È nella giustizia che si costruisce la pace

Congo Attualità n. 179 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

È nella giustizia che si costruisce la pace

Nelle ultime settimane, nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), gli avvenimenti si sono susseguiti in una maniera sorprendentemente rapida: la scissione del gruppo armato denominato Movimento del 23 marzo (M23) in due fazioni, quella di Bosco Ntaganda e quella di Sultani Makenga, i combattimenti che ne sono seguiti, la sconfitta militare dell’ala di Bosco Ntaganda, la fuga di quest’ultimo in Ruanda, il suo “misterioso” arrivo all’ambasciata americana di Kigali e, infine, il suo trasferimento alla Corte Penale Internazionale (CPI) che già aveva emesso contro di lui due mandati di arresto per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità.

Un passo avanti sulla via della giustizia, ma non della pace.

 

Se il trasferimento di Bosco Ntaganda alla CPI rappresenta un grande passo avanti sulla via della giustizia e nella lotta contro l’impunità, probabilmente non lo sarà sul piano del processo di pace, in quanto non risolve il problema di fondo che sta alla base delle continue “ribellioni” che agitano le due province del Nord e Sud Kivu ormai da due decenni: l’ingerenza esterna del Ruanda e dell’Uganda, non solo sui due Kivu, ma anche sulle istituzioni nazionali. Il progetto di questi due Paesi limitrofi è quello di un’occupazione militare e demografica delle due province dell’est, in vista di un controllo politico e, soprattutto, economico su di esse, ricche in risorse minerarie, forestali, petrolifere e agricole.

Bosco Ntaganda aveva ricevuto un forte appoggio da parte del Ruanda, tanto da sconfiggere l’esercito congolese e costringere il governo ad accettare dei negoziati. Forte della sua vittoria militare, non ha esitato ad alzare il livello delle sue rivendicazioni, fino a mettere in discussione l’intero regime del Presidente Joseph Kabila, chiedendone le dimissioni. Una tale proposta non era certo accettabile né da parte del governo congolese, né da parte del Ruanda, suo alleato, né da parte della Comunità internazionale. A questo punto, Bosco Ntaganda era diventato un ostacolo per il “buon proseguimento dei colloqui di pace” tra il governo congolese e l’M23 a Kampala. Era, così, giunto il momento per toglierlo dalla scena e sostituirlo. Ma come? Verso la fine di febbraio, viene operata una scissione all’interno dell’M23: la prima fazione è guidata da Jean Marie Runiga, un fedelissimo di Ntaganda e presidente del movimento; la seconda è guidata dal capo militare del movimento, Sultani Makenga. Dopo alcuni combattimenti tra le due fazioni, Bosco Ntaganda è sconfitto e costretto a fuggire in Ruanda, da dove è stato trasferito alla CPI.

 

Rompere il ciclo vizioso della reintegrazione.

 

Il suo “rivale”, Sultani Makenga è ormai l’interlocutore ufficiale del governo congolese per la continuazione dei colloqui di Kampala, benché sia oggetto di sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (congelamento dei beni e interdizione di viaggi per l’estero).

La nuova situazione non stupisce più di tanto. Già all’inizio di marzo si era cominciato a parlare di un progetto di accordo tra il governo congolese e l’ala di Sultani Makenga.

“Secondo vari osservatori, il nuovo accordo che il governo congolese potrebbe firmare con Sultani Makenga, integrando nuovamente le truppe dell’M23 nell’esercito nazionale, contiene elementi che possono compromettere la pace nell’est del Paese. Qualsiasi osservatore della situazione dell’est della RDCongo sa che è proprio l’integrazione delle diverse generazioni di ribelli nell’esercito nazionale che è la causa fondamentale delle sue debolezze e delle sue sconfitte”.[1]

“Ciò il governo congolese dovrebbe evitare a tutti i costi sarebbe il riciclaggio dell’ala Sultani Makenga rispetto a quella di Bosco Ntaganda. Sarebbe folle pensare che ci sono dei ribelli buoni e dei ribelli cattivi. Sono tutti uguali. Tutti sono al servizio degli stessi sponsor e delle stesse potenze straniere. Tutti hanno lo stesso obiettivo: quello di mantenere l’ingovernabilità dell’est del Paese mediante l’insicurezza generalizzata. Ciò consentirà a una moltitudine di operatori clandestini di sfruttare illegalmente l’ingente ricchezza mineraria del Kivu. Bosco Ntaganda e Sultani Makenga combattono la stessa battaglia. Con la sconfitta del gruppo Ntaganda – Runiga è l’ala vincitrice di Sultani Makenga che ora avrà il compito di continuare la realizzazione di questo progetto. L’attuale M23 di Sultani Makenga non ha altro compito che quello di salvaguardare gli interessi delle multinazionali e delle potenze occidentali nel Nord Kivu attraverso la mediazione dei regimi del Ruanda e dell’Uganda. Sono i grandi boss internazionali che si servono delle marionette africane, come Paul Kagame e Yoweri Museveni, per fare e disfare i piccoli reucci da collocare a capo delle cosiddette ribellioni dell’est della RDCongo”.[2]

 

È nella giustizia che si costruisce la pace.

 

Ciò che il governo congolese dovrebbe, invece, fare sarebbe semplicemente applicare ciò che la legge prevede per i casi d’infrazioni di ordine militare, come la diserzione, l’ammutinamento, l’indisciplina, la malversazione degli stipendi delle truppe, la violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione civile. In questo senso, tutti quegli ufficiali dell’esercito citati nei diversi rapporti dell’Onu e tutti quei militari sospettati di aver commesso delle violazioni dei diritti umani dovrebbero essere esclusi dall’esercito ed essere oggetto di procedure giudiziarie. Per fare questo, è necessario cercare e trovare le persone che abbiano la volontà politica di farlo. È nella giustizia che si costruisce la pace.

 

 


[1] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 11.03.’13

[2] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 21.03.’13 et Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 21.03.’13