Congo Attualità n. 168 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
L’M23 indietreggia pronto a un nuovo balzo.
Il 20 novembre, la città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), è stata assediata e occupata dal Movimento del 23 Marzo (M23), un gruppo terrorista appoggiato e armato dal Ruanda e dall’Uganda, due Paesi limitrofi.
Il comando militare e la direzione politica di questo gruppo è nelle mani di personalità che, per origine, cultura, lingua, appartenenza etnica o per qualsiasi altro motivo, sono in stretto rapporto con l’attuale regime ruandese.
Sotto la pressione internazionale, il 30 novembre, l’M23 ha iniziato a ritirarsi dalla città, per stabilirsi a una trentina di chilometri più a nord. Tuttavia, non è tuttora possibile permettersi un respiro di sollievo, dal momento che se ne stanno andando con decine di camion stracarichi di armi, munizioni e vettovagliamento (medicine e cibo). Si stanno ritirando con la promessa, da parte del governo congolese, di prendere in considerazione le loro rivendicazioni. La minaccia su Goma rimane, quindi, intatta. Tanto più che si stanno ritirando con la promessa, da parte del governo congolese, di prendere in considerazione le loro rivendicazioni. Questo è il problema.
Un dialogo impari.
Non sarà affatto facile dialogare o negoziare con loro, dal momento che, per l’appoggio ricevuto dall’esterno, possiedono una forza militare “apparentemente superiore” a quella dell’esercito congolese.
Il gruppo accusa il governo congolese di non avere mantenuto gli impegni assunti negli accordi del 23 Marzo 2009 stipulati con un gruppo armato precedente, il Congresso Nazionale per le Difesa del Popolo (CNDP), di cui sono una variante.
Tra le loro richieste, esigono che i loro militari prestino servizio solo all’interno del Kivu, per poter proteggere le “loro” famiglie dalla minaccia di altri gruppi armati. In realtà, si tratta di un pretesto per potere continuare le loro attività di contrabbando dei minerali del Kivu. Molti di loro sono citati, a questo proposito, nei vari rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu per la RDCongo.
Basandosi su una legge sull’amnistia promulgata in seguito agli accordi del 23 marzo 2009, chiedono la sospensione dell’arresto di uno di loro, Bosco Ntaganda, oggetto di due mandati di cattura emessi dalla Corte Penale Internazionale (CPI). Ma la legge sull’amnistia riguarda solo i fatti di guerra, escludendo i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, reati imprescrittibili secondo il diritto internazionale. In realtà, attraverso la difesa di Bosco Ntaganda, cercano solo la garanzia di una propria impunità.
Si dicono discriminati all’interno dell’esercito congolese e rivendicano i gradi militari “acquisiti” durante la ribellione. In realtà, sono loro che, prima di disertare dall’esercito, già occupavano i più alti posti di comando, soprattutto a livello centrale e nelle due province del Kivu. I veri discriminati sono i militari di origine congolese.
Per fare ingoiare la pillola amara, la addolciscono con molto zucchero. Affermano di avere preso le armi per difendere i diritti umani, la democrazia, la verità delle urne, la pace. E intanto stuprano, saccheggiano, reclutano bambini soldato, impongono tasse, costringono centinaia di migliaia di persone a fuggire.
Interessi nascosti.
Dietro alle loro richieste più o meno manifeste, certamente meno legittime di quello che vogliono far credere, se ne celano altre, ancor più discutibili.
Secondo alcuni osservatori, forte del successo militare dopo la caduta di Goma, l’M23 potrebbe rivendicare dei posti politico-militari, tra cui il ministero della difesa, lo Stato Maggiore Generale delle FARDC, i Governatorati del Nord e Sud Kivu, la convalidazione dei loro deputati eletti nel Masisi anche se, in questa circoscrizione elettorale, le elezioni erano state annullate a causa di numerose violenze e di gravi irregolarità procedurali.
Potrebbero rivendicare la creazione, nel Nord Kivu, di una nuova provincia che comprenderebbe i territori di Nyiragongo, Masisi, Rutshuru e Walikale e che sarebbe esclusivamente riservata a popolazioni ruandofone, Tutsi e Hutu congolesi e ruandesi. La sovranità nazionale e l’integrità territoriale della RDCongo è gravemente minacciata.
Nulla a porte chiuse.
Secondo diversi membri della società civile congolese, di fronte alla minaccia dell’M23, è necessario costruire una coesione nazionale e compatta tra tutte le forze significative del paese: la maggioranza, opposizione e società civile. In modo particolare, alla classe politica è chiesto più nazionalismo, più patriottismo e più corresponsabilità. È assolutamente necessario che maggioranza e opposizione possano superare le loro diatribe di potere a favore dell’interesse superiore dell’unità della nazione.
Il presidente Kabila ha promesso un “dialogo” con l’M23 che dovrebbe avere luogo immediatamente dopo il suo ritiro dalla città di Goma. Bisognerà evitare gli errori del passato.
La sovranità nazionale e l’integrità territoriale del Paese sono questioni nazionali, per cui tutte le componenti della vita pubblica dovranno parteciparvi: Governo, Parlamento (maggioranza e opposizione) e Società Civile. Oggetto del dialogo dovrebbe essere esclusivamente la valutazione dell’attuazione degli accordi del 23 marzo 2009, come richiesto dall’M23 stesso all’inizio della sua sommossa, all’inizio del mese di maggio. Le conclusioni del dialogo dovrebbero essere presentate in Parlamento riunito in Congresso (le due Camere riunite), per discussione e approvazione. Solo allora, il governo potrebbe procedere alla loro promulgazione.
Tutto dovrà svolgersi alla luce del sole, con la presenza dei mezzi di comunicazione. La logica di trattative a porte chiuse non è né democratica, né rispettosa del popolo sovrano che ha il diritto inalienabile di essere costantemente informato sull’evoluzione del dialogo e delle successive procedure.
L’M23 non può permettersi di strappare con la forza delle armi ciò che solo appartiene al popolo.
L’M23 deve avere l’onestà, se ancora potesse permettersela, di confrontarsi con la volontà popolare e sottomettersi ad essa. Così funziona la democrazia!
Non c’è bisogno che i piromani si trasformino in pompieri.
Il Ruanda e l’Uganda che, per evitare eventuali sanzioni, hanno sistematicamente smentito le accuse, ben documentate, contenute nel rapporto del gruppo degli esperti dell’Onu sul loro appoggio all’M23, sono riusciti a far passare l’idea che l’esistenza di questo gruppo è un problema interno congolese, anche se ciò non corrisponde alla verità, cessino quindi immediatamente, senza condizioni e definitivamente la loro ingerenza negli affari politici, militari ed economici della RDCongo. Se, secondo loro, l’M23 è un problema interno congolese, lascino che i Congolesi lo risolvano da soli. Ne dipende il buon svolgimento del dialogo che sta per iniziare e la vita intera del popolo congolese. Se, al contrario, insistono a volere essere parte della soluzione del problema, ciò significa che sono parte del problema stesso. Occorre mettere fine alla dinamica dei piromani che pretendono presentarsi come pompieri. Il popolo congolese ha da tempo aperto gli occhi e se si continua in questa ingerenza violenta non sanzionata, esso potrebbe in giorno scoppiare in risposte a sua volta violente. A chi allora la responsabilità? Vi rifletta anche la Comunità internazionale.