“I ruandesi protestano contro i proscioglimenti decisi dalla corte di appello del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir)”: è il titolo di apertura dell’edizione odierna del quotidiano ruandese ‘The New Times’, raccontando di “centinaia di cittadini scesi per le strade per esprimere la propria rabbia”. Ieri pomerriggio una marcia durata 40 minuti si è conclusa di fronte alla sede locale del Tpir a Remera, un quartiere periferico della capitale. La protesta è stata organizzata da ‘Ibuka’, un raggruppamento di organizzazioni di sopravvissuti al genocidio della primavera del 1994.
Pochi giorni fa in appello il Tpir, con sede ad Arusha (Tanzania), ha prosciolto l’allora ministro del Commercio, Justin Mugenzi, e quello della Funzione pubblica, Prosper Mugiraneza, accusati di coinvolgimento nel genocidio di 18 anni fa. Nel settembre 2011 in primo grado i due erano stati condannati a 30 anni di detenzione in quanto responsabili di “incitamento diretto e pubblico al genocidio”. Tra i manifestanti c’erano anche molti giovani e studenti che hanno accusato la corte delle Nazioni Unite di “mancata giustizia” nei confronti delle vittime del genocidio, un numero stimato in 500.000 morti tra tutsi e hutu moderati. “La comunità internazionale ha fallito nella sua risposta per impedire che i tutsi venissero uccisi e ora sta fallendo nel dare giustizia ai sopravissuti” si leggeva sui cartelli esibiti dal corteo di malcontenti.
Operativo dal 1994, il Tpir ha un costo di funzionamento biennale stimato in circa 250 milioni di dollari. Dalla sua creazione ha portato a termine 72 casi, di cui dieci procedimenti si sono conclusi con il proscioglimento degli imputati; 17 processi sono tutt’ora in corso mentre il tribunale dovrebbe chiudere le sue porte entro la fine del 2014.
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