Congo Attualità n. 168

INDICE

EDITORIALE: Nulla senza il popolo congolese

1. LA SITUAZIONE SUL POSTO

2. IL 5° VERTICE DELLA CIRGL A KAMPALA

a. Il vertice

b. Le reazioni della Società Civile e dei partiti politici

c. Le reazioni internazionali

d. Le reazioni dell’M23

e. Valutazioni

f. Dopo la scadenza dell’ultimatum

3. LE PROPOSTE DELLA SOCIETÀ CIVILE

4. GLI OBIETTIVI NASCOSTI DELLA GUERRA DELL’M23

 EDITORIALE: Nulla senza il popolo congolese

 

1. LA SITUAZIONE SUL POSTO

Il 21 novembre, l’M23 ha preso la cittadina di Sake (a 27 km a ovest di Goma), dove si erano ritirate le Forze Armate della RDCongo (FARDC). Il 22 novembre, in coalizione con i Mai-Mai APCLS, le FARDC hanno tentato un’offensiva che, a metà giornata, aveva permesso loro di allontanare l’M23 dalla cittadina. Intorno alle 17h00 ora locale, i ribelli hanno lanciato un nuovo assalto e, verso le 20h00, le FARDC hanno dovuto abbandonare le proprie posizioni. I ribelli si sarebbero poi diretti verso Kirotshe (a Sud), Mushaki (a nord-ovest) e Kingi (sulla strada verso Masisi). Nel corso di questi scontri, sono state uccise quattro persone, tra cui un militare.[1]

Il 23 novembre, il portavoce delle FARDC, il colonnello Olivier Hamuli, ha dichiarato che oltre tremila cinquecento militari si trovano nella cittadina di Minova, al confine tra il Nord e il Sud Kivu, per cercare di bloccare un’eventuale progressione dell’M23 verso Bukavu. Essi provengono da Sake e dalle altre località cadute nelle mani dei ribelli dell’M23 che, finora, occupano Kibumba, Munigi, Goma, Sake e Mushaki.[2]

Il 24 novembre, a Goma, la presenza di ribelli armati è stata più discreta di quella degli ultimi giorni. Secondo il colonnello Vianney Kazarama, portavoce militare della ribellione, le truppe (dell’M23) non sono più in città, ormai demilitarizzata. Secondo le sue dichiarazioni, in città sono rimasti solo lo stato maggiore militare e gli agenti di polizia.[3]

Il 25 novembre, la MONUSCO, la forza dell’ONU in RDCongo, ha evacuato da Goma, la capitale della provincia del Nord Kivu, 22 magistrati che affermano di essere vittime di minacce di morte da parte dei ribelli dell’M23. I magistrati sono stati trasferiti a Kinshasa. Il giudice Michel Magasani, uno dei magistrati evacuati, afferma che hanno cominciato a subire attacchi e a ricevere minacce di morte e racconta come uno dei suoi colleghi è recentemente sfuggito alla morte: «Ha incontrato un gruppo di ribelli dell’M23 che l’hanno obbligato a inginocchiarsi. Minacciandolo con un’arma, uno di loro gli ha rinfacciato: “Tu mi hai condannato a 12 anni di carcere e ora io ti condanno a morte”. Il magistrato è riuscito a scappare in seguito a una lite nata tra i ribelli». Altri giudici hanno ricevuto messaggi di minacce sui loro telefoni.

Il capo della polizia della MONUSCO, il generale Abdullah Wafi, che ha coordinato l’operazione di evacuazione, chiede che siano assistiti, perché hanno lasciato le loro famiglie e tutte le loro cose a Goma. L’ufficiale delle Nazioni Unite assicura che, oltre a questi magistrati, ci sono anche altri funzionari, membri del governo provinciale, dell’assemblea provinciale, delle FARDC e della polizia che hanno espresso il desiderio di essere evacuati da Goma.[4]

Il 26 novembre, i ribelli dell’M23 non hanno ancora lasciato la città di Goma, nonostante l’ultimatum di 48 ore loro dato dal vertice di Kampala. Li si vede ancora per le strade di Goma e in certi luoghi strategici come le banche. Secondo alcuni testimoni, le case di alcuni ufficiali delle FARDC sono ancora occupate dai dignitari dell’M23. Ma Vianney Kazarama, portavoce militare della ribellione, afferma che in città sono presenti solo l’amministrazione, la polizia e lo stato maggiore dell’M23. Secondo le sue dichiarazioni, il grosso delle truppe dell’M23 è a Mushaki, a più di 30 km a sud-ovest di Goma, e a Munigi, a 10 km a nord della città.

I ribelli dell’ M23 hanno consolidato le loro posizioni sulle alture vicino a Goma e intorno a Sake. Hanno eretto un posto di controllo a Mugunga, sulla strada da Goma a Sake esigendo, come diritto di passaggio, 10$ per veicolo a destinazione o in provenienza da Minova (Sud Kivu). Secondo diversi testimoni, i commercianti che transitano su questa strada devono pagare 5 $ e i proprietari di grandi camion che trasportano prodotti agricoli 350 $. In vari quartieri della città di Goma, si sono registrati diversi casi di saccheggi e furti. Secondo varie testimonianze, la maggior parte dei casi riguarda uffici comunali e provinciali, case private di persone fuggite, di ministri provinciali e di alcune autorità militari. Le stesse fonti attribuiscono questi atti di vandalismo a uomini armati in uniforme militare. In città, le attività sono a poco a poco riprese, ma la gente non crede a un facile ritiro dell’M23, se non iniziano dei negoziati con il governo.[5]

2. IL 5° VERTICE DELLA CIRGL A KAMPALA

a. Il vertice

Il 24 novembre, si è aperto a Kampala, in Uganda, un vertice straordinario della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), dedicato alla situazione dell’insicurezza nella parte orientale della RDCongo. Ha luogo tre giorni dopo una riunione, tenutasi sempre a Kampala, dei presidenti congolese, ruandese e ugandese che avevano chiesto al Movimento del 23 marzo (M23) di arrestare l’offensiva e di ritirarsi dalla città di Goma. Vi partecipano il presidente ugandese Yoweri Museveni e il presidente congolese Joseph Kabila. Non vi partecipa, invece, il loro omologo ruandese Paul Kagame, rappresentato dal suo ministro degli Esteri, Louise Mushikiwabo. Autorità ruandesi affermano che Paul Kagame aveva già assunto altri impegni, tra cui una visita del presidente del Congo – Brazzaville, Denis Sassou-Nguesso, proprio a Kigali. Anche tale visita dovrebbe essere dedicata alla situazione dell’insicurezza nella regione dei Grandi Laghi. Anche una delegazione dell’M23, guidata dal coordinatore Jean-Marie Runiga, si trova a Kampala, ma non nell’edificio in cui si terrà il vertice.

Alla conclusione del vertice, i Capi di Stato dei Grandi Laghi hanno chiesto all’M23 di abbandonare le posizioni conquistate dopo la sua ultima offensiva, di arrestare la sua avanzata verso altri territori e di cessare di mettere in questione l’attuale governo della RDCongo. Più specificatamente, i capi di Stato della sub-regione hanno chiesto ai ribelli dell’M23 di ritirarsi dalla città di Goma entro due giorni (48 ore) e di posizionarsi a circa 20 km a nord della città (vicino a Kibumba).

Inoltre, hanno deciso di dispiegare all’aeroporto di Goma, attualmente tenuto dalla MONUSCO, una forza mista composta da una compagnia delle FARDC, una compagnia dell’M23 e una compagnia della forza internazionale neutra, che non è ancora stata ben definita. La RDCongo ha promesso di contribuire al finanziamento di questa forza internazionale neutra, stimato in 100 milioni di dollari all’anno.

Nella città di Goma, si dispiegherà un battaglione dell’esercito congolese e uno della polizia. I ribelli dell’M23 dovranno consegnare alla polizia le armi abbandonate dai militari congolesi nelle località da loro conquistate.

La MONUSCO garantirà la sicurezza nella zona ormai considerata neutra, cioè quella tra Goma e le nuove zone occupate dall’M23.

In cambio, il governo congolese è disposto ad “ascoltare, valutare e tener conto delle legittime richieste” dell’M23 circa l’attuazione dell’accordo firmato nel marzo 2009 dal Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e il governo di Kinshasa. I capi di stato, tuttavia, non hanno evocato l’eventualità di un “dialogo”, come richiesto dall’M23.[6]

Il 24 novembre, a Kampala, alla presenza del presidente ugandese Yoweri Museveni, il presidente congolese Joseph Kabila ha incontrato una delegazione dell’M23 guidata dal suo leader politico, Jean-Marie Runiga. Entrambe le parti, il governo congolese da un lato e la ribellione dell’M23 dall’altro, dovranno ora cercare un accordo su ciò che vogliono negoziare o meno.

Dal lato congolese, il ministro degli Esteri Raymond Tchibanda ha affermato che, una volta che i ribelli avranno ritirato le loro truppe da Goma, il dialogo dovrebbe concentrarsi su una valutazione dell’attuazione dell’accordo del 23 marzo 2009.

Anche dal lato dell’M23, si vuole discutere dell’accordo del 2009. Ma Jean-Marie Runiga chiede anche un dialogo inclusivo con la società civile congolese, l’opposizione e la diaspora, circa tutte le questioni che riguardano la vita pubblica: la democrazia, i diritti umani, la governance e la verità dei risultati delle elezioni del mese di novembre 2011. Dal suo punto di vista, il ritiro da Goma non dovrebbe essere un presupposto, ma il risultato di negoziati e ha dichiarato che l’M23 non abbandonerà la città di Goma su una semplice promessa di apertura di discussioni con il governo. L’M23 esige dapprima il dialogo prima di pensare a ritirarsi da Goma.[7]

b. Le reazioni della Società Civile e dei partiti politici

Varie ONG dell’est della RDCongo hanno accusato il governo congolese di essersi “piegato” di fronte agli “Stati aggressori” senza, tuttavia, menzionare né il Ruanda, né l’Uganda. La Federazione della Società Civile del Nord Kivu si è detta «totalmente delusa dalle risoluzioni approvate a Kampala, che non hanno fatto che “legittimare l’M23” e “indebolire ulteriormente” la sovranità della nazione». Il vice-presidente e portavoce della società civile del Nord Kivu, Omar Kavota, ha qualificato di tradimento il fatto che le risoluzioni del vertice legittimino l’M23 e che il Presidente della Repubblica Joseph Kabila e il suo governo abbiano accettato di discutere con l’M23. «Le FARDC e la popolazione del Kivu sono stati traditi dal comando delle forze armate e dal governo di Kinshasa e il risultato è che l’M23 continua ad avanzare», ha affermato.[8]

Il 25 novembre, un deputato dell’opposizione, Jean-Claude Vuemba, ha stimato “inaccettabile” che il governo accetti di sedersi intorno a un tavolo con l’M23 che occupa la città di Goma dal 20 novembre. Secondo il Presidente del Movimento del Popolo Congolese per la Repubblica (MPCR), il governo non dovrebbe negoziare con i ribelli che hanno ucciso nell’est della RDCongo. «È da molto tempo che l’opposizione congolese chiede al governo delle negoziazioni in seguito alle elezioni del novembre 2011. Ma fino ad ora, è sempre stata sabotata e non ha ottenuto nulla in cambio. E ora, dopo avere fatto guerra allo Stato, l’M23 si trova allo stesso tavolo con il governo congolese per trovare un accordo. È inaccettabile. Bisogna prendere le armi per essere ascoltati in questo paese?», si è chiesto Jean-Claude Vuemba. In seguito ad elezioni caratterizzate da brogli e irregolarità, parte dell’opposizione ha sempre chiesto un dialogo con il governo, senza mai ottenerlo. Jean-Claude Vuemba ha, quindi, invitato il Presidente della Repubblica a convocare in Congresso le due camere parlamentari, per spiegare ai Congolesi i veri motivi della guerra condotta dall’M23.

Da parte della maggioranza, il deputato François Nzekuye, del PPRD, il partito del presidente, ritiene che il governo non voglia negoziare con l’M23, come alcuni credono, ma sia, invece, disposto ad esaminare le sue rivendicazioni. Egli ha precisato che spetta alla CIRGL ricevere le richieste dell’M23 e di trasmetterle al governo congolese. A Kampala si è detto che il governo prenderà in esame le richieste dell’M23 e vi risponderà per quanto possibile. Non si è detto che si avvieranno dei negoziati diretti con l’M23. Le rivendicazioni saranno presentate alle autorità della CIRGL che, a sua volta, le trasmetterà al governo di Kinshasa. Al governo spetterà vedere ciò che è legittimo e ciò che non lo è», ha spiegato François Nzekuye.[9]

c. Le reazioni internazionali

Il 25 novembre, in una dichiarazione comune, il presidente ruandese Paul Kagame e il suo omologo del Congo – Brazzaville, Denis Sassou Nguesso, riuniti a Kigali (Ruanda), hanno chiesto al governo di Kinshasa (RDCongo) e all’M23 di attuare le decisioni prese in occasione del vertice straordinario di Kampala. Secondo la nota, essi hanno rilevato «l’importanza di valutare e capire bene la vera natura dei molti gruppi armati attivi nella RDCongo, in modo da trovare soluzioni adeguate per ciascuno di loro».

L’Unione Africana (UA) ha chiesto all’M23 di rispettare le decisioni del vertice di Kampala e, in particolare, di cessare i combattimenti. Nello stesso tempo, ha elogiato “l’impegno” di Kinshasa a prendere in considerazione le richieste dei ribelli.[10]

Il 25 novembre, In un comunicato, il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, ha chiesto all’M23 di deporre immediatamente le armi e di procedere ad un immediato ritiro delle sue forze da Goma, in conformità con le decisioni del vertice straordinario della CIRGL a Kampala.[11]

d. Le reazioni dell’M23

Il 26 novembre, il movimento ribelle dell’M23 ha affermato, in un comunicato, di non aver ancora ricevuto per “via ufficiale” le risoluzioni del vertice di Kampala circa il suo ritiro da Goma e di rendere nota la sua “posizione” quando gli saranno comunicate. Il comunicato aggiunge che il responsabile politico dell’M23, Jean-Marie Runiga, presente nella capitale ugandese al margine del vertice, “ha cercato di ottenere la copia ufficiale della risoluzione, ma non vi è riuscito”.[12]

Nonostante l’ultimatum di 48 ore dato dal vertice della CIRGL di Kampala, i ribelli dell’M23 non avevano ancora lasciato la città di Goma. Il colonnello Vianney Kazarama, portavoce militare della ribellione, ha affermato di temere per la sicurezza della popolazione civile nel caso in cui l’M23 si ritirasse dalla città. Egli ha parlato della presenza di milizie Mai-Mai e di ribelli delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), che, secondo lui, minacciano la popolazione.[13]

e. Valutazioni

Aggressori rivestiti da mediatori.

Secondo alcuni osservatori, dall’inizio della crisi congolese, questi vertici si susseguono l’uno all’altro, senza aprire alcuna prospettiva di futuro. Non si è, infatti, ancora ottenuto alcun risultato positivo circa il ritorno a una pace duratura e il ripristino dell’autorità dello stato nella parte orientale del paese.

Kigali e Kampala hanno sottilmente fatto trascinare le cose per indebolire la posizione congolese. La caduta di Goma è un perfetto esempio di una strategia per rendere l’M23 una questione interna congolese e imporre la sua presenza al tavolo dei negoziati.

Attraverso un implicito riconoscimento dell’M23, il V° vertice di Kampala rischia di scagionare gli aggressori in della RDCongo, riconoscendo la dimensione interna della crisi e la non validità del rapporto degli esperti delle Nazioni Unite che accusano il Ruanda e l’Uganda di appoggiare l’M23. L’obiettivo di Kampala V sarebbe di evitare le possibili sanzioni nei confronti di Kigali e Kampala.

Kinshasa, ormai, non esclude più la possibilità di negoziati diretti con l’M23 le cui rivendicazioni sono state, curiosamente, considerate “legittime” in tale riunione.

Kigali e Kampala stanno aspettando questo momento per riuscire a scagionarsi da qualsiasi accusa di implicazione nella crisi dell’Est della RDCongo. Dopo aver resistito a lungo, Kinshasa avrebbe finito per accettare di incontrare i ribelli dell’M23 per, secondo la dichiarazione del mini-vertice di Kampala, “esaminare le cause del malcontento” e vedere come “rispondervi per quanto possibile”.

Questo implica dei negoziati, al fine di raggiungere un compromesso sulle questioni che dividono. Se i negoziati diretti con l’M23 hanno il vantaggio di limitare i danni sul campo di battaglia, hanno tuttavia l’inconveniente di avvantaggiare i Paesi designati come aggressori della RDCongo, cioè il Rwanda e, in una certa misura, l’Uganda. Accettare di negoziare con l’M23 è esonerare Kigali e Kampala da ogni sospetto di aggressione.

Benché salutare per le popolazioni civili che pagano il pesante prezzo della recrudescenza della violenza nella parte orientale del paese, l’opzione di negoziati implica il riconoscimento, da parte sia di Kinshasa che di altri che continuano a sostenere la tesi dell’aggressione, dell’esistenza di un problema interno tra Congolesi, che costituirebbe la spina dorsale della nuova ribellione iniziata dall’M23. Non è dunque un caso che il Ruanda e l’Uganda sostengano con forza l’opzione di negoziati, facendo pressione dall’interno della CIRGL, affinché la RDCongo accetti.

Ci sono molte ragioni che giustificano questa insistenza della CIRGL a voler a tutti i costi avviare negoziati tra l’M23 e la RDCongo. Infatti, il rapporto finale del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite sulla RDCongo ha messo a nudo il forte contributo del Ruanda e, in secondo luogo, dell’Uganda alla ribellione dell’M23.

Accettando di sedersi attorno a un tavolo con l’M23, Kinshasa starà indirettamente scagionando entrambi i Paesi vicini per quanto riguarda il loro appoggio all’M23. Darà argomenti a Kigali e a Kampala che le due capitali potrebbero ben utilizzare per un’azione presso le istanze che le hanno unanimemente condannate per il loro appoggio confermato all’M23. Le negoziazioni dirette tra Kinshasa e l’M23 fanno passare la tesi secondo cui Kigali e Kampala non si sono mai associati all’M23.

Kigali e Kampala potranno allora allegramente svolgere il ruolo di mediatori nella crisi congolese, cercando di agire per conto della CIRGL. Le trattative dirette con l’M23 hanno due principali conseguenze negative sul fronte diplomatico. Da un lato, legittimano la posizione di Kagame che ha sempre affermato che la situazione nell’est della RDCongo è un problema prettamente congolese. Dall’altro, esse rimettono in causa il rapporto degli esperti delle Nazioni Unite sulla RDCongo. Sotto copertura del loro ruolo di mediatori, Kigali e Kampala potranno ormai continuare ad aggredire e a saccheggiare la RDCongo con tutta impunità, per conto delle multinazionali occidentali e con l’avvallo della comunità internazionale.[14]

Secondo alcuni osservatori, fin dall’inizio e con diversi stratagemmi, la CIRGL ha cercato di portare Kinshasa a negoziare con l’M23. Quello che sperava, era di potere scagionare dei paesi, come il Ruanda e l’Uganda, da qualsiasi implicazione nella ribellione dell’M23 e ha vinto la sua scommessa. Citati dalle Nazioni Unite come principali sostenitori dell’M23, Kagame e Museveni vengono esonerati. In altre parole, non meritano più ulteriori sanzioni da parte delle Nazioni Unite.[15]

Legalizzazione di un movimento terrorista e scagionamento dei suoi padrini.

Secondo altri, la ribellione dell’M23 è stata la vincitrice del vertice straordinario della CIRGL. Questo gruppo etichettato come terrorista in occasione dei vertici precedenti della stessa CIRGL a Kampala e della Francofonia a Kinshasa, è stato finalmente riconosciuto come una ribellione interna che occupa una parte dell’est della RDCongo. All’M23 non è stato intimato di lasciare il territorio della RDCongo. In altre parole, la CIRGL riconosce la sua esistenza legale nel Nord Kivu, una provincia che tuttavia fa parte di uno Stato sovrano. Ricevendo in forma ufficiale il presidente dell’ala politica dell’M23, Jean-Marie Runiga Lugerero, il presidente ugandese ha provocato un pericoloso precedente che scagiona tutte le accuse mosse contro il suo paese e, di conseguenza, contro il Ruanda, indicati come aggressori della RDCongo e sostenitori dell’M23. La trappola da lungo tempo tesa dalle autorità ruandesi e ugandesi ai loro colleghi congolesi è finalmente scattata. I regimi di Kigali e di Kampala sono riusciti, a buon mercato, a far prevalere la tesi di una crisi congolese interna in atto nel Nord e Sud-Kivu, a causa del mancato rispetto, da parte Kinshasa, degli impegni assunti nell’ambito dell’accordo del 23 marzo 2009. Grazie al vertice straordinario di Kampala, l’M23 può alzare la voce al massimo per chiedere al suo “partner”, che è il governo congolese, l’accettazione delle sue diverse richiese, in termini di “ripartizione equa ed equilibrata del potere”.[16]

Ipotesi di richieste.

Dopo la caduta di Goma e l’ultimo vertice della CIRGL a Kampala, secondo alcuni analisti, l’M23 potrebbe rivendicare dei posti politico-militari, tra cui un vice-primo ministro responsabile della difesa, lo Stato Maggiore Generale delle FARDC, i Governatorati del Nord e Sud Kivu, il riconoscimento dei gradi militari come previsti dall’M23 (ex CNDP), la permanenza delle sue truppe nelle province del Kivu e la sospensione dell’attuazione del mandato d’arresto emesso contro Bosco Ntaganda dalla Corte penale internazionale. L’M23 chiede anche un nuovo dialogo inclusivo allargato a tutta l’opposizione, alla società civile e alla diaspora congolese. In questo modo, l’M23 lancia al governo un chiaro messaggio: o il governo accetta queste rivendicazioni senza discutere, o l’M23 lo costringerà ad affrontare un pericoloso dialogo inclusivo. La dinamica generale di questi incontri sarebbe, infatti, particolarmente ostile a Kabila e al suo sistema. L’obiettivo è semplice: costringere il regime di Kinshasa a scegliere tra una morte certa nel quadro di un dialogo inclusivo e la possibilità di salvarsi, accettando le richieste dell’M23. Infatti, trattando direttamente con l’M23, fuori da un confronto inclusivo con l’opposizione, Kinshasa potrebbe mantenere un margine di manovra più ampio. Ma allora dovrà affrontare una vasta protesta politica interna. Nello stesso tempo, avendo ottenuto ciò che voleva, l’M23 potrà dirsi soddisfatto.[17]

f. Dopo la scadenza dell’ultimatum

Il 26 novembre, il capo militare dell’M23, il colonnello Sultani Makenga si è recato a Kampala per incontrare il Capo di Stato Maggiore dell’esercito ugandese Aronda Nyakayirima che dovrebbe comunicargli le conclusioni del vertice della CIRGL sul ritiro dell’M23 dalla città di Goma.[18]

Il 27 novembre, Aronda Nyakayirima, capo di stato maggiore dell’esercito ugandese, ha dichiarato che Sultani Makenga, capo militare dell’M23, ha accettato di ritirare le truppe dalle città di Goma e di Sake e di fermare la loro avanzata militare, aggiungendo che «non ha posto condizioni, perché sa che le richieste dell’M23 saranno prese in considerazione dal meccanismo della CIRGL, come indicato nelle conclusioni del vertice di Kampala».

Nel corso della mattinata, in una conferenza stampa, il presidente e responsabile politico dell’M23, Jean-Marie Runiga, ha tuttavia posto una lunga serie di condizioni per il ritiro. «Prima del ritiro di Goma, l’M23 chiede al governo congolese di aprire un’inchiesta sul tentato omicidio di un medico nel Sud Kivu, di garantire la libertà di movimento all’oppositore Etienne Tshisekedi, di sciogliere la Commissione elettorale congolese (Ceni). Se lo fa, l’M23 si ritirerà rapidamente da Goma», ha affermato. Jean-Marie Runiga ha anche dichiarato che l’M23 non si sarebbero ritirato dalla città, se non dopo di avere ottenuto dal presidente Kabila un cessate il fuoco e un calendario di negoziati che comprendano anche la società civile, la diaspora e l’opposizione. Ha esigito che l’esercito congolese, le FARDC, non rientrino in città e che Goma sia sotto l’amministrazione politica e amministrativa dell’M23. Ha anche chiesto il ritiro dei gruppi armati stranieri attivi nella RDCongo, l’arresto del generale John Numbi, accusato da alcune ONG di essere il principale responsabile dell’omicidio del difensore dei diritti umani Floribert Chebeya, la liberazione “senza condizione” dei prigionieri politici. Jean-Marie Runiga ha evocato anche l’apertura di un corridoio umanitario, la collaborazione con la MONUSCO, la sicurezza nella città di Goma e la ripresa delle attività economiche nelle zone occupate dall’M23.

Da parte sua, il capo di stato maggiore dell’esercito ugandese Aronda Nyakairima, ha affermato che i ribelli dell’M23 si sono impegnati per un ritiro totale e incondizionato da Goma prima di mezzogiorno di giovedì, 29 novembre. Infine, il generale Sultani Makenga, ha dichiarato che le sue truppe lasceranno Goma prima di venerdì 30 Novembre. [19]

3. LE PROPOSTE DELLA SOCIETÀ CIVILE

Il 22 novembre, nel corso di una conferenza stampa, la Rete Nazionale delle ONG per la difesa dei diritti umani (RENADHOC) ha denunciato la degradazione della sicurezza e si è rammaricata per l’incapacità del governo Matata Ponyo nel proteggere l’integrità del territorio nazionale. Secondo questa piattaforma, l’equipe del governo ha mostrato i suoi limiti, in particolare sul piano diplomatico e militare e chiede al governo Matata di trarre tutte le conseguenze del fallimento della sua azione. Davanti a una situazione caratterizzata dalla presa di Goma e di altre località circostanti da parte dell’M23, la RENADHOC raccomanda al Capo dello Stato la revoca di alcuni ministri, di varie autorità dell’esercito e della polizia. In modo particolare, la rete indica i ministri della Difesa, dell’Interno e della Giustizia, il Capo di Stato Maggiore Generale dell’esercito, il Capo di Stato Maggiore delle forze terrestri e l’Ispettore Generale a.i. della polizia. Il segretario esecutivo della RENADHOC, Fernandez Murhola, ha sostenuto che «hanno dimostrato di non essere all’altezza delle loro responsabilità».

La piattaforma ha inoltre consigliato un’urgente rimozione dall’esercito, dalla polizia e dai servizi dell’intelligence, di tutti gli alti ufficiali e sottufficiali provenienti dagli ex movimenti ribelli, tra cui il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) e il Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP). «Di solito fanno il doppio gioco e sono più fedeli al Ruanda che alla RDCongo», ha affermato l’associazione. La RENADHOC ha inoltre chiesto un’urgente revisione di tutta la catena di comando e della gestione della logistica delle forze armate, del corpo di polizia e dei servizi segreti civili e militari. «È indispensabile che tutte le catene di comando siano gestite da ufficiali leali, nazionalisti e patriottici. Non farlo, costituisce un atto di alto tradimento», ha avvertito il segretario esecutivo dell’associazione.

La RENADHOC ha ritenuto paradossale l’appello alla mobilitazione generale lanciato dal Capo dello Stato e il divieto di manifestare che la polizia ha imposto agli studenti di alcune università.

La piattaforma ha inoltre invitato gli abitanti dei territori sotto occupazione dell’M23 alla disobbedienza civile generalizzata nei confronti delle “autorità che attualmente controllano, uccidono e saccheggiano parte della provincia del Nord Kivu”. Nello stesso tempo, invita tutto il popolo congolese alla resistenza.

Alla classe politica, la RENADHOC ha chiesto più nazionalismo, più patriottismo, più responsabilità e coesione nazionale. «È inconcepibile che molte personalità politiche congolesi si lascino sempre strumentalizzare dal Ruanda, a vantaggio di poteri effimeri e stupidi», ha deplorato la rete, che ha chiesto l’indizione di un congresso delle due camere del Parlamento riunite e la cessazione della vendita di armi al Ruanda da parte degli Stati veramente amici del popolo congolese.[20]

Il 24 novembre, in un comunicato sulla “destabilizzazione della RDCongo da parte di forze esterne”, i membri della Rete per i diritti umani e l’educazione civica di ispirazione cristiana (RODHECIC), hanno espresso la loro «rabbia contro il Capo dello Stato, il governo e i partiti politici della maggioranza presidenziale» per non essere in grado di «risolvere definitivamente il problema dell’insicurezza e di garantire la protezione della popolazione e del territorio della RDCongo». Essi hanno inoltre deplorato il fatto che «per oltre 16 anni, il Ruanda, l’Uganda e i loro alleati stranieri, tra cui le multinazionali, continuino a fomentare movimenti ribelli contro le istituzioni della RDCongo, provocando trattative e accordi spesso segreti che, sistematicamente, generano successive guerre e massicce violazioni dei diritti umani». In effetti, fanno notare, «il governo congolese ha sempre negoziato e ha integrato truppe e personalità politiche provenienti da gruppi armati, senza mai arrivare a soluzioni adeguate, efficaci e sostenibili ai problemi di instabilità della RDCongo».

Affermano che «la popolazione della RDCongo non accetta né l’M23, né qualsiasi altra ribellione, né l’occupazione del suo territorio. Le numerose vittime umane delle gravi violazioni dei diritti umani e la tragedia umanitaria dei numerosi sfollati e rifugiati senza assistenza sono motivi più che sufficienti per rifiutare questi terroristi che agiscono con l’appoggio avverato del Ruanda e dell’Uganda».

Rammaricano che «la corruzione e l’impunità accordata come ricompensa ai protagonisti politici e militari appartenenti ai gruppi armati che commettono crimini contro l’umanità e contro la RDCongo, favoriscono e consolidano l’insicurezza e la proliferazione dei gruppi armati nel paese». Condannano fermamente «l’appoggio del Ruanda e dell’Uganda e dei loro alleati stranieri, tra cui le multinazionali, a tutti i gruppi armati nella RDCongo».

Esigono, infine, «il ritiro immediato e incondizionato dell’M23 da tutto il territorio congolese, la pubblicazione di tutti gli accordi stipulati in relazione con la guerra nella RDCongo, l’effettiva attuazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana e della CIRGL, l’arresto da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di tutti i responsabili ruandesi, ugandesi e congolesi di gravi violazioni dei diritti umani e di crimini di genocidio commessi nella RDCongo, il dialogo tra le autorità politiche e le forze vive della RDCongo».[21]

Secondo diversi membri della società civile congolese, di fronte alla minaccia dell’M23, è necessario costruire un blocco interno compatto tra tutte le forze significative del paese. Occorre che la classe politica, maggioranza e opposizione, la società civile e tutte le forze del paese si uniscano per riflettere insieme sulla questione. Questo comporterebbe una revisione all’interno delle istituzioni politiche e militari e una ridistribuzione delle carte?  Sarebbe questo il prezzo da pagare affinché il Paese ritrovi la sua integrità territoriale, senza troppi danni ed elevati costi umani? La risposta è nel detto popolare: “Non si fa una frittata senza rompere le uova”. Insieme e attraverso i suoi rappresentanti ai vari livelli, la Nazione può trovare le risposte adeguate.[22]

4. GLI OBIETTIVI NASCOSTI DELLA GUERRA DELL’M23

Secondo Gaspard-Hubert Lonsi Koko, saggista e osservatore delle relazioni Nord-Sud, l’M23 è composto da Congolesi ruandofoni e da militari ruandesi che hanno lo scopo di appropriarsi della regione del Kivu – ricca di minerali e terreni agricoli – che attira le attenzioni di un Ruanda piccolo e sovraffollato. Accusato di essere il vero aggressore del Congo, il Ruanda spinge l’M23 ad occupare il massimo di territorio possibile, per avviare dei negoziati con il governo congolese in una posizione di forza. Questo permetterà a Paul Kagame di infiltrare cittadini ruandesi nelle istituzioni congolesi – l’esercito, il governo, gli enti locali … – e di amministrare, in maniera informale, il Kivu, al fine di ottenerne generosi benefici economici, in particolare nel settore minerario.[23]

L’ingerenza del Ruanda nel Nord e Sud Kivu è stata a lungo giustificata da motivi di sicurezza: da una parte, evitare le incursioni delle milizie hutu sul territorio ruandese e il ritorno dell’ideologia del genocidio e, dall’altra, proteggere i “cugini” tutsi congolesi. Oggi le forze hutu (meno di 2.000 uomini) non sono più una minaccia. Ma Kigali, senza manifestarlo apertamente, auspica che l’est del Kivu rimanga uno spazio di “sovranità condivisa” e vuole poter disporre di un “esercito all’interno dell’esercito” e di alleati politici locali. Al centro di questa ambizione, la sicurezza, ma soprattutto, l’economia: il Ruanda ha basato la sua espansione e il suo ruolo all’interno della Comunità degli Stati dell’Africa dell’Est (Comesa) sul fatto di essere un “ponte” aereo e una piattaforma per l’esportazione di minerali estratti in RDCongo (coltan, cassiterite, niobio, ecc). La scoperta di giacimenti di petrolio ha stuzzicato gli appetiti: la società britannica SOCO (con sede a Kigali) ha iniziato la ricerca di idrocarburi nel Parco Nazionale dei Virunga nel Nord Kivu. Per quanto riguarda i giacimenti di petrolio scoperti nel Lago Alberto, le attività di estrazione dovrebbero essere condivise tra l’Uganda (che sta installando una raffineria) e la RDCongo. Ma tale falda petrolifera si estende fino al Rutshuru, attualmente in mano ai ribelli, e il Ruanda, attraverso i suoi alleati dell’M23, potrebbe rivendicare la sua parte del bottino per l’appoggio a loro fornito.[24]

La ripresa della guerra nella parte orientale del paese ha come vero obiettivo la creazione di una nuova provincia esclusivamente riservata a Tutsi e Hutu congolesi e ruandesi. Tale piano riguarda le ricche zone di Masisi e Rutshuru. Il controllo sul petrolio, sulle “terre rare”, sul coltan e sulla cassiterite sarà conseguente a un referendum di autodeterminazione che condurrebbe all’annessione di questa nuova provincia al Ruanda. Nell’interrogazione orale, con discussione, indirizzata al ministro degli Interni, Richard Muyej, il senatore Mokonda Bonza si è interrogato sul contenuto dell’accordo firmato, a suo tempo, con il CNDP, circa un progetto di suddivisione del territorio. «L’accordo firmato il 23 marzo 2009 prevede, all’articolo 8 ciò che segue: “sulla base della  necessità di una migliore presa in considerazione della realtà sociologica del Paese, il CNDP ha proposto un modello sociologico di suddivisione del territorio nazionale”. Qual è questo modello?», ha chiesto il senatore al ministro. La ripresa della guerra nella parte orientale del paese conferma che, appoggiando l’M23, Kigali cerca, con tutti i mezzi, la riconfigurazione delle frontiere ereditate alla fine della colonizzazione. Il regime ruandese non nasconde ormai più la sua volontà di ridisegnare la mappa dell’Africa, in particolare della regione dei Grandi Laghi. L’obiettivo nascosto è quello di ottenere uno spazio territoriale riservato esclusivamente ai Ruandofoni. Così, la nuova provincia sarà riservata ai Tutsi, agli Hutu e ad “altre tribù minoritarie”, nel Piccolo Nord Kivu. Nello stesso tempo, i Nande saranno confinati a Beni e a Lubero, nel Grande Nord Kivu.

La tesi di un riavvicinamento dell’amministrazione alla popolazione evocata, a suo tempo, dal CNDP, è condivisa da tutti. Tuttavia, privilegiare il dato etnico equivarrebbe a trasferire sul territorio congolese la realtà sociologica ruandese, con le due tribù dominanti dei Tutsi i degli Hutu. La parte più ricca del Kivu sarebbe attribuita a questa nuova provincia che comprenderebbe i territori di Nyiragongo, Masisi, Rutshuru e Walikale. Il CNDP/M23 considera questa opzione già come prioritaria: per essa è pronto a incendiare tutto l’edificio nazionale. Gli obiettivi espansionisti di Kagame sono già espressi nei programmi scolastici del Ruanda, secondo cui il Kivu, come viene insegnato agli studenti, faceva parte del Ruanda.  Questo dice tutto sulle intenzioni di Kigali: fare man bassa, qualunque ne sia il prezzo, su questa parte della RDCongo. Tutto tende a questo obiettivo finale, passo dopo passo. Nel caso di un insuccesso, Kagame potrebbe retrocedere un po’, ma per ripartire in seguito, come dimostrato dalla successione dei vari movimenti ribelli dell’AFDL-RCD-CNDP-M23. Credere che Kagame possa un giorno rinunciare a questo suo obiettivo, sarebbe un grande errore di analisi.

Il piano prevede varie tappe successive. In primo luogo, l’istituzione della nuova provincia entro i limiti geografici nei pressi della frontiera con il Ruanda. Quindi procedere a un referendum per l’autodeterminazione sotto l’egida delle Nazioni Unite e di altre istituzioni. Infine, l’annessione della nuova provincia al Ruanda. In tal modo, Kigali eserciterà la sua sovranità su uno spazio più grande, risolverà il suo problema di sovraffollamento della popolazione e, soprattutto, potrà approfittare della grande ricchezza mineraria del sottosuolo. Gli anglo-sassoni, grandi sostenitori di questo progetto, già sanno cosa si nasconde nel sottosuolo di questa parte della RDCongo. Il mantenimento di un’instabilità permanente e di un continuo caos in questa parte del paese è la perfetta dimostrazione delle ragioni nascoste di una volontà annessionista da parte di certe potenze occidentali.[25]


[1] Cf Radio Okapi, 23.11.’12

[2] Cf Radio Okapi, 24.11.’12

[3] Cf AFP – Kampala, 24.11.’12

[4] Cf Radio Okapi, 26.11.’12

[5] Cf Radio Okapi, 26 e 27.11.’12

[6] Cf Radio Okapi, 24.11.’12; AFP – Kampala, 24.11.’12. L’accordo del 23 marzo 2009 prevedeva l’integrazione dei militari del CNDP nelle FARDC e nelle forze di polizia nazionale, con il riconoscimento dei loro gradi.

Il CNDP rivendicava, inoltre, una legge per l’amnistia in favore dei suoi militari, coprendo il periodo da giugno 2003 fino alla data della promulgazione dell’accordo. Il CNDP e il governo avevano si erano messi d’accordo sulla necessità di istituire dei meccanismi affidabili ed efficienti, in vista di una buona governance a tutti i livelli e in tutti i settori, compreso quello dell’estrazione, della certificazione, della valutazione e del controllo delle risorse naturali.

L’accordo contiene pure una clausola che impone la creazione di un nuovo modello di configurazione territoriale del paese, sulla base della “necessità di una possibile e maggiore presa in conto della realtà sociologica del Paese”. L’accordo comprende anche il riconoscimento delle province del Nord e del Sud Kivu come “zone disastrate”.

[7] Cf RFI, 25.11.’12;

[8] Cf Radio Okapi, 24.11.’12; AFP – Kampala, 24.11.’12.

[9] Cf Radio Okapi, 26.11.’12

[10] Cf AFP – Kigali, 25.11.’12; Radio Okapi, 25.11.’12; AFP – Jeuneafrique.com, 25.11.’12

[11] Cf Radio Okapi, 26.11.’12

[12] Cf AFP – 7×7, 26.11.’12

[13] Cf Radio Okapi, 26.11.’12

[15] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 25.11.’12

[16] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 26.11.’12

[17] Cf Le Palmarès – Kinshasa, 26.11.’12

[18] Cf Reuters – Goma, 26.11.’12

[19] Cf Radio Okapi, 27.11.’12; Jeuneafrique.com, 27.11.’12

[20] Cf Lucien Dianzenza – Les dépêches de Brazzaville – Kinshasa, 23.11.’12

[21] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 26.11.’12

[22] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 25.11.’12

[23] Cf Jolpress.com, 23.11.’12

[24] Cf Le carnet de Colette Braeckman – Le Soir, 21.11.’12