Editoriale Congo Attualità n. 201 – a cura della Rete Pace per il Congo
Ristrutturato nella logistica e nella catena di comando, incoraggiato dalla popolazione e appoggiato dalla brigata d’intervento della Missione dell’Onu (Monusco), l’esercito congolese ha ricuperato anche le ultime tre località del territorio controllato dal Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato appoggiato dai Paesi limitrofi, il Ruanda e l’Uganda. Dopo 18 mesi di occupazione e di sofferenze, la popolazione ha accolto con molta gioia questa liberazione.
I problemi non sono terminati: occorre risolverli.
Molti si interrogano ora sulla sorte dei negoziati iniziati in dicembre 2012, a Kampala, in Uganda, tra la delegazione del governo congolese e l’M23.
Secondo alcuni, non hanno più alcun senso, in quanto l’M23 è stato sconfitto. Secondo altri, un accordo con l’M23 sarebbe un atto di tradimento nei confronti dell’esercito e dell’intero Paese. Da parte sua, l’Onu e la Comunità internazionale spingono il governo congolese ad accettare una conclusione di tali negoziati mediante un accordo politico con l’M23, nonostante la vittoria militare.
Una cosa è certa: i problemi non sono terminati. Sconfitti militarmente, tutti gli ufficiali e i militari dell’M23 hanno varcato la frontiera e sono fuggiti in Uganda, altri in Ruanda.
A questo proposito, le cifre variano secondo le fonti. Il governo ugandese afferma di aver accolto 1.700 membri dell’M23. Cifre ritenute inverosimili. Il governatore del Nord-Kivu, Julien Paluku, afferma che «Oltre 400 si sono arresi. Ce ne sono 700 in Ruanda (100 feriti e quelli di Runiga fuggiti in aprile scorso), tra i 100 e i 150 sono caduti sul campo di battaglia».
Al di là delle cifre, che occorrerà verificare, rimane il problema di cosa fare, affinché l’M23, benché militarmente sconfitto, non prepari una nuova ribellione a partire dall’esterno o non vada ad ingrossare altri gruppi armati. Non è superfluo ricordare che l’M23 aveva già intrecciato rapporti con vari gruppi armati, tra cui i Maï Maï Sheka, i Maï-Maï di Hilaire Kombi e certi gruppi dei Maï-Maï Raïa Mutomboki.
A situazione cambiata, risposta diversa.
In questa prospettiva, si potrebbe dire che gli incontri di Kampala hanno ancora un senso nella misura in cui tengono in conto dell’evoluzione della situazione.
Viziati sin dall’inizio, in quanto ponevano sullo stesso piano un governo di uno Stato Sovrano e un gruppo armato definito “forza negativa” dalla stessa Comunità Internazionale, questi incontri avevano l’obiettivo di raggiungere un accordo tra le due parti. Ma ora la situazione è totalmente cambiata. I territori occupati dall’M23 sono stati liberati. Come gruppo armato, l’M23 è stato sconfitto militarmente e la sua direzione ha annunciato di «aver deciso di porre fine alla sua ribellione … e di voler continuare con mezzi puramente politici la ricerca delle soluzioni alle cause profonde che hanno motivato l’inizio della ribellione. A tal fine, tutti i capi militari della ribellione sono pregati di preparare le truppe in vista della procedura di disarmo, smobilitazione e reintegrazione, i cui termini sono da concordare con il governo». Giustamente, le autorità congolesi affermano che non sono disposte a vedersi rubare una vittoria militare raggiunta con tanti sacrifici.
“Dichiarazione” o “Accordo”?.
Quindi, tenendo conto anche degli ultimi avvenimenti, secondo la delegazione del governo, la conclusione degli incontri di Kampala non potrà più essere un accordo tra due parti, quanto una “dichiarazione” ufficiale della fine dell’M23 come gruppo armato.
D’altra parte, dopo la sconfitta militare, l’M23 non accetta un’ulteriore sconfitta sul piano diplomatico e la sua delegazione rimane aggrappata ad una conclusione degli incontri sotto forma di “accordo”, il che gli permetterebbe di sentirsi ancora un interlocutore insormontabile.
Le due delegazioni non hanno dunque trovato un’intesa e la conclusione degli incontri è stata quindi rinviata.
Può sembrare un gioco di parole, ma la differenza tra i due vocaboli, dichiarazione o accordo, qualifica la natura del documento di conclusione degli incontri di Kampala. Probabilmente non si tratta solo di una questione di semantica, ma anche della necessità di chiarire certe ambiguità.
Per esempio, il popolo congolese è stanco di accordi farsa che non sono mai rispettati e che danno luogo a sempre nuove ribellioni. Tanto meno accetta la pressione della comunità internazionale sul governo congolese, affinché si impegni in negoziati e accordi politici con l’M23, quando non li esige dal Ruanda e dall’Uganda con le loro rispettive ribellioni, le FDLR e l’ADL/Nalu, fuggite nella RDCongo. Molto criticabili sembrano essere le dichiarazioni dell’inviato speciale degli Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi, Russell Feingold, in una intervista a Radio France Internationale il 29 ottobre scorso: «Capisco che il presidente Kagame sia riluttante ad impegnarsi in negoziati (con le FDLR). Infatti, non credo che le trattative tra una nazione sovrana e un gruppo armato, come se fossero sullo stesso piano, siano il modo migliore per risolvere il problema». Allora perché, nella stessa intervista afferma che «Ciò che serve (alla RDCongo) è un accordo di pace negoziato con l’M23»? Perché questa doppia misura: una per il Ruanda e l’altra per la RDCongo? Perché tanta ipocrisia?
Oltre a questo doppio gioco della Comunità Internazionale, una seconda questione riguarda l’enigma dell’effettivo dei membri dell’M23 fuggiti in Uganda. Secondo il governatore del Nord-Kivu, l’annuncio dell’arrivo di 1.700 ribelli dell’M23 in Uganda è una “strategia dell’M23 e dei suoi alleati”, per integrare “elementi ruandesi e ugandesi” nelle FARDC.
“Dichiarazione”.
Una dichiarazione finale a conclusione dei colloqui di Kampala dovrebbe quindi servire a ufficializzare la fine dell’esistenza dell’M23 come gruppo armato e a mettere le basi per costruire un futuro di pace.
In tal senso, la dichiarazione dovrebbe tener conto dell’annuncio fatto dalla direzione politica dell’M23, il 5 novembre, a proposito della fine della sua ribellione e delle disposizioni impartite agli ufficiali militari del gruppo stesso.
La dichiarazione finale dovrebbe fissare le condizioni per un’eventuale amnistia, concessa individualmente, caso per caso, e non in forma collettiva. Gli autori e i responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità (omicidi, stupri, arruolamento di minorenni, … ) e gli ufficiali implicati nel commercio illegale e clandestino delle risorse naturali dovranno rendere conto dei loro atti davanti alla giustizia nazionale e internazionale, senza poter usufruire di alcuna misura di amnistia. È il caso di coloro che sono oggetto di sanzioni da parte dell’Onu, di coloro che sono ricercati dalla giustizia congolese o internazionale e di altri.
Dovrebbe fissare le condizioni anche per l’integrazione dei membri dell’M23 nelle FARDC, da realizzarsi individualmente, caso per caso. Ogni candidato dovrebbe impegnarsi, per iscritto, a non disertare più l’esercito e a non riprendere più le armi contro lo Stato. Dovrebbe accettare di prestare servizio in altre regioni militari diverse dal Nord-Kivu, Sud-Kivu e Maniema, lontano dalle frontiere con il Ruanda e l’Uganda. È da tutti noto che con il falso pretesto di difendere le loro famiglie dalla “minaccia” delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), finora non hanno mai accettato di essere permutati altrove. Dalla reintegrazione nell’esercito nazionale dovrebbero essere esclusi i membri dell’M23 aventi nazionalità straniera, coloro che hanno già disertato l’esercito in passato e coloro che sono stati reclutati, spesso in forma coatta, dallo stesso M23. Per questi gruppi di persone, la dichiarazione dovrebbe prevedere le linee guida per il loro rimpatrio o per il loro reinserimento sociale.
Per quanto riguarda una possibile mutazione dell’M23 in partito politico, non bisogna dimenticare che l’M23 ha preso questa denominazione perché, all’origine, rivendicava la piena applicazione degli accordi del 23 marzo 2009, firmati dal governo e l’allora Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), un altro gruppo armato sempre appoggiato dal Ruanda. Anche il CNDP si era trasformato in partito politico, diventato addirittura membro della Maggioranza Presidenziale. Ma ciò non ha impedito l’apparizione dell’M23. La denominazione M23 indica la sua provenienza: il CNDP. Non è quindi necessario che l’M23 si trasformi in nuovo partito politico. Sarebbe sufficiente che rientrasse da dove è uscito: il CNDP.
Ciò che occorrerà evitare è un’ennesima infiltrazione dell’esercito nazionale e delle Istituzioni del Paese da parte di persone che potrebbero essere all’origine, in futuro, di un nuovo conflitto, quando invece il popolo congolese ha bisogno di giustizia e di pace.