Passare dalla cacofonia a una sinfonia

Editoriale Congo Attualità n. 183 – a cura della Rete Pace per il Congo

 

Varie sono le dichiarazioni di alte personalità delle istituzioni, della diplomazia e della politica sull’attuale dramma dell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e ciò rivela l’interesse della Comunità Internazionale per il ritorno della Pace in quel Paese. Ma il loro linguaggio estremamente diplomatico e ufficiale rischia di non essere compreso dalla popolazione congolese. Anzi, suscita spesso dubbi, incertezze, sfiducia e scoraggiamento.

 

Le ambiguità e le ombre di un linguaggio troppo “diplomatico”.

Quando il ministro belga degli Affari Esteri diceva che «se il Ruanda non vuole essere considerato come parte del conflitto, dimostri di volere essere parte della soluzione» o quando il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede al Presidente ruandese, Paul Kagame, di «usare il suo carisma politico per la pace, la sicurezza e lo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi», cosa intendono dire? Con un linguaggio diplomatico, forse stanno chiedendo al Ruanda e all’Uganda di mettere fine al loro appoggio al Movimento del 23 marzo (M23), allo sfruttamento illegale delle risorse naturali della RDCongo e alle loro ingerenze nella vita politica congolese. Forse stanno chiedendo loro di rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della RDCongo. Ma il popolo congolese non riesce a capire con quale magia chi è alla base del conflitto ed è la causa principale della sua sofferenza possa, nello stesso tempo, essere portatore di pace. Il popolo congolese ha l’impressione che lo si voglia convincere a tutti i costi che il loro carnefice può essere anche il loro salvatore e liberatore. Impossibile!

Quando, a Kinshasa, Ban Ki-moon chiede al presidente Kabila di riprendere le negoziazioni con l’M23 a Kampala, sembra dimenticare che, come i precedenti movimenti cosiddetti ribelli (AFDL, RCD, CNDP), anche l’M23 è appoggiato, in uomini, armi e munizioni, da alcuni Paesi limitrofi, il Ruanda e l’Uganda. Il pretesto è quello di garantire la sicurezza delle loro frontiere di fronte alla “minaccia” proveniente dalle loro rispettive ribellioni fuggite in territorio congolese, le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) e l’ADF-Nalu. Sarebbe stato logico che, per risolvere il problema congolese nella sua globalità, Ban Ki-moon chiedesse anche al Ruanda e all’Uganda di incominciare a negoziare con le loro rispettive ribellioni, ma non ha detto una parola in merito. Lo sconcerto della popolazione congolese deriva dal fatto che la Comunità Internazionale chiede alla RDCongo ciò che non osa chiedere al Ruanda e all’Uganda. Il popolo congolese non sopporta più questa strategia dei due pesi e due misure. Solo il presidente tanzaniano, Jakaya Kikwete, ha osato proporre, suscitando un vespaio, l’organizzazione di un dialogo inter-ruandese e di un dialogo inter-ugandese che possano permettere accordi che consentano ai vari gruppi armati stranieri presenti nell’est della RDCongo di  ritornare, disarmati, nei loro rispettivi Paesi. Sarebbe una via possibile per riportare la pace nell’est della RDCongo e nell’intera Regione dei Grandi Laghi.

A Kinshasa, Ban Ki-moon ha chiesto il rispetto e l’attuazione dell’accordo di Addis Abeba nella sua globalità e ha auspicato che tale accordo sia applicato sia all’interno che all’esterno della RDCongo.

Tuttavia, a Kigali, nelle brevi dichiarazioni rilasciate alla stampa, non ha mai accennato all’aspetto politico dell’accordo di Addis Abeba, né alla spinosa questione dell’appoggio ruandese all’M23. Ban Ki-moon sa bene che l’obiettivo del regime ruandese è quello di destabilizzare e infiltrare, mediante l’M23, le istituzioni dello Stato congolese, per arrivare al pieno controllo militare, politico ed economico dell’est del Paese, ricco in risorse minerarie. Ma Ban Ki-moon ha voluto evitare questi temi tabù e si è accontentato di parlare, per un’ennesima volta, solo del recente sviluppo economico del Ruanda e dei suoi progressi sulla parità uomo/donna. Il popolo congolese, invece, sa bene che l’attuale regime ruandese troverà sempre il modo di “violare legalmente” tale accordo, finché si sentirà appoggiato e protetto dalle multinazionali occidentali e da certe potenze internazionali, tra cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Canada. Per questo, il popolo congolese si aspettava che Ban Ki-moon annunciasse sanzioni precise, nel caso in cui Kigali non rispettasse gli accordi di Addis Abeba.

In occasione dell’ultima visita di Ban Ki-moon nella Regione dei Grandi Laghi, la Banca Mondiale ha stanziato un miliardo di dollari per progetti di sviluppo nella Regione. Potrebbe sembrare un’operazione del tutto normale, ma la popolazione non la pensa così, come espresso dallo stesso governatore del Nord Kivu: «Tutti sanno che i paesi della regione, e in particolare il Ruanda e l’Uganda, hanno dissanguato la RDCongo mediante il continuo saccheggio delle sue risorse naturali e minerarie. Non è quindi logico finanziare quei paesi che si sono arricchiti a scapito del popolo congolese, distruggendo tutte le infrastrutture socio-economiche locali e provocando la sua miseria. Per questo, il miliardo di dollari stanziato dalla Banca Mondiale dovrebbero essere investito principalmente nell’est della RDCongo, per la sua ripresa economica, al fine di ricuperare il ritardo che le ripetute guerre gli hanno imposto».

 

Passare dalla cacofonia a una sinfonia.

Probabilmente sono proprio queste ambiguità e contraddizioni di un linguaggio troppo diplomatico che bloccano il processo di pace nella RDCongo. Occorrerà quindi cambiare strategia e passare a un linguaggio più chiaro, più esplicito e più deciso. Occorrerà passare dall’attuale cacofonia a una sinfonia che sia in sintonia con la popolazione locale. Senza dubbio, la chiarezza e la trasparenza aiuterebbero il popolo congolese a riacquistare la fiducia nelle istituzioni internazionali.