Congo Attualità n. 176 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Undici Paesi africani hanno firmato, il 24 febbraio, un accordo globale per la pace nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Alla presenza dell’Unione Africana (UA) e sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), l’accordo è stato firmato da nove Paesi membri della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e da altri due membri della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC).
L’accordo di Addis Abeba: alcune prospettive.
I vari Paesi si sono impegnati a rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale dei Paesi vicini, a non fomentare, né appoggiare alcun gruppo armato e a evitare ogni forma di ingerenza militare e politica negli affari interni di altri Paesi. Al governo congolese è stato chiesto di procedere alla riforma dell’esercito e dei servizi di sicurezza, di consolidare l’autorità dello Stato nell’est del Paese, di promuovere la riforma strutturale delle istituzioni dello Stato, il processo di democratizzazione, il decentramento dell’amministrazione, la riconciliazione nazionale e lo sviluppo economico. Da parte sua, l’Onu si è impegnata a procedere ad una revisione strategica della sua Missione in RDCongo (Monusco) e a nominare un suo inviato speciale.
L’accordo del 24 febbraio non è certo la panacea per risolvere tutti i problemi della RDCongo, ma può essere un elemento importante per la soluzione della crisi nell’est del Paese.
Il vero problema sta nella reale applicazione dei principi enunciati.
Il popolo congolese ha accolto l’accordo di Addis Abeba con una certa sfiducia e diffidenza, perché
molti altri simili accordi erano già stati firmati nel passato, ma con scarsi risultati . Per esempio, il “Patto per la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella Regione dei Grandi Laghi” era stato firmato a Nairobi (Kenia), il 15 dicembre 2006. In esso erano già annunciati i principi ripresi dall’accordo di Addis Abeba. L’art. 4.2 del patto stipula, infatti, che “gli Stati membri (della CIRGL) si impegnano a fondare le loro relazioni sul rispetto dei principi di sovranità nazionale, di integrità territoriale, di non ingerenza degli affari interni degli altri Stati membri, di non aggressione, di cooperazione e di risoluzione pacifica dei conflitti”.
Tuttavia, nonostante tutte queste belle affermazioni contenute nel patto di Nairobi, il Ruanda e l’Uganda hanno continuato, come confermato dai vari rapporti dei gruppi degli esperti dell’Onu, a fomentare e ad appoggiare gruppi armati nell’est della RDCongo, tra cui il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) di Laurent Nkunda e il Movimento del 23 marzo (M23) di Bosco Ntaganda, Sultani Makenga e Jean Marie Runiga. Questi due Paesi sono tuttora implicati nello sfruttamento illegale delle risorse naturali dell’est della RDCongo, condizionano la riforma dell’esercito congolese mediante l’integrazione in esso di gruppi armati a loro servizio e interferiscono nella vita politica interna della RDCongo, introducendo personalità a loro affini nelle istituzioni dello Stato. In tal modo, lo Stato congolese ne esce indebolito e non governabile, pronto ad essere suddiviso in una molteplicità di piccoli Stati al servizio di forze oscure straniere.
In tale situazione, non si è ancora riusciti a risolvere i problemi dell’est della RDCongo in maniera definitiva. Le cause possono essere molte, tra cui: la mancanza di volontà, in alcuni Paesi firmatari, di essere fedeli agli impegni sottoscritti e la passività – incapacità dei meccanismi regionali di controllo nel verificare le diverse tappe di attuazione dei diversi programmi d’azione previsti (pace e sicurezza, democrazia e buon governo, sviluppo economico e integrazione regionale, questioni umanitarie, sociali e ambientali).
L’accordo di Addis Abeba: ciò che non dice.
– L’accordo di Addis Abeba rimane ancora molto ambiguo, nel senso che sembra non andare alla radice del problema. Il pretesto fondamentale della crisi dell’est della RDCongo è la presenza, sul suo territorio, di gruppi armati stranieri di origine ruandese (FDLR) e ugandese (LRA, ADF-Nalu). Questa presenza rivela che anche in Ruanda e in Uganda ci sono dei problemi non risolti, altrimenti questi gruppi armati non avrebbero alcun motivo per rifugiarsi nell’est della RDCongo. Per riportare la pace in questa zona, occorrerà quindi risolvere definitivamente la questione dei gruppi armati stranieri presenti nella RDCongo. Probabilmente, non sarà sufficiente un’operazione di tipo militare, per quanto forte sia il suo mandato. Occorrerà che l’Onu, l’UA, la CIRGL e l’UE agiscano in sinergia anche sui regimi ruandese e ugandese, affinché anch’essi intraprendano un cammino di democratizzazione e di riconciliazione nei loro rispettivi Paesi. La strada sarà quella di un dialogo inter ruandese e di un dialogo inter ugandese che possano permettere accordi tra i governi ruandese e ugandese con le loro rispettive ribellioni fuggite verso l’est della RDCongo, ciò che permetterebbe il loro ritorno in patria. L’est della RDCongo sarebbe quindi liberato dalla presenza di gruppi armati stranieri.
– Un’altra lacuna dell’accordo di Addis Abeba riguarda il commercio delle risorse naturali. Esso si limita a proporre di “rafforzare la cooperazione regionale, anche attraverso l’approfondimento dell’integrazione economica, con particolare attenzione alla questione dello sfruttamento delle risorse naturali” quando, invece, il patto di Nairobi definiva lo sfruttamento illegale delle risorse naturali come “violazione del diritto di sovranità permanente degli Stati sulle loro risorse naturali” e come “grave fonte di insicurezza, di instabilità, di tensioni e di conflitti”. Il principio di un’integrazione economica regionale è molto ambiguo, perché può essere compreso nel senso che una determinata materia prima, indipendentemente dal luogo in cui si trova, è di tutti e può essere condivisa da tutti. È ciò che è successo finora, e che sta succedendo tuttora, quando qualsiasi gruppo armato, nazionale o straniero, fa ricorso alle armi per detenere il controllo di una determinata zona ricca di risorse naturali (minerarie, petrolifere, forestali e agricole), in vista di trarne un profitto individuale o di gruppo. In ogni modo, è da sperare che il Comitato Regionale di Controllo abbia la possibilità di rettificare questa impostazione a favore di una “cooperazione economica” a livello regionale che, mediante una legislazione adeguata e dei meccanismi appropriati, rispetti il diritto alla sovranità permanente di ogni Stato sulle risorse naturali del suo suolo e sottosuolo, assicuri la trasparenza dei contratti, l’equità dei prezzi, la responsabilità dei mercati e la tracciabilità dei prodotti attraverso il sistema della certificazione di origine dei prodotti stessi.
L’accordo di Addis Abeba: un possibile nuovo punto di partenza?.
– A differenza del Patto di Nairobi, firmato dai soli Paesi membri della CIRGL, l’Accordo di Addis Abeba è stato sottoscritto anche dal Segretario Generale dell’Onu e dai Presidenti della Commissione dell’UA, della SADC e della CIRGL. L’implicazione dell’intera comunità internazionale può essere un ulteriore elemento di garanzia per la sua attuazione, anche se non assicura un risultato finale positivo.
– Anche se, in un linguaggio diplomatico e ufficiale, il testo non cita espressamente i nomi del Ruanda e dell’Uganda come Paesi aggressori o, almeno, destabilizzatori della RDCongo e dell’intera Regione dei Grandi Laghi, tuttavia si può ben capire che è a loro che fa riferimento quando, ai Paesi della Regione, chiede di non interferire negli affari interni dei paesi vicini, di non fornire assistenza o appoggio a gruppi armati e di rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale di ogni paese.
– Attraverso l’appello sul rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale di ogni Paese, l’accordo sembra scongiurare, almeno per il momento, il pericolo dello smembramento della RDCongo.
– Anche se, a una prima lettura, l’accordo sembra mettere la RDCongo sotto tutela dell’Onu, in quanto sembra che sia essa a dire alla RDCongo ciò che deve fare, tuttavia si può ammettere che la maggior parte dei principi enunciati corrispondono a molte aspettative, certamente non tutte, del Popolo congolese.
– Il principio di una revisione strategica della Monusco sembra indicare che l’Onu abbia forse capito che la situazione dell’est della RDCongo è molto più complessa di quanto abbia pensato finora e che richiede un rafforzamento del mandato della Monusco. Forse l’Onu si è accorta che è insufficiente un mandato di osservazione, di mantenimento o di stabilizzazione della pace (che non c’è mai stata) e che occorre, invece, passare a un mandato più robusto di imposizione della pace (ancora da costruire). Questo dato apre il cammino all’invio di una forza internazionale capace di attaccare e disarmare i vari gruppi armati, nazionali e stranieri, attivi nell’est del Paese, incluso il Movimento del 23 marzo (M23), le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), l’Esercito di Resistenza del Signore (LRA).
L’accordo di Addis Abeba potrebbe fare la differenza.
Nonostante le carenze rilevate, l’accordo di Addis Abeba può fare la differenza nei confronti degli accordi precedenti e potrebbe apportare qualcosa di nuovo. Spetta ora al Comitato Nazionale di controllo di fare proposte concrete, al fine di migliorare i contenuti dell’accordo e di facilitarne l’applicazione.