per Eric Kajemba, coordinatore dell’Osservatorio per la Governance e la Pace (OGP), una ONG che lavora in questo settore, pensarlo sarebbe penalizzare milioni di cittadini che vivono, direttamente o indirettamente, dell’attività mineraria. Secondo la presidente della FEC, tale procedura dovrebbe essere estesa a tutte le zone minerarie, per consentire ai minatori e ai commercianti del settore di trarre benefici dalla loro attività. Tuttavia, Toshiro King, intermediario di Nyabibwe, deplora i soprusi subiti dai minatori e dagli stessi commercianti a Kalimbi. Secondo lui, alcuni agenti dell’agenzia delle miniere, poco qualificati, esigono denaro al momento di registrare ed etichettare i loro sacchi. Eppure, secondo la legge, la procedura è gratuita, dall’inizio fino alla fine, afferma Leonce Lunvi, dell’OGP.
Certificazione regionale.
Nel 2010, i Capi di Stato dei Paesi della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) si erano impegnati a creare un meccanismo regionale per il monitoraggio e la certificazione dei minerali estratti nei paesi membri (Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Ruanda, Sudan, Tanzania, Zambia). Dovrebbero quindi applicare le raccomandazioni dell’Iniziativa per la Trasparenza delle Industrie Estrattive (ITIE), un organismo internazionale creato per garantire la tracciabilità dei minerali. Ogni paese membro dovrebbe avere una legislazione conforme al manuale di certificazione della CIRGL, formare il personale per garantire tale certificazione, organizzare i minatori artigianali in cooperative e aiutarli a produrre di più e meglio. Ma la data limite di fine 2012 fissata per l’attuazione di questi punti non è stata rispettata. Nonostante alcuni progressi, c’è ancora molta strada da percorrere.[3]
Il 1° marzo 2014, a Goma, è stato lanciato un sistema di tracciabilità dei minerali denominato Initiative Supply Chain (ITSCI). D’ora in poi, prima di essere esportati, la cassiterite e il coltan del settore di Rubaya, nel territorio di Masisi, saranno etichettati presso il sito di estrazione. Il ministro provinciale per le miniere, Jean Ruyange, ha però ammesso che, finora, sono solo 17 i siti minerari del settore di Rubaya ad essere stati riconosciuti come legali (bollino verde) con decreto ministeriale. Altri 11 siti minerari del territorio di Masisi e decine di altri in territorio di Walikale, tra cui il sito Bisié, non sono ancora stati convalidati. Il ministro provinciale delle miniere ha indicato che alcuni di questi siti sono ancora classificati con bollino giallo e altri con bollino rosso (attività vietata), perché si trovano in zone occupate da gruppi armati e non possono ancora usufruire del sistema di tracciabilità.[4]
[1] Cf testo integrale: http://www.enoughproject.org/files/StrikingGold-M23-and-Allies-Infiltrating-Congo-Gold-Trade.pdf
[2] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 26.04.’13
[3] Cf Marie-Agnès Leplaideur, Jean Chrysostome Kijana – Syfia Grands-Lacs/RD Congo, 15.03.’13
http://bukavuonline.com/2013/03/de-la-cassiterite-certifiee-indemne-de-sang-au-sud-kivu/
http://www.syfia-grands-lacs.info/index.php?view=articles&action=voir&idArticle=2821
[4] Cf Radio Okapi, 02.03.’14