Congo Attualità n. 188

INDICE

EDITORIALE: Quando anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si dà alla magia

1. SULLA LINEA DEL FRONTE TRA L’ESERCITO REGOLARE E L’M23

2. L’M23 SEMINA IL TERRORE A KIWANJA

3. UN NUOVO RAPPORTO DI HUMAN RIGHT WATCH ACCUSA L’M23

4. UNA NUOVA DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA

EDITORIALE: Quando anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si dà alla magia

 

1. SULLA LINEA DEL FRONTE TRA L’ESERCITO REGOLARE E L’M23

 

Il 19 luglio, i Mayi-Mayi delle Forze per la Difesa degli Interessi del Popolo Congolese (FDIPC) hanno respinto  ribelli dell’M23 dalle località di Kinyandoni e di Nkwenda, vicino al centro di Rutshuru.  Questa milizia ha affermato di aver ucciso 12 ribelli e bruciato una delle loro jeep in uno scontro avvenuto tra le 5:00 e le 6:00 del mattino, ciò che l’M23 ha smentito. Gli abitanti di Kiwanja e di Kinyandoni confermano la sparatoria, precisando che una bomba sarebbe caduta in una parcella di Kinyandoni, senza causare vittime.[1]

 

Il 22 luglio, dopo diversi giorni di relativa calma, sono ripresi i combattimenti tra le FARDC e l’M23 intorno Kibati, a circa 20 chilometri a nord di Goma. I belligeranti si rinviano la responsabilità di chi ha attaccato per primo. Secondo informazioni ricevute dalla società civile, intorno alle 6:30 la coalizione M23-Esercito ruandese (RDF) ha attaccato la posizione delle FARDC a Kilimanyoka, nel raggruppamento di Kibati. Secondo diverse fonti, l’esercito congolese avrebbe preso la posizione di Kibati “villaggio”, ma vorrebbe soprattutto ricuperare la collina detta delle “tre antenne” che, essendo la più alta, potrebbe permettergli di controllare tutto il settore di Kibati. Le FARDC hanno finalmente allontanato i ribelli dell’M23 dalla collina di Mujoga, a nord ovest di Kibati, che permette loro di avere una vista panoramica sulla località di Kibumba, quartiere generale del movimento ribelle. I ribelli si sono ripiegati alcuni verso Kanyanja, loro posizione avanzata del Sud e altri verso il mercato di Kibumba, dove hanno attualmente concentrato il grosso delle loro truppe e il loro quartier generale dello stato maggiore. Da parte sua, l’M23 ha affermato di mantenere tutte queste posizioni e di avere respinto le diverse offensive delle FARDC, appoggiate, secondo le sue dichiarazioni, da battaglioni delle FDLR, ribelli hutu ruandesi.[2]

 

Il 24 luglio, le FARDC hanno bombardato il campo militare di Rumangabo, che si trova 50 km a nord di Goma, nel territorio di Rutshuru. Gli abitanti di Gisigari hanno affermato di aver visto, verso le 11:30, tre elicotteri delle FARDC che sganciavano diverse bombe su questa importante base militare dell’M23. Il fatto ha colto di sorpresa anche i combattenti dell’M23 che sono stati visti, pochi istanti dopo, fuggire in tutte le direzioni, anche se alcuni hanno tentato di sparare contro gli elicotteri. Dopo il bombardamento, almeno tre civili (tre bambini) sono stati uccisi e altri tre feriti. I belligeranti si accusano reciprocamente di averli uccisi. Il portavoce civile dell’M23, Amani Kabasha, ha affermato che i tre elicotteri delle FARDC hanno sbagliato la mira e che, quindi, hanno sganciato le bombe sul villaggio, uccidendo diversi civili. Una tesi smentita dal colonnello Olivier Hamuli, portavoce delle FARDC nel Nord Kivu, secondo cui le bombe sganciate hanno raggiunto l’obiettivo. Diverse fonti di Kisigari affermano che le sei vittime di Kayenzi, un villaggio vicino al campo di Rumangabo, sarebbero state colpite dalle schegge delle bombe che l’M23 ha lanciato contro gli elicotteri delle FARDC. Inoltre, altre fonti contattate parlano di quindici militari uccisi nelle file dell’M23, di venti feriti e della distruzione di importanti attrezzature militari dei ribelli. Molte reclute dell’M23, in formazione, sarebbero riuscite a fuggire.[3]

 

Secondo la società civile del Nord Kivu, tra gli ufficiali e comandanti dell’M23 allo sbando dopo il raid aereo delle FARDC su Rumangabo, c’erano anche Laurent Nkunda e suo fratello Mihigo Seko. Sempre secondo la società civile, prima che le FARDC bombardassero Rumangabo, era in corso una riunione del Consiglio supremo di difesa dell’M23, cui partecipavano anche ufficiali dell’esercito ruandese (RDF). Secondo informatori della società civile, verso le 18.30 del giorno precedente, 4 veicoli Fuso e Hilux, carichi di armi e militari ruandesi, tra cui alti ufficiali, avevano attraversato la frontiera di Bunagana, in direzione di Rumangabo. Secondo le stesse fonti, tra i soldati ruandesi c’era anche una persona di razza bianca. Secondo una fonte prossima all’M23, il bianco visto nel convoglio è uno specializzato in artiglieria e doveva andare a Kibumba per installare un’arma da tiro moderna inviata all’M23 dall’RDF (l’esercito ruandese).[4]

 

Il 28 luglio, secondo fonti attendibili provenienti da Gisenyi, l’esercito ruandese (RDF) ha rinforzato la sua presenza militare nei pressi della frontiera con la RDCongo. Arrivati a bordo di sei veicoli di marca FUSO, militari ruandesi si sono dispiegati lungo il confine, dalla Piccola Barriera (Frontiera di Gisenyi) fino ai cimiteri di Kanyamuhanga e Jolis Bois, a est di Goma. Nello stesso tempo, fonti affidabili segnalano un movimento di truppe dell’M23 da Rumangabo e Kibumba verso Kibati, a Nord di Goma. I militari ruandesi e l’M23 potrebbero attaccare simultaneamente la città di Goma a partire da posizioni diverse.

Secondo il portavoce della Società Civile del Nord Kivu, Omar Kavota, l’M23 sta approfittando della tregua di questi ultimi giorni sulla linea del fronte, per dispiegare le sue truppe e rilanciare l’offensiva per riprendere la città di Goma. Egli definisce questa situazione come “molto grave” e che richiede l’immediata entrata in azione della brigata d’intervento della Monusco.[5] 

 

Il 29 luglio, nel corso di un meeting a Rubare, l’M23 ha annunciato alla popolazione che dovrà ormai versare al movimento un contributo materiale e finanziario per sostenere lo sforzo bellico. È così che l’M23 ha imposto ad ogni agricoltore un contributo in viveri pari 2 kg di fagioli, 4 kg di mais e 5 kg di sorgo per famiglia. Per quanto riguarda i contributi finanziari, l’M23 esige un pagamento settimanale di 2.000 FC. per ogni chiosco, 10 $ per ogni negozio e 1.000 FC. Per abitante.  Ogni proprietario di un armento di dieci mucche dovrà darne una all’M23. Ogni proprietario di un gregge di 20 capre dovrà darne due. Inoltre, ogni famiglia dovrà presentare uno dei suoi figli per arruolarsi nelle file dell’M23. I ribelli hanno annunciato che dopo Rubare (4 km a est di Rutshuru Centre), passeranno di casa in casa anche a Bunagana, Kiwanja, Kabaya, Buvunga, Jomba, Rugari … su tutto il territorio sotto il controllo dell’M23.

La Società civile del Nord Kivu denuncia questi nuovi abusi da parte dell’M23 e chiede al governo congolese, alla Monusco e alla Cirgl di mettere immediatamente fine a quate vessazioni nei confronti una popolazione civile innocente.[6] 

2. L’M23 SEMINA IL TERRORE A KIWANJA

 

Il 24 luglio, verso le 21h00, un gruppo di miliziani dell’M23 ha tentato di saccheggiare la cittadina di Kiwanja, situata a circa 75 chilometri a nord di Goma, nel territorio di Rutshuru, ma la popolazione vi si è opposta. Secondo fonti locali, i miliziani sarebbero venuti da Kaunga, una delle posizioni dell’M23 situata a 3 km, sulla strada Kiwanja – Rwindi. Dopo aver rubato alcuni telefonini per strada, i miliziani dell’M23 hanno saccheggiato diversi negozi e case dei quartieri di Mabungo, Buturande e Buzito. Hanno portato via prodotti alimentari, materassi, attrezzi, capre, telefonini, soldi e altri oggetti di valore. Gli assalitori hanno usato tre veicoli per portare il loro bottino nei loro campi base di Kahunga, Nyongera e Rutshuru Pena. Nel frattempo, la popolazione si è messa in stato di allerta facendo un gran rumore con fischietti, clacson, tegami e campane fino a quando gli aggressori sono fuggiti. I giovani sono rimasti svegli tutta la notte e si sono collocati ad ogni incrocio della cittadina,  per mantenere la sicurezza nei loro quartieri. Alcune capanne appartenenti all’M23 sono state incendiate e alcuni punti di pedaggio gestiti dallo stesso M23 sono stati bruciati. I caschi blu della Monusco hanno pattugliato la cittadina accompagnati dalla popolazione stessa.[7]

 

Il 25 luglio, a Kiwanja la situazione è rimasta molto tesa. Al mattino, i capi dei ribelli hanno arrestato una sessantina di giovani mentre cercavano di protestare contro i saccheggi e altri soprusi commessi dai miliziani dell’M23. Ufficialmente, li accusano di aver consumato bevande alcoliche vietate e di aver incendiato dei bistrot. Durante tutta la giornata, le attività socio-economiche sono rimaste paralizzate. Colonne di veicoli erano ferme su entrambi i lati della cittadina. Il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha chiesto alle forze di pace presenti a Kiwanja di proteggere la popolazione, in conformità con il mandato della Monusco.

Secondo informazioni ricevute dalla società civile, verso le 8.00 del mattino, il vice amministratore, il borgomastro e il comandante della Polizia dell’M23 hanno convocato la popolazione di Kiwanja ad un incontro pubblico, per “fare un’inchiesta” su quello che era successo la notte precedente. Hanno promesso di ascoltare tutti e di punire poi i “colpevoli”. Pochi istanti dopo, i partecipanti alla riunione si sono visti circondati dai combattenti dell’M23 che hanno loro ordinato di sedersi per terra. I giovani sono stati arrestati uno dopo l’altro, poi sono stati portati via verso una destinazione sconosciuta. Molte persone sono state portate al campo militare dell’M23 di Rutshuru-Pena o di Nyongera. Una vera e propria caccia all’uomo è iniziata nei quartieri di Mabungo e di Buturande. Si è notato che gli arresti sono selettivi, perché le persone arrestate e detenute sono praticamente della comunità Nande. Ben presto, le donne del villaggio hanno invaso il quartier generale della Monusco presente a Kiwanja, chiedendole di agire sull’M23 per la liberazione dei loro figli, coniugi o familiari. La coordinazione della società civile, che sospetta un tentativo di pulizia etnica da parte dell’M23, teme che questo movimento voglia ucciderli o usarli come scudi umani sui vari fronti di guerra. La Società civile del Nord Kivu chiede, pertanto, alla Monusco di fare ogni sforzo possibile per ottenere la liberazione di questi giovani e la protezione della popolazione civile della zona.[8]

 

Il 26 luglio, durante una visita a Kiwanja, il capo ufficio della Monusco nel Nord Kivu, Ray Virgillio Torres, ha detto alla popolazione che “l’M23 non ha alcuna legittimità o autorità per arrestare e processare le persone residenti nelle zone sotto sua occupazione”. Da parte sua, la popolazione gli ha detto che, pur vivendo principalmente di agricoltura, ormai non può più andare a lavorare nei campi, a causa dell’insicurezza creata dall’M23. La popolazione di Kiwanja gli ha ripetuto di aver bisogno della protezione della Monusco, per evitare gli stupri contro le donne e i continui saccheggi dei loro beni.

Secondo il tenente colonnello Vianney Kazarama, portavoce militare dell’M23, i ribelli hanno arrestato una “cinquantina di giovani Nande” che avevano “incendiato negozi appartenenti alla comunità ruandofona”. In realtà, l’M23 li hanno arrestati per essersi opposti al saccheggio della notte del 24 luglio e per avere organizzato pattugliamenti notturni in difesa dei loro quartieri. Nel quartiere di Buturande, l’M23 continua ad arrestare altri giovani. Secondo la società civile, i detenuti sarebbero ormai più di 150 e la Monusco sembra assistere impotente al terrore imposto sui civili dall’M23. Anche se il loro mandato è quello di proteggere la popolazione civile, i Caschi blu della Monusco sarebbero rimasti all’interno delle loro strutture senza agire.[9]

 

Il 27 luglio, in un comunicato, la Monusco si dice allarmata per le informazioni ricevute e relative a omicidi, reclutamento forzato e arresti illegali di civili perpetrati dall’M23 nel Nord Kivu. La Monusco condanna il saccheggio perpetrato dall’M23 a Kiwanja e afferma di essere informata su un reclutamento forzato di dieci persone, avvenuto il 22 luglio a Kibumba, nel territorio di Nyiragongo, per opera dell’M23. Secondo la stessa fonte, tre di queste reclute sono state uccise per aver tentato di fuggire. Inoltre, l’M23 è accusato di impedire, da metà luglio, l’accesso umanitario nelle zone sotto suo controllo, tra cui Mutaho, quando “molti sfollati hanno bisogno di assistenza umanitaria, tra cui cibo, riparo, acqua e assistenza sanitaria”.[10]

 

Il 27 luglio, in un comunicato, la società civile nel Nord Kivu ha confermato che l’M23 ha vietato ogni movimento della popolazione e ogni ripresa delle attività. Secondo la società civile, l’M23 ha ordinato la chiusura dei negozi, dei mercati e delle farmacie. Il portavoce della società civile del Nord Kivu, Omar Kavota, accusa l’M23 di star pianificando un massacro e di aver instaurato, da due giorni, un clima di terrore. Egli denuncia anche la passività e l’inazione delle forze di pace delle Nazioni Unite basate a Kiwanja e chiede alla Monusco, alle Fardc, alla Cirgl e all’Ua di agire per liberare la popolazione di Kiwanja, sottoposta al terrore inflitto dall’M23 e i suoi alleati.[11]

 

Il 27 luglio, circa 100 giovani arrestati dall’M23 a Kiwanja sono stati rilasciati. Secondo la società civile, la liberazione è stata possibile grazie all’intervento del governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, del capo ufficio della Monusco nel Nord Kivu e dei deputati eletti del territorio di Rutshuru. 38 giovani di Kiwanja detenuti nella prigione di Nyongera erano già stati liberati il giorno precedente. Prima del rilascio, sarebbe stata pagata una cauzione di 200 dollari. Rimarrebbero in carcere ancora cinque persone.[12]

 

Il 28 luglio, le attività socio-economiche sono timidamente riprese e, secondo fonti locali attendibili, alcuni negozi e magazzini hanno cominciato ad aprire le porte già dal mattino.[13]

 

Il 29 luglio, le attività socio-economiche sono riprese. Un’autorità locale della città di Kiwanja ha affermato che il 60% delle attività commerciali sono riprese. È ripreso anche il traffico tra Rutshuru e Goma e altre parti della provincia del Nord Kivu. In mattinata, diversi insegnanti sono partiti da Rutshuru e Kiwanja per andare a Goma a ritirare i loro stipendi. Secondo fonti locali, i moto tassisti non possono ancora viaggiare fuori del territorio di Rutshuru, perché l’M23 li sospetta di fornire informazioni all’esercito regolare.[14]

 

3. UN NUOVO RAPPORTO DI HUMAN RIGHT WATCH ACCUSA L’M23

 

Il 22 luglio, Human Rights Watch ha pubblicato un nuovo rapporto secondo il quale, dal mese di marzo 2013, l’M23 ha sommariamente giustiziato almeno 44 persone e violentato almeno 61 donne. Degli abitanti della regione e degli ex ribelli che hanno disertato hanno segnalato recenti operazioni di reclutamento coatto di uomini e ragazzi da parte dell’M23 in Ruanda e nella RDCongo. Secondo le loro testimonianze, le forze criminali dell’M23 hanno ricevuto vari appoggi dal Ruanda. Si sono, infatti, osservati spostamenti regolari dal Ruanda verso la RDCongo di uomini armati in uniforme dell’esercito ruandese e si è constatato la fornitura di munizioni, cibo e altri rifornimenti da parte del Ruanda all’M23 che, tra l’altro, ha condotto operazioni di reclutamento anche in Ruanda. Ufficiali dell’esercito ruandese hanno addestrato le nuove reclute dell’M23 e hanno ripetutamente contattato e incontrato i suoi capi. “Il Ruanda non solo permette all’M23 di reclutare nuove leve e di rifornirsi sul suo territorio, ma anche a militari ruandesi di continuare a fornire un supporto diretto all’M23”, ha dichiarato Daniel Bekele, direttore della divisione Africa di Human Rights Watch.

Esecuzioni sommarie e altri abusi da parte dell’M23.

Fin dal suo inizio nel mese di aprile 2012, l’M23 ha costantemente violato le leggi di guerra. Nonostante i suoi numerosi crimini di guerra, l’M23 ha però ricevuto ingenti appoggi da parte degli ufficiali militari ruandesi. Tra i civili uccisi dall’M23, dal mese di marzo in poi, si possono ricordare, per esempio, un uomo di 62 anni, ucciso per aver rifiutato di dare i suoi figli all’M23, nuove reclute arrestate perché avevano tentato di fuggire e altri civili accusati di collaborare con le milizie hutu. Il 25 e il 26 aprile 2013, in diversi villaggi del raggruppamento di Busanza, nel territorio di Rutshuru, combattenti dell’M23 hanno ucciso 15 civili hutu e almeno altri sei a metà di giugno, per “punire” gli abitanti di quei villaggi per una loro presunta collaborazione con milizie hutu congolesi. Il 15 maggio, l’M23 ha fermato un moto taxista  nei pressi di Kiwanja e l’hanno ucciso perché si è rifiutato di consegnare loro i soldi che aveva in tasca. A metà giugno, l’M23 ha ucciso un cambiavalute sparandogli  più volte al petto. Poi hanno detto alla moglie: “Dacci i soldi o ti uccideremo come tuo marito”. La donna ha consegnato i soldi e allora se ne sono andati.

Stupri commessi da combattenti dell’M23.

La maggior parte degli stupri sono stati commessi vicino a posizioni dell’M23 e alcune vittime hanno riconosciuto i loro aggressori come combattenti dell’M23. Molte vittime di stupri sono state sorprese mentre erano a lavorare nei loro campi o a raccogliere legna. Combattenti dell’M23 hanno accusato alcune di loro di essere “mogli” di combattenti delle FDLR. Il 5 luglio, quattro combattenti dell’M23 hanno violentato una bambina di 12 anni quando andava ad attingere acqua ad una sorgente vicina al suo villaggio, nel territorio di Rutshuru. Il 15 aprile, una giovane donna di 18 anni ha ricevuto uno sparo ad una gamba perché si era rifiutata di avere rapporti sessuali con un combattente dell’ M23 che l’aveva avvicinata nella sua fattoria nei pressi di Bunagana. Una giovane ragazza di 17 anni, ha dichiarato di essere stata violentata due volte da combattenti dell’M23. La seconda volta, nel mese di giugno, è successo quando era da sola in casa, perché la polizia dell’M23 aveva costretto suo marito a pattugliare il villaggio durante la notte.

Reclutamento forzato di giovani e bambini da parte dell’M23.

L’M23 considera le autorità locali come una “forza di riserva” su cui poter contare per ottenere un appoggio durante le operazioni militari. Dal mese di giugno, alcuni comandanti militari dell’M23 hanno costretto i capi tradizionali delle zone da loro controllate a fornire nuove reclute e a seguire una formazione ideologica e militare. Nelle ultime settimane, nel territorio di Rutshuru, l’M23 ha arrestato o sequestrato decine di civili, di cui la maggior parte sono Hutu. L’M23 ha accusato molti di loro di collaborare con le FDLR o con milizie hutu congolesi loro alleati. I combattenti dell’M23 li hanno picchiati, legati e messi in prigione. Poi li hanno costretti a seguire una formazione militare per far parte delle loro truppe. Un ex agente di polizia dell’M23, disertore dal mese di aprile, ha detto a Human Rights Watch di aver partecipato ad inchieste sull’uccisione di civili e ha affermato che il comandante Innocent Kayna gli aveva detto: “Dovrai dire che gli autori di questi omicidi sono dei banditi della regione, non l’M23”.

Reclutamento di nuove leve in Ruanda e altre forme di appoggio ruandese.

Uomini armati in uniforme militare hanno spesso attraversato la frontiera ruandese per entrare nella RDCongo e sostenere l’M23. Si tratta di nuove reclute, o di soldati smobilitati cui erano state date delle uniformi militari prima della loro entrata in RDCongo, o di soldati attivi dell’esercito ruandese. Ufficiali dell’esercito ruandese hanno diretto, nelle basi dell’M23, corsi di formazione militare per le nuove reclute e altri hanno condotto operazioni di reclutamento in Ruanda per conto dell’M23. Tra gli uomini reclutati in Ruanda, ci sono dei militari smobilitati ruandesi, degli ex combattenti delle FDLR, molti dei quali erano stati inclusi nella Forza di Riserva dell’esercito ruandese, e dei civili ruandesi. Tra gennaio e giugno, le forze della Monusco hanno disarmato e rimpatriato 56 miliziani dell’M23 che hanno dichiarato di essere di nazionalità ruandese. Dei disertori dell’M23 hanno affermato che ufficiali dell’esercito ruandese hanno ricondotto alla frontiera dei cittadini ruandesi che erano fuggiti dall’M23 e che tentavano di rientrare in Ruanda.

Un giovane ruandese di 15 anni, ha raccontato a Human Rights Watch che, insieme ad altri tre giovani, gli era stato promesso un posto di lavoro come mandriano in Congo, ma una volta arrivati, ​​sono stati costretti ad arruolarsi nell’M23. Hanno dovuto seguire una formazione militare guidata da ufficiali ruandesi  e li si è avvertiti che, nel caso in cui avessero tentato di fuggire, sarebbero stati uccisi. Altri disertori dell’M23 hanno confermato che l’addestramento militare è affidato ad ufficiali ruandesi. Ex ufficiali dell’M23 hanno dichiarato di aver riconosciuto, tra i loro ex colleghi, dei membri dell’esercito ruandese. Alcuni disertori congolesi dell’M23 hanno dichiarato che alcuni combattenti dell’M23 avevano riconosciuto di essere cittadini ruandesi. Altri hanno ammesso di essere stati membri di contingenti ruandesi inviati per missioni di pace dell’Onu in Darfur.

Appoggio del Ruanda ad operazioni militari dell’M23.

Disertori dell’M23 hanno rivelato frequenti arrivi – a volte settimanali – di militari e nuove reclute provenienti dal Ruanda. A volte si trattava di militari nuovi che  sostituivano quelli rientrati in Ruanda. Secondo dei disertori dell’M23 e degli abitanti di villaggi ruandesi, i soldati ruandesi e le nuove reclute attraversano il confine a piedi, di notte, attraverso sentieri secondari del Parco Nazionale dei Virunga. Molti abitanti del posto, che si trovavano nei pressi della frontiera tra il 19 e il 23 maggio, hanno detto a Human Rights Watch di aver visto gruppi di uomini armati e con uniforme ruandese passare dal Ruanda in Congo attraverso Kasizi, Kabuhanga e la collina di Hehu. Il 20 maggio, per esempio, un insegnante di Kasizi, residente nei pressi della frontiera, verso le 1700 ha visto arrivare tre camion. Molti uomini armati e in tenuta militare ruandese (la bandiera ruandese appariva sull’uniforme), sono scesi dai camion e hanno attraversato il confine con la RDCongo a piedi, passando attraverso la foresta, a lato del punto di passaggio ufficiale della frontiera. Un contadino ruandese che vive presso il confine ha dichiarato di aver visto, tra il 7 e l’11 luglio, sempre di sera, l’arrivo di camion pieni di militari a Njerima, una base dell’esercito ruandese. Alla frontiera, i militari scendevano dai camion e passavano in Congo a piedi. Un altro contadino ruandese residente vicino al villaggio di Kabuhanga ha affermato di aver visto gruppi di varie decine di militari ruandesi penetrare in territorio congolese tra il 20 e il 30 giugno. Il 12 luglio, ha visto passare un gruppo ancora maggiore. L’M23 ha ricevuto dal Ruanda anche armi, munizioni, cibo (latte e riso) e altre forniture. Disertori dell’M23 hanno riferito di conversazioni telefoniche e di riunioni, in Ruanda e in RDCongo, tra comandanti dell’M23 e persone di cui i disertori avevano sentito dire che erano ufficiali ruandesi o che loro stessi conoscevano tali. “Nel corso degli ultimi 17 anni, l’esercito ruandese ha ripetutamente inviato truppe nella parte orientale della RDCongo e sostenuto gruppi che agiscono in suo nome, rendendosi responsabili di atrocità e di crimini di guerra” , ha detto Daniel Bekele. “Come in passato, il Ruanda nega di sostenere l’M23, ma i fatti sul posto contraddicono queste smentite”.

Raccomandazioni:

+ Al governo ruandese:

– Cessare immediatamente tutte le forme di sostegno all’M23;

– Aprire inchieste e, se necessario, processare le autorità civili e militari che potrebbero aver aiutato e facilitato l’attuazione di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità da parte dell’M23.

+ Al governo congolese:

– Sospendere, sottoporre ad inchieste e, se necessario, processare le autorità civili e militari congolesi che potrebbero aver aiutato e facilitato l’attuazione di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità da parte dell’M23, delle FDLR e dei gruppi armati loro alleati;

– Rifiutare qualsiasi accordo che garantisse l’impunità dei dirigenti dell’M23, tra cui Sultani Makenga e Innocent Kayna, accusati di essere responsabili di gravi crimini.

+ Agli inviati speciali dell’Onu e degli Stati Uniti nella regione dei Grandi Laghi e ai governi dei paesi che forniscono aiuti al Ruanda e alla RDCongo:

– Denunciare il continuo appoggio del Ruanda all’M23 e appoggiare l’imposizione di sanzioni contro alte autorità ruandesi responsabili di aver appoggiato l’M23 sin dal 2012;

– Sospendere ogni tipo di assistenza all’esercito ruandese fin quando continuerà ad appoggiare gruppi armati in territorio congolese;

– Includere rigorosi criteri in materia di rispetto dei diritti umani in qualsiasi nuovo programma di assistenza al Ruanda;

– Adoperarsi affinché qualsiasi accordo tra il governo congolese e l’M23 escluda l’integrazione nell’esercito congolese dei dirigenti dell’M23, soprattutto quelli che sono iscritti sulle liste delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite e quelli che sono accusati di crimini di guerra e di altri gravi crimini; – Esercitare delle pressioni in favore dell’arresto e dell’avvio di procedure giudiziarie contro i comandanti militari, compresi i membri dell’M23, implicati in crimini di guerra e altri gravi crimini.[15]

 

4. UNA NUOVA DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA

 

Il 23 luglio, gli Stati Uniti hanno chiesto al Ruanda di mettere fine al suo appoggio ai ribelli dell’M23 nella RDCongo e affermano di avere, a questo proposito, le prove dell’implicazione di ufficiali militari ruandesi. «Esigiamo che il Ruanda metta immediatamente fine ad ogni forma di aiuto all’M23 e che ritiri il suo personale militare dall’est della RDCongo», ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, senza però specificare se il presidente ruandese Paul Kagame sia lui stesso coinvolto. Durante la sua visita, il 1° luglio, a Dar es Salaam, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva già invitato i paesi limitrofi alla RDCongo, senza nominarli, a cessare di sostenere i gruppi armati che vi operano. Il Ruanda e l’Uganda sono stati accusati, in diverse occasioni, anche dal gruppo degli esperti dell’Onu, di appoggiare l’M23.[16]

 

Il 25 luglio, in un incontro sulla situazione nella regione dei Grandi Laghi, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato il suo appoggio agli sforzi che si stanno facendo per la pace e la sicurezza nella RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi. L’incontro era presieduto dal Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, il cui paese detiene la presidenza del Consiglio di Sicurezza per il mese di luglio 2013.

John Kerry, Segretario di Stato degli Stati Uniti, ha dichiarato che «l’accordo quadro firmato ad Addis Abeba il 24 febbraio 2013 è un primo passo fondamentale verso la pace», ma ha precisato di essere consapevole del fatto che i progressi compiuti da febbraio scorso rimangono ancora molto limitati. Egli ha dichiarato che «la questione fondamentale è quella di verificare se gli impegni presi in tale accordo saranno realizzati o no» e ha aggiunto che gli Stati Uniti sono pronti ad aiutare i firmatari di tale accordo per la sua realizzazione. John Kerry ha dichiarato che gli Stati Uniti sono preoccupati per la ripresa dell’appoggio esterno all’M23 e di un’eventuale collaborazione tra certe parti e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Ha insistito sul fatto che tutte le parti devono mettere fine ad ogni forma di appoggio ai gruppi armati e che tutti i governi della regione devono lottare contro l’impunità. Egli si è detto convinto che anche un rilancio del commercio regionale a breve scadenza potrebbe contribuire a ripristinare la pace nell’est della RDCongo e in tutta la regione.

Ban Ki-moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, si è detto molto preoccupato per la ripresa delle attuali ostilità tra l’M23 e le Forze Armate della RDCongo e ha invitato tutte le parti a riprendere il più rapidamente possibile i colloqui di Kampala. A livello nazionale, egli ha stimato che le riforme strutturali intraprese dalla RDCongo possono aiutare ad affrontare le cause profonde della violenza e, per questo, ha raccomandato di mettere in pratica le misure adottate dal governo congolese sulla riforma dell’esercito, sul decentramento e sul dialogo nazionale. A livello regionale, ha invitato i Capi di Stato e di Governo ad andare oltre i problemi che li dividono, a proseguire un dialogo costruttivo e a lavorare insieme per definire un programma di lavoro comune per una pace sostenibile, basata sulla cooperazione commerciale ed economica e sul rispetto della sovranità nazionale di ogni paese. Ban Ki-moon ha affermato che l’accordo quadro di Addis Abeba è una buona tabella di marcia per la pace, ma ha anche riconosciuto che i gruppi armati e le milizie danno l’impressione di non impegnarsi in modo sincero in questo processo di pace. Perciò Ban Ki-moon ha fatto osservare che è per affrontare questo problema che il Consiglio di Sicurezza ha rafforzato la Monusco mediante la creazione di una nuova Brigata d’intervento. Tuttavia, anche se le Nazioni Unite possono fare molto, esse dipendono dai firmatari dell’accordo-quadro e ha invitato le diverse parti ad astenersi dalle ostilità e a progredire sulla via politica. Egli ha anche invitato la comunità internazionale ad utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, tra cui le procedure penali internazionali, il regime delle sanzioni e l’assistenza allo sviluppo, con l’obiettivo di favorire la stabilizzazione e la pace nella RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi.

Mary Robinson, inviata speciale del Segretario Generale per la Regione dei Grandi Laghi, ha ricordato le conseguenze devastanti dei recenti combattimenti sulla popolazione civile. Secondo lei, questi combattimenti devono essere fermati immediatamente, per evitare una pericolosa scalata del conflitto. «Da quando ho assunto questo incarico quattro mesi fa, non c’è stato un solo giorno in cui non abbia ricevuto informazioni su omicidi, stupri, abusi sessuali e fughe della popolazione civile», ha detto la signora Robinson che si è detta preoccupata del fatto che questa drammatica realtà non causi più indignazione a livello internazionale o locale e che questi fatti siano ormai considerati come normali. «Questo non è però accettabile», ha detto la signora Robinson che ha sottolineato la necessità di applicare la tolleranza zero nella lotta contro l’impunità, elemento centrale dell’accordo-quadro di Addis Abeba. Sulla base di informazioni attendibili, l’inviata speciale del Segretario generale afferma che alcune attività intraprese da certi paesi firmatari dell’accordo-quadro, che sostengono i gruppi armati, vanno contro lo spirito di questo accordo. Nonostante ciò, la signora Robinson ha rilevato alcuni progressi compiuti nei vari settori. A livello nazionale, ella ha accolto favorevolmente l’istituzione, da parte del Presidente della RDCongo, del meccanismo di controllo nazionale e la recente iniziativa della RDCongo di promuovere, in collaborazione con la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), un programma di certificazione dei minerali esportati. A livello regionale, ha accolto con favore lo svolgimento della prima riunione del meccanismo di monitoraggio regionale, previsto dall’accordo-quadro (“Meccanismo 11+4”) e la creazione del Comitato di assistenza tecnica, incaricato di definire parametri e indicatori di progresso. Secondo Mary Robinson: «tutte queste tappe, anche se appaiono insignificanti per i milioni di persone coinvolte che attendono con ansia la pace e cambiamenti reali nella loro vita, esprimono la concreta determinazione della comunità internazionale per esplorare nuove strade per raggiungere una pace durevole e uno sviluppo sostenibile nella regione dei Grandi Laghi».

Sam K. Kutesa, Ministro degli Affari Esteri dell’Uganda, ha affermato che il suo governo è ancora convinto che i colloqui a Kampala tra il governo congolese e l’M23 rappresentano, per il momento, il modo migliore per risolvere le divergenze tra le due parti e ha sottolineato che «il governo della RDCongo e l’M23 devono dimostrare di avere una volontà politica per raggiungere una soluzione duratura a questo conflitto».

Louise Mushikiwabo, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione del Ruanda, ha affermato che «il Ruanda auspicherebbe che si citassero gli sforzi di pace nella regione, in particolare quelli fatti nel corso dei colloqui di pace a Kampala, intrapresi sotto l’egida della la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi». Inoltre, ella ha affermato che il Ruanda auspica che l’Inviata speciale del Segretario Generale per i Grandi Laghi, Mary Robinson, svolga un ruolo attivo in questi colloqui, al fine di riportare rapidamente la pace nel Kivu.

Raymond Tshibanda N’Tungamulongo, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della RDCongo, ha in primo luogo ricordato la triste realtà, spesso dimenticata, dei sei milioni di Congolesi morti  nel corso dei ripetuti conflitti. «È una tragedia talmente unica nella storia dell’umanità che essa non può rimanere indifferente» ha detto il ministro, assicurando che la RDCongo è determinata ad assumersi la sua parte di responsabilità, in modo che la Regione possa rapidamente tornare a vivere nella pace e nell’armonia. Ha dimostrato tale determinazione indicando che, dalla firma dell’accordo-quadro in poi, il governo della RDCongo si è adoperato per adempiere i suoi impegni, tra cui l’accelerazione della riforma del settore della sicurezza (esercito e polizia ), della pubblica amministrazione (decentramento) e della gestione delle finanze pubbliche (in corso già da alcuni anni). Egli ha dichiarato che, sul fronte politico, si è proceduto alla riforma della Commissione elettorale nazionale indipendente e si è messo nell’agenda delle priorità la riconciliazione e il rafforzamento dell’unità nazionale. Ha poi affermato che consultazioni nazionali si terranno a partire da agosto, con lo scopo di cercare insieme i modi e i mezzi che permettano di migliorare la coesione nazionale, in vista di rispondere meglio a tutte le sfide che la nazione è chiamata ad affrontare. Raymond Tshibanda ha poi stimato che il dispiegamento della brigata d’intervento della Monusco costituisca un passo importante e ha espresso la speranza che essa assuma rapidamente le proprie responsabilità. Tuttavia, ha riconosciuto che la forza militare, da sola, non può risolvere la complessa equazione della pace nella regione. Per questo, secondo le sue affermazioni, qualsiasi soluzione duratura passa attraverso un dialogo sincero tra tutte le parti, interne ed esterne. «È per questo che rimaniamo attivamente implicati nei colloqui di Kampala», ha detto il ministro Tshibanda, precisando però che, «con la nostra esperienza degli accordi conclusi nel 2003, 2006 e 2009 con i ribelli, la maggior parte dei quali sono stati ora riciclati nell’M23, non siamo disposti a firmare un accordo che, consacrando l’impunità e il reinserimento nelle forze armate di persone sottoposte a procedure giudiziarie o a sanzioni internazionali, getterebbe le basi di una nuova violazione della pace». «La RDCongo non cederà mai a nessuno un centimetro quadrato del suo territorio o una parte della sua sovranità sulle proprie ricchezze. Ma rimane disponibile a firmare un patto per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione», ha concluso il ministro degli Esteri congolese.

Nella dichiarazione finale, il Consiglio di Sicurezza condanna i nuovi attacchi perpetrati, in violazione delle risoluzioni 2076 (2012) e 2098 (2013), dal Movimento del 23 marzo (M23) nella regione di Mutaho, nei pressi di Goma, dal 20 al 22 maggio 2013 e dal 14 luglio 2013 in poi.

Il Consiglio condanna fermamente, ancora una volta, la presenza persistente dell’M23 nelle immediate vicinanze di Goma e la sua volontà di istituire un’amministrazione parallela illegale nel Nord Kivu ed esige che tutti i membri dell’M23 siano disarmati e smobilitati.

Il Consiglio si dice preoccupato anche per la crescente attività delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) nell’est della RDCongo ed esige che tutti i membri delle FDLR siano disarmati e smobilitati.

Il Consiglio ribadisce il suo appoggio per l’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’accordo-quadro per la pace, la sicurezza e la cooperazione per la RDCongo e la regione, firmato ad Addis Abeba il 24 Febbraio 2013.

Il Consiglio chiede alla RDCongo e ai Paesi della regione di applicare integralmente, rapidamente e in buona fede gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo-quadro. Ha chiesto alla RDCongo di continuare e ampliare la riforma del settore della sicurezza, rafforzare l’autorità dello Stato, procedere sulla via del decentramento e promuovere la riconciliazione, la tolleranza e la democrazia. Chiede a tutti i Paesi della regione di rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale dei paesi limitrofi, di non interferire nei loro affari interni, di non offrire rifugio a coloro che sono accusati di violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale sui diritti umani o il cui nome compaia nelle liste delle persone sottoposte al regime delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite. Invita inoltre tutti i Paesi della regione a non tollerare alcun gruppo armato e ad astenersi dal fornire a questi gruppi assistenza o qualsiasi tipo di appoggio.

Il Consiglio accoglie con favore l’istituzione, da parte del Presidente della RDCongo, Joseph Kabila, di un meccanismo di monitoraggio nazionale in conformità con la richiesta contenuta nell’accordo-quadro e nella risoluzione 2098 (2013) e invita il Presidente a fare di tutto affinché tale meccanismo sia caratterizzato dalla trasparenza e dall’apertura. Chiede al governo congolese di procedere senza indugio alla riforma del settore della sicurezza, elaborando e applicando un piano globale per la riforma dell’esercito e della polizia e preparando una “forza di rapido intervento” ben addestrata, adeguatamente attrezzata e competente che possa sostituire, nel futuro, la brigata d’intervento della Monusco.

Il Consiglio ribadisce, inoltre, che il governo della RDCongo è il primo responsabile della sicurezza, della protezione dei civili, della promozione e della tutela dei diritti umani, della riconciliazione nazionale, della consolidazione della pace e dello sviluppo del Paese. Il Consiglio ribadisce il suo forte impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della RDCongo e di tutti i paesi della regione e per il pieno rispetto dei principi di non ingerenza, di buon vicinato e di cooperazione regionale.[17]

 

Secondo diversi osservatori, il Consiglio di Sicurezza si è limitato, ancora una volta, a semplici dichiarazioni di intenti nei confronti delle varie parti implicate nella crisi dell’est della RDCongo, affinché “cessino di sostenere i gruppi ribelli armati”. Secondo la pubblica opinione congolese, si pensava che il Consiglio di Sicurezza confermasse le dichiarazioni rese il 23 luglio dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti contro il regime ruandese di Paul Kagame, apertamente e specificamente nominato come principale appoggio ai ribelli dell’M23. Dopo tali dichiarazioni, si pensava pertanto che questa riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, convocata  proprio su iniziativa degli Stati Uniti, potesse fare un ulteriore passo avanti. Purtroppo, non è stato il caso. Ci si aspettava che il Consiglio di Sicurezza decretasse alcune sanzioni nei confronti del Ruanda per obbligarlo a porre fine al suo appoggio all’M23. Non è stato così. Fingendo di alzare i toni, il Consiglio di Sicurezza, di cui il Ruanda è attualmente membro non permanente, ha preferito tacere sulla questione delle sanzioni contro il principale responsabile della violenza all’est della RDCongo, il Ruanda, citato da Human Rights Watch nel suo ultimo rapporto sulla Regione dei Grandi Laghi. Ancora una volta, il Consiglio di Sicurezza ha deluso le aspettative del popolo congolese.[18]

 

Contrariamente alla “audace” posizione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è rimasto fermo sul suo leggendario equilibrismo, distribuendo cartellini gialli a tutti, equiparando l’aggressore alla vittima e mettendo sullo stesso piano il Ruanda che invia le sue truppe regolari sul suolo congolese e la RDCongo che deve soffrire le conseguenze dello spirito bellicista del suo vicino. Ciò che è accaduto a New York è solo la prova che le lobby ruandesi sono ancora molto potenti. Il regime ruandese ha saputo fare del tristemente celebre genocidio del 1994 un suo fondo di commercio. È un regime che ha saputo trasformare l’ammissione di colpevolezza morale dell’Occidente nei confronti della tragedia di 19 anni fa in una specie di assicurazione a favore del suo esercito che continuamente scorazza attraverso le strade e i sentieri dell’est della RDCongo. In realtà, questa strategia sta dando i suoi frutti. Almeno fino ad ora, perché il potere ruandese è riuscito a condurre una guerra permanente nel Kivu, senza mai essere oggetto di condanne se non generiche ed anonime, come quella che è stata pronunciata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 25 luglio scorso. Alla RDCongo non rimane che rendersi conto che, nel sancta sanctorum della “comunità internazionale”, non basta avere ragione. Occorre avere potenti conoscenze per poter “vendere” il proprio prodotto.[19]


 

[1] Cf Radio Okapi, 19.07.’13

[2] Cf RFI, 22.07.’13; Radio Okapi, 23.07.’13

[3] Cf Radio Okapi, 24 e 25.07.’13

[4] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, le 25.07.’13

[5] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, 28.07.’13

[6] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, le 29.07.’13

[7] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, le 25.07.’13

[8] Cf Radio Okapi, 25.07.’13; Super User – Société Civile du Nord Kivu, 28.07.’13  

[9] Cf Radio Okapi, 27.07.’13; AFP – Kinshasa, 28./07.’13 (via mediacongo.net); Super User – Société Civile du Nord Kivu, 28.07.’13  

[10] Cf Radio Okapi, 27.07.’13;

[11] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, 28.07.’13

[12] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 30.07.’13

[13] Cf Radio Okapi, 29.07.’13

[14] Cf Radio Okapi, 29.07.’13

[16] Cf Radio Okapi, 23.07.’13

[18] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 26.07.’13

[19] Cf José Nawej – Forum des As – Kinshasa, 30.07.’13