INDICE:
1. LE PROTESTE DI UNA POPOLAZIONE DISPERATA
2. LA RISOLUZIONE 2098
3. LA MONUSCO NELL’OCCHIO DEL CICLONE: E SE I CONGOLESI SBAGLIASSERO BERSAGLIO?
1. LE PROTESTE D’UNA POPOLAZIONE DISPERATA
Il 10 e 11 agosto, diverse località del territorio di Beni (Nord-Kivu) hanno osservato due giorni di “città morta” per denunciare l’insicurezza nella loro zona. Secondo fonti concordanti, le attività socio-economiche sono rimaste praticamente paralizzate, durante questi due giorni, in queste località, in particolare a Oïcha, capoluogo del territorio di Beni. La popolazione di questa parte del Nord-Kivu ha così risposto all’appelle del coordinamento provinciale della società civile del Nord-Kivu, che chiede alle Forze armate della RDCongo (FARDC) e la MONUSCO di lanciare operazioni offensive contro i gruppi armati. Secondo la società civile di Beni, nello spazio di due anni, gli ADF-Nalu (ribelli ugandesi delle Forze Alleate Democratiche – Esercito per la liberazione dell’Uganda) hanno rapito almeno 600 civili, tra cui tre presbiteri, quattro agenti di Medici Senza Frontiere (MSF) e un medico di Oïcha.[1]
Da parte loro, le autorità del Nord-Kivu cercano di calmare le tensioni. Una parte della popolazione di Goma, infatti, accusa la Monusco di favorire, con la creazione della zona di sicurezza attorno a Goma, la balcanizzazione del Paese e le autorità nazionali di aver fermato l’offensiva dell’esercito contro i ribelli, mentre l’esercito era in vantaggio. «Le operazioni militari non possono essere condotte sulla base di una pressione della popolazione», ha detto il governatore della provincia, Julien Paluku, «perché le operazioni dipendono dalla strategia militare. Non si può spingere l’esercito a organizzare le operazioni in un dato giorno, altrimenti il nemico sarà informato. Questo è ciò che abbiamo detto alla società civile».[2]
Il 13 agosto, le attività socio-economiche sono andate a rilento a Goma (Nord Kivu). Nel centro città, i mercati, negozi, e circa tre quarti dei piccoli posti di vendita non hanno aperto, secondo la consegna di “città morta” lanciata dalla società civile provinciale. Anche il settore privato è stato colpito. Il trasporto pubblico è pure stato ridotto: solo qualche moto e minibus si sono visti sulle strade di Goma. Alcune farmacie, dei depositi alimentari e del personale di servizi pubblici hanno invece lavorato normalmente. Organizzando delle “giornate città morta”, il presidente della società civile del Nord-Kivu dice di voler fare pressione sul governo, l’esercito nazionale (FARDC), la Brigata d’intervento della Monusco e Mary Robinson in particolare, affinché delle operazioni militari energiche siano lanciate contro l’M23, i ribelli dell’ADF-NALU e altri gruppi armati che creano insicurezza nel Nord-Kivu. La società civile prevede altre azioni per raggiungere il suo obiettivo .[3]
Il 15 agosto, la società civile del Nord-Kivu ha accusato l’M23 d’aver rapito il suo coordinatore nel territorio di Rutshuru, Saidi Kasongo, portandolo verso una destinazione sconosciuta. La famiglia d’origine di Saidi Kasongo riferisce che egli viveva in clandestinità a Goma, dove aveva trovato rifugio da qualche tempo. Secondo la stessa fonte, Saidi Kasongo è stato fermato alla barriera di Kibumba mentre stava andando a Rutshuru per risolvere con urgenza un problema familiare.
Saidi Kasongo sarebbe caduto nelle mani dei ribelli dell’M23, dopo che questi ultimi hanno perquisito sistematicamente il veicolo in cui si trovava. Durante questa perquisizione, lo sventurato è stata trovato con una carta che lo identificava come animatore della società civile. La società civile del Nord-Kivu riferisce inoltre di intimidazioni nei confronti dei suoi membri in provincia da parte dei responsabili dell’M23. Il portavoce dell’M23, Amani Kabasha, respinge totalmente queste accuse. [4]
Il 15 agosto, il Coordinamento di Beni della società civile del Nord Kivu ha accusato la Monusco di essere «troppo passiva in tutto ciò che accade all’est della RDCongo» e le ha «proibito di circolare in città fino all’entrata in azione della brigata d’intervento». Nguruwasingya giustifica l’azione della società civile di Beni con la volontà degli abitanti della provincia del Nord-Kivu, che, «a lungo chini e stanchi, vogliono liberarsi loro stessi dalla sofferenza indicibile inflitta loro dai gruppi armati, mentre un grande silenzio accompagna i massacri che vengono fatti sotto gli occhi del mondo intero. Un popolo straziato vuole così liberarsi dalla demagogia degli occhiali affumicati, vietando la circolazione della Monusco sul suo suolo».
Il sindaco di Beni, Nonyi Bwanakawa Masumbuko, ha qualificato quest’azione come “incitamento alla ribellione”. «Non possiamo impedire a un partner del governo di essere libero di muoversi e operare. Questo modo di fare è un incitamento alla ribellione», ha detto Bwanakawa prima di domandare alla popolazione di dissociarsi dalla società civile e lasciare la Monusco libera di svolgere il suo compito. Il sindaco ha anche detto di avere avuto contatti con la Monusco, rassicurandola che è libera di fare il suo lavoro. Dall’inizio del mese, la situazione è tesa tra la società civile del Nord Kivu e la Monusco. Il coordinamento della società civile della provincia non sopporta più i rinvii della Brigata d’intervento a lanciare un’offensiva contro i gruppi armati.[5]
Il 16 agosto, i responsabili della società civile della città di Beni e le autorità politico-militari si sono incontrati con il comandante della forza Monusco e con quello della brigata d’intervento, in missione in questa città della provincia Nord-Kivu, per valutare la situazione della sicurezza nella zona. Il presidente della Società civile di Beni, Gilbert Kambale, ha chiesto al comandante della forza della Monusco, generale Carlos Alberto Cruz, e a quello della brigata d’intervento, generale James-Aloys Mwakibolwa, di mettere in sicurezza la città e i suoi dintorni, ma anche d’instaurare una zona di sicurezza tutt’intorno. «Stiamo auspicando che questa brigata possa effettivamente iniziare a lavorare per braccare i gruppi armati e le forze negative. La popolazione aspetta la realizzazione di questa promessa sicura», ha detto Gilbert Kambale. Egli ha spiegato che vi è spesso una discrepanza tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto in pratica. Ha tuttavia espresso soddisfazione per le rassicurazioni ricevute dal comandante della forza di Monusco durante questo incontro, dicendo però che aspettava “azioni concrete“.[6]
Il 20 e il 21 agosto, la popolazione della città di Beni, 350 km a nord di Goma (Nord Kivu), ha osservato due giorni di “città morta”. Fonti concordanti indicano che la città di Beni sembrava una città fantasma in cui botteghe, negozi, banche, stazioni di servizio e piccole rivendite sono chiuse. La popolazione di Beni risponde così all’appello della società civile locale che chiede alla Brigata d’intervento della Monusco di braccare i ribelli dell’M23, delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), delle ADF-Nalu e i miliziani Mai-Mai. Queste giornate “città morta” hanno anche lo scopo di spingere le forze armate della RDCongo (FARDC) a continuare le operazioni militari nelle zone di combattimento nel Nord-Kivu.
Il presidente della società civile di Beni, Gilbert Kambale ha detto che, dopo queste due giornate, altre “azioni di più vasta portata” continueranno finché la brigata d’intervento dell’ONU passerà all’azione e le forze armate della RDCongo (FARDC) riprenderanno i combattimenti ovunque si sono fermate, fino a disarmare tutti i gruppi armati che sono la principale causa dell’insicurezza e della sofferenza delle popolazioni civili nei territori di Rutshuru, Beni e Lubero. Secondo Kambale, la società civile mantiene anche la decisione di vietare la circolazione dei veicoli della Monusco nella città di Goma. «Gli agenti della Monusco possono muoversi, ma non i loro veicoli», ha precisato. [7]
Il 22 agosto, in una dichiarazione, il portavoce militare della Monusco, Felix Prosper Basse, ha spiegato che, «in conformità con il loro mandato, le truppe delle Nazioni Unite sono presenti per proteggere le popolazioni civili e fornire un supporto, in caso di bisogno, alle FARDC che si comportano, per il momento, molto bene al fronte». Quanto ai responsabili della società civile del Nord-Kivu che vorrebbero vedere la brigata d’intervento della Monusco lanciare rapidamente la caccia contro i gruppi armati, Felix Prosper Basse saluta il loro ruolo di “sentinella vigile”, pur ricordando che la forza offensiva della Monusco si iscrive in una strategia globale di ricerca della pace nel Kivu, che tiene anche conto delle considerazioni diplomatiche.[8]
Il 23 agosto, riferendosi alla crisi ricorrente nell’est del Paese, il Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella RDCongo e capo della Monusco, Martin Kobler, ha ricordato gli obiettivi della brigata: proteggere i civili e neutralizzare i gruppi armati, ma ha anche affermato che «la brigata d’intervento c’è, ma non è una soluzione magica. Occorrono altri mezzi in parallelo per risolvere il problema». Martin Kobler si è detto scioccato dalla presenza di diversi campi di sfollati intorno alla città, come pure per la dimensione di questo problema. Ha ritenuto inaccettabile che il 20% della popolazione di Goma sia sfollata.[9]
Dal 17 al 25 agosto, una delegazione della società civile nel Nord Kivu si è recata a Washington nel quadro di una missione d’informazione e coscientizzazione per segnalare che la popolazione di Goma non ne può più per la persistente insicurezza nella parte orientale della RDCongo. Condotta da Omar Kavota, suo vicepresidente e portavoce, la delegazione ha incontrato, il 20 agosto, Chris Coons, presidente della sotto-commissione per gli affari esteri del Senato degli Stati Uniti per l’Africa, prima di essere ricevuta all’indomani al Dipartimento di Stato e il giorno dopo, dai membri dell’ufficio Africa della Casa Bianca e da alcune grandi ONG statunitensi. La rivista Jeune Afrique lo ha intervistato.
Jeune Afrique: Qual è stato il messaggio essenziale della società civile del Nord-Kivu alle autorità statunitensi?
Omar Kavota: Siamo andati ad allertare gli Stati Uniti sulla situazione che prevale nel Nord Kivu. L’accordo-quadro di Addis Abeba è costantemente violato. Siamo andati a ricordare fino a che punto il Ruanda continua a sostenere i ribelli M23 con uomini e munizioni nei combattimenti in corso in Kibati, a circa dieci chilometri da Goma. Abbiamo anche denunciato la protezione, da parte di Kigali, di criminali ricercati dalla giustizia congolese. Rifiutare di estradarli nella RDCongo costituisce una violazione dell’accordo-quadro con cui gli 11 Stati firmatari si sono impegnati a non ospitare sul loro territorio i criminali che destabilizzano la regione dei Grandi Laghi. Quanto alle responsabilità dell’Uganda, abbiamo rilevato il suo sostegno alla milizia di Kombi-Hilaire, benché quest’ultimo sia alleato con ribelli ADF-NALU (Forze democratiche alleate – Esercito per la liberazione dell’Uganda) che si sono associati agli elementi Shebab a Beni. In altre parole, l’Uganda combatte i ribelli islamici in Somalia nell’ambito della missione di mantenimento della pace, ma li arma indirettamente nell’est della RDCongo.
Jeune Afrique: Sul campo, a Kibati, la brigata d’intervento combatte ormai a fianco dell’esercito congolese. Continua dunque a pensare che ci sia “lentezza” nell’attuazione della caccia ai gruppi armati?
Omar Kavota: Siamo andati a Washington per esprimere i sentimenti della popolazione del Nord-Kivu. Oggi siamo lieti di constatare che la brigata d’intervento comincia finalmente a svolgere il suo mandato. Ma non dovrebbe accontentarsi di essere una forza di sostegno, dietro alle FARDC: essa deve davvero combattere e continuare l’offensiva contro l’M23.
Jeune Afrique: Al tempo stesso, Mary Robinson, inviata speciale del Segretario generale nella regione dei Grandi Laghi, invita i belligeranti a privilegiare la via del negoziato per risolvere la crisi del Kivu. Che cosa ne pensa?
Omar Kavota: La società civile del Nord Kivu critica l’iniziativa di Mary Robinson. Non possiamo capire che ella stia tentando oggi di spingere il governo congolese a riprendere i colloqui con i ribelli dell’M23. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in missione, nella sua risoluzione 2098, ha dato missione alla brigata d’intervento di braccare e neutralizzare i gruppi armati del Kivu, tra cui l’M23. [10]
Il 25 agosto, in un comunicato stampa, Omar Kavota precisa che, osservando la mancanza di rispetto da parte del Ruanda e dell’Uganda circa l’attuazione dell’Accordo-quadro firmato in febbraio ad Addis Abeba, la Società civile ha esortato il Governo degli Stati Uniti a obbligare il Ruanda e l’Uganda a rispettare tale Accordo. Questo significa interrompere ogni sostegno all’M23 e ad altre forze negative, consegnare i criminali protetti in questi giorni nei loro territori e incoraggiare soluzioni politiche all’interno dei loro Stati.
Circa la passività della Brigata d’intervento delle Nazioni Unite per l’azione offensiva contro le forze negative nel Nord-Kivu, la delegazione della Società civile ha inoltre ricordato che la Grande potenza deve spingere la Brigata d’intervento dell’ONU all’azione offensiva contro l’M23, le FDLR e le ADF-NALU, prima che la popolazione sia tentata di prendersela con la Monusco, che considera dispendiosa per le Nazioni Unite e inefficace sul terreno.
Parlando delle aspettative della popolazione circa le missioni della signora Mary Robinson e del senatore Franco, rispettivamente Inviata speciale di Ban Kin-Moon e Emissario di Barack Obama nella Regione dei Grandi Laghi, la Società civile ha espresso indignazione per i tentativi della Robinson di voler imporre i negoziati con l’M23, a scapito dell’estirpazione auspicata dalla risoluzione 2098 delle Nazioni Unite.
Un’ultima questione affrontata dalla Società civile sono state le Concertazioni nazionali: considerando le agitazioni e l’accanimento dei politici congolesi, la popolazione comincia a rendersi conto che, in primo piano, gli attori politici mettono più la preoccupazione di condividere il potere e mettere in atto un Governo di Transizione che potrà arrivare a predisporre una nuova Costituzione o alla modifica di quella esistente. Per la popolazione del Nord-Kivu, nel caso in cui questo quadro avesse come obiettivo la condivisione del potere, essa non vi parteciperà. Vi parteciperà, invece, se si dovesse dare più importanza alla crisi dell’est, all’organizzazione di elezioni locali, municipali e provinciali come pure al rafforzamento della coesione nazionale contro le velleità secessioniste o balcanizzazioniste. Le consultazioni non dovrebbe essere il luogo in cui le forze negative possono essere legittimate (invitate). [11]
Il 23 agosto, circa una possibile partecipazione dell’M23 alle Concertazioni nazionali, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, aveva dichiarato in una conferenza stampa a Kinshasa: «Non ci siederemo allo stesso tavolo delle Concertazioni nazionali con persone che uccidono i nostri connazionali all’est del Paese. Solo coloro che hanno lasciato le forze negative per reintegrare la vita civile possono esservi accettati, se ne esprimono il desiderio». Per quanto riguarda specificamente l’M23, Lambert Mende ha detto che «i colloqui di Kampala sono interrotti alla nota-sintesi del mediatore ugandese che ha ricevuto le due bozze del governo congolese e dell’M23” Dunque, “l’M23 non può partecipare alle Concertazioni nazionali», ha insistito.[12]
2. LA RISOLUZIONE 2098
Secondo la risoluzione 2098 approvata il 28 marzo 2013, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
- Riaffermando i principi fondamentali di mantenimento della pace, tra cui il consenso delle parti, l’imparzialità e il non ricorso alla forza, se non nei casi di legittima autodifesa o per la difesa del mandato, e consapevole che il mandato di ogni missione di mantenimento della pace è determinato in base alle necessità e alla situazione del paese interessato,
- Ribadendo il suo fermo impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della RDCongo, e sottolineando che i principi di non ingerenza, di buon vicinato e di cooperazione regionale devono essere pienamente rispettati,
- Constatando che l’est della RDCongo continua ad essere teatro di ricorrenti conflitti ricorrenti e di continue violenze perpetrate da gruppi armati, sia nazionali che stranieri, e insistendo sulla necessità di affrontare le cause profonde del conflitto, al fine di mettere fine a questi ricorrenti cicli di violenza,
- Esprimendo la sua profonda preoccupazione per la minaccia rappresentata dalla presenza dell’M23 nelle immediate vicinanze della città di Goma, in violazione della risoluzione 2076 (2012), e per il perpetuarsi di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e di violazioni dei diritti umani da parte dell’M23 e di altri gruppi armati,
- Ribadendo la propria ferma condanna di ogni appoggio esterno all’M23, compresa la fornitura di rinforzi in personale militare, di consigli tattici e di materiale bellico,
- Sottolineando che il governo della RDCongo è il primo responsabile della sicurezza, della protezione dei civili, della riconciliazione nazionale, della pace e dello sviluppo del Paese, e invitandolo a rimanere pienamente impegnato nell’attuazione dell’accordo quadro di Addis Abeba e nella protezione dei civili, dotandosi di forze di sicurezza professionali e responsabili, sostenendo un’amministrazione civile efficace, in particolare nei settori della polizia, della giustizia e dell’amministrazione territoriale e favorendo lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani,
- Prendendo atto delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Joseph Kabila, del 15 e del 31 dicembre 2012, in cui ha sottolineato che la riforma dell’esercito è una priorità del suo governo per il 2013, e sollecitando il governo della RDCongo a rispettare il suo impegno per la riforma del settore della sicurezza, tra cui la creazione di una forza di rapida reazione,
- Riconoscendo la necessità, per la Monusco, di rafforzare il suo appoggio al governo della RDCongo per consentirgli di far fronte ai problemi di sicurezza e per estendere l’autorità dello Stato…, e riconoscendo la necessità di un processo di pace globale per porre fine alle cause del conflitto nella regione,
7. Condanna fermamente la continua presenza dell’M23 nelle immediate vicinanze di Goma e i suoi tentativi di istituire un’amministrazione parallela illegale nel Nord Kivu, esige che l’M23 cessi immediatamente ogni forma di violenza e di attività destabilizzanti e che i suoi membri siano smobilitati immediatamente e in forma permanente e che depongano le armi, e chiede che l’autorità del governo della RDCongo venga ristabilita a Goma e nel Nord Kivu;
8. Condanna con forza l’M23, le FDLR, le AFD, L’APCLS, l’LRA, le FNL, i vari gruppi Mai-Mai e gli altri gruppi armati, le violenze e le violazioni dei diritti umani che continuano a commettere, tra cui esecuzioni sommarie, violenze sessuali e di genere e il reclutamento di bambini soldato, esige che tutti i gruppi armati mettano immediatamente fine a tutte le forme violenza e di attività destabilizzante e che i loro membri vengano smobilitati immediatamente e in forma permanente e che depongano le armi, e ribadisce che i responsabili di violazioni dei diritti umani e di violazioni del diritto umanitario internazionale debbano rispondere dei loro atti e che non dovrebbero poter pretendere di essere integrati nelle FARDC o in altre forze di sicurezza dello Stato;
9. Decide di prolungare il mandato della Monusco nella RDCongo fino al 31 marzo 2014 e decide che la Monusco disponga, per un periodo iniziale di un anno ed entro i limiti di un massimo autorizzato di 19.815 effettivi, in via eccezionale, senza creare precedenti e fatti salvi i principi concordati di mantenimento della pace, di una “brigata d’intervento”, composta di tre battaglioni di fanteria, una compagnia di artiglieria, una forza speciale e una compagnia di pattugliamento, con sede a Goma e posta sotto il diretto comando del comandante della forza della Monusco, con il compito di neutralizzare i gruppi armati, come descritto al punto b) del paragrafo 12 qui di seguito, e con lo scopo di contribuire a ridurre la minaccia rappresentata dai gruppi armati nei confronti dello Stato e ad assicurare la sicurezza dei civili gruppi nell’est della RDCongo e di preparare il terreno per attività di stabilizzazione;
10. Decide che la brigata d’intervento abbia una strategia di ritiro chiaramente definita e che si pronuncerà sul mantenimento della presenza della brigata d’intervento tenendo conto dei risultati raggiunti e dei progressi che la RDCongo, che ha la responsabilità primaria di garantire la sua sovranità nazionale e la sua integrità territoriale, avrà compiuto nell’attuazione degli impegni presi attraverso la firma dell’accordo quadro di Addis Abeba e nell’applicazione di una tabella di marcia nazionale per la riforma del settore della sicurezza, al fine di creare una “forza di rapida reazione” congolese, in grado di sostituire la brigata d’intervento della Monusco;
11. Decide che le future riconfigurazioni della Monusco e del suo mandato dipenderanno dall’evoluzione della situazione sul posto … e dai progressi realizzati nel raggiungimento dei seguenti obiettivi:
a. La riduzione della minaccia rappresentata dai gruppi armati congolesi e stranieri, anche attraverso le operazioni della brigata d’intervento della Monusco, a un livello che le istituzioni congolesi della giustizia e della sicurezza possano effettivamente gestire;
b. La stabilizzazione della situazione, attraverso la creazione di istituzioni pubbliche di sicurezza operative nelle zone colpite dal conflitto e mediante il rafforzamento della democrazia, in modo da ridurre i rischi di instabilità, garantendo il rispetto dei diritti umani e mettendo in atto un processo elettorale credibile;
12. Autorizza la Monusco, attraverso la sua componente militare, al fine di conseguire gli obiettivi enunciati al paragrafo 11 di cui sopra, a prendere tutte le misure necessarie per adempiere i seguenti compiti, facendo ricorso alle sue forze regolari o alla sua brigata d’intervento, a seconda dei casi:
a) Protezione dei civili
– Garantire, nelle sue zone operative, l’effettiva protezione dei civili che sono oggetto di minaccia imminente di violenze fisiche, compresi i civili residenti nei campi per gli sfollati e i rifugiati, il personale umanitario e i membri di organismi per la tutela dei diritti umani, in casi di violenze commessi da una delle parti in conflitto e attenuare i rischi cui sono esposti i civili, prima, durante e dopo le operazioni militari;
– Garantire la protezione del personale, strutture, impianti e apparecchiature delle Nazioni Unite;
b) Neutralizzazione dei gruppi armati da parte della brigata d’intervento
A sostegno delle autorità della RDCongo, sulla base delle informazioni raccolte e analizzate e tenuto conto della necessità di proteggere i civili e di ridurre il rischio, prima, durante e dopo le operazioni militari, intraprendere, da parte della brigata d’intervento menzionata ai paragrafi 9 e 10, da sola o con le FARDC, attacchi mirati e robusti, con grande mobilità e capacità di adattamento … per impedire l’espansione di tutti i gruppi armati, neutralizzarli e disarmarli, in modo da ridurre la minaccia rappresentata dai gruppi armati per l’autorità dello Stato e la sicurezza dei civili nell’est della RDCongo e da preparare il terreno per le attività di stabilizzazione;
c) Monitoraggio dell’attuazione dell’embargo sulle armi
Monitorare l’attuazione dell’embargo sulle armi descritto al paragrafo 1 della risoluzione 2078 (2012), in collaborazione con il gruppo degli esperti istituito ai sensi della risoluzione 1533 (2004), e, in particolare, osservare e segnalare i movimenti di personale militare, di armi o di materiale connesso, attraverso il confine orientale della RDCongo, utilizzando, come indicato nella lettera del presidente del Consiglio in data del 22 gennaio 2013 (S/2013 / 44), dei mezzi di sorveglianza come i sistemi aerei senza pilota, sequestrare, raccogliere e distruggere le armi e materiale connesso, la cui presenza nella RDCongo viola le misure imposte dal paragrafo 1 della risoluzione 2078 (2012), e comunicare le relative informazioni al gruppo degli esperti;
d) Appoggio alle procedure giudiziarie nazionali e internazionali
Sostenere e collaborare con il governo della RDCongo per arrestare e consegnare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel Paese, in collaborazione anche con gli Stati della regione e con la Corte Penale Internazionale.
14. Chiede al Rappresentante speciale per la RDCongo di adempiere, attraverso i suoi buoni consigli, i seguenti compiti:
a) Incoraggiare le autorità nazionali della RDCongo a dedicarsi con diligenza alla riforma del settore della sicurezza,
b) Promuovere un dialogo politico trasparente e inclusivo tra tutte le parti interessate congolesi, per promuovere la riconciliazione e la democratizzazione e favorire l’organizzazione di elezioni provinciali e locali credibili e trasparenti;
c) Incoraggiare la rapida creazione e il consolidamento di una struttura civile nazionale efficace per controllare le principali attività minerarie e per gestire equamente l’estrazione e il commercio delle risorse naturali nell’est della RDCongo;
15. Autorizza la Monusco, attraverso la sua componente civile, a …
c) Fornire consulenza e sostegno al Governo, in vista della riforma dell’esercito, il cui primo passo è quello di creare, all’interno delle FARDC, una forza di rapida reazione ben equipaggiata e ben addestrata … che costituirebbe il nucleo di una forza di difesa nazionale professionale, responsabile ed efficiente e che dovrebbe avere la capacità di prendere, il più presto possibile, le responsabilità in materia di sicurezza assegnate, per il momento, alla brigata d’intervento della Monusco;
d) Fornire consulenza e sostegno al Governo, in vista dell’elaborazione di un piano globale di disarmo, smobilitazione, reintegrazione, reinserimento nella vita sociale o rimpatrio dei combattenti congolesi e stranieri e di militari delle stesse FARDC, non sospettati di atti di genocidio, di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti umani.[13]
3. LA MONUSCO NELL’OCCHIO DEL CICLONE: E SE I CONGOLESI SBAGLIASSERO BERSAGLIO?
La guerra nell’est della RDCongo, i cui protagonisti più comunemente citati sono l’M23, il Ruanda e l’Uganda da parte degli “aggressori” e il trio Fardc, Monusco e brigata d’intervento da parte delle forze responsabili di pacificare e stabilizzare questa parte del paese, ha registrato l’entrata in scena di un attore finora poco conosciuto: la popolazione locale. Secondo il modo con cui si muove questa dinamica popolare pilotata dalla società civile del Nord Kivu e, forse, da certi politici che operano nell’ombra, sembra che le forze delle Nazioni Unite (caschi blu della Monusco e della Brigata d’intervento) siano la causa maggiore dell’insicurezza che colpisce questa provincia. Tenendo conto delle manifestazioni di ostilità contro tutto ciò che, civile o militare, porta l’etichetta “UN” (Nazioni Unite), si può temere che i Congolesi finiscano per sbagliare bersaglio.
Certamente, c’è un urgente bisogno di sicurezza da parte dei connazionali che vivono nelle zone occupate dai ribelli dell’M23. È vero che la Risoluzione 2098 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non lascia alcun dubbio sulla determinazione della comunità internazionale di porre fine all’esistenza di “forze negative” sia nazionali che straniere ancora presenti nel Nord Kivu.
È anche vero che, con il dispiegamento effettivo della Brigata d’intervento delle Nazioni Unite a Goma e nella sua periferia, il popolo congolese, che ha tanto sperato che le Nazioni Unite riportassero la pace nelle loro città e villaggi, non ha torto nel chiedere risultati immediati.
Ma tra questa forte richiesta di pace e le difficoltà politiche, diplomatiche, militari e logistiche inerenti ad un processo di pace globale, in collaborazione con le FARDC e la popolazione locale, c’è ancora un grande fossato.
Tale fossato, lo si può ammettere, non può essere colmato nel giro di una settimana o di un mese. I Congolesi dovrebbero capire che la neutralizzazione delle forze negative, che si presentano come nebulose sostenute da forze occulte interne ed esterne, richiede tempo. Dovrebbero sapere che le forze delle Nazioni Unite non hanno la missione di combattere al posto delle FARDC, ma piuttosto di sostenere queste ultime nelle loro diverse battaglie ingaggiate contro i vari gruppi armati.
Purtroppo, nella mente di molti c’è una confusione di ruoli, tanto che si arriva ad esigere dalla Monusco e dalla Brigata d’intervento di assumere oneri che vanno oltre la loro missione di protezione dei civili e di lotta puntuale, programmata e coordinata contro le forze negative. Quindi sono da deplorare quegli atti che possono demoralizzare le truppe delle Nazioni Unite e distrarle dal vero obiettivo.
E se le truppe delle Nazioni Unite si ritirassero …
Si sente sempre più certi manifestanti gridare a gran voce, da Goma e Beni, che le forze delle Nazioni Unite non sarebbero più utili nella ricerca di una pace duratura nel Nord Kivu e che sarebbe meglio che si ritirassero. Tuttavia, nonostante evidenti carenze nella gestione della sicurezza delle popolazioni civili sia nelle “zone libere” che nei “territori occupati”, i caschi blu della Monusco e della nuova Brigata d’intervento sembrano ancora necessari nell’attuale situazione di insicurezza nel Nord Kivu, per la quale c’è bisogno di una corretta valutazione del nemico “visibile”, l’M23 e dei suoi alleati “invisibili”, il Ruanda e l’Uganda.
Costringere le forze dell’ONU a lasciare l’est della RDCongo sarebbe fare il gioco di Kigali e Kampala, che non hanno mai gradito la presenza di testimoni indesiderati nel loro “giardino”. A quanto pare, il risultato ricercato dagli organizzatori delle manifestazioni contro la Monusco e la Brigata d’intervento rischia di coincidere con quello ricercato dagli aggressori. Occorre inoltre chiedersi se i Congolesi sarebbero in grado di assumersi, da soli, il peso della resistenza contro le forze negative e i loro alleati. Se si da uno sguardo alla situazione sul fronte militare, si può constatare che l’esercito congolese stenta ad avanzare verso le zone occupate dall’M23, benché appoggiato dalla brigata di intervento. E mentre le forze delle Nazioni Unite vengono demonizzate, le forze ugandesi stanno aprendo un nuovo fronte più à nord, a Mahagi. I nemici della pace sono sempre in agguato.
Quindi, la saggezza e la prudenza raccomandano che i Congolesi lascino ai militari congolesi e ai loro alleati delle Nazioni Unite, la possibilità di cercare la strategia migliore per il consolidamento dei dispositivi di sicurezza necessari.[14]
[1] Cf Radio Okapi, 11.08.’13
[2] Cf RFI, 13.08.’13
[3] Cf Radio Okapi, 13.08.’13
[4] Cf Radio Okapi, 17.08.’13
[5] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 15.08.’13; Xinua – Kinshasa, 16.08.’13 (via mediacongo.net)
[6] Cf Radio Okapi, 16.08.’13
[7] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 20.08.’13
[8] Cf Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 22.08.’13
[9] Cf Radio Okapi, 24.08.’13
[10] Cf Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 26.08.’13
[11] Cf Super User – Société Civile du Nord Kivu, 25.08.’13
[12] Cf AFP – Goma – Africatime, 24.08.’13; Radio Okapi, 23.08.’13; Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 23.08.’13
[13] Cf testo integrale in francese: http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/2098(2013)
[14] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 28.08.’13