Il doppio binario della Comunità Internazionale

Editoriale Congo Attualità n. 205– a cura della Rete Pace per il Congo

 

Dopo aver sconfitto il Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato a predominanza tutsi e appoggiato militarmente e politicamente dal Ruanda e dall’Uganda, l’esercito congolese e la Missione dell’Onu nelle Repubblica Democratica del Congo (Monusco) hanno iniziato una serie di operazioni militari contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un altro gruppo armato formato da ribelli hutu ruandesi ancora presenti nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo).

Si tratta di operazioni necessarie quando non si riscontra alcuna volontà di disarmo volontario. Ma, come ha affermato il vice Segretario Generale delle Nazioni Unite e responsabile delle operazioni per il mantenimento della pace, Hervé Ladsous, non è sufficiente disarmare i gruppi armati, ma «è necessario fornire, agli ex-combattenti, una prospettiva di futuro, mediante un loro reinserimento sociale nella vita normale del paese, altrimenti riprenderanno di nuovo le armi».

A questo proposito, sembra che la Comunità Internazionale stenti ad assumere un atteggiamento uguale per tutti i gruppi armati.

Soluzioni diverse, a seconda che si tratti dell’M23 o delle FDLR

Per l’M23, la comunità internazionale ha chiesto al governo congolese una soluzione politica attraverso l’apertura dei negoziati di Kampala.

Secondo la logica, sarebbe stato dunque necessario imporre la stessa via anche ai governi ugandese e ruandese, per risolvere il problema delle loro rispettive ribellioni, le ADF – Nalu e le FDLR, fuggite nell’est della RDCongo. Non è così.

Secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti per i Grandi Laghi, Russ Feingold, il Ruanda e l’Uganda non possono negoziare con le loro rispettive ribellioni. Secondo lui, la soluzione non è  che ogni governo inizi a negoziare con un gruppo armato particolare, perché i gruppi armati, afferma, non hanno alcun diritto di sedersi allo stesso tavolo con i governi. Anzi, secondo lui, tali questioni dovrebbero piuttosto essere trattate in un dialogo regionale tra i paesi interessati.

Perché questa politica dei due pesi e due misure a scapito della RDCongo e a favore di quei Paesi che la aggrediscono creando sempre nuove ribellioni? Perché allora Feingold, con Mary Robinson, ha sempre invocato la via politica come unica soluzione alla guerra dell’M23 nell’est della RDCongo? Perché ancora lui ha sempre insistito affinché il governo congolese firmasse un accordo di pace con dei ribelli già sconfitti militarmente? Ma per le FDLR, egli propone l’intervento armato e non il dialogo con Kigali, come imposto a Kinshasa nei confronti dell’M23. Le FDLR non sono certo più pericolose dell’M23, per non dare loro la possibilità di dialogare con il loro governo.

Senza sottovalutare la responsabilità di certi membri delle FDLR nel genocidio ruandese, non si può tuttavia adottare la politica dello struzzo di fronte al fatto che, tra le FDLR, ci sono anche nuove generazioni che non sono assolutamente legate al genocidio e con le quali, quindi, si deve trattare in maniera diversa. Su questo aspetto, Kigali ha sempre trovato una scappatoia dicendo che queste nuove generazioni, anche se non hanno direttamente partecipato al genocidio, sono state tuttavia indottrinate sulle divisioni etniche e incitate all’odio etnico. In breve, il regime ruandese chiude, a priori, qualsiasi forma di prospettiva di futuro a questi suoi cittadini che vivono in Congo. Il Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha recentemente raccomandato che il Ruanda e l’Uganda negozino con le loro rispettive ribellioni, ma Kigali ha vigorosamente respinto tale proposta, senza che la comunità internazionale reagisca.

Si è qui di fronte ad una politica internazionale dei due pesi e due misure.

La comunità internazionale farebbe bene a prendere in considerazione la disponibilità delle FDLR al dialogo con il governo ruandese, piuttosto che sposare ciecamente il punto di vista del Ruanda che li considera, in blocco, dei genocidari. Non è proprio così. Ed è nel dialogo che entrambe le parti potrebbero affrontare le questioni relative al rimpatrio e al reinserimento sociale dei membri delle FDLR. Essendo il genocidio un crimine imprescrittibile, quelli tra loro che avessero commesso un tale crimine dovranno essere consegnati alla giustizia.

Perciò la soluzione per una pace duratura nella Regione dei “Grandi Laghi”, e non solo nell’est della RDCongo, passerà quindi necessariamente attraverso un approccio regionale che comporta un dialogo interruandese e interugandese.

Il ritorno dei rifugiati Tutsi nella RDCongo

Ci sono molte altre contraddizioni negli interventi della comunità internazionale nel modo di trovare una soluzione alla crisi nell’est della RDCongo.

Per esempio, non è affatto facile comprendere come, dopo la sua visita a Kigali, Russ Feingold faccia improvvisamente della questione del ritorno dei rifugiati Tutsi nella RDCongo una delle sue principali preoccupazioni. Probabilmente, non sa che, in assenza di documenti anagrafici affidabili, risulta difficile stabilire la nazionalità di tali rifugiati. Se si programmasse un ritorno precipitato, senza un’operazione di previa identificazione, come al solito Kigali ne approfitterebbe per infiltrare, tra i rifugiati candidati al ritorno, dei falsi Congolesi tutsi, che diventerebbero automaticamente dei Congolesi. Ciò che occorre evitare, quindi, è la strategia di trasformazione di popolazioni ruandesi in congolesi, in vista del loro insediamento legale nel Kivu attraverso l’UNHCR. Sarebbe ciò che Kagame vuole ottenere attraverso la sua richiesta avanzata all’inviato speciale degli Stati Uniti per i Grandi Laghi, sul ritorno dei “rifugiati congolesi tutsi” nell’est della RDcongo. Stranamente, questa è anche la richiesta dell’M23. Il trio Paul Kagame – M23 – Russ Feingold è ormai noto!