Congo Attualità n. 170

INDICE:

 

EDITORIALE: La risoluzione UE: un passo avanti e poi s’incespica

 

1. LE NOTIZIE DAL KIVU

2. IL MESSAGGIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE

3. ALCUNE PROPOSTE DELLA SOCIETÀ CIVILE

4. ALLA VIGILIA DELL’INCONTRO DI KAMPALA

5. GLI INCONTRI TRA GOVERNO E M23 A KAMPALA

a. La cronaca

b. Valutazioni

6. RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULLA RDCONGO

 

 

EDITORIALE: La risoluzione UE: un passo avanti e poi s’incespica

 

1. LE NOTIZIE DAL KIVU

L’8 dicembre, a conclusione di un vertice straordinario in Tanzania, i Paesi della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC) hanno affermato di essere pronti a inviare la loro forza di appoggio nella RDCongo, per contribuire alla creazione di una nuova forza internazionale di pace nel paese. Il vertice della SADC ha “esortato le Nazioni Unite a cambiare il mandato della loro Missione nella RDCongo” (MONUSCO), in modo che possa veramente combattere i gruppi ribelli. Secondo il comunicato finale, il Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha assicurato che la forza di appoggio (Standby Force) della SADC (una brigata di circa 3.000 soldati) sarebbe “attivata” entro il 14 dicembre e in previsione del suo futuro dispiegamento nella RDCongo in una data non ancora precisata. La Tanzania ha, inoltre, accettato di mettere un battaglione di mille militari a disposizione della Forza internazionale per la RDCongo, mentre il Sud Africa si è impegnato a fornire supporto logistico.[1]

Il 10 dicembre, il portavoce dell’esercito ugandese, Felix Kulayigye, ha annunciato la riapertura del posto di frontiera di Bunagana controllato dall’M23 al confine tra la RDCongo e l’Uganda. Egli ha aggiunto, senza dare ulteriori dettagli, che i motivi che avevano portato alla sua chiusura, a metà novembre, non erano più validi. La riapertura è stata richiesta dall’M23. Interrogato circa la riapertura della frontiera di Bunagana, il ministro congolese degli Interni, Richard Muyej Mangez, ha espresso la sua sorpresa: «Non siamo stati consultati, quindi siamo rimasti sorpresi di questa decisione unilaterale circa la riapertura di questo posto di frontiera che, secondo noi, costituisce una forma di finanziamento della ribellione dell’M23».

Secondo Omar Kavota, rappresentante ufficiale della società civile del Nord Kivu, l’M23 si trova ancora a soli 3 km dalla città di Goma e si starebbe infiltrando a nord della città, in particolare intorno all’aeroporto, con l’intenzione di volere sbarrare la strada verso Sake, a ovest, che conduce verso il Sud Kivu. In un comunicato stampa, Omar Kavota precisa che «l’M23 si sta preparando per la guerra, indipendentemente dai colloqui che si stanno svolgendo a Kampala».[2]

L’11 dicembre, il portavoce della società civile nel Nord Kivu, Omar Kavota, ha affermato che, contrariamente alla risoluzione dei Capi di Stato della Regione dei Grandi Laghi riuniti a Kampala il 24 novembre, secondo la quale l’M23 doveva ritirarsi a oltre 20 km da Goma, l’M23 ha stabilito la sua posizione più avanzata a Munigi, nel territorio di Nyirangongo, a solo una decina di chilometri dalla città. Omar Kavota dice che, tra i ribelli dell’M23, ci sono anche truppe straniere: «I ribelli dell’M23 di stanza a Rutshuru si sono spostati per concentrarsi a Kibumba (territorio di Nyirangongo). Nel territorio di Beni, si nota un movimento di uomini armati che attraversano la frontiera attraverso Kasindi. Il Ruanda e l’Uganda continuano a favorire questa situazione che potrebbe portare l’M23 a provocare un intoppo dei colloqui in corso tra la sua delegazione e quella del governo a Kampala, per dimostrare l’inutilità di tale incontro e potere quindi giustificare nuovi attacchi che potrebbero estendersi fino a Bukavu e a tutto l’est del Paese. Occorre evitare che l’M23 faccia un doppio gioco». Omar Kavota chiede al governo congolese di essere vigilante, per evitare di cadere nella trappola dell’M23 che tenterebbe di far deragliare il dialogo di Kampala, al fine di riprendere la guerra.[3]

Il 12 dicembre, il vice coordinatore del meccanismo comune di verifica, il colonnello Léon Mahoungo, ha affermato che i ribelli dell’M23 si ritireranno a 20 km da Goma, conformemente alle risoluzioni del vertice dei Capi di Stato della CIRGL. Egli ha affermato che «il processo di ritiro dei ribelli è ancora in corso e non è ancora finito. Ci sono ancora degli elementi tecnici da tenere in conto prima che l’operazione sia considerata conclusa», indicando che c’è ancora un problema di demarcazione da risolvere, quello del punto iniziale da cui misurare la distanza dei 20 km. Secondo il colonnello Léon Mahoungo, l’M23 attende il dispiegamento della forza internazionale neutra per poi ritirarsi dalla località di Munigi, come previsto negli accordi di Kampala.[4]

Il 12 dicembre, secondo fonti locali, militari dell’esercito ruandese (Rwanda Defense Force) sarebbero entrati nella RDCongo attraverso i due posti di frontiera di Kasizi e di Kanyanja, a nord di Goma, nel territorio di Nyiragongo, attualmente occupato dai ribelli dell’M23. Secondo le stesse fonti, i ruandesi sono stati notato l’11 dicembre mattino. Erano arrivati a bordo di una dozzina di camion con munizioni e altri materiali da guerra attraverso la frontiera di Kasizi, nel raggruppamento di Kibumba. Il 12 dicembre, altri cinque veicoli carichi di soldati dell’esercito ruandese sarebbero arrivati, nella mattinata, a Kibati, a dieci km a nord di Goma. Fonti locali a Kibati hanno aggiunto che una quarantina di uomini armati e in uniformi militari hanno assediato la località di Mudja, per poi ritirarsi verso un luogo sconosciuto.

Intervistato, uno dei responsabili del Meccanismo Congiunto di Controllo della frontiera ha dichiarato di non potere verificare tali affermazioni se non su richiesta della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). Da parte sua, la società civile del Nord Kivu conferma le informazioni ottenute.[5]

Il 13 dicembre, nel corso di una conferenza stampa organizzata con il Programma Alimentare Mondiale (PAM) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) a Kinshasa, il responsabile dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Gert Weskereen, ha annunciato che 914.000 persone circa sono state registrate come sfollati nella regione del Nord Kivu, anche se non esclude che alcuni siano stati registrati più volte. Il numero degli sfollati è aumentato di circa 500.000 persone dal mese di aprile, a causa degli scontri tra le forze governative e i ribelli dell’M23, ha detto il funzionario dell’UNHCR. Un rappresentante dell’UNICEF, Nona Zicherman, ha rilevato che 751 bambini sono stati perduti dalle loro famiglie durante la loro fuga. Raccolti e affidati a delle famiglie o inseriti in strutture speciali, per ora solo 84 di loro hanno potuto ritrovare i loro genitori. Secondo l’UNICEF, l’80% degli sfollati sono stati sistemati in famiglie ospitanti. Secondo Fabienne Pompeo, del PAM, 160.000 di loro hanno beneficiato di distribuzioni di cibo. Sempre secondo il PAM, gli sfollati interni sono distribuiti in 19 siti intorno a Goma. Solo un campo è gestito dalle autorità, gli altri sono stati installati in modo improvvisato intorno a scuole, chiese o in luoghi più o meno adeguati.[6]

2. IL MESSAGGIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE

Il 5 dicembre, il Comitato permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) ha reso pubblico un messaggio dal titolo «Popolo congolese, alzati e salva la tua patria. Fedeltà all’unità nazionale e all’integrità territoriale della RDCongo».

Secondo i vescovi, oggi «una parte del nostro territorio scappa al controllo del nostro governo e si ritrova sotto l’amministrazione, di fatto, dell’M23, appoggiato da paesi stranieri, tra cui il Ruanda e l’Uganda. Il rapporto degli esperti delle Nazioni Unite l’ha confermato. Alla base di questa situazione, si nota la strategia della balcanizzazione che è in corso di esecuzione. Essa obbedisce alla stessa dinamica attuata già da alcuni decenni: rivendicazioni di ordine etnico o circa il possesso delle terre, rifiuto dell’ordine istituzionale, sfruttamento illegale delle risorse naturali, spostamenti coatti di popolazioni, ricorso alla violenza nella prospettiva della frammentazione del Paese». Inoltre, si nota, «in seno alla popolazione, una frustrazione dovuta al modo di governare che non soddisfa le sue aspettative. Le appartenenze etniche sono volutamente utilizzate da alcuni connazionali per il loro posizionamento politico. Certi “accordi di pace” firmati con i gruppi armati, senza previa concertazione, compromettono la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della RDCongo». Secondo la CENCO, «è completamente inaccettabile che tutto questo sia opera di connazionali congolesi che si lasciano servilmente manipolare da interessi stranieri. Sfidano le legittime istituzioni della Repubblica e rompono la coesione nazionale, a cui aspiriamo dopo tanti anni di tribolazioni e di incertezze». Al tempo stesso, essa «disapprova il ricorso alle armi come mezzo per risolvere i problemi che sorgono nella nostra comunità nazionale». I vescovi «riaffermano l’unità e la sovranità della RDCongo e l’inviolabilità delle sue frontiere ereditate dalla colonizzazione e riconosciute dalla comunità internazionale il 30 giugno 1960. L’integrità territoriale della RDCongo non è negoziabile». Secondo la CENCO, «qualsiasi ricerca di una soluzione ai problemi della nazione deve iscriversi nella prospettiva dell’unità da salvaguardare e promuovere per il bene di tutta la popolazione, senza privilegiare un gruppo a scapito degli altri. La riconciliazione nazionale è a questo prezzo.

Tra le raccomandazioni:

– Al popolo congolese.

La fedeltà verso l’unità nazionale e la salvaguardia dell’integrità territoriale della RDCongo sono sacri doveri per tutti i Congolesi. La diversità etnica è un bene. Dobbiamo essere vigilanti in modo che nessuno, inclusi coloro che sono stati eletti dall’interno di ogni gruppo etnico, strumentalizzi l’identità etnica dei loro concittadini per opporli gli uni contro gli altri in vista di obiettivi nascosti.

– Ai governanti e alla classe politica.

Lo stato attuale della nazione congolese deve interpellare i governanti del paese e la classe politica. A loro, per primi, incombe la responsabilità di garantire la sicurezza della popolazione e l’integrità del territorio nazionale. È urgente promuovere il buon governo e formare un esercito repubblicano, dissuasivo, in grado di difendere la sicurezza dei Congolesi e l’integrità del loro territorio di fronte alle minacce dei vari gruppi armati. La nazione è in pericolo e la classe politica non ha il diritto di trascorrere il tempo a litigare su interessi egoistici. È deplorevole il fatto che alcuni, privilegiando i loro interessi, si facciano complici con coloro che vogliono disintegrare l’unità nazionale. La difesa dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale richiede di mobilitare e unire tutte le forze per sconfiggere qualsiasi progetto di balcanizzazione del Paese. Gli ideali cari ai padri della Nazione, e cioè l’indipendenza, l’unità, la prosperità e la pace devono essere rispettati e promossi da tutti. Questo è il momento di fare un fronte comune contro il pericolo di frammentazione e di sottomissione del nostro paese che minaccia la sua stessa esistenza come nazione.

– A coloro che parteciperanno alle prossime negoziazioni.

Le rivendicazioni dei Congolesi appartenenti a qualsiasi gruppo che si senta leso devono essere trattate secondo il diritto e la legge e nel rispetto della Costituzione della RDCongo. In questo senso, ci si può interrogare sul valore giuridico degli accordi del 23 marzo 2009 e sulla pertinenza dei prossimi incontri di Kampala. È inoltre necessario richiamare l’attenzione di tutti coloro che vi si recheranno sulla trappola insita nei prossimi negoziati, affinché non compromettano l’unità della nazione congolese, né approvino accordi che sancirebbero la balcanizzazione della RDCongo. Un accordo che metta in pericolo la sovranità nazionale è del tutto inaccettabile.

– Alla Comunità Internazionale.

Pur riconoscendo gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale per la pace e la stabilità nella RDCongo, il popolo congolese continua a chiedersi: perché, nonostante le numerose promesse avanzate dalla MONUSCO, il territorio di Rutshuru e la città di Goma non sono stati efficacemente difesi e la popolazione civile completamente protetta? Non occorrerebbe adattare il mandato della MONUSCO all’attuale situazione della RDCongo? Il popolo congolese attende con impazienza che prevalga il principio del diritto internazionale e della solidarietà, che sono la base per la pace nel mondo.[7]

3. ALCUNE PROPOSTE DELLA SOCIETÀ CIVILE

Il 30 novembre, l’organizzazione Kataliko Actions for Africa (KAF) ha espresso, in un comunicato, la sua costernazione per la presa, il 20 novembre 2012, della città di Goma e di altre cittadine del territorio di Masisi da parte dell’M23, con il pretesto di rivendicare la piena attuazione degli accordi del 23 marzo 2009, firmati tra il Governo di Kinshasa e il CNDP.

Senza entrare nel merito delle rivendicazioni dell’M23 o dell’atteggiamento del governo di Joseph Kabila, KAF condanna l’abitudine di risolvere i problemi del Paese attraverso il ricorso a conflitti armati e crimini di guerra che rimangono spesso impuniti.

KAF condanna anche le autorità politiche congolesi e militari delle FARDC che collaborano con l’M23 e altri gruppi armati. KAF ricorda che nessun individuo e nessun gruppo di individui può utilizzare una parte del territorio congolese come base per un’attività sovversiva o terrorista contro lo Stato congolese (art. 52 Cost-RDC). L’appartenenza a etnie congolesi di espressione Kinyarwanda non fa eccezione a queste disposizioni costituzionali.

KAF ricorda inoltre che ogni congolese ha il diritto e il dovere di difendere il paese e la sua integrità territoriale contro ogni minaccia o aggressione esterna. Si poterebbe istituire un servizio militare obbligatorio, secondo le condizioni fissate dalla legge (art. 63 Cost.-RDC).

KAF raccomanda ai Congolesi quanto segue:

– Una conferenza nazionale tra Congolesi dovrebbe essere convocata, senza indugio, a Kinshasa, per discutere di tutte le questioni che dividono i Congolesi, includendo anche le rivendicazioni dei membri congolesi dell’M23.

– Si potrebbe istituire un servizio militare obbligatorio su tutto il territorio nazionale, per dotare le RDCongo di truppe di riserva permanenti, per difendere il Paese, la sua popolazione, la sua integrità territoriale e le sue ricchezze naturali di fronte a una minaccia esterna permanente.

– Tutti i crimini di guerra commessi durante questa nuova avventura militare devono essere denunciati presso la Corte Penale Internazionale.

La Rete Nazionale delle Organizzazioni non governative per i diritti umani nel Congo (RENADHOC) si oppone a negoziati diretti tra Kinshasa e l’M23, qualificati come una farsa. Per Fernandhez Murhola, segretario esecutivo nazionale della piattaforma, tale incontro non dovrebbe aver luogo a Kampala, capitale di un Paese aggressore della RDCongo e citato nel rapporto delle Nazioni Unite per il suo appoggio ai ribelli. La Rete propone, invece, un forum nazionale con la partecipazione dei rappresentanti di tutte le forze vive della nazione per discutere sulla situazione dell’insicurezza nel Nord Kivu, ma senza l’M23. Per RENADHOC, l’M23 è una forza negativa appoggiata dal Ruanda e dall’Uganda e i cui responsabili dovranno un giorno rispondere dei loro atti davanti alla giustizia internazionale. Secondo RENADHOC, invece di negoziare con l’M23, Kinshasa dovrebbe avviare colloqui con Kigali e Kampala, affinché mettano fine al loro appoggio all’M23.[8]

Il 5 dicembre, in un comunicato stampa, la società civile del Sud Kivu deplora il fatto che gli ultimi incontri a Kampala non abbiano fatto altro che legittimare l’M23, quando nei precedenti vertici interministeriali della CIRGL che si erano tenuti nel luglio del 2012 ad Addis Abeba, questo gruppo armato era stato considerato come una forza negativa al pari delle FDLR, FNL, ADF NALU. Questa situazione costringe le istituzioni della Repubblica a negoziare con dei presunti autori di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Inoltre, la società civile del Sud Kivu ha espresso molte riserve in merito alla qualità del Mediatore, il Presidente della Repubblica dell’Uganda, i cui stretti collaboratori sono citati dal rapporto finale del gruppo degli esperti dell’Onu sulla RDCongo.

Tenuto conto della gravità della situazione, delle complicità e delle sconfitte militari delle FARDC, la società civile del Sud Kivu è fermamente convinta della necessità di un dialogo, ma si pone la domanda: dialogare con chi, dove e su che cosa? Nei prossimi giorni, la Società Civile del Sud Kivu rivelerà il suo piano di pace, come aveva fatto nel 1998. Nel frattempo, essa denuncia con tutte le sue forze ogni eventuale negoziazione che abbia come oggetto :

1. l’ordine istituzionale in vigore,

2. la revisione della Costituzione,

3. l’integrità territoriale e la sovranità nazionale e

4. l’amnistia per gli autori dei crimini internazionali.[9]

Le donne della provincia del Nord Kivu, raggruppate nell’Associazione delle donne per la pace, reclamano di essere «validamente rappresentate ai colloqui di Kampala», perché in grado di esprimere meglio di qualunque altro le sofferenze della popolazione del Nord Kivu. Nana Balume, membro dell’associazione, ha affermato: «Avremmo voluto essere con i nostri fratelli di Kinshasa. Ogni volta che essi parlano della guerra nell’est del Paese, pensano di parlare al posto nostro. Questo è un bene, ma non bisogna trascurare la partecipazione della popolazione del Nord Kivu. Dovrebbero partecipare non solo quelli che vivono a Kinshasa, ma anche le vere vittime che vivono qui a Goma. E questi siamo noi. I nostri figli e i nostri mariti sono stati uccisi».[10]

4. ALLA VIGILIA DELL’INCONTRO DI KAMPALA

Il 5 dicembre, una ventina di deputati del Nord Kivu hanno espresso il loro scetticismo circa le possibilità di un sito positivo dell’incontro di Kampala. In una dichiarazione fatta a Palazzo del Popolo, sede del parlamento congolese, i parlamentari hanno affermato che i due deputati del Nord Kivu partiti per Kampala non sono portatori di alcun messaggio da parte del gruppo dei deputati del Nord Kivu. Pur ribadendo la loro solidarietà con il popolo di questa provincia vittima degli scontri armati tra le forze governative e i ribelli, questi deputati ritengono che l’M23 si colloca in uno schema di secessione delle due province del Nord e Sud Kivu. Leggendo la dichiarazione in nome del gruppo, Gregory Kiro ha affermato: «Secondo le sue dichiarazioni, appare chiaramente che l’M23 si prefigge, tra l’altro, di mantenere  le forze militari dell’ex-CNDP su tutto il territorio del Nord Kivu e del Sud Kivu e di istituirvi una sua amministrazione, consacrando in tal modo una secessione di fatto. Tenuto conto di questa constatazione, i parlamentari del Nord Kivu emettono forti riserve circa una soluzione della crisi attraverso l’incontro di Kampala di cui non conoscono ancora bene gli obiettivi».[11]

L’8 dicembre, per risolvere la crisi nella parte orientale della RDCongo, i presidenti dei gruppi parlamentari dell’opposizione (MLC e alleati, UNC e alleati, UDPS e FAC, nonché i liberali socialdemocratici) propongono, in una nota, “un dialogo repubblicano e inclusivo” e si dicono contrari ai colloqui tra il governo e l’M23 a Kampala. A questo “dialogo inclusivo” parteciperebbero i rappresentanti della maggioranza, dell’opposizione, della società civile e dell’M23 e con la presenza della comunità internazionale. I parlamentari dell’opposizione sostengono che il dialogo a Kampala “non ha alcun fondamento giuridico ed è contrario alla Costituzione”. Inoltre, la delegazione parlamentare (Assemblea Nazionale e Senato) avrebbe dovuto parteciparvi solo come semplice osservatore o testimone. Perciò hanno deciso di non parteciparvi. Essi rimproverano alla delegazione del governo di avere anche rifiutato di mettere all’ordine del giorno del dialogo “le rivendicazioni politiche dell’opposizione più volte menzionate”.

Tuttavia, due deputati dell’opposizione, Christian Badibangi e François Mwamba, sono presenti a Kampala per partecipare alle discussioni. Il primo giustifica la sua presenza in quanto deputato nazionale e afferma di assumere il ruolo di “osservatore”. Il secondo afferma: «La situazione nella DCongo è simile a quella di un paziente che perde sangue ed è dapprima necessario fermare l’emorragia: è una questione di responsabilità, qualsiasi siano le nostre differenze. Quando il paese se ne sta andando a rotoli, ogni Congolese ha il sacro dovere di fare qualcosa per salvarlo».

Da parte loro, i rappresentanti della società civile del Nord e Sud Kivu che partecipano al dialogo di Kampala affermano di essere presenti per volere “difendere l’integrità territoriale che è a rischio”. Il presidente della società civile nel Nord Kivu, Thomas d’Aquin Muiti, dice: “Il nostro ruolo è quello di presentare il punto di vista della popolazione, affinché il governo non possa ciecamente cedere alle esigenze degli aggressori”.[12]

L’8 dicembre, il portavoce dell’M23, Bertrand Bisimwa, afferma che partecipa ai negoziati con l’intenzione di mettere in discussione la legittimità del potere a Kinshasa e che si troverà una formula di transizione, più o meno lunga, per preparare nuove elezioni. Egli ritiene che le varie componenti dell’opposizione debbano essere presenti per discuterne. Prevede, infine, un futuro difficile se Kinshasa rifiutasse di mettere tutto sul tavolo: “Se non si parlerà di questi temi, non ci sarà alcuna possibilità di ritorno alla pace”. A Kampala è stata segnalata la presenza di altre due personalità congolesi. Si tratta dei deputati nazionali Roger Lumbala e Antipas Mbusa Nyamwisi. La delegazione del governo afferma di non averli invitati. “Saranno venuti per conto dell’M23”, ha dichiarato un membro della delegazione di Kinshasa.[13]

5. GLI INCONTRI TRA GOVERNO E M23 A KAMPALA

a. La cronaca

Il 9 dicembre, il governo e l’M23 si sono incontrati a Kampala, in Uganda, per cercare di negoziare un ritorno alla pace nell’est della RDCongo.

«La pace, la sicurezza, la coesione nazionale e il benessere del popolo congolese non hanno prezzo», ha detto il ministro degli Esteri congolese, Raymond Tshibanda, che guida la delegazione di Kinshasa. «Dobbiamo lavorare per l’instabile regione del Kivu, ricca di minerali e liberarla dal ricorrente spettro del conflitto», ha dichiarato Tshibanda.

Da parte sua, il capo della delegazione dell’M23, François Rucugoza, segretario esecutivo del movimento ed ex ministro provinciale della Giustizia nel Nord Kivu, ha assicurato che “l’M23 non lesinerà gli sforzi per partecipare alla risoluzione del conflitto”. Ma il movimento dell’M23 vuole soluzioni per “tutto il paese” e non solo per l’est del Paese.

L’incontro, però, si è fatto subito sempre più difficile, essendosi Rucugoza lanciato, sin dall’inizio, in una vasta critica nei confronti di Kinshasa, affermando che il conflitto nella parte orientale del Paese è dovuta a “una cattiva governance e, soprattutto, alla mancanza di una leadership visionaria”. François Rucokoza ha lanciato un vero atto d’accusa contro il presidente Joseph Kabila e la maggioranza, accusati di “incitamento alla violenza, all’esclusione, alla xenofobia contro i Congolesi ruandofoni”, denunciando, inoltre, “la corruzione e il malgoverno”. Il delegato dell’M23 ha affermato che il governo congolese appoggia gruppi armati per destabilizzare i paesi vicini, citando soprattutto il Ruanda, l’Uganda e il Burundi: “Il nostro paese ospita il FNL [Fronte di Liberazione Nazionale] contro il governo del Burundi, le FDLR [le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda] contro il governo del Ruanda, l’ADF-Nalu e il LRA [Esercito di Resistenza del Signore] contro l’Uganda”. François Rucogoza ritiene che questi gruppi armati stranieri costituiscano una minaccia permanente anche contro il popolo dell’est della RDCongo e ha dichiarato: «Quando si tratta di questi gruppi stranieri, mai il governo di Kinshasa considera la sovranità nazionale a rischio. Ma quando i figli e le figlie del paese denunciano questa situazione, come fa l’M23, subito grida all’aggressione e ricorre all’arma dell’odio etnico». François Rucogoza ha accusato anche le FARDC di aver ucciso 46 militari del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), a Dungu nella Provincia Orientale.

Da parte sua, la delegazione del governo ha ritenuto tali affermazioni “poco cortesi e piene di contro verità”. Visibilmente arrabbiato, Raymond Tshibanda ha chiesto al facilitatore di concedergli una replica, il giorno dopo, per “potere a sua volta denunciare i crimini commessi dall’M23 nel Nord Kivu”, prima di continuare qualsiasi discussione. Le due delegazioni si sono separate in un clima molto teso e gelido.[14]

Il 10 dicembre, la delegazione dell’M23 ha boicottato l’incontro previsto nel quadro del dialogo con il governo congolese. L’M23 aveva tuttavia promesso di esserci, come confermato dal ministro della Difesa ugandese, facilitatore delegato dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). L’incontro sarebbe dovuto essere dedicato in particolare alla replica sollecitata, il giorno precedente, dal ministro congolese degli Affari Esteri, Raymond Tshibanda, su ciò che aveva definito le “contro-verità” del movimento ribelle. I delegati dell’M23 non si sono presentati nella sala conferenze, preferendo rimanere nel loro hotel. “Siamo qui per negoziare, non per ascoltare le ire del governo”, ha dichiarato René Abandi, responsabile dell’M23 per le relazioni esterne, rifiutandosi di dire se i ribelli avessero partecipato il giorno seguente. Il capo della delegazione del governo di Kampala, Raymond Tshibanda, si è detto deluso del loro atteggiamento: «Penso che sia importante che M23 ascolti e capisca quello che abbiamo da dire. Non sono venuti. Strani democratici! Non accettano il dibattito. Non accettano di essere contraddetti. Ma che ci siano o no, la verità sarà detta».[15]

L’11 dicembre, la delegazione dell’M23 è ritornata al tavolo delle trattative. Per 40 minuti, Raymond Tshibanda, ministro congolese degli Affari Esteri alla guida della delegazione governativa, ha risposto alle accuse formulate dall’M23.

In primo luogo ha ricordato all’M23 che, nel primo articolo dell’accordo del 23 marzo 2009, il CNDP si era impegnato, in modo solenne e irreversibile, a porre fine alla sua esistenza come movimento politico-militare e a ricorrere, per la soluzione delle sue preoccupazioni, solamente alla via politica, nel rigoroso rispetto dell’ordine istituzionale e delle leggi della Repubblica.

Raymond Tshibanda ha detto che, contrariamente a quanto afferma l’M23, il governo ha rispettato i suoi impegni: ha promulgato e attuato la legge sull’amnistia, ha liberato dei prigionieri politici, ha integrato oltre 4.500 militari ex-CNDP nell’esercito e altri nella polizia, riconoscendo i loro gradi e affidando loro dei posti di comando, ha organizzato degli incontri con i tre paesi confinanti per il ritorno dei rifugiati.

Invece, il CNDP ha mantenuto un’amministrazione parallela e un comando parallelo nelle FARDC. Si è opposto al dispiegamento di suoi militari integrati nelle FARDC in altre regioni della Repubblica, contrariamente alla disposizione secondo la quale l’esercito è nazionale, apolitico e repubblicano. Ciò implica che coloro che sono chiamati sotto le armi devono essere pronti a prestare il loro servizio in qualsiasi parte del territorio della nazione.

Circa la rappresentatività dei Congolesi rwandofoni, Raymond Tshibanda ha detto che i membri di tale comunità sono attivamente presenti nelle istanze dirigenti del Paese e a tutti i livelli. Sono nel Senato, nell’Assemblea Nazionale, nel governo centrale, nei governi provinciali, ecc. Anche il capo della delegazione dell’M23 è stato, fino a quando ha lasciato, membro del governo provinciale del Nord Kivu. Raymond Tshibanda ha, infine, presentato un ritratto dell’M23, dei suoi leader e della sua governance. Egli ha dichiarato che “i più alti responsabili dell’M23 hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani contro le popolazioni civili e, spesso, anche contro i loro fratelli e sorelle che sostengono di volere servire. Nel mese di giugno, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha annoverato cinque capi dell’M23 tra i “peggiori violatori dei diritti umani della RDCongo e del mondo”. Tra questi leader, ha continuato, c’è il generale Bosco Ntaganda, oggetto di due mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel Distretto dell’Ituri  “iniziatore della ribellione”. Il secondo responsabile dell’M23 citato è il colonnello Sultani Makenga “conosciuto per innumerevoli violazioni dei diritti umani, tra cui massacri e reclutamento forzato di bambini soldato e inserito nella lista delle persone colpite da sanzioni delle Nazioni Unite”. “Come tutti gli altri gruppi armati, l’M23 è una forza negativa che deve essere neutralizzata ed eliminata”, ha concluso Raymond Tshibanda.  Il Ministro della Difesa ugandese, Crispus Kiyonga, ha infine invitato entrambe le parti a “passare alla fase di veri negoziati, con lo scopo di risolvere il conflitto attraverso il dialogo e dei mezzi pacifici”.[16]

Il 12 dicembre, non c’è stato alcun incontro tra le due delegazioni dell’M23 e del governo. I colloqui riprenderanno il 13 dicembre. “Non ci siamo incontrati, perché entrambe le parti si stanno preparando per i negoziati”, ha detto il portavoce della delegazione dell’M23, Bertrand Bisimwa.[17]

Il 14 dicembre, a Kampala, i colloqui tra le due delegazioni non sono ancora ufficialmente iniziati, ma ciascuna delle due parti vi si sta preparando. È in questo contesto che c’è stata una fuga di notizie da parte dell’M23. Tra i punti scottanti, l’M23 esigerà che Kinshasa gli ceda l’amministrazione completa della città di Goma. Ovviamente, non si tratterà solo di Goma, ma di tutto il Nord Kivu. L’M23 darà un governatore, formerà un governo provinciale e un’assemblea provinciale. Oltre ai direttori provinciali dei servizi che generano entrate. Una repubblica nella Repubblica. Come la presa di Goma con la forza delle armi ha provocato l’indignazione generale della comunità internazionale, l’M23 sta tentando di riconquistare la città mediante l’apparenza di una negoziazione. La questione diventerà un casus belli, in caso di rifiuto del governo. Ma la delegazione governativa non può assolutamente accedere a questa richiesta dell’M23. In primo luogo, essa non si trova in nessuna parte degli accordi di Goma conclusi con il CNDP. In secondo luogo, non ha nulla a che fare con la presunta crisi di legittimità ai vertici dello Stato, avanzata dall’M23 sullo sfondo del ricupero della verità delle urne. In terzo luogo, è anti costituzionale. La verità è che l’M23 esige l’amministrazione del Kivu per poi annetterlo certamente al Ruanda! Poco a poco, la verità viene a galla. Le mire egemoniche del Ruanda sul Kivu sono ormai pubblicamente manifeste.[18]

b. Valutazioni

I ribelli dell’M23 vogliono … tutto. Forti del loro successo militare, i membri della delegazione dell’M23 intendono mettere sulla tavola la situazione politica generale del paese. Essi partono dal principio che le elezioni del 28 novembre 2011 sono state truccate. Secondo loro, il presidente Joseph Kabila non ha legittimità. Ritenendo necessario rivedere l’intera architettura del potere, il loro obiettivo è l’istituzione di un governo di transizione che includa le forze della nazione, tra cui il loro stesso movimento, per andare a nuove elezioni. All’inizio, nel mese di aprile 2012, l’M23 non aveva ancora questo tipo di rivendicazioni. In quel primo periodo richiedevano la piena attuazione di un precedente accordo tra il governo di Kinshasa e un altro gruppo ribelle, il CNDP, firmato il 23 marzo 2009, data a cui si sono ispirati per darsi, appunto, il nome di Movimento del 23 marzo (M23). Oggi, Kinshasa si dimostra disponibile a verificare solo l’applicazione di tale accordo. Uno dei principali negoziatori per conto del governo congolese, l’Abbé Apollinaire Malu Malu, vuole soprattutto evitare di ampliare il dibattito: «Non si tratta qui di discutere sull’ordine costituzionale e istituzionale della Repubblica Democratica del Congo», afferma l’Abbé Malu Malu, aggiungendo che «non si può violare il carattere inalienabile della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale». Se l’Abbé Malu Malu, ex presidente della commissione elettorale nel 2006, insiste molto sulla sovranità e sulle frontiere, è perché, in questo caso, il Congo teme di perdere le due province dell’est del Paese: il Nord e il Sud Kivu, due regioni dalle grandi ricchezze minerarie e agricole. Da anni il Kivu è ambito dal Ruanda che Kinshasa accusa di essere dietro le varie ribellioni che da oltre un decennio tormentano il Kivu.[19]

Molti osservatori ritengono che l’arroganza che l’M23 manifesta derivi dal fatto che le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Unione Africana, la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi e il governo congolese stesso l’abbiano, di fatto, riconosciuto legalmente come una ribellione che ha un punto di ancoraggio preciso sul territorio: il Nord Kivu. In altre parole, dopo la presa di Goma, gli è stato permesso di rimanere in territorio congolese, di coabitare con il potere e di amministrare i territori occupati dopo il suo ritiro dalla città.

In secondo luogo, l’M23 è legittimato dalla comunità internazionale e dalle autorità congolesi, come depositario dell’accordo del 23 marzo 2009, la cui revisione sembra imperativa. Quando il principio del dialogo tra Kinshasa e l’M23 sembra acquisito, quest’ultimo si arroga il diritto di potere ampliare il ventaglio delle sue richieste.

In terzo luogo, date le sue vittorie militari sulle FARDC, l’M23 si sente in posizione di forza nei confronti del governo congolese. Nel caso di un blocco definitivo del dialogo, l’M23 potrà sempre far ricorso all’opzione militare, sicuro di un nuovo appoggio del Ruanda, a pochi chilometri da Goma.

In quarto luogo, i negoziati si svolgono attualmente in Uganda, uno dei Paesi che lo appoggiano. L’M23 è sicuro che, in un Paese alleato, non gli potrà accadere alcun male.[20]

6. RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULLA RDCONGO

Il 13 dicembre, il Parlamento Europeo ha adottato all’unanimità una risoluzione d’urgenza, la n. 2012/2907(RSP) sulla situazione nella RDCongo. Il Parlamento europeo:

1.         esprime la sua profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione generale nella parte orientale della RDCongo;

2.         condanna con forza gli attacchi condotti negli ultimi mesi dall’M23 e da tutte le altre forze negative nella parte orientale della RDCongo, si oppone a qualsiasi intervento straniero nel conflitto e ha sottolineato la necessità di porre fine alle attività dei gruppi armati stranieri nella parte orientale della RDCongo;

3.         invita, in particolare, i governi del Ruanda e dell’Uganda a cessare di appoggiare il gruppo ribelle denominato M23, avendo tale sostegno un impatto destabilizzante sulla regione dei Grandi Laghi; 4. ribadisce il diritto inalienabile e imprescrittibile della RDC al rispetto della sua sovranità e dell’integrità del suo territorio;

5.         invita tutte le parti implicate della regione a contribuire, in buona fede, per una soluzione pacifica e chiede, inoltre, l’attuazione immediata del piano di uscita dalla crisi concordato a Kampala il 24 novembre 2012;

6.         accoglie con favore gli sforzi fatti dagli Stati membri della CIRGL, dalle Nazioni Unite e dall’Unione Africana per iniziative volte a trovare una soluzione politica, pacifica e duratura, alla crisi; insiste sul fatto che una soluzione militare non risolverà la crisi e chiede, pertanto, di consolidare un processo politico di pace che affronti la questione del disarmo delle forze ribelli e le radici del conflitto;

7.         sottolinea l’importanza di un corretto funzionamento del meccanismo congiunto di verifica e della creazione e di un dispiegamento efficace della forza internazionale neutra prevista;

8.         chiede che l’Unione europea prenda una posizione chiara nei confronti di tutte le persone che hanno violato l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi destinate al Congo;

9.         chiede ai governi della RDCongo e dei paesi vicini di adottare le misure necessarie per giungere a una soluzione strutturale portatrice di pace durevole, di sicurezza, di stabilità, di sviluppo economico e di rispetto dei diritti umani nella regione, attraverso la cooperazione, il dialogo permanente, il ristabilimento della fiducia e la riconciliazione;

10.       condanna tutti gli atti di violenza e tutte le violazioni dei diritti umani commesse nella parte orientale della RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi, ed esprime la sua solidarietà con il popolo congolese colpito dalla guerra;

11.       condanna fermamente gli atti di violenza sessuale massivamente perpetrati nella RDCongo, in particolare lo stupro delle donne e il reclutamento di bambini soldato;

14. chiede, in particolare, che i responsabili di violazioni dei diritti umani, di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità, della violenza sessuale contro le donne e del reclutamento di bambini soldato siano denunciati, identificati, perseguiti e puniti in conformità con il diritto nazionale e il diritto penale internazionale; sottolinea che l’impunità non sarà tollerata, qualsiasi siano gli autori; 16. invita la RDCongo ad attuare una riforma efficace del settore della sicurezza nazionale;

19.       invita l’Unione Africana e i paesi della regione dei Grandi Laghi a prendere ulteriori misure contro lo sfruttamento illegale e il commercio delle risorse naturali, una delle ragioni alla base della proliferazione e del traffico delle armi;

20.       ritiene che un accesso trasparente alle risorse naturali nella RDCongo e un monitoraggio trasparente di esse siano essenziali per lo sviluppo sostenibile del paese;

21.       chiede maggiori misure giuridiche per garantire una migliore tracciabilità dei minerali provenienti dallo sfruttamento minerario illegale, ricorrendo a uno strumento internazionale di controllo del mercato delle risorse naturali, ispirato alla legge Dodd Frank approvata dal Congresso degli Stati Uniti d’America;

24.       chiede che ci si adoperi, sia a livello nazionale che internazionale, a rafforzare l’autorità dello Stato e lo Stato di diritto nella RDCongo, in particolare nei settori della governance e della sicurezza;

25.       invita i capi di Stato e di governo della regione dei Grandi Laghi ad impegnarsi per l’attuazione effettiva dei programmi regionali di pace e di sviluppo già esistenti e invita tutti gli Stati firmatari del Patto per la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo della regione dei Grandi Laghi ad applicarlo pienamente, al fine di stabilire e consolidare le basi necessarie per la pace e la sicurezza nella regione;

26.       invita tutti i paesi della regione e tutti gli organismi internazionali a cooperare attivamente con le autorità congolesi per smantellare e smobilitare tutti i gruppi armati attivi nella parte orientale della RDCongo;

27.       chiede alla MONUSCO, la missione dell’Onu nella RDCongo, di assolvere il suo mandato in modo più efficace, per garantire la sicurezza e la protezione dei civili congolesi;

28.       incoraggia le autorità della RDCongo, affinché prendano tutte le misure necessarie per consolidare la democrazia e garantire la partecipazione di tutte le forze del popolo congolese nella governance del paese, secondo le norme costituzionali e giuridiche.[21]


[1] Cf AFP – Dar Es Salaam, 08.12.’12

[2] Cf AFP – Kampala. 10.12.’12

[3] Cf Radio Okapi, 12.12.’12

[4] Cf Radio Okapi, 12.12.’12

[5] Cf Radio Okapi, 13.12.’12

[6] Cf Belga – 7×7.be, 13.12.’12

[8] Cf Gode Kalonji Mukendi – La Tempête des Tropiques –Kinshasa, 05.12.’12

[9] Cf Radio Okapi, 06.12.’12 ; Texte intégral : http://www.congoforum.be/upldocs/Communiqu…pdf12.pdf

[10] Cf Radio Okapi, 07.12.’12

[11] Cf Radio Okapi, 06.12.’12

[12] Cf Radio Okapi, 08.12.’12

[13] Cf RFI, 08.12.’12; Radio Okapi, 09.12.’12

[14] Cf AFP – Kampala, 09.12.’12 ; RFI, 09.12.’12 ; Radio Okapi, 09.12.’12

[15] Cf Radio Okapi, 10.12.’12 ; AFP – Kampala. 10.12.’12

[17] Cf Belga – 7×7.be, 12.12.’12

[18] Cf Le Palmarès – Kinshasa, 14.12.’12

[19] Cf Bruno Minas- RFI, 13.12.’12

[20] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 12.12.’12