INDICE
EDITORIALE: Il dialogo come via concreta e pacifica verso l’uscita dalla crisi
1. VERSO UN DIALOGO INTER CONGOLESE A LIVELLO NAZIONALE?
2. IL MEMORANDUM DEI VESCOVI CONGOLESI INVIATO AL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA
3. IL PIANO DI VITAL KAMERHE PER IL DIALOGO NAZIONALE
EDITORIALE: Il dialogo come via concreta e pacifica verso l’uscita dalla crisi
1. VERSO UN DIALOGO INTER CONGOLESE A LIVELLO NAZIONALE?
Il 30 gennaio, la piattaforma dell’opposizione denominata Forze Acquisite al Cambiamento (FAC) ha reclamato l’organizzazione, entro il 16 febbraio, del dialogo nazionale annunciato dal Capo dello Stato nel suo messaggio di fine anno alla nazione. Il moderatore delle FAC, Lisanga Bonganga, ha annunciato un’iniziativa denominata Movimento del 16 febbraio con l’obiettivo di fare pressione sul presidente Joseph Kabila, affinché organizzi rapidamente questo dialogo. Egli aveva, infatti, promesso l’organizzazione, a partire dall’inizio del 2013, di un quadro di concertazioni tra tutte le forze della nazione. L’obiettivo di tale iniziativa sarebbe di rafforzare la coesione nazionale che, secondo il Capo dello Stato, dovrebbe contribuire a porre fine alla guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Lisanga Bonganga ha lamentato il fatto di non essere ancora al corrente di una preparazione di questo dialogo. Per questo ha «chiesto alla diaspora, all’opposizione politica e alle forze vive della nazione di mobilitarsi, affinché il dialogo nazionale si tenga entro il 16 febbraio».
Da parte sua, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha accolto con favore il fatto che le FAC siano interessate a partecipare al dialogo nazionale, ma ha messo in guardia i leader di questa piattaforma contro ogni loro volontà di volere appropriarsi dell’iniziativa del Presidente della Repubblica.
Ai primi di gennaio, le FAC avevano, tuttavia, negato al Capo dello Stato il diritto di organizzare un dialogo nazionale e avevano chiesto il coinvolgimento della comunità internazionale. «Joseph Kabila non può organizzare un dialogo nazionale intorno a sé, perché non può essere parte del problema e, contemporaneamente, soluzione a questo problema», aveva dichiarato Lisanga Bonganga, qualificando il dialogo proposto dal Capo dello Stato come «riunioni informali intese a volte come consultazioni, altre volte come scambi di idee, con contenuti e obiettivi sfocati e le cui raccomandazioni non sarebbero vincolanti per nessuno».
Il Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), un altro partito dell’opposizione congolese, ha condizionato la sua partecipazione al dialogo nazionale alla previa pubblicazione di un programma preciso. Il segretario generale del partito, Thomas Luhaka, ha dichiarato che «si vorrebbe sapere in anticipo di che cosa si parlerà. Certamente si dovranno affrontare tutti i problemi politici del Paese: il rafforzamento della democrazia, lo Stato di diritto, il buon governo, la formazione di un esercito professionale e repubblicano».[1]
Il 7 febbraio, il Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD) ha iniziato delle consultazioni con dei partiti politici dell’opposizione, in vista dell’organizzazione del dialogo nazionale. Tali consultazioni sono state condotte dal Segretario Generale del partito, al potere, Evariste Boshab. Nel primo giorno di consultazioni, il Segretario Generale del PPRD ha ricevuto Z’ahidi Arthur Ngoma, presidente delle Forze del Futuro, Thomas Luhaka, segretario generale del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), e Jean-Claude Mvuemba, del Movimento del Popolo Congolese per la Repubblica (MPCR). Evariste Boshab ha promesso di continuare le consultazioni con altre forze dell’opposizione. Egli ha affermato che «non ci sarà nessuna esclusione. Cercheremo di incontrare più partner possibili. Il Capo dello Stato aveva parlato di un incontro e di un’iniziativa nazionale, affinché i Congolesi si parlino sotto la sua direzione» e ha sottolineato che «è normale che ci siano delle consultazioni regolari tra i partner politici».[2]
Il 10 febbraio, in qualità di Segretario Generale della Maggioranza Presidenziale (MP), anche Aubin Minaku, presidente della Camera, ha avviato contatti con altri responsabili politici, della maggioranza e dell’opposizione.
Da parte sua, riferendosi a Evariste Boshab e a Aubin Minaku, Vital Kamerhe, presidente dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC), ha messo in discussione la loro legittimità nell’iniziare queste consultazioni. Ha però affermato che l’UNC è d’accordo sul principio di tenere un dialogo che, a suo giudizio, aiuterà a risolvere tutti i problemi della RDCongo. «Il paese ha problemi molto seri. Nell’est del Paese c’è la guerra e a livello nazionale, c’è una leadership debole, c’è un problema di legittimità», ha affermato il presidente dell’UNC.[3]
Il 12 febbraio, il partito arancione, una formazione politica dell’opposizione ha invitato il presidente Joseph Kabila ad istituire un comitato per preparare il dialogo nazionale. Secondo il presidente del partito, Fiyou Ndondoboni, l’iniziativa di consultazioni previe al dialogo nazionale adottata dal Segretario Generale del PPRD, Evariste Boshab, dimostra la leggerezza con cui si trattano i problemi dello Stato. Fiyou Ndondoboni ha affermato che «spetta al Capo dello Stato, che ha annunciato questo forum nazionale, creare una struttura o incaricare le istituzioni idonee, per avviare i lavori preparatori del dialogo nazionale». Secondo lui, il segretario generale del partito presidenziale non è la persona giusta per avviare consultazioni con altri partiti.
Da parte sua, il portavoce del governo, Lambert Mende, ha detto che le consultazioni avviate dal PPRD e dalla Maggioranza Presidenziale sono state iniziative “libere e informali”. Egli ritiene che i partito e le associazioni sono liberi di riunirsi per ricercare la coesione nazionale. Ma, secondo lui, il solo iniziatore di questo dialogo è il presidente Joseph Kabila che gli darà la forma definitiva. L’obiettivo del dialogo nazionale che il Capo dello Stato propone è di creare coesione nazionale per far fronte all’insicurezza nell’est del Paese.[4]
Il 12 febbraio, il Segretario generale dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), Bruno Mavungu, ha dichiarato che il suo partito non parteciperà al dialogo nazionale proposto dal Capo dello Stato Joseph Kabila, in quanto non riconosce all’attuale presidente la legittimità di convocare tale dialogo. «L’UDPS non parteciperà mai a un dialogo o negoziato al fine di condividere il potere, perché il popolo sovrano ha già fatto la sua scelta il 28 novembre 2011», ha affermato.[5]
Il Movimento per la Liberazione del Congo (MLC) chiede che il dialogo politico auspicato dal Capo dello Stato sia organizzato intorno a un mediatore internazionale neutrale e in un altro paese estero. Il segretario nazionale del partito, Jean-Lucien Busa, ha qualificato di “ gesticolazioni politiche improduttive” le consultazioni avviate dal partito di governo (PPRD) e dalla Maggioranza Presidenziale (MP) in preparazione del dialogo. Secondo Jean-Lucien Busa, il Capo dello Stato e la sua famiglia politica sono parte del problema e non possono, quindi, essere organizzatori del dialogo.
Reagendo alla richiesta dell’MLC, un responsabile della maggioranza presidenziale, Jean-Marie Labila, afferma che non si può negare al Capo dello Stato la qualità di convocare il dialogo in questione. Secondo lui, è finito il tempo dei conciliaboli in vista di condividere il potere, come è accaduto a Sun City con la mediazione della comunità internazionale. Jean-Marie Labila ricorda che secondo l’articolo 69 della Costituzione, il Presidente della Repubblica ha la facoltà di “impegnare il popolo in un’iniziativa che ritenga utile per il Paese”.[6]
Il 18 febbraio, in una dichiarazione politica, il Movimento Sociale per il Rinnovamento (MSR), un partito della maggioranza presidenziale, suggerisce che la direzione del dialogo nazionale sia affidata ai Presidenti dell’Assemblea Nazionale e del Senato. MSR propone, inoltre, che tali consultazioni nazionali si svolgano a Kinshasa, capitale della RDCongo. L’obiettivo delle consultazioni previste dal Capo dello Stato è quello di creare una coesione nazionale contro la guerra nella parte orientale del Paese. Per questo, il relatore del comitato politico e portavoce dell’MSR, Laurent Simon Ikenge, ha chiesto ai politici, sia della maggioranza che dell’opposizione, e a tutte le forze vive della Nazione “una vera sinergia di sforzi in un quadro strettamente istituzionale”.[7]
Il 19 febbraio, il segretario esecutivo della Rete Nazionale delle ONG per i diritti umani nella RDCongo (RENADHOC) si è detto favorevole a un dialogo nazionale organizzato da “una personalità neutrale che incoraggi la partecipazione di tutte le sensibilità politiche congolesi” . Fernandez Murhola spera che questo dialogo sia organizzato sotto la direzione del presidente congolese Denis Sassous Nguessou e a Brazzaville. Secondo lui, «Denis Sassou Nguessou sarà un buon facilitatore, perché conosce bene i politici congolesi e riuscirà a riunirli tutti intorno a lui. Non servirebbe a nulla un dialogo nazionale se non ci fossero anche Tshisekedi, Kamerhe e Monsengwo». Inoltre, il RENADHOC auspica che il dialogo nazionale si concentri «su tutti gli aspetti della vita nazionale, inclusa la valutazione della governance complessiva del paese» e preconizza, alla fine del dialogo, la formazione di un nuovo governo composto dai “migliori Congolesi”.[8]
La proposta dell’Unione delle Forze per il Cambiamento (UFC), il partito del presidente del Senato, Kengo Wa Dondo, fissa il numero dei partecipanti a 218, rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione (alla pari), più i rappresentanti di tutte le regioni, dei gruppi armati, della società civile e della diaspora. L’ordine del giorno include tutti i problemi: la legittimità delle istituzioni, il sistema elettorale, la riforma dell’esercito, la magistratura. «Non si tratta solo della crisi nell’est del Paese», ha detto il senatore Michel Bongongo, secondo cui il male è più profondo: «La RDCongo è un grande malato che occorre assolutamente operare e abbiamo bisogno di chirurghi molto esperti per operarlo». Come gli altri partiti dell’opposizione, anche l’UFC propone che il dialogo si svolga in Congo Brazzaville con la mediazione del presidente Denis Sassou Nguesso. «Abbiamo problemi di sfiducia e di sospetto tra di noi», afferma Michel Bongongo, aggiungendo che «il Presidente Sassou Nguesso conosce il nostro paese e i suoi dirigenti. Ci può aiutare molto a ripristinare la fiducia».
Il portavoce del governo, Lambert Mende, risponde a Kengo wa Dondo: «Si tratta di un’iniziativa del presidente e che riguarda la guerra nell’est del Paese e nient’altro. Circa le questioni sollevate dal Presidente del Senato, vi è già un quadro istituzionale che esiste … Abbiamo un problema di aggressione straniera e abbiamo chiesto la collaborazione della comunità internazionale per risolverlo. Per quanto riguarda la coesione nazionale, si tratta di un problema interno e lo risolveremo senza ricorrere a una mediazione straniera».[9]
Il 1° marzo, Joseph Kabila ha, infine, rivelato la sua concezione sul “dialogo nazionale”. L’ha fatto nel corso di una riunione del comitato politico della maggioranza presidenziale che si è tenuta nella sua residenza di Kingakati, alla periferia di Kinshasa. Secondo quanto riportato dai partecipanti alla riunione di Kingakati, la formula proposta da Kabila non sarebbe un dialogo vero e proprio, ma una semplice consultazione. Questa prospettiva escluderebbe la presenza di un mediatore internazionale e metterebbe al centro lo stesso Kabila, assistito dal presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, per ricevere i mémorandum delle diverse parti. Terminata tale tappa, il presidente Kabila risponderebbe alle osservazioni e alle richieste pervenute, nell’ambito del Congresso, Senato e Assemblea Nazionale riuniti, o mediante altre vie. Così sarebbe il dialogo “Made in Kabila”. Unilateralismo, nient’altro che unilateralismo. L’unilateralismo di un Kabila che rifiuta di considerarsi parte della crisi, per presentarsi come giudice davanti a cui gli altri dovranno presentare le loro richieste, che egli potrà prendere in considerazione a sua discrezione o, meglio, secondo i suoi capricci. Inoltre, le risposte che usciranno dalla bocca di Kabila non saranno altra cosa che decisioni arbitrarie e ordini imperativi. Se tale è la volontà di Kabila, non potrà contare con le forze più rappresentative dell’opposizione, tra cui l’Unione per la Nazione Congolese (UNC), il Movimento per la Liberazione del Congo (MLC) e le Forze Acquisite al Cambiamento (FAC). La maggior parte di loro hanno già espresso il loro disaccordo. Stanno solo aspettando che Kabila formalizzi il suo approccio per rendere pubblica la loro posizione.[10]
2. IL MEMORANDUM DEI VESCOVI CONGOLESI INVIATO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
I Vescovi membri del Comitato permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO), riuniti in sessione ordinaria a Kinshasa dal 18 al 22 febbraio 2013, hanno approfittato di questa occasione per inviare al Presidente della Repubblica un memorandum sullo stato attuale della Nazione. I Vescovi affermano di voler dare il contributo della chiesa cattolica in vista della realizzazione dell’iniziativa annunciata dal presidente, nel suo discorso del 15 dicembre 2012, per rafforzare la coesione nazionale. Secondo i vescovi, l’idea di un dialogo è emersa ed è stata accolta da molti come un modo per uscire dalla crisi del Paese conseguente alla pubblicazione dei risultati elettorali del mese di novembre 2011. Questa crisi si è aggravata con la ripresa della violenza nella parte orientale del paese. Secondo i vescovi, il dialogo è una strada reale e pacifica di uscita dalla crisi e un elemento costitutivo di ogni sistema democratico.
I. I SEGNI DELLA CRISI.
a. A livello politico.
– Nonostante gli sforzi fatti dal governo della Repubblica per la democratizzazione del paese, tuttavia si osserva un disagio legato alla mancanza di consenso nazionale in seguito alle elezioni del novembre 2011, a causa delle irregolarità segnalate, della contestazione dei risultati e del modo sbrigativo con cui la giustizia ha risolto i contenziosi elettorali. Fino ad oggi, il processo elettorale rimane incompleto. Le elezioni locali, che dovrebbero contribuire a costruire la democrazia dal basso e a ravvicinare la popolazione ai suoi governanti, rimangono di nuovo ipotecate. Il decentramento previsto dalla Costituzione tarda a materializzarsi.
– Molti partiti politici, approvati con troppa facilità, non hanno alcun progetto affidabile di società, perché ciò che sembra loro interessare è la conquista del potere per il potere.
– Alcune organizzazioni della società civile, invece di compiere la loro missione di difesa degli interessi del popolo, si lasciano ricuperare da dei partiti politici per proprie ambizioni politiche e vantaggi materiali.
b. A livello socioeconomico.
– Si nota un vero sforzo per controllare l’inflazione e stabilizzare il quadro macroeconomico. Ma manca la creazione di industrie di trasformazione delle materie prime e gli investimenti carenti nel settore agricolo non sono ancora all’altezza dei bisogni del paese. Di conseguenza, il grado di povertà della popolazione ha raggiunto proporzioni allarmanti. Nel frattempo, si continua ad assistere a un’economia predatoria e rivolta verso l’esterno.
– Mancano una politica nazionale in materia di gestione delle risorse naturali in vista del benessere del popolo congolese e dello sviluppo del paese e la conoscenza del valore preciso di queste risorse. Si ha l’impressione che il paese navighi a vista, senza punti di riferimento per una gestione sostenibile delle sue risorse. Ciò lo espone a ogni forma di pressione da parte delle multinazionali e di alcune potenze avide di ottenere accesso alle risorse minerarie, petrolifere e forestali e di impossessarsene.
– Nello stesso tempo, l’attuazione del piano di sviluppo delle infrastrutture stenta a concretizzarsi. La popolazione ha la sensazione di essere stata abbandonata dallo Stato, in particolare nelle zone di confine in cui è grande la tentazione di cedere alle voci di sirene che promettono la liberazione.
– Le necessità di base, come il cibo, la sanità, la casa e l’istruzione non sono sufficientemente prese in considerazione dal programma di governo.
– La retrocessione delle tasse e la perequazione che dovrebbero garantire lo sviluppo delle province e la solidarietà nazionale non sono ancora state attuate e ciò non fa che aumentare la frustrazione nelle province.
c. A livello della sicurezza.
– Da oltre dieci anni il governo sta lavorando per creare un esercito repubblicano. Si sono fatti notevoli progressi, ma si devono fare molti altri sforzi per ottenere i risultati desiderati. È con un esercito forte e dissuasivo che si possono neutralizzare i gruppi armati che seminano morte e desolazione, soprattutto nelle zone economicamente ricche di risorse naturali. La presenza di questi gruppi armati nelle aree ricche di risorse naturali è la principale fonte di insicurezza per la popolazione locale. I conflitti hanno, infatti, luogo nei pressi dei siti minerari.
– La giustizia, uno dei pilastri dello Stato di diritto, non rassicura la popolazione, a causa della mancanza di indipendenza dagli altri poteri dello Stato. Molti osservatori fanno notare che il sistema giudiziario congolese è caratterizzato dalla corruzione e dall’impunità. Mentre la Costituzione prevede lo scioglimento dell’attuale Corte Suprema di Giustizia a favore di tre nuove giurisdizioni (Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Consiglio di Stato), nessuna di esse è già installata.
II. LE PROPOSTE.
Nonostante questi segnali di crisi, un futuro migliore è sempre possibile e alla portata della RDCongo. Tale speranza, però, non diventerà realtà se non attraverso l’impegno sincero del popolo congolese. Tutte le forze della nazione invitate al dialogo devono apportare il loro contributo nella costruzione di un Congo veramente democratico. Per questo, devono impegnarsi onestamente a rispettare la sovranità nazionale, l’integrità territoriale e l’ordine costituzionale.
a. A livello politico.
– Tutti devono rispettare l’ordine costituzionale. È questa la garanzia della coesione sociale e dell’unità nazionale. La Cenco si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di modificare l’articolo 220 della Costituzione che afferma: «La forma repubblicana dello Stato, il principio del suffragio universale, la forma rappresentativa del governo, il numero e la durata dei mandati del Presidente della Repubblica, l’indipendenza della magistratura, il pluralismo politico e sindacale non possono essere oggetto di alcuna revisione costituzionale».
– La coesione nazionale deve basarsi sui valori repubblicani, tra cui il patriottismo, la giustizia, la pace e il lavoro che devono essere condivisi e difeso da tutti i Congolesi.
– Il processo di decentramento deve continuare. Tuttavia, deve essere studiato a fondo e ben pianificato, per non servire da pretesto per tendenze secessioniste e per la balcanizzazione del Paese.
– La revisione della legge sulla Commissione Elettorale (CENI) non offre sufficienti garanzie di indipendenza e di imparzialità. Essa contiene dei germi di conflitto inerenti al funzionamento del Comitato della CENI. È necessario depoliticizzare questa istanza per rendere credibili le future elezioni.
b. A livello socioeconomico.
– L’armonioso futuro del Paese richiede un’economia di sviluppo a favore del popolo. Ciò richiede che si investa in politiche di alimentazione, sanità, casa e istruzione.
– Per questo, è necessario promuovere un piano di industrializzazione dei settori minerario, forestale e petrolifero. Si creeranno così dei posti di lavoro, lo sviluppo delle infrastrutture e la crescita della produzione. Attraverso una buona gestione, il governo sarà in grado di garantire un giusto salario e una pensione dignitosa ai funzionari dello Stato, in particolare agli insegnanti, al personale medico, ai militari e agli agenti di polizia.
– La lotta contro la corruzione e l’evasione fiscale deve essere efficace, imparziale e senza compiacimenti. L’esempio deve venire dall’alto.
c. A livello della sicurezza.
– In vista della riforma delle Forze Armate, occorrerebbe evitare di cedere di fronte ai criminali della guerra, accettando la loro reintegrazione nell’esercito o privilegiando un gruppo rispetto ad altri.
– È urgente istituire le tre giurisdizioni giudiziarie previste dalla Costituzione, cioè la Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato.[11]
3. IL PIANO DI VITAL KAMERHE PER IL DIALOGO NAZIONALE
Vital Kamerhe, presidente dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC), un partito dell’opposizione, ha avviato delle consultazioni con altri partiti politici dell’opposizione e con alcune organizzazioni della società civile, al fine di disegnare un piano di dialogo a livello della Nazione. Ne consegue che:
a. La guerra nell’est della RDCongo è causata principalmente dalla mancanza di leadership ai vertici dello Stato, di coesione nazionale e di legittimità di chi è attualmente al potere, dal decadimento dello Stato, dall’assenza di un esercito repubblicano, dall’infiltrazione di personalità dubbiose nell’esercito nazionale, con la complicità, conscia o inconscia, delle autorità dello Stato, dalla mancanza di una vera riforma dell’esercito e dei servizi di sicurezza.
b. L’integrazione e la nomina di comandanti del CNDP a capo di tutte le unità militari hanno portato alla creazione, nell’est della RDCongo, di un comando parallelo in seno all’esercito e alla formazione di battaglioni e brigate mono etniche.
c. L’annuncio, senza prendere adeguate precauzioni, dell’arresto del generale Bosco Ntaganda e del suo trasferimento alla Corte Penale Internazionale, è un’altra causa della guerra nell’est del Paese. Tale guerra riceve un appoggio esterno, principalmente delle multinazionali che vogliono instaurare nella RDCongo una zona franca per il saccheggio dei minerali che abbondano in questa parte del paese.
d. Di fronte alla debolezza del sistema di difesa nazionale, l’opposizione politica e la società civile optano per una soluzione che passa attraverso il dialogo tra Congolesi, sul piano interno e il dialogo diplomatico, sul piano esterno.
L’opposizione politica e la società civile sostengono che l’obiettivo generale del dialogo resta la ricreazione della coesione nazionale, il disarmo dei gruppi armati e la fine della guerra.
Gli obiettivi specifici saranno quelli di creare le condizioni ideali per il proseguimento del processo elettorale ancora non terminato, attraverso l’indizione delle elezioni provinciali e senatoriali, comunali e urbane. Occorrerà promuovere il buon governo e rafforzare la legittimità delle istituzioni. Si dovrebbe ritornare all’ordine costituzionale originario del 18 febbraio 2006, che la popolazione in maniera massiccia e liberamente aveva scelto con il referendum del 2005.
I risultati attesi:
– L’uscita dal dialogo con istituzioni legittime rafforzate;
– L’impegno, da parte di tutte le parti interessate (l’opposizione politica, l’attuale potere, la società civile e i gruppi armati), di lavorare nel rispetto della Costituzione e delle altre leggi della Repubblica. L’impegno, da parte del Capo dello Stato, a non modificare la Costituzione, in vista di strappare un altro mandato presidenziale, il che costituirebbe una flagrante violazione della Costituzione. A questo impegno, si aggiunge anche il rispetto dell’equilibrio istituzionale per quanto riguarda la distribuzione dei poteri e la loro separazione.
e. Il dialogo dovrebbe essere posto sotto l’autorità di un mediatore neutrale, preferibilmente una personalità africana, assistito da co-mediatori nominati dalle Nazioni Unite, dall’Unione Africana, dalla CEEAC, dalla CIRGL e dalla SADC. Un Comitato di esperti sarà composto da professori universitari e da membri della società civile.
f. Il dialogo comprenderà due commissioni: Politica e Istituzioni, Difesa e Sicurezza. Il numero delle sotto-commissioni dipenderà dalle materie da trattare. La commissione Politica e Istituzioni sarà composta da varie sotto-commissioni, tra cui quella per il monitoraggio del processo elettorale, quella per i diritti dell’uomo, quella per il buon governo, quella per la riforma della giustizia, quella per la riforma della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici, ecc. La Commissione Difesa e Sicurezza sarà composta da varie sotto-commissioni, tra cui quella per la creazione di un esercito nazionale repubblicano, quella per tutte le questioni relative alla sicurezza (compresa la riforma dei servizi segreti) e all’amministrazione del territorio.
g. Il dialogo sarà preceduto dal lavoro di una commissione preparatoria incaricata di: elaborare il progetto di regolamento interno del dialogo, il progetti delle risoluzione e delle raccomandazioni e il progetto dell’accordo globale che sarà firmato da tutte le parti alla fine del dialogo.
h. L’opposizione politica e la società civile sono del parere che occorrerà evitare di fare del dialogo un altro Sun City o una Conferenza Nazionale Sovrana bis con dibattiti interminabili. Una settimana di lavori preparatori e due settimane di lavori propriamente detti potrebbero essere sufficienti. Per fare ciò, è necessario non personalizzare il dialogo e non trasformarlo in un forum di demonizzazione, di resa dei conti o di ricerca del potere.
i. L’opposizione politica e la società civile concordano sul seguente formato del dialogo:
– I partecipanti come componenti saranno: il governo, l’opposizione politica, la società civile, i gruppi armati che hanno firmato l’accordo del 23 marzo 2009.
– I partecipanti come entità saranno: gli altri gruppi armati del Katanga, della Provincia Orientale, del Nord Kivu, del Sud Kivu e del Maniema, non firmatari dell’accordo del 23 marzo 2009, gli Inyele, i Bundu Dia Kongo, gli ex-FAZ, gli ex-MLC e la diaspora congolese. Un totale di 250 partecipanti, una cifra ragionevole rispetto a Sun City e alla CNS.
j. I lavori si svolgeranno nell’Assemblea Plenaria, nelle commissioni e nelle sottocommissioni. L’Assemblea Plenaria sarà guidata dal mediatore principale, le commissioni e sottocommissioni dai co-mediatori assistiti dai membri delle componenti e delle entità.[12]
[1] Cf Radio Okapi, 31.01.’13: http://radiookapi.net/actualite/2013/01/31/rdc-les-forces-acquises-au-changement-veulent-dialogue-national-dici-le-16-fevrier/
[2] Cf Radio Okapi, 08.02.’13
[3] Cf Radio Okapi, 12.02.’13
[4] Cf Radio Okapi, 13.02.’13
[5] Cf Radio Okapi, 12.02.’13
[6] Cf Radio Okapi, 14.02.’13
[7] Radio Okapi, 19.02.’13
[8] Cf Radio Okapi, 19.02.’13
[9] Cf RFI, 22.02.’13
[10] Cf Paul Muland – Congo News – Kinshasa, 05.03.’13
[11] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 05.03.’13
http://www.lepotentielonline.com/5897-revision-constitutionnelle-la-cenco-dit-non