Congo Attualità n. 208

INDICE

EDITORIALE: L’ignobile assassinio del Colonnello Mamadou N’Dala

1. IL COLONNELLO MAMADOU NDALA ASSASSINATO A BENI

a. L’attentato

b. Le reazioni della popolazione

c. Le prime piste delle indagini

d. Prime analisi dei fatti, confrontando le foto e i video disponibili

e. Le ipotesi si precisano

f. I primi arresti

 

EDITORIALE: L’ignobile assassinio del Colonnello Mamadou

1. IL COLONNELLO MAMADOU NDALA ASSASSINATO A BENI

a. L’attentato

Il 2 gennaio, il colonnello Mamadou Ndala, Comandante della Brigata URR (Unità di Rapida Reazione) è stato ucciso in un agguato avvenuto a Ngadi (Matembo), un villaggio vicino all’aeroporto di Mavivi, a cinque chilometri dalla città di Beni (Nord Kivu). Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha confermato la notizia: «Il colonnello Mamadou Ndala è stato ucciso ( … ) A quanto pare, sono dei ribelli dell’ADF-Nalu che hanno ucciso il colonnello e due membri della sua guardia del corpo. È davvero una grande perdita per le FARDC. Era in viaggio verso Eringeti, una località a 54 km da Beni, per dispiegarvi un battaglione in vista delle prossime operazioni, ma è caduto in un’imboscata». Un alto ufficiale della Monusco, ha confermato l’attacco, dicendo che «c’è stato un agguato, presumibilmente dell’ADF-Nalu  contro le FARDC» .
Un giornalista dell’AFP che si è recato sul luogo dell’attacco ha visto il corpo carbonizzato e decapitato del colonnello Ndala. Cinque soldati feriti sono stati trasferiti all’ospedale di Beni. Alcuni militari piangevano o avevano le lacrime agli occhi. Tutti erano in stato di shock, pieni di rabbia e d’incomprensione. Il colonnello Mamadou N’Dala era stato in prima linea nelle operazioni delle FARDC contro l’M23. Ora stava conducendo un’altra operazione contro i ribelli ugandesi dell’ADF-Nalu. L’esercito era già riuscito a recuperare i villaggi di Kamango, Kisiki e il ponte di Semliki, precedentemente occupati dai ribelli.[1]

b. Le reazioni della popolazione

Il colonnello Mamadou Moustapha N’Dala, 33 anni, era il comandante del 42° battaglione dell’unità di reazione rapida. Formato da istruttori belgi, angolani, americani e cinesi, era considerato l’eroe della guerra contro l’M23, un gruppo armato appoggiato dal Ruanda e dall’Uganda. Secondo Fidel Bafilemba, ricercatore dell’ONG Enough Project, Mamadou è stato un patriota che ha saputo dimostrare che «la RDCongo può aspirare a formare un esercito davvero repubblicano, se c’è la volontà politica di farlo». Mamadou Ndala è nato l’8 dicembre 1978 a Ibambi, nel territorio di Wamba, nella Provincia Orientale (nord-est), confinante con il Nord Kivu. Musulmano, sposato con tre figli, entrò nelle Forze Armate della RDCongo (FARDC) il 6 giugno 1997. Quattro anni più tardi, il 7 gennaio 2011, è diventato colonnello. Elevato al grado di generale di Brigata a titolo postumo, è stato sepolto, il lunedì 6 gennaio, nel cimitero musulmano di Kintambo, a Kinshasa.[2]

Il colonnello Mamadou N’Dala incarnava, agli occhi della popolazione dell’est del paese, il rilancio del successo dell’esercito congolese sui gruppi armati. A Beni, le strade sono rimaste deserte, il mercato è stato chiuso. Piccoli gruppi parlano della morte di “Mamadou” e alcuni si chiedono se le operazioni militari contro i gruppi armati possano ancora continuare come previsto. A Goma, capoluogo del Nord Kivu, la tristezza è sui volti di tutti. Anche la rabbia. In alcuni punti caldi della città, si bruciano pneumatici. Nel quartiere commerciale di Birere, negozi e magazzini sono chiusi in memoria del colonnello Mamadou N’Dala. Un modo per rendergli l’ultimo omaggio.[3]

La morte del colonnello Mamadou N’Dala ha rattristato diversi abitanti della città di Goma, che lo avevano apprezzato per il suo grande impegno nella lotta contro l’M23. Un abitante di Goma ha detto che Mamadou è stato «colui che ha restituito dignità ai Congolesi di Goma, infliggendo una pesante sconfitta all’M23». All’annuncio della morte del colonnello, le mogli dei militari hanno organizzato una breve marcia per le strade di Goma, inquadrata dalla polizia. I tassisti delle moto hanno cominciato a suonare i clacson. La maggior parte dei negozi hanno subito chiuso.[4]

Il 3 gennaio, in mattinata, nella città di Beni e in varie località del territorio, la popolazione ha protestato contro l’uccisione del colonnello Mamadou N’Dala. A Beni, alcuni giovani hanno bruciato pneumatici sul viale Nyamwisi, arteria principale della città. Simili manifestazioni hanno avuto luogo anche in alcuni quartieri dei comuni di Mulekera e Beu, dove negozi e magazzini erano chiusi. Analoghe manifestazioni si sono svolte in altre località del territorio di Beni, come Oicha, Mbau, Mutwanga ed Eringeti, comunità tra le più colpite per sequestri di persone da parte dei ribelli ugandesi dell’ADF/Nalu. È in questa stessa zona che da un paio di giorni si stanno dispiegando i commandos dell’unità di reazione rapida delle FARDC, in previsione dell’attacco finale ai ribelli dell’ADF/Nalu  e alleati. A Beni, si pensa che Mamadou sia stato ucciso per le sue ultime vittorie contro l’M23 e che, pertanto, si tratti di un assassinio premeditato.[5]

c. Le prime piste delle indagini

Per il momento, le circostanze della morte del colonnello Mamadou rimangono ancora oscure.
Secondo il portavoce del governo e un ufficiale della Monusco, non è da escludere l’ipotesi di un agguato perpetrato dall’ADF- Nalu con la complicità di gruppi armati locali. Se l’ipotesi di un’implicazione dei ribelli ugandesi dell’ADF-Nalu sembra abbastanza plausibile, alcuni osservatori non escludono però la pista di un “omicidio” da parte  di “compagni d’armi”. Infatti, il Caporale Paul Safari, una guardia del corpo del colonnello Ndala afferma: «Ho visto due degli aggressori che indossavano la vecchia uniforme verde delle FARDC. Non credo che sia stato l’ADF-Nalu». Vicino alla jeep incendiata, altri militari accusano alcuni colleghi militari di “reggimento”. «Sono gelosi per il nostro successo a Rutshuru! Ci sentiranno!», ha detto uno di loro, il cui parere è condiviso da altri. «L’attacco è avvenuto in una zona controllata dalle FARDC, dove non è segnalata alcuna presenza dell’ADF-Nalu.  Occorre quindi aprire un’inchiesta per scoprire cosa è realmente accaduto», osserva un parlamentare del Nord Kivu. La popolazione di Beni attribuisce questo omicidio a militari ruandofoni delle FARDC complici con l’M23 e ritiene che tale agguato sia stato pianificato a partire da Kinshasa dai nostalgici della balcanizzazione del Paese. Un’altra ipotesi è quella di elementi dell’M23 infiltrati nell’ADF-Nalu a partire dall’Uganda, dove erano fuggiti dopo la loro sconfitta. È inoltre possibile che siano implicati anche elementi delle forze speciali degli eserciti ruandese (RDF) e ugandese (UPF).[6]

d. Prime analisi dei fatti, confrontando le foto e i video disponibili

Un gruppo di cinque esperti (in criminologia, esplosivi e balistica) di DESC (Difesa e Sicurezza del Congo) ha esaminato le diverse immagini e foto relative all’attacco contro il veicolo del colonnello N’Dala e ha confrontato le diverse tesi.

Quando si visualizzano le immagini del veicolo in cui il colonnello è stato ucciso, non si vede un impatto visibile di un obice. Secondo Jean-Marie Ndambi, diplomato alla Royal Military Academy (RMA) del Belgio, ingegnere in scienze applicate, esperto in esplosivi e membro del DESC, «un obice contiene una carica esplosiva che esplode a contatto con il suo bersaglio. In questo caso, non si nota alcun indice di esplosione (danni significativi al veicolo, spargimento di rottami, presenza di un cratere sul suolo … ). Non ci sono prove che questo veicolo sia stato colpito da un razzo anti carro armato. Esso ha preso fuoco come un veicolo che sia stato incendiato. Se l’obice fosse stato sparato a distanza ravvicinata, anche il lato opposto del veicolo avrebbe dovuto subire danni considerevoli. Il veicolo avrebbe dovuto essere sbalzato un po’ più lontano. Tuttavia, queste caratteristiche balistiche sono assenti dalle immagini che circolano. Inoltre, la cabina sembra essere intatta, il che esclude la teoria di un tiro d’obice».

La mancanza di conseguenze gravi di un’esplosione (veicolo fortemente danneggiato o pezzi sparsi in tutte le direzioni) non lascia presagire un attacco con RPG.

Un’altra incongruenza è che il veicolo sia rimasto posizionato in linea retta, come se si fosse fermato o se avesse parcheggiato in seguito ad una richiesta (o un gesto di autostop) da parte di una persona facente parte delle conoscenze del colonnello o di uno dei passeggeri. Inoltre, poiché la strada è dritta, è probabile che il veicolo viaggiasse ad alta velocità. In questo caso, occorre essere un tiratore esperto per colpire un bersaglio in movimento.

Secondo le teorie classiche della tattica militare d’agguato, l’ora dell’attacco [intorno a mezzogiorno e con ampia visibilità, quando invece la realizzazione di un buon agguato esige condizioni effemeridi di buio (notte) e di scarsa visibilità (nebbia)] e il posto scelto non sono adatti per eseguire un agguato in modo ottimale. Inoltre, la strada è rettilinea ed asfaltata, il che favorisce quindi una rapida evacuazione. Invece, il luogo adatto per un’imboscata è proprio una curva o una strada tortuosa,  condizioni che causerebbero il rallentamento del bersaglio, ma in questo caso non è stato così). Altro criterio sfavorevole ad un’imboscata è che la strada è ampia e in buone condizioni senza alcun ostacolo naturale. La configurazione del luogo e i dati relativi alle condizioni effemeridi (meteo, visibilità, … ) non permettono un effetto sorpresa che è la condizione sine qua non per il successo di un’operazione d’imboscata.

L’ingegnere Ngongo Guy, laureato presso l’ERM ed esperto in balistica, afferma: «Personalmente, trovo strano che non ci sia alcun grande danno intorno al veicolo. La mia prima analisi mi porta a credere che il tiro sia stato effettuato a distanza ravvicinata. C’è stata un’infiltrazione da parte di una piccola unità che sarebbe poi fuggita subito dopo l’attacco?».

L’ipotesi di Ngongo, secondo cui delle persone avrebbero sparato a breve distanza e che poi sarebbero fuggite, coincide con l’analisi di Ndambi e la dichiarazione di un testimone che ha visto due persone fuggire, parlando in lingua Kinyarwanda e lingala. Ciò smentisce la teoria di un attacco perpetrato da ribelli dell’ADF- Nalu e orienta verso una pista ruando-congolese, con l’implicazione di militari del CNDP, dell’M23 o della GR (Guardia Repubblicana).

Secondo gli esperti del DESC, dopo analisi e confronti, l’attentato si sarebbe svolto come segue: una persona che conosceva il colonnello N’Dala avrebbe fatto un gesto (tipo autostop) per fermare il veicolo, altre persone sarebbero scese in strada, avrebbero individuato il colonnello N’Dala, l’avrebbero ucciso e poi avrebbero appiccato il fuoco al veicolo per far sparire le tracce.

Inoltre, si nota che il veicolo brucia a partire dal basso. Come indicato sopra, un obice è fatto per far esplodere il bersaglio, compresi carri armati e veicoli blindati. In questo caso, si nota chiaramente che il veicolo è stato cosparso con materiali infiammabili per nascondere le tracce dei proiettili sparati sul corpo.

Infine, una fonte militare dei servizi segreti congolesi ha parlato anche dell’invio, da parte della gerarchia militare a Kinshasa, di un plotone della Guardia Repubblicana, 35 uomini, per “rafforzare” l’unità del colonnello N’Dala, in vista del prossimo attacco  all’ADF-Nalu. Si sa molto bene che la GR sfugge al controllo dello Capo di Stato Maggiore delle FARDC. La presenza di elementi della GR sul luogo dell’attentato sembra essere confermata dalle immagini in cui si vedono alcuni militari che indossano dei giubbotti antiproiettili. Solo gli elementi della GR sono dotati di un tale equipaggiamento. Giubbotti e caschi non fanno parte delle dotazioni di altre unità delle FARDC. Tutto fa credere che la morte di Ndala porti il marchio di elementi ex CNDP operanti nelle FARDC che controllano la città di Beni, senza escludere la pista della GR.[7]

Secondo un altro osservatore, con l’impatto dell’obice, il veicolo avrebbe dovuto ribaltarsi o rovesciarsi. Il motore avrebbe dovuto presentare segni di impatto. Il cofano avrebbe dovuto aprirsi, affinché il motore prendesse fuoco. Solo l’ala anteriore destra è stata deformata e pressata, non in modo normale, mentre avrebbe dovuto essere completamente disintegrata. Nel caso di un tiro d’obice, la cabina sarebbe fracassata. Invece appare normale. Circa i quattro pneumatici che ardono, la constatazione del relativo buon stato del cofano, del motore e della cabina fa pensare che l’incendio sia stato intenzionale e che il fuoco sia stato appiccato con un combustibile diverso dal gasolio. Si nota poi che la ruota di scorta, posta in alto, dietro la cabina, è in fiamme, mentre le sponde laterali della Toyota sono intatte e ancora bianche e pulite, nonostante il fumo.
Si può concludere che il fatto che il veicolo sia rimasto come ben parcheggiato, invece di rovesciarsi o di sbandare verso i bordi della strada o in mezzo alla strada stessa, dimostra che né l’obice, né il fuoco sono la causa della morte del colonnello. Egli  sarebbe stato ucciso prima della propagazione dell’incendio. La cabina sarebbe stata incendiata per bruciare i corpi dei passeggeri e cancellare le tracce. Il colonnello è stato assassinato.

DESC ha proseguito le sue indagini esaminando il video dell’attacco al colonnello Mamadou N’Dala e fornisce ulteriori informazioni.

L’incendio che si è propagato a tutto il veicolo, anche in cabina, porta a concludere che i corpi avrebbero presentato aspetti di gravi ustioni, ma quando i corpi vengono distesi sul ciglio della strada, si nota con sorpresa che i loro vestiti non sono stati consumati dal fuoco, anche se si può a malapena a vedere ustioni sul volto di un soldato e sulle braccia di un altro …
Sono morti per asfissia, a causa delle loro ustioni, o da proiettili, prima che si appiccasse fuoco al veicolo o che il fuoco sia divampato come conseguenza dell’attacco? Sono morti durante l’attacco o prima dell’attacco? Solo un esame medico legale sui corpi delle vittime e uno studio balistico sul veicolo avrebbero accertato l’identificazione delle reali cause della morte di questi militari. È difficile dire che tipo di arma abbia colpito il veicolo. Ma ciò che si può notare è la rapidità con cui il fuoco si è propagato su tutto il veicolo. Generalmente, il fuoco si propaga dal punto di impatto, per estendersi, in seguito, all’intero veicolo, ma è necessario un certo tempo prima che il fuoco si diffonda sulla totalità del veicolo.

Quanto tempo sarà trascorso prima che il veicolo s’infiammi completamente? Il video non lo dice, perché inizia quando il veicolo è in fiamme già da un certo tempo. Come si è visto, l’incendio di tutto il veicolo non avviene istantaneamente, ma c’è sempre un punto da cui parte il fuoco. L’ipotesi secondo cui si sia versato del carburante per incendiare il veicolo è plausibile, ma non l’unica.
C’è un altro aspetto imbarazzante: la maggior parte dei soldati sono rimasti indifferenti e passivi. Non hanno nemmeno tentato di mettersi al riparo, di identificare il pericolo per contrastarlo. Sembra quasi che credessero di trovarsi in campo amico. O sono stati imprudenti, perché non hanno preso alcuna disposizioni per una maggiore sicurezza, al fine di prevenire un eventuale altro attacco a sorpresa. Non si nota alcuna reale volontà, probabilmente da parte dei loro superiori, di perlustrare la zona per rintracciare l’aggressore. Tutto sembra normale, addirittura banale .

Ci sono state alcune timide reazioni da parte di alcuni soldati. Si può presume che siano stati i militari più vicini al colonnello che hanno estratto i corpi delle vittime dal veicolo, mentre gli altri danno quasi l’impressione di non aver nulla a che fare con ciò che era appena successo. Questo atteggiamento di indifferenza lascia trapelare il dubbio che ci possa essere stata una certa collusione con i mandanti dell’attacco, siano essi nazionali o stranieri o che, in seno all’unità comandata dal Colonnello N’Dala, ci fossero dei soldati che obbedivano agli ordini di un altro ufficiale.
Anche se molte questioni rimangono senza risposta, resta il fatto che solo un’indagine approfondita potrà far luce su ciò che è realmente successo. Spetta alle autorità congolesi decidere e agire.[8]

e. Le ipotesi si precisano

Diversi motivi mettono in discussione l’implicazione dei ribelli ugandesi dell’ADF/Nalu nell’assassinio del colonnello Ndala. Prima di tutto, c’è stata la rapidità con cui il governo congolese ha designato l’ADF-Nalu come responsabile dell’assassinio, solo pochissime ore dopo l’attacco. Poi ci sono le circostanze dell’agguato: il lancio di un obice in pieno giorno, a pochi chilometri dal centro di Beni, su una strada controllata dall’esercito congolese e, per di più, libera e scorrevole, ciò che rende difficile un’infiltrazione estranea. Il colonnello non viaggiava nella sua solita auto. Era quindi necessario che gli aggressori sapessero che era proprio il colonnello Mamadou che si trovava a bordo di quel veicolo. Per questo, alcuni testimoni non escludono l’ipotesi di un regolamento di conti interno all’esercito congolese. Molto popolare tra la gente, Mamadou si era attirato qualche gelosia. Egli era visto come il vero eroe della vittoria contro l’M23, a scapito dei suoi superiori e anche del potere politico.[9]

Appare dunque un’altra ipotesi sulla morte del colonnello Ndala: un omicidio a distanza ravvicinata da parte di un militare dell’esercito congolese. La questione che si pone è di sapere chi sta dietro l’assassinio di N’Dala.

A Goma, dove il colonnello N’Dala è stata elevato a “salvatore della RDCongo”, tutti gli occhi sono puntati sul presidente Joseph Kabila. Questi si sarebbe sentito “in imbarazzo” di fronte alla popolarità del colonnello, presentato come il vincitore della guerra contro l’M23. Joseph Kabila ha brillato per la sua assenza sul campo di battaglia durante tutta la guerra nel Kivu. Durante la sua ultima visita a Goma, l’”eroe” acclamato dal popolo era Mamadou N’Dala, non Joseph Kabila.

Un’altra pista è quella dei ribelli dell’M23 che avrebbero potuto vendicare la loro sconfitta da parte delle FARDC. Una tesi poco plausibile nell’attuale situazione in cui l’M23 si trova molto diviso.

Rimane un’ultima ipotesi. L’omicidio di Mamadou N’Dala potrebbe essere il risultato di un regolamento di conti all’interno dello stesso esercito congolese. Traccia accreditata dai primi arresti effettuati in seno alle FARDC.[10]

Un politico locale ritiene che gli ufficiali militari di Beni non abbiano visto di buon occhio l’arrivo, sul loro territorio, del colonnello Mamadou Ndala e dei suoi uomini. «Secondo loro, Mamadou N’Dala era andato a fare un lavoro che essi non avevano potuto fare: neutralizzare l’ADF/Nalu. Dal 2009 (data del loro arrivo a Beni), hanno trasformato la zona operativa del Ruwenzori – dove si trovano i ribelli ugandesi – in una zona di commercio», ha affermato, denunciando certi “accordi” tra il comando militare di Beni e i capi dei ribelli dell’ADF/Nalu. L’inchiesta che è in corso dovrebbe quindi far luce anche sulla presunta collusione contro natura tra alcuni ufficiali dell’esercito e gli uomini della ADF/Nalu.[11]

Secondo alcuni osservatori, l’omicidio di Mamadou N’Dala è indicativo della situazione in cui si trova l’esercito congolese. Secondo Thierry Vircoulon, responsabile del settore Africa Centrale per International Crisis Group (ICG) , «l’agguato in cui è caduto N’Dala mina ancora una volta l’immagine dell’esercito congolese. Sul video dell’attacco, l’atteggiamento dei militari congolesi non sembra molto professionale. Se a ciò si aggiunge il sospetto di una responsabilità interna all’esercito, si è ancora lontani dalla resurrezione delle FARDC come si vuol far credere dopo la vittoria sull’M23. I problemi interni all’esercito rimangono ancora irrisolti».[12]

f. I primi arresti

Il 4 gennaio, due presunti sospettati dell’omicidio del colonnello Mamadou Ndala sono stati arrestati nella città di Beni. Tra gli indagati, fonti della sicurezza citano i nomi di un responsabile del battaglione delle FARDC stanziato nella città di Beni e una sua guardia del corpo. «Il comandante della città di Beni, il tenente colonnello Tito Bizuru Ogabo, è stato arrestato mentre cercava di disertare l’esercito il giorno dopo l’assassinio del colonnello Mamadou», ha rivelato una fonte della società civile. «La sua guardia del corpo è stata arrestata perché il suo telefono è stato ritrovato sul luogo del delitto, anche se non faceva parte del convoglio», ha precisato la fonte. Per motivi di indagine, l’ufficiale militare sospettato è stato posto agli arresti domiciliari, mentre la sua guardia del corpo è già stata arrestata. Il portavoce dell’8ª Regione Militare, il colonnello Olivier Hamuli, non conferma gli arresti segnalati dalla società civile del territorio di Beni. Egli parla, piuttosto, di semplici convocazioni per interrogatori e aggiunge che la colpevolezza degli interpellati non è stata ancora stabilita. Ha concluso che si dovevano attendere i risultati dell’inchiesta, per potersi pronunciare. Il tenente colonnello Bizuru è stato uno dei primi ad arrivare sul luogo dell’attentato, il che forse spiega perché la sua scorta, che non faceva parte del convoglio, abbia potuto perdere il suo cellulare sul luogo del crimine.[13]

Il colonnello Tito Bizuru, numero uno delle FARDC nella città di Beni, è stato posto in stato di arresto. Questo ufficiale è un ex ribelle del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Egli fu reintegrato nell’esercito congolese nel 2009, in seguito all’accordo del 23 marzo tra la ribellione di Laurent Nkunda e il governo congolese. In occasione della diserzione dall’esercito, in aprile 2012,  di diversi militari provenienti dal CNDP, diserzione che diede origine alla ribellione del M23, il colonnello Bizuru non aveva disertato. «Ma nulla indica che abbia rotto i contatti con i suoi amici», afferma un ufficiale militare di Beni che, chiedendo l’anonimato, ha precisato che «l’assassinio di Mamadou N’Dala è una rivincita – vendetta (resa dei conti) di militari ex-CNDP, la maggior parte dei quali sono rwandofoni, contro colui, Mamadou N’Dala, che ha sconfitto l’M23, benché quest’ultimo fosse appoggiato dal Ruanda».

Il cerchio si stringe anche intorno al generale Muhindo, alias Mundos, comandante del settore operativo a Beni. Si ritiene, infatti, che l’ex comandante della Guardia Repubblicana a Goma «non abbia fatto nulla per rincorrere gli attaccanti che hanno ucciso il colonnello». Secondo alcune voci, l’ufficiale hunde si sarebbe dato alla fuga ma, secondo le ultime informazioni, egli sarebbe in città, messo agli arresti domiciliari presso il campo militare Mangango, a Beni. Secondo alcune fonti, Moundos era alla testa di un battaglione inviato da Joseph Kabila per dare una mano al colonnello Mamadou N’Dala nel Nord Kivu. Varie fonti evocano una certa “rivalità” tra i due uomini. Altri pensano che Moundos potrebbe essere la “mano” del presidente congolese in questo assassinato.
Nel frattempo, si sono registrati altri arresti. Un certo tenente Kelvin, capo dei servizi segreti  militari a Beni, è stato arrestato nella mattinata dell’8 gennaio. Secondo una fonte militare locale, l’ufficiale ha dichiarato di «essere in possesso di informazioni sulle persone che hanno pianificato l’assassinato di Mamadou N’Dala e sulla provenienza di 300.000 dollari che sarebbero stati versati, per assoldare alcuni militari che avrebbero eseguito il funesto piano». Una pista che gli investigatori stanno prendendo molto sul serio.[14]

Il 9 gennaio, a Beni, il governatore della provincia del Nord Kivu, Julien Paluku, ha smentito che il potere sia alla base dell’assassinio del colonnello Mamadou Moustapha Ndala. Ha quindi chiesto alla popolazione di cessare ogni tipo di speculazione e di lasciare che gli inquirenti continuino il loro lavoro. «L’inchiesta in corso ha bisogno di tempo. 32 indagati sono già in stato di arresto», ha sottolineato.


[1] Cf Radio Okapi, 02.01.’14; AFP – Matembo, 02.01.’14; Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 02.01.’14

[2] Cf AFP – Kinshasa, 04.01.’14

[3] Cf Radio Okapi, 02.01.’14; AFP – Matembo, 02.01.’14; Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 02.01.’14

[4] Cf Radio Okapi, 03.01.’14

[5] Cf Radio Okapi, 03.01.’14

[6] Cf Radio Okapi, 02.01.’14; AFP – Matembo, 02.01.’14; Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 02.01.’14

[9] Cf RFI, 04 e 06.01.’14

[10] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 08.01.’14

[11] Cf Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 09.01.’14

[12] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 08.01.’14

[13] Cf Radio Okapi, 05.01.’14; AFP – Kinshasa – Africatime, 06.01.’14; RFI, 06.01.’14