Editoriale Congo Attualità n. 184 – a cura della Rete Pace per il Congo
I negoziati tra il governo congolese e il Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato attivo nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), sono entrati in una situazione di stallo in cui è quasi sicuramente impossibile qualsiasi tipo di accordo. Risulta infatti difficile, se non controproducente, discutere con un gruppo armato che, appoggiato militarmente e diplomaticamente dal Ruanda e dall’Uganda, ha come preciso obiettivo quello di mantenere il controllo militare, politico e economico sull’est della RDCongo. Un eventuale accordo del governo con l’M23 sancirebbe una spartizione, di fatto, della RDCongo. Come uscire allora da ciò che può sembrare un vero vicolo cieco o una strada senza uscita?
Tre possibilità:
1. L’imminente dispiegamento di una brigata militare speciale della Missione dell’Onu nella RDCongo (Monusco) potrebbe contribuire a disarmare e a porre fine ai diversi gruppi armati, tra cui l’M23 o, almeno, a prevenire e a “bloccare” nuovi scontri bellici.
2. La nuova Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (Ceni), dovendo proseguire il processo elettorale mediante l’indizione delle elezioni provinciali e municipali, potrebbe contribuire al rafforzamento della democratizzazione del Paese e, quindi, all’isolamento di quelle forze politiche che alimentano il fenomeno dei gruppi armati, incluso l’M23.
3. La convocazione di un dialogo nazionale, con la partecipazione delle varie forze politiche e della società civile, potrebbe contribuire a creare o, semplicemente, a rafforzare quell’unità nazionale indispensabile per superare qualsiasi tipo di minaccia che, proveniente dall’interno e dall’esterno del Paese, mette in pericolo la sovranità nazionale e l’integrità territoriale del Paese.
Tre opportunità.
Per trasformare queste tre possibilità in vere e proprie opportunità,
1.a. Il governo dovrebbe prendere alcune decisioni, poche ma prioritarie, nell’ambito della riforma dell’esercito e della polizia: rinnovare la catena di comando, sostituendo gli ufficiali inefficienti e complici con i gruppi armati e assicurare una logistica adeguata (alloggio, vitto, mezzi di trasporto e di comunicazione, armi e munizioni) e la continuità nel pagamento degli stipendi dei militari, lottando contro la corruzione e la malversazione delle risorse dello Stato all’interno delle forze di sicurezza. Queste misure, poche ma essenziali, permetterebbero di avere, in breve tempo, un esercito minimamente organizzato con cui la brigata d’intervento della Monusco potrebbe collaborare per lo smantellamento definitivo dei gruppi armati attivi nell’est del Paese.
2.a. Il popolo congolese, ben sapendo che la democrazia è la sola garanzia per una pace effettiva e durevole, dovrebbe appropriarsi del processo elettorale, continuando a lottare affinché la nuova Ceni che, per la verità, molti avrebbero voluta diversa nella sua struttura e nella sua composizione, possa essere davvero indipendente, capace di organizzare le prossime elezioni provinciali e municipali in modo davvero trasparente e in grado di far rispettare i risultati elettorali. Le elezioni sono un mezzo pacifico e privilegiato nelle mani del popolo sovrano, per scegliersi i propri rappresentanti, sconfiggendo o, almeno, mettendo in minoranza gli usurpatori del potere.
3.a. Il ceto politico (governo, parlamentari e partiti politici), la Società Civile organizzata e l’elite intellettuale sanno che è totalmente legittimo avere punti di vista e progetti politici diversi e che è nel confronto e nel dibattito che questa diversità diventa una ricchezza per tutti. Il dialogo permanente tra maggioranza e opposizione, ceto politico e società civile dovrebbe contribuire a cercare ciò che unisce, per poter progettare insieme il futuro del Paese. In questo contesto, già da sei mesi ormai, il presidente Kabila aveva annunciato l’organizzazione di “concertazioni” a livello nazionale, per costruire una “coesione nazionale” capace di risolvere il conflitto all’est del Paese.
Da parte sua, l’opposizione politica propone invece un “dialogo intercongolese” in cui si possano affrontare i problemi fondamentali del Paese, tra cui la “illegittimità” delle attuali Istituzioni dello Stato (Presidenza della Repubblica e Camera dei Deputati) sorte da elezioni, quelle del 28 novembre 2011, caratterizzate da numerose irregolarità e scandalosi brogli elettorali. Il presidente Kabila e la sua “maggioranza presidenziale” che lo sostiene sanno bene che non potranno raggiungere quella coesione nazionale auspicata se non saranno disposti a sottomettersi alla verifica della “verità delle urne”. È questo il prezzo che il presidente Kabila e la maggioranza presidenziale dovranno pagare, per ottenere quella “coesione nazionale” da essi stessi auspicata. Se non lo faranno, potranno essere ritenuti complici del proseguimento della guerra dell’M23 nell’est del Paese. Nello stesso tempo, l’opposizione dovrà dimostrare di saper costruire il futuro tenendo conto del passato, senza però rimanerne schiava. Soprattutto nei momenti di crisi, diventa necessario mettere gli interessi della Nazione al di sopra di ogni interesse di parte.