Editoriale Congo Attualità n. 203– a cura della Rete Pace per il Congo
Fine dell’M23: è urgente pronunciarsi.
Sconfitti militarmente dall’esercito congolese appoggiato da una brigata d’intervento della Missione dell’Onu (Monusco), i membri dell’ormai ex Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato che ha controllato per 18 mesi due territori del Nord-Kivu, Nyragongo e Rutshuru, sono fuggiti in Ruanda e Uganda, due Paesi limitrofi da cui hanno ottenuto un continuo appoggio logistico e militare. A questi, occorrerà aggiungere quelli che si erano consegnati all’esercito congolese e alla Monusco prima della sconfitta finale. Se la fase militare può dirsi conclusa, tuttavia, rimane elevato il rischio che l’ex M23 si riorganizzi, a partire proprio dai Paesi che l’hanno sempre appoggiato, e che ritorni ad attaccare l’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Per prevenire tale rischio, il governo congolese dovrà trovare immediatamente una soluzione per evitarlo. Con o senza un “comunicato” o una “dichiarazione” di conclusione degli incontri con l’ex M23 a Kampala, il governo congolese dovrà pronunciarsi urgentemente e ufficialmente sulla sorte che intende riservare ai membri dell’ex M23: procedure giudiziarie contro i responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, condizioni per poter usufruire di un’eventuale amnistia individuale, provvedimenti concreti in vista di un loro reinserimento sociale. È chiaro che questi provvedimenti richiederanno, dapprima, una verifica degli effettivi reali del gruppo sulla base della identificazione di ciascun membro.
Disarmare i gruppi armati nazionali … .
Un’altra questione da affrontare è quella del disarmo degli altri gruppi armati, nazionali e stranieri, che hanno contribuito ad alimentare il conflitto. Si tratta di una lunga lista di una quarantina di gruppi armati. Tra i gruppi armati nazionali, conosciuti generalmente col nome Maï-Maï, anche se suddivisi in varie fazioni, vari di essi erano alleati con l’ex M23 o suoi avversari. Quindi, con la scomparsa dell’M23, quelli che erano suoi alleati si trovano ora in difficoltà e quelli che erano suoi avversari non hanno più motivo di esistere. Altri sono piccoli, con 100 – 200 membri, e legati ad un territorio limitato. I gruppi armati stranieri sono fondamentalmente quattro: l’ADF-Nalu e l’LRA (di origine ugandese), l’FNL (di origine burundese) e le FDLR (di origine ruandese). Sia il governo congolese che la Monusco hanno, a più riprese, chiesto loro di deporre le armi, minacciandoli di intervenire con la forza qualora non lo facciano volontariamente. Le autorità locali hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione in questo senso e stanno prendendo contatto con i capi di questi gruppi, cercando di convincerli che è meglio deporre le armi volontariamente, attraverso la via pacifica del dialogo, per non esservi poi costretti mediante la forza. Secondo le ultime informazioni, vari di loro si sono detti disposti ad aderire al programma di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento sociale (DDR) e vari combattenti si sono già consegnati alle autorità militari congolesi o alla Monusco. Sono piccoli segni che fanno sperare in un futuro senza armi.
… e quelli stranieri.
Forse più difficile sarà il disarmo dei gruppi armati stranieri sopra citati. Fra essi, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) meritano un’attenzione particolare, in quanto l’attuale regime ruandese si è sempre servito della loro presenza in territorio congolese come pretesto per suscitare continue pseudo – ribellioni “congolesi” nell’est del Paese.
Dopo il genocidio ruandese di aprile – giugno 1994 e l’arrivo al potere, inizio luglio 1994, dell’FPR guidato da Paul Kagame, due milioni circa di Hutu ruandesi, temendo le rappresaglie del nuovo regime, si rifugiarono nelle due province congolesi del Nord-Kivu e Sud-Kivu. Tra loro, anche miliziani armati implicati nel genocidio, il che costituiva una minaccia per il Ruanda. Nel settembre 1996, Paul Kagame sobillò la pseudo – ribellione detta dei Banyamulenge, l’AFDL, e sotto sua copertura, inviò le sue truppe a smantellare i campi dei rifugiati. Sotto intensi bombardamenti, una gran parte dei rifugiati fu costretta a ritornare in Ruanda. Altri fuggirono verso ovest, in direzione opposta alla frontiera. Molti di loro furono barbaramente massacrati, come documentato dal Rapporto Mapping dell’Onu. Da allora, il regime ruandese non ha mai cessato di intervenire militarmente, direttamente o indirettamente, nell’est della RDCongo, con il pretesto di catturare coloro che Kigali continua ad accusare di partecipazione al genocidio. È in questo contesto che, nel 2000, nasce il movimento delle FDLR.
Il caso delle FDLR.
Secondo un loro recente comunicato, «le FDLR sono un movimento politico-militare di opposizione al regime di Kigali e operano per la giustizia, la pace, la riconciliazione e lo sviluppo. Le FDLR sono una risposta al popolo ruandese oppresso ed escluso che si è organizzato per difendersi contro il regime del Fronte Patriottico Ruandese (FPR – Inkotanyi) che vuole sterminarlo».
«Il nostro problema è che il governo di Kigali ha più volte invaso la RDCongo per uccidere i rifugiati ruandesi», ha recentemente affermato il Segretario esecutivo delle FDLR, il Col. Irategeka Wilson, facendo riferimento all’implicazione del Ruanda nelle due guerre del Congo (1996-1997 e 1998-2003) e all’appoggio di Kigali alle diverse ribellioni attive nella RDCongo negli ultimi dieci anni, tra cui il CNDP e, la più recente, l’M23. «Non possiamo deporre le armi fino a quando il governo ruandese non cesserà di entrare nella RDCongo», ha insistito. Egli ha sottolineato che «le FDLR hanno il dovere di combattere per la difesa dei diritti dei rifugiati e delle migliaia di Ruandesi sopravvissuti ai massacri di massa commessi dall’Esercito Patriottico Ruandese (APR) dal 1° ottobre 1990 fino ad oggi, sia dentro che fuori del Ruanda». «Il governo di Kigali utilizza i Raia Mutomboki e i Mayi-Mayi Sheka […] per venire ad uccidere i rifugiati ruandesi», ha aggiunto il Col. Irategeka, riferendosi ai due principali gruppi armati congolesi, peraltro alleati dell’ex M23, con cui le FDLR si scontrano regolarmente nelle due province del Nord e Sud Kivu. «Mentre i nostri rifugiati sono ancora sotto la minaccia delle bombe e delle armi, è difficile per noi deporre le armi», ha concluso. Per questo, «le FDLR chiedono alla comunità internazionale, in generale, e alla brigata d’intervento della Monusco che appoggia l’esercito congolese, di non ricorrere all’uso della forza, ma di privilegiare piuttosto la via pacifica e politica dei negoziati. Da tempo, infatti, le FDLR chiedono un dialogo con il governo di Kigali sotto la mediazione dell’Unione Africana, unico modo per raggiungere una pace duratura in Ruanda, in particolare, e nella Regione dei Grandi Laghi Africani, in generale».
È questa la proposta che anche il presidente tanzaniano aveva avanzato alcuni mesi fa, ma la Comunità Internazionale e la stessa Onu non hanno mosso un dito in questa direzione. Eppure, se ci fosse volontà politica per farlo, probabilmente basterebbe una “semplice telefonata” per innescare un dialogo che, in un confronto diretto e chiaro tra le parti, potrebbe permettere di individuare le condizioni che favorirebbero e accelererebbero l’attuazione del programma di Disarmo, Smobilitazione, Rimpatrio e Reinserzione (DDRR) previsto per i membri armati delle FDLR e del programma di rimpatrio volontario dei rifugiati civili, secondo le modalità previste dagli accordi trilaterali tra RDCongo (Paese ospitante), Ruanda (Paese di origine) e Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (HCR), rimettendo nelle mani della giustizia quanti sono ricercati per crimini commessi nel 1994 in Ruanda e, successivamente, nella RDCongo. Il dialogo, il confronto e i negoziati sono tappe indispensabili nella ricerca di una pace autentica e duratura nella Regione.