A nove anni dalla fine della seconda guerra del Congo, l’inferno torna a lambire le sponde del lago Kivu.
Dopo mesi di guerriglia, prolungati stati di allerta e spiragli di negoziati i ribelli del Movimento 23 marzo (M23) hanno lanciato l’offensiva che in tanti attendevano conquistando la città di Goma, capitale del Nord Kivu. In poche ore, il 20 novembre, la città è passata sotto il controllo dei guerriglieri, con le truppe governative della Repubblica democratica del Congo (Rcd) in fuga e i peacekeeper delle Nazioni unite fermi nelle loro posizioni.
L’attacco ha gettato nuovamente il Nord Kivu nella morsa delle violenze e dell’instabilità dopo che, tra il 1998 e il 2003, la ricchissima regione orientale della Rcd era stata protagonista del più sanguinoso conflitto dopo la Seconda Guerra mondiale, capace di coinvolgere otto Stati africani e di provocare 5,4 milioni di vittime.
RIBELLI APPOGGIATI DAL RUANDA.
L’ultimo scontro della ribellione nel Nord Kivu è, proprio come nel 1998, di etnia tutsi e secondo quanto sostengono l’Onu e il governo congolese può contare sull’appoggio militare del vicino Ruanda, governato da membri tutsi e già impegnato contro Kinshasa nel conflitto di 10 anni fa.
Il nome del gruppo combattente deriva dalla data – il 23 marzo 2009 – di un accordo di pace siglato tra i ribelli e il governo congolese e che, secondo i primi, Kinshasa avrebbe violato.
I ministri degli Esteri dei Paesi della regione dei Grandi laghi hanno sollecitato mercoledì 21 novembre i Paesi africani ad inviare truppe a sostegno delle forze internazionali per cacciare i ribelli armati nella Repubblica democratica del Congo. Lo ha riferito un portavoce del governo dell’Uganda. «Nel meeting è stato chiesto al consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana di sollecitare l’appoggio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per stanziare una forza neutrale nel Paese», ha detto il portavoce Fred Opolot. I presidenti del Congo, Joseph Kabila, e quello del Ruanda, Paul Kagame, si sono incontrati il 21 novembre a Kampala per cercare di porre una fine al conflitto nell’est del Congo.
IL M23 CONQUISTA LA CITTÀ DI GOMA.
Rifiutando qualsiasi trasferimento in altre regioni del Paese, in primavera diversi ex ribelli precedentemente integrati nelle forze congolesi hanno disertato, puntando le armi contro Kinshasa.
Dopo settimane di schermaglie, più o meno circoscritte, il 19 novembre le avanguardie del M23 sono giunte alle porte di Goma, confrontandosi con le truppe regolari. Ma i combattimenti sono durati solo poche ore: i lealisti hanno presto abbandonato la città e già il giorno successivo i ribelli hanno preso pieno controllo di Goma e della strada che la collega al vicino confine ruandese.
Negli scontri l’Onu non ha reagito all’invasione dei ribelli
Gli scontri hanno prodotto un numero relativamente basso di vittime mentre icaschi blu della missione Monusco hanno rinunciato, di fatto, alla difesa della città. I 1.400 peacekeeper non hanno infatti sparato un sol colpo, scatenando l’ira del governo congolese e lo sgomento della Francia, che nella serata del 21 novembre ha chiesto di revisionare il mandato di quella che attualmente è la più grande missione di pace dell’Onu, forte di un contingente di 17 mila uomini stanziati nella Rcd dei quali 6.700 solo nel Nord Kivu. Che però si è rivelata essere incapace – o forse negligente – nell’affrontare quello che da mesi è considerato come il maggior nemico del governo congolese presieduto da Joseph Kabila.
SCELTA PER EVITARE ALTRE VIOLENZE.
Pronta è arrivata la risposta del Palazzo di Vetro, secondo cui i peacekeeper «non possono sostituirsi» alle forze di sicurezza, mentre da Goma, un casco blu coperto da anonimato ha sbottato: «Una volta che erano entrati in città cosa potevamo fare? Una reazione avrebbe avuto conseguenze molto più serie per la popolazione».
Intanto la popolazione, nonostante la calma apparente che regna su Goma, sembra essere allo sbando.
Qualcuno, forse per timore di rappresaglie, forse per sincera lealtà, ha salutato l’ingresso del M23 con applausi e grida di gioia. Qualcun altro ha scelto di chiudersi in casa.
POPOLAZIONE IN FUGA DALLA CITTÀ.
In decine di migliaia, invece, hanno abbandonato le proprie dimore rifugiandosi nei villaggi vicini o nel centro educativo Don Bosco Ngangi diretto da don Piero Gavioli con il supporto dei volontari del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis).
«In oltre 7 mila sono giunti al centro, ma il numero potrebbe essere anche maggiore visto che si parlava di circa 2.500 gruppi familiari», ha spiegato a Lettera43.it Stefano Merante, responsabile per il Vis dei progetti nella Rcd, sottolineando come «i civili hanno paura delle violenze e preferiscono restare uniti, rifugiandosi in posti chiusi».
ALLARME PER L’EMERGENZA ALIMENTARE.
Inoltre presto il Don Bosco potrebbe essere investito dall’emergenza alimentare. «In tanti hanno portato con sé viveri per le prime ore e la precedenza è stata data ai più piccoli, ma gli stock nei magazzini sono destinati molto presto a finire» è stato l’avvertimento del responsabile dell’Ong al quale si è aggiunto l’allarme lanciato dall’Onu, secondo cui i ribelli hanno già rapito donne e bambini, distruggendo le proprietà e intimidendo i giornalisti.
Tra i guerriglieri c’è anche «Terminator», ricercato dal 2006
I guerriglieri del Nord Kivu non sono nuovi a simile violenze e tra i loro ranghi figurerebbe anche quel Bosco «Terminator» Ntaganda ricercato dal 2006 dalla Corte penale internazionale con l’accusa di aver reclutato centinaia di bambini-soldato durante la seconda guerra del Congo.
Allora come oggi, il governo centrale appare impotente: Kabila è volato in Uganda per un vertice di emergenza mentre il Ruanda, respingendo le accuse di sostegno ai i ribelli, ha fatto appello a una «soluzione politica», aggiungendo confusione a una crisi già segnata dall’incertezza.
I RIBELLI PUNTANO A BAKAVU.
Una crisi che, ha osservato Merante, non può tuttavia «essere definita come una guerra civile congolese e sulla quale grava l’influenza delle potenze regionali e non solo di quelle». Tutte accecate dalle mire espansionistiche su un’area ricchissima di tungsteno, tantalio e stagno, minerali chiave per la produzione di apparecchi elettronici.
Con un punto interrogativo all’orizzonte: se i ribelli prenderanno anche Bukavu, capitale del Sud Kivu, segneranno la loro massima espansione dal 2003. E allora le porte dell’inferno potranno davvero spalancarsi.
Mercoledì, 21 Novembre 2012