Il paradosso di una negoziazione

Editoriale Congo Attualità n. 195 – a cura della Rete Pace per il Congo

 

Sono ripresi a Kampala, in Uganda, i negoziati tra il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e il Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato appoggiato militarmente dal Ruanda e dall’Uganda. Questo ritorno al tavolo dei negoziati, interrotti nel mese di maggio, deriva certamente dalla volontà delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e degli Stati Uniti di risolvere la crisi dell’est della RDCongo mediante una soluzione politica negoziata, meno rischiosa di un’azione militare delle Forze Armate della RDCongo (FARDC) che richiederebbe l’appoggio della brigata d’intervento della Missione dell’Onu nella RDCongo (Monusco).

Cosa ci si può aspettare dall’M23?.

L’M23 è ormai considerato come forza negativa al pari di altri gruppi armati e molti dei suoi dirigenti sono oggetto di sanzioni da parte delle Nazioni Unite e del governo degli Stati Uniti d’America. La stessa delegazione dell’M23 è composta da persone che detengono la nazionalità ruandese e che hanno avuto, o che continuano ad avere, incarichi importanti nell’apparato politico-militare ruandese. Inoltre, quasi tutti i delegati dell’M23 sono ex-membri di ribellioni create in passato dallo stesso Ruanda: l’AFDL, l’RCD e il CNDP e sono già stati amnistiati e reintegrati nell’esercito più volte. Ci si può quindi chiedere: con chi dell’M23 si può allora trattare?

Nonostante ciò, la comunità internazionale continua a chiedere che Kinshasa accetti un accordo con l’M23 per una pace negoziata nel Nord-Kivu. Ma cosa ci si può aspettare dall’M23 che, da quando ha preso le armi nel maggio 2012, non obbedisce che agli ordini di Kigali, i cui obiettivi sono precisamente la balcanizzazione della RDCongo e il saccheggio delle sue risorse naturali?

Certo, l’M23 si è detto «pronto a deporre le armi e a ritornare alla vita civile», ma a due condizioni. Una, quella relativa al ritorno dei rifugiati tutsi ancora residenti all’estero, nasconde senza alcun dubbio il progetto di creare nuovi insediamenti nella parte orientale del paese, con decine di migliaia di falsi Congolesi che nessuno saprebbe né identificare, né controllare. L’altra, quelle relativa alla neutralizzazione delle FDLR, sarebbe come una porta aperta per una nuova entrata “ufficiale” delle truppe ruandesi nel Nord Kivu, con il pretesto di operazioni congiunte con le FARDC, per combattere le FDLR.

Misure realiste?.

Anche se l’M23 afferma di «non essere interessato all’integrazione delle sue truppe nell’esercito congolese o dei suoi quadri politici nel governo congolese», le questioni relative all’amnistia e alla loro integrazione nell’esercito e nelle istituzioni politiche e amministrative sono tuttavia oggetto di trattative, tanto che il governo congolese ha redatto e presentato alla mediazione ugandese dei negoziati una lista di un centinaio membri dell’M23 (su un totale di 1.700 circa)  che non potranno usufruire di misure di amnistia e di reintegrazione nell’esercito. Si tratta di «persone che hanno partecipato più di una volta in movimenti di diserzione e insurrezione, gli autori di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, tra cui uccisioni di civili, stupri e violenze sessuali, i responsabili di reclutamento di bambini soldato, coloro che sono implicati nello sfruttamento illegale delle risorse naturali della RDCongo, le persone colpite da sanzioni da parte della comunità internazionale o per violazioni dei diritti umani o processate e condannate dai giudici della RDCongo per attività criminali».

Ma secondo alcuni osservatori, l’esclusione dall’amnistia e dalla reintegrazione nell’esercito è una misura assolutamente insufficiente che richiederebbe di essere completata con l’arresto di queste persone per consegnarle alla giustizia. Inoltre, sempre secondo gli stessi osservatori, non è affatto sicuro che tra gli altri restanti 1.600 membri dell’M23 che potrebbero essere amnistiati e reintegrati non ci siano militari stranieri infiltrati, disertori per l’ennesima volta, membri di ribellioni precedenti, autori di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti umani. Per questo, anche dopo accurata selezione, coloro che potrebbero essere reintegrati nell’esercito nazionale, dovrebbero essere inviati a prestare servizio in altre province del Paese, lontano dal Kivu dove hanno causato tanta sofferenza alla popolazione. Infine, a Kampala non si dovrebbe più parlare né di amnistia, né di reintegrazione nell’esercito, né di reinserimento sociale, ma solo disarmo e di giustizia, perché la popolazione ha già sofferto troppo a causa di questo gruppo terrorista denominato M23.

Togliere il pretesto.

Dal momento che, secondo l’M23, la presenza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda sul suolo congolese FDLR est “la causa” della guerra, è ormai chiaro che una pace veramente duratura nel Kivu dovrebbe essere il risultato di un approccio che implichi i Paesi della Regione dei Grandi Laghi. Senza questo approccio globale, non ci potrà essere una soluzione definitiva alle ripetute crisi nel Kivu. Il Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, l’aveva già detto quando aveva osato proporre che il Ruanda e l’Uganda cercassero una soluzione alle richieste avanzate dalle loro rispettive ribellioni armate, le FDLR e l’ADF-Nalu, fuggite nell’est della RDCongo. Dal momento che la comunità internazionale ha imposto alla RDCongo una soluzione politica alla crisi, mediante la ripresa dei negoziati con l’M23, sarà altrettanto necessario che  questa stessa comunità internazionale esiga dal Ruanda e dall’Uganda di negoziare con le loro rispettive ribellioni, le FDLR e le ADF-Nalu.

In ogni modo, come per l’M23, l’esercito congolese e la brigata d’intervento della Monusco devono costringere le FDLR, anche con il ricorso alla forza se necessario, a deporre le armi, per poter consegnare alla giustizia tutti coloro che ne sono ricercati e rimpatriare, dopo previa identificazione e su base volontaria, tutti gli altri membri. Tra questi ultimi, se alcuni manifestassero il desiderio di rimanere in Congo, dovrebbero farne individuale richiesta alle autorità congolesi competenti e accettare di allontanarsi, disarmati, dalla frontiera con il loro Paese d’origine. In tal caso, il governo congolese procederà in conformità con la legge vigente sull’immigrazione.

In caso contrario, non si arriverà mai ad una soluzione definitiva e questo è ciò che il Ruanda e l’Uganda vogliono: non disarmare le FDLR e le ADF-Nalu per continuare ad avere un pretesto per invadere il Kivu e interferire negli affari interni della RDCongo.