La regione del nord-est, terreno di confronto tra forze ribelli sostenute dal Rwanda (che nega) ed esercito (allo sbando), continua a essere destabilizzante per il governo di Kabila. Accordi sotterranei tra Kigali e Kinshasa hanno indotto l’opposizione congolese a chiedere al parlamento di aprire la procedura d’impeachment per il presidente.
Lo scorso luglio, un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato il sostegno dato dal Rwanda alla ribellione del gruppo armato M23 – movimento che nella sua sigla richiama l’accordo del 23 marzo 2009 tra gli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) e il governo congolese, accusato di venir meno all’intesa stipulata – nel Nord Kivu (regione del nord-est della Repubblica democratica del Congo). Kigali ha smentito, senza convincere. Tra gli argomenti avanzati dal rapporto: il fatto che i ribelli M23, in quanto disertori delle Forze armate dell’Rd Congo (Fardc), sono equipaggiati di mortai e altre armi che non sono in dotazione alle Fardc.
La presenza nell’M23 di alcuni ex combattenti di etnia hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), smobilitati dal campo di Mutobo, vicino a Ruhengeri (città del nord del Rwanda), lascia supporre che Kigali abbia probabilmente chiuso un occhio su questa adesione. Il fatto, poi, che il territorio controllato dalla ribellione corra lungo le frontiere rwandesi e ugandesi fa pensare che questi paesi fungano da base.
Detto ciò, va aggiunto che è l’atteggiamento del governo di Kinshasa ad aver contribuito all’emergere della ribellione. L’M23, infatti, nasce dal timore del suo ex capo, il generale Bosco Ntaganda – ex vice di Laurent Nkunda nel Cndp e poi comandante delle Fardc nel nord Kivu – di essere arrestato per vedersi deferito davanti alla Corte penale internazionale (Cpi). Dal 2006, infatti, Ntaganda è ricercato dal procuratore della Cpi per crimini di guerra (commessi nell’Ituri nel 2002-2003) e dal 12 luglio di quest’anno anche per crimini contro l’umanità.
Un altro elemento ha mosso i soldati delle Fardc, già membri del Congresso nazionale per la difesa del popolo, a lanciare l’offensiva contro l’esercito di Kinshasa: il trasferimento, lo scorso aprile, a Kananga (provincia del Kasaï Occidentale) di mille ex combattenti del Cndp, nucleo originario dell’M23 guidato dal colonnello Sultani Makenga.
Per gli ex Cndp, quest’azione costituisce una violazione degli accordi del 23 marzo 2009 con Kinshasa, che comprendevano l’impegno di non spostare i soldati di Ntaganda fuori dal Kivu, dove volevano rimanere per proteggere le loro famiglie e proprietà.
L’appoggio di Kigali all’M23 si può spiegare con il timore di vedere la guerriglia delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdrl), diretta da persone sospettate di aver partecipato al genocidio del 1994, riconquistare il terreno perduto nel Kivu e diventare una minaccia per il Rwanda, il tutto con il sostegno dell’ex capo di stato maggiore dell’esercito rwandese, il generale Faustin Kayumba Nyamwasa, in rotta con il regime di Kagame dal 2009.
Onu alla finestra
Nel corso di tre vertici regionali della Conferenza internazionale per la regione dei Grandi laghi (Cirgl), tenutisi a Kampala (Uganda) in agosto e in settembre, si è trovato un accordo per dispiegare una forza internazionale neutra sotto l’egida dell’Unione africana e delle Nazioni Unite, con l’incarico di combattere l’M23 e l’Fdlr, ma non si sono condannati né il Rwanda né l’Uganda. All’incontro dell’8 settembre, assente Kagame, si è deciso l’invio in un tempo di tre mesi di una forza neutra d’ intervento. Ma a fine settembre non si sapeva ancora nulla di chi, oltre alla Tanzania, avrebbe inviato soldati sulle colline del Nord Kivu , chi avrebbe finanziato l’operazione (che potrebbe raggiungere i 4mila uomini) e quale sarebbe il ruolo della Monusco, la missione Onu già presente nell’est della Rd Congo. Quel che è certo è che per i rappresentanti della società civile del Nord Kivu, tre mesi sono sufficienti perché la ribellione dell’M23 consolidi le sue posizioni e occupi l’intera provincia. Come, dunque, non accusare la Cirgl di accompagnare la balcanizzazione della Rd Congo?
Intanto, l’M23, che all’inizio esigeva l’applicazione integrale degli accordi 2009 Cndp-governo congolese per ottenere posti nell’esercito e nella pubblica amministrazione, ha aggiunto altre rivendicazioni. Il 17 agosto ha presentato un gabinetto, diretto da bishop Jean-Marie Runiga, che assomiglia a una squadra di governo. L’M23 tenta di darsi un’immagine politica, appellandosi al «buon governo» e al rispetto dei risultati elettorali. Ma sono pochi in Kivu a prendere sul serio questo improvviso interesse per la democrazia da parte di un gruppo che si è abbandonato a numerosi saccheggi e che ha già provocato l’esodo di 500mila persone.
Per ora l’M23 controlla un rettangolo di circa 1000 km² tra Bunagana (alla frontiera ugandese), la città di Rutshuru (75km a nord di Goma), il campo delle Fardc di Rumangabo (45 km a nord della capitale provinciale) e Kibumba (22 km a nord di Goma). I ribelli vivono estorcendo 500 dollari di pedaggio ai veicoli che attraversano il loro territorio per raggiungere Goma e sfruttando le risorse della regione (fagioli, carbonella, coltan e cassiterite).
Lo squilibrio tra gli effettivi dell’M23 (tra i 400 e i 600 uomini) e quelli delle Fardc (più di 100mila soldati) o della stessa missione di stabilizzazione dell’Onu in Congo (Monusco, un dispiegamento di 18mila caschi blu nel Kivu) moltiplica i sospetti e i rancori verso il governo di Kinshasa, ritenuto responsabile della situazione per non aver saputo mettere in piedi un esercito degno di questo nome.
Nonostante la cooperazione belga, americana, angolana, cinese e sudafricana, che ne hanno formato diverse unità, l’esercito congolese non è stato capace di riconquistare il territorio perduto. I suoi ufficiali non hanno le competenze richieste e la logistica non è adeguata. Il morale è basso e, in questi ultimi mesi, sono state centinaia le diserzioni. Alcuni soldati sono addirittura passati all’M23.
Un’altra ragione di questo sfascio, ce lo conferma il direttore di un’agenzia dell’Onu, è che un certo numero di ufficiali superiori hanno messo le mani sul denaro di Kinshasa, che doveva servire per acquistare armi, munizioni, carburante e viveri per la truppa. E a dispetto dell’assistenza tecnica di ufficiali europei incaricati di rendere sicuri i canali di pagamento, i militari congolesi non ricevono con regolarità il loro magro soldo.
Il governo congolese si oppone al controllo sulle spese militari, richiesto dai finanziatori internazionali. Secondo un cooperante europeo sia il noleggio che l’acquisto di forniture sono sovrafatturati. E intanto centinaia di soldati Fardc vagano nel parco dei Virunga, abbattendo selvaggina per nutrirsi.
La Monusco dispone di mezzi blindati e di elicotteri e non ha certo di questi problemi. Interpreta però il suo mandato di proteggere i civili congolesi in modo tale da evitare ogni confronto armato con i ribelli. I soldati Onu sono ripiegati senza combattere su Goma, lasciando all’M23 vaste aree. La motivazione dei caschi blu è che così possono difendere la città dall’attacco dei ribelli. Molti osservatori ritengono, invece, che l’M23, che gestisce e sfrutta il territorio sotto il suo controllo, non abbia alcun interesse a tentare di conquistare una città che farebbe fatica a controllare.
Alto tradimento
C’è il rischio, dunque, che la situazione perduri anche in assenza di un sostegno rwandese o ugandese. Va detto, infatti, che lo sfascio delle Fardc ha contribuito al proliferare di altri gruppi armati (l’Alleanza delle forze democratiche ugandesi nel del parco dei Virunga, i Mayi Mayi Muamba Liaki e i Mayi Mayi Pareco) e altri nuovi gruppi denominati “nyatura” (frusta), un gruppo hutu legato all’Fdlr e il movimento Raia Mutomboki (cittadini in collera) che combatte l’Fdlr.
Questa situazione è politicamente pericolosa per il presidente congolese Joseph Kabila, la cui popolarità è stata erosa. Il 4 settembre, venti partiti di opposizione, tra cui l’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps) di Étienne Tshisekedi, che continua a rivendicare la vittoria alle presidenziali dello scorso anno, hanno chiesto al parlamento di aprire una procedura «per alto tradimento» contro il presidente. Ad accrescere i sospetti è stato, il 31 agosto, l’annuncio, da parte del Rwanda del ritiro di due compagnie di forze speciali, attive in Rd Congo – in accordo con il governo di Kinshasa – per braccare l’Fdlr. Il fatto è che l’opinione pubblica congolese – oltre che i partiti di opposizione – era convinta che il Rwanda avesse ritirato ufficialmente tutte le sue truppe già dal gennaio del 2009…
Sotto la cenere del Kivu bruciano altri fenomeni inquietanti. Come la diserzione dal campo militare di Kananga, con una ventina di commilitoni, del capo di stato-maggiore della 4ª regione militare nel Kasaï Occidentale, il colonnello John Tshibangu (che nel 2008 aveva strenuamente combattuto Laurent Nkunda) che ha annunciato a Radio Okapi (l’emittente dell’Onu) la creazione di un Movimento per la rivendicazione della verità delle urne. Valentin Mubake – uno dei leader dell’Udps, il maggior partito di opposizione, che pretende di aver vinto le presidenziali del novembre 2011 – ha salutato così la dichiarazione del colonnello: «È l’inizio della fine del regime illegale di Kabila».
È in questa atmosfera assai pesante che, il 12 ottobre, si apre a Kinshasa il XIV vertice della francofonia. L’Udps ritiene si tratti di «un gesto ostile contro il popolo congolese». Mentre le organizzazioni dei diritti umani, sia congolesi che francesi, rimproverano al presidente François Hollande di dare un segnale negativo recandosi a questo appuntamento. E spiegano che così si va a legittimare un paese dove la polizia assassina i militanti dei diritti dell’uomo, come per esempio, nel 2010, Floribert Chebeya, e dove, lo scorso giugno, i servizi di sicurezza hanno prelevato e arrestato il deputato Eugène Diomi, capo della Democrazia cristiana, senza tener conto della sua immunità parlamentare.
Ciliegina sulla torta: un quotidiano di Kinshasa ha rivelato che il presidente Kabila vuole mettere a disposizione degli invitati al vertice (Kinshada, 12-14 ottobre) 5mila automobili Jaguar e Lexus. Il tutto in un paese che si colloca agli ultimi posti nella classifica mondiale dello sviluppo.