Editoriale Congo Attualità n. 188 – A cura della Rete Pace per il Congo
Una caratteristica della magia è quella di far comparire o scomparire oggetti (fazzolettini, palline …) o simpatici animaletti (coniglietti, colombine …). A quanto pare, l’arte della magia è praticata anche nei vertici più alti del potere, addirittura all’interno del Palazzo di vetro dell’Onu, à New York, sede del Consiglio di Sicurezza. Non è affatto difficile dimostrarlo.
Il 23 luglio, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, aveva dichiarato che «gli Stati Uniti esigono che il Ruanda metta immediatamente fine ad ogni forma di aiuto all’M23 e che ritiri il suo personale militare dall’est della RDCongo», precisando di «avere le prove dell’implicazione di ufficiali militari ruandesi». Una dichiarazione breve, semplice, ma chiara, completa e propositiva.
Il 25 luglio, appena due giorni dopo, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito a New York per trattare della situazione in cui si trova attualmente la Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). La riunione era presieduta dallo stesso John Kerry, Segretario di Stato degli Stati Uniti e presidente di turno del Consiglio stesso. Ci si aspettava che il Consiglio avanzasse sulla via tracciata da Jen Psaki, ma così non è stato. Ancora una volta, il Consiglio si è limitato a semplici dichiarazioni di intenti nei confronti dei “vari Paesi della Regione” implicati nella crisi dell’est della RDCongo, invitandoli a “cessare di sostenere i gruppi ribelli armati“.
Se Jen Psaki aveva osato citare espressamente il nome del Ruanda come Paese aggressore implicato nella crisi dell’est della RDCongo e aveva esigito che ritirasse il suo personale militare (truppe dell’esercito regolare ruandese), John Kerry si è limitato a distribuire cartellini gialli a tutti, equiparando l’aggressore alla vittima e mettendo sullo stesso piano il Ruanda, che invia le sue truppe regolari sul suolo congolese, e la RDCongo, che deve invece soffrire le conseguenze dello spirito bellicista del suo vicino.
L’atto magico è riuscito alla perfezione: il coniglietto che Jen Psaki aveva fatto uscire dal cilindro, John Kerry l’ha rimesso dentro.
Con questo trucco, il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha potuto facilmente abbandonare la strada maestra indicata da Jen Psaki, per prendere la scabrosa e rischiosa scorciatoia dei negoziati di Kampala tra il governo congolese e l’M23.
Ma il ministro degli esteri congolese, Raymond Tshibanda, è stato chiaro: «rimaniamo attivamente implicati nei colloqui di Kampala», però «con la nostra esperienza degli accordi conclusi nel 2003, 2006 e 2009 con i ribelli, la maggior parte dei quali sono stati ora riciclati nell’M23, non siamo disposti a firmare un accordo che, consacrando l’impunità e il reinserimento nelle forze armate di persone sottoposte a procedure giudiziarie o a sanzioni internazionali, getterebbe le basi di una nuova violazione della pace … La RDCongo non cederà mai a nessuno alcun centimetro quadrato del suo territorio o una parte della sua sovranità sulle proprie ricchezze, anche se rimane disponibile a firmare un patto per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione».
Secondo alcuni osservatori, ciò che è accaduto a New York è la prova che le lobby ruandesi sono ancora molto attive e potenti. Come talpe che vivono sotto terra, esse si nascondono presso le cancellerie internazionali, le Istituzioni degli Stati e lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Nel sancta sanctorum della “comunità internazionale”, non basta avere ragione, occorre soprattutto avere potenti conoscenze per poter “vendere” il proprio prodotto.
Eppure, John Kerry e Ban Ki-moon avevano in mano l’ultimo rapporto di Human Raight Watch, pubblicato tre giorni prima, il 22 luglio, in cui si dettagliano con precisione i crimini commessi dall’M23 contro la popolazioni civile e i molti appoggi militari e logistici che questo gruppo terrorista riceve dal regime di Kigali.
Agli inviati speciali dell’Onu e degli Stati Uniti nella regione dei Grandi Laghi e ai governi dei paesi che forniscono aiuti al Ruanda e alla RDCongo, Human Right Watch aveva raccomandato di:
– denunciare il continuo appoggio del Ruanda all’M23 e appoggiare l’imposizione di sanzioni contro alte autorità ruandesi responsabili di aver appoggiato l’M23 sin dal 2012;
– sospendere ogni tipo di assistenza all’esercito ruandese fin quando continuerà ad appoggiare gruppi armati in territorio congolese;
– includere rigorosi criteri in materia di rispetto dei diritti umani in qualsiasi nuovo programma di assistenza al Ruanda;
– adoperarsi affinché qualsiasi accordo tra il governo congolese e l’M23 escluda l’integrazione nell’esercito congolese dei dirigenti dell’M23, soprattutto quelli che sono iscritti sulle liste delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite e quelli che sono accusati di crimini di guerra e di altri gravi crimini; – esercitare delle pressioni in favore dell’arresto e dell’avvio di procedure giudiziarie contro i comandanti militari, compresi i membri dell’M23, implicati in crimini di guerra e altri gravi crimini.
Sono proposte concrete e precise che interpellano direttamente l’inviata speciale del Segretario Generale per la Regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson che, intervenendo nell’incontro del Consiglio di Sicurezza, ha ammesso: «Da quando ho assunto questo incarico, quattro mesi fa, non c’è stato un solo giorno in cui non abbia ricevuto informazioni su massacri, stupri, abusi sessuali e fughe della popolazione civile». Si è poi detta «preoccupata del fatto che questa drammatica realtà non causi più indignazione a livello internazionale o locale e che questi fatti siano ormai considerati come normali e questo è inaccettabile». Ella ha aggiunto che «sulla base di informazioni attendibili, alcune attività intraprese da certi paesi firmatari dell’accordo-quadro di Addis Abeba, che sostengono i gruppi armati, vanno contro lo spirito di questo accordo» e ha sottolineato la necessità di «applicare la tolleranza zero nella lotta contro l’impunità, elemento centrale di tale accordo».
La Sig.ra Robinson sia ora coerente con ciò che ha dichiarato in Consiglio e alle parole faccia seguire i fatti.