Editoriale Congo Attualità n. 187 – a cura della Rete Pace per il Congo
Da tempo la Società Civile del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) denunciava il rafforzamento delle postazioni tenute dal Movimento del 23 Marzo (M23), un gruppo armato appoggiato militarmente e logisticamente dal regime ruandese. Gli ultimi avvenimenti le hanno dato ragione. Il 14 luglio, infatti, l’M23 ha attaccato una postazione dell’esercito regolare, nel tentativo di poter riprendere la città di Goma, capoluogo della provincia.
Prime vittorie.
L’esercito però ha saputo reagire in modo talmente rapido ed efficace che è riuscito, non solo a difendere le sue posizioni, ma anche a recuperare posizioni occupate dallo stesso M23.
Probabilmente, dopo la sospensione del generale Gabriel Amisi, detto Tango Fort, accusato di complicità con l’M23 e di alto tradimento, il nuovo Capo di Stato maggiore, François Olenga, è riuscito a riorganizzare l’esercito inviando al fronte i migliori battaglioni, aumentando gli stipendi dei militari, fornendo le armi necessarie e le munizioni adeguate e, soprattutto, migliorando la catena di comando.
Le prime vittorie dell’esercito hanno riacceso la speranza nella popolazione che, stanca della guerra e delle angherie dell’M23 (stupri, omicidi, furti, reclutamento forzato, …), non desidera altro che la sua sconfitta totale e definitiva. La scomparsa dell’M23 segnerebbe anche la fine della politica di espansione e di egemonia dell’attuale regime ruandese che, attraverso l’M23, sta occupando, di fatto, il Kivu per sfruttarne le immense risorse naturali.
Con questi primi successi, l’esercito congolese ha ricuperato la fiducia della popolazione, ormai abituata alle sconfitte a causa di tradimenti e complicità. Ora la gente del Nord Kivu incoraggia i militari, facendo collette per procurare loro il cibo necessario e, addirittura, accompagnandoli fino alla linea del fronte. Il 18 luglio, alla falsa notizia del richiamo, a Kinshasa, del colonnello Mamadou N’Dala, responsabile delle operazioni militari contro l’M23, le mogli dei militari, i moto tassisti, gli studenti e molti altri giovani sono scesi in strada per protestare e sono accorsi all’aeroporto per impedirne la partenza, perché convinti che è grazie a lui che l’esercito ha potuto riportare queste prime vittorie sull’M23. Queste manifestazioni popolari di Goma sono un segno inequivocabile di un nuovo rapporto di fiducia e di simpatia reciproca tra esercito e popolazione.
Probabilmente, il segreto della vittoria finale sul nemico sta proprio in questa nuova “relazione di complicità” tra popolazione ed esercito. Spetta alle autorità politiche e militari congolesi accettare questa sfida e prendere le decisioni adeguate.
L’ONU: la scelta che si impone tra complicità e credibilità.
Anche la Comunità Internazionale, l’Onu in particolare, dovrebbe cercare di capire. Certe dichiarazioni, certe proposte, certe decisioni sembrano davvero fuori luogo. Per esempio, l’insistenza a voler privilegiare a tutti i costi la continuazione dei negoziati tra il governo congolese e l’M23 a Kampala. Possibile che l’Onu e la Comunità Internazionale non riescano a capire che ciò che l’M23 vuole è semplicemente il controllo politico, militare ed economico sul Kivu per consegnarlo su un vassoio d’oro al regime ruandese che l’ha creato a tal fine? Certo, una soluzione concertata sarebbe migliore di qualsiasi soluzione di tipo militare, ma il tempo delle negoziazioni è ormai scaduto. Nel 2002, a Sun City, si è tenuto il dialogo intercongolese cui ha partecipato anche il movimento ribelle filo-ruandese dell’RCD. Il dialogo si è concluso con gli accordi di Pretoria firmati nel 2003 anche dall’RCD. A Goma, il 23 marzo 2009 si sono firmati gli accordi con il CNDP, successore dell’RCD. E ora l’Onu vuole che il governo congolese firmi un altro accordo con l’M23, successore del CNDP. In tal caso si perpetuerebbe una spirale di accordi mal negoziati che, come constatato, non servono che a perpetuare guerra e violenza. La storia lo insegna: non si può negoziare né con la mafia, né con i gruppi terroristi.
Perché allora la RDCongo dovrebbe negoziare con un gruppo armato, l’M23, iscritto sulla lista del Comitato per le sanzioni della stessa Onu? Un eventuale accordo con l’M23 comporterebbe l’amnistia e la reintegrazione nell’esercito nazionale dei capi militari dell’M23, accusati di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti umani. Un accordo del genere equivarrebbe a rimettere nelle loro mani il comando e le armi dell’esercito e a preparare un nuovo movimento di diserzioni per creare una successiva “ribellione”. No. È giunto il tempo in cui occorre spezzare con fermezza quel ciclo micidiale di negoziati – reintegrazione – nuova ribellione. La soluzione definitiva al conflitto dell’est della RDCongo passa per il disarmo totale dell’M23 e degli altri gruppi armati, senza se e senza ma. L’Onu non può più permettersi dichiarazioni come “Se l’M23 rimane dov’è, la nuova brigata d’intervento della Monusco non lo attaccherà”, “la brigata d’intervento della Monusco ha una presenza dissuasiva”, “la Monusco è pronta a intervenire se gli scontri minacciano la sicurezza dei civili nella città di Goma e nei pressi dei campi profughi”, “privilegiamo la continuazione dei negoziati per una soluzione politica”.
Tali dichiarazioni dell’Onu, e molte altre, sono talmente ambigue che rasentano il livello della più totale complicità. In tal caso, sarebbe meglio che l’Onu ritirasse la sua “Missione di pace”, la Monusco, dalla RDCongo e destinasse l’equivalente delle spese per il suo mantenimento, un miliardo e mezzo di dollari all’anno, alla formazione, all’organizzazione, alla logistica e all’armamento dell’esercito nazionale congolese che, come constatato negli ultimi giorni, potrebbe essere perfettamente capace di mettere fine alla guerra, di imporre la pace, di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale del Paese e di garantire la sicurezza delle popolazioni civili. Se l’Onu e la Monusco vogliono riacquistare la fiducia del popolo congolese, appoggino senza esitazioni il suo esercito contro le forze straniere, ruandesi e ugandesi, che, dissimulate sotto la denominazione del Movimento del 23 marzo (M23), hanno invaso e occupato il suo territorio.