L’ipocrisia della Clinton sul Congo

Rinascita.eu – 8 Agosto 2012

 

Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, impegnata in un tour africano, ha chiesto al Sudafrica, la prima potenza dell’Africa nera, di esercitare una maggiore influenza sulla scena africana e internazionale.

“Stiamo provando a migliorare e rafforzare la nostra partnership. Il Sudafrica ha così tanto da offrire al resto del mondo”,

ha dichiarato Clinton, durante una conferenza stampa, dopo aver incontrato il suo collega sudafricano Maite Nkoana-Mashabane.

L’ex first lady ha precisato che Pretoria e Washington perseguono quasi sempre obiettivi simili in politica internazionale, anche se spesso utilizzano modalità diverse per ottenerli. Il Sudafrica attraverso il dialogo, gli Stati Uniti attraverso i droni o le sanzioni.

“Mentre le crisi e le opportunità crescono, ci sono questioni serie che dobbiamo affrontare insieme, dalla proliferazione nucleare al cambiamento climatico, le crisi sulla sicurezza, le situazioni nella Repubblica democratica del Congo o la Siria”

ha spiegato la Clinton, e poi aggiunto:

“Non sempre vediamo le cose allo stesso modo in queste questioni, a volte siamo in disaccordo come capita a due amici”.

Su questo ci sarebbe molto da dire, ma basta ricordare che il presidente sudafricano Joseph Zuma prese posizioni assolutamente differenti da quelle degli Usa sui bombardamenti in Costa d’Avorio e in Libia.

Durante una riunione al Palazzo di vetro, ad inizio anno, Zuma ha accusato “certe potenze” del Consiglio di Sicurezza, tra cui gli Stati Uniti, di “aver ignorato l’Unione africana nel prendere la decisione di dare il via libera ai bombardamenti delle forze Nato in Libia”, affermando che “l’Africa non deve mai più diventare un parco giochi per alimentare gli interessi di altre regioni”.

Tornando alla visita in Sudafrica, la Clinton ha colto l’occasione per esortare gli Stati dell’Africa centrale, e “in particolare il Ruanda” a cooperare per tagliare il sostegno ai ribelli del Movimento del 23 marzo (M23).

Parlando in una conferenza stampa a Pretoria, il capo della diplomazia Usa ha detto:

L’M23 è il gruppo armato conosciuto come il più attivo, che attualmente minaccia le popolazioni nell’est del Congo”.

E il Ruanda, accusato da un rapporto Onu di finanziare i gruppi ribelli nel Kivu, è il fiore all’occhiello degli Stati Uniti, le cui multinazionali sono presenti nel Congo, ricco di coltan, il minerale fondamentale per la nuova tecnologia.

“Noi sosteniamo gli sforzi della Repubblica Democratica del Congo, ed esortiamo tutti gli Stati della regione, compreso il Ruanda, a lavorare insieme per tagliare il sostegno ai ribelli del M23, per disarmarli e per consegnare i loro leader alla giustizia”, ha sottolineato la Clinton.

La destabilizzazione del Congo non è una cosa nuova.

È da oltre vent’anni che i conflitti civili e il saccheggio delle risorse minerarie vanno avanti grazie alla complicità della comunità internazionale, che ha tutto da guadagnarci se il Kivu rimane destabilizzato. I

ntanto, ieri i capi di Stato della regione dei Grandi Laghi si sono riuniti a Kampala per definire la creazione di una “forza neutra”, incaricata di “sradicare” i gruppi armati nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc) e di sorvegliare la frontiera con il Ruanda. Ma il summit si è concluso con un nulla di fatto.

Il “principio di una forza neutra” non si è infatti concretizzato nei fatti e i capi di Stato si sono dati appuntamento tra un mese per una nuova riunione, nonostante la situazione richieda un intervento tempestivo. Diverse località del Kivu sono infatti sotto il controllo dei ribelli del M23, che si stanno dirigendo verso Goma, il capoluogo della regione. Situazione di grave insicurezza che si registra anche nel Katanga, una ricca provincia mineraria del sud-est del Congo, dove ieri uomini armati hanno attaccato l’aeroporto di Lubumbashi, uccidendo tre soldati.