Congo Attualità n. 157

SOMMARIO

EDITORIALE: Le dichiarazioni “secessioniste” del M23 e il possibile avvicinarsi della caduta del “mito dell’uomo forte di Kigali”

1. NOTIZIE DAL FRONTE

2. IL POPOLO CONGOLESE CONTRO I GRUPPI ARMATI E CONTRO LA BALCANIZZAZIONE DEL PAESE

a. La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO)

b. La Nuova Società Civile Congolese (NSCC)

c. Il Partito Nazionale per la Riforma (PNR)

3. IL RUANDA SOTTO LA PRESSIONE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

4. A PROPOSITO DELLA “FORZA INTERNAZIONALE NEUTRALE”

5. RUANDA E M23: STESSO PROGETTO DI BALCANIZZAZIONE DELLA R.D.CONGO

 

EDITORIALE: LE DICHIARAZIONI “SECESSIONISTE” DEL M23 E IL POSSIBILE AVVICINARSI DELLA CADUTA DEL “MITO DELL’UOMO FORTE DI KIGALI”

 

1. NOTIZIE DAL FRONTE

Il 21 luglio, il ministro congolese degli Interni ha comunicato al governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, la decisione del governo relativa alla chiusura della dogana di Bunagana, al confine con l’Uganda e ora sotto controllo del Movimento del 23 marzo (M23). I commercianti che normalmente transitano per questa strada sono pregati di passare, fino a nuovo ordine, attraverso i posti di frontiera di Ishasha in direzione di Rutshuru, di Kasindi in direzione di Beni e della grande e piccola barriera in direzione di Goma. L’obiettivo di questa misura è quello di privare il M23 di un’importante fonte di reddito. Secondo fonti della Direzione Generale delle Dogane e Accise (DGDA), questo posto di frontiera registra, infatti, tra i 500 e i 700.000 dollari mensili di entrate doganali. Il M23 controlla la località di Bunagana, dal 6 luglio.

In seguito a tale disposizione, i commercianti diretti a Goma devono passare attraverso il Ruanda. Pertanto, sul mercato di Goma, si sta già assistendo all’aumento dei prezzi di alcuni prodotti provenienti dai paesi dall’Africa dell’Est. Robert è venuto a comprare dei jeans nel quartiere commerciale di Goma, noto per i suoi prodotti importati e si accorge che il prezzo dei pantaloni è aumentato di 4$. «Da quando si è chiusa la frontiera e la dogana di Bunagana, i jeans che prima si compravano a 8$, ora costano 12 dollari. C’è stato un aumento di 4$», ha detto. Anche i commercianti si lamentano. Kembo, il loro presidente, ha dichiarato: «Il Ruanda chiede un pedaggio di transito di 156$. Se a ciò si aggiungono le spese per altri documenti amministrativi, il totale è di 336 $ per camion. Quindi i prezzi aumentano».

Il 24 luglio, dopo circa due settimane di relativa calma, nelle prime ore del mattino sono ripresi gli scontri tra le Forze Armate della RDCongo (FARDC) e i miliziani del M23 nei villaggi di Kakomero e Mwaro, a circa 2 km di Kibumba, una posizione importante a una trentina di chilometri a nord di Goma, capitale della provincia del Nord Kivu. La società civile locale afferma che il M23 avrebbe bypassato le posizioni dell’esercito regolare, passando attraverso i villaggi di Ngugo, Bisoko e Rwaza, nel raggruppamento di Rugari, a oltre 40 km da Goma. La Monusco è intervenuta con elicotteri da combattimento. L’intervento è stato motivato dagli “attacchi del M23 contro popolazioni civili”, secondo quanto dichiarato da Mamodj Mounoubai, portavoce della MONUSCO. Testimoni sul posto hanno affermato che le forze governative avevano inizialmente indietreggiato di circa un chilometro dalla città di Kibumba, che è l’ultima posizione importante prima di arrivare a Goma. Successivamente, le FARDC sono riuscite a cacciare i ribelli da Rugari e hanno cominciato a progredire verso Rumangabo, a 50 km da Goma, per prenderne il controllo.

Il 25 luglio, dal mattino, violenti combattimenti sono scoppiati anche nella città di Kiwanja, a 75 km da Goma, a Rutshuru Centro e a Kalengera, a 60 km da Goma (Nord Kivu). La MONUSCO ha utilizzato i propri elicotteri per appoggiare l’esercito regolare e ha sparato contro le posizioni del M23 situate sulle colline che circondano le tre località (Kiwanja, Rutshuru Centro e Kalengera). Le FARDC hanno ripreso il controllo della città di Rumangabo, a 50 km da Goma, nel territorio di Rutshuru nel Nord Kivu, dopo che il M23 l’avesse occupata per un giorno. Tuttavia, varie fonti sul posto hanno affermato che il M23 mantiene il controllo di Kiwanja, Rutshuru Centro e Kalengera. Circa 2.000 persone sono state costrette ad abbandonare le zone dei combattimenti.

Il 25 luglio, durante la conferenza stampa settimanale presso la sede della MONUSCO, il portavoce militare a.i. della missione delle Nazioni Unite, il comandante Thibaut De Lacoste, ha dichiarato che il sostegno della MONUSCO alle FARDC nei combattimenti contro il M23 comprende varie tappe. In un primo momento consiste nella dimostrazione della forza cui si potrebbe ricorrere, nel caso in cui i ribelli oltrepassassero la linea rossa.

«Questa dimostrazione di forza è costituita da un sorvolo aereo a bassa quota sulle posizioni che sono state individuate e permette di far passare, alle truppe che le occupano, il messaggio secondo il quale esse sono state identificate e che si è in grado di monitorarle e seguire i loro spostamenti e manovre», ha affermato il capitano Thibaut De Lacoste. La seconda tappa è quella di “lanciare dei razzi”. «L’obiettivo è quello di dire: attenzione, non solo vi abbiamo visto, ma siamo anche in grado di aprire il fuoco sulle vostre posizioni». Secondo lui, le forze della MONUSCO potrebbero ricorrere a munizioni reali nella terza tappa.

«Le vere munizioni sono volutamente lanciate a lato delle posizioni mirate. Il messaggio è chiaro: abbiamo visto, siamo in grado di sparare e ora vi mettiamo in guardia sulle possibili conseguenze del nostro intervento, qualora oltrepassaste la linea rossa», ha aggiunto il portavoce militare a.i. della MONUSCO che, tuttavia, ha precisato che se i ribelli persistono nella loro progressione, non sono da escludere interventi diretti.

Madnodge Mounoubai, portavoce della MONUSCO, ha precisato che «Il 24 luglio, si erano notate diversi spostamenti del M23 in una vasta area intorno a Rutshuru e tra Bukima e Ngugo, in direzione di Kimbumba, dove i ribelli avevano lanciato un attacco contro una posizione tenuta dalle FARDC, a Rawaza. L’obiettivo degli attacchi effettuati il 24 e il 25 luglio dalle forze della MONUSCO contro i ribelli del M23 non era quello di neutralizzarli, ma piuttosto di impedire loro di avanzare verso Rutshuru».

Secondo vari osservatori, le sole operazioni di “dissuasione” sono insufficienti per arrestare l’avanzata del M23 verso altre località. Secondo loro, sarebbero ormai necessarie operazioni più forti, in grado di colpire direttamente obiettivi militari specifici. L’appoggio della Monusco alle FARDC potrebbe essere molto più efficace se le sue truppe, almeno alcuni contingenti, potessero agire con un mandato di forza di imposizione della pace, sotto l’egida del capitolo VII della carta delle Nazioni Unite, che permette di fare ricorso ad una forza adeguata alla situazione e proporzionata alla capacità dell’avversario.

Il 25 luglio, in una newsletter pubblicata a Goma, il coordinamento provinciale della società civile del Nord Kivu accusa militari ruandesi e ugandesi di appoggiare i miliziani del M23 posizionati sulle linee del fronte di Nyongera e Rutshuru centro. Il coordinatore di questa struttura, Omar Kavota, ha affermato che «sei veicoli di marca Fuso, provenienti dall’Uganda, sono entrati in RDCongo lo scorso fine settimana, passando per Kitagoma, raggruppamento di Busanza, con a bordo vari soldati ugandesi. Tre veicoli hanno portato militari della UPDF (l’esercito ugandese) a Nyarukwarangara, mentre gli altri tre li hanno condotti a Kabira».

La società civile del Nord Kivu ha affermato anche di aver ricevuto informazioni secondo cui «militari dell’UPDF e dell’APR (Esercito Patriottico Ruandese) hanno appoggiato i miliziani del M23» sulle linee del fronte di Nyongera e Rutshuru centro, più precisamente a Kiringa, sulla strada verso Kalengera.

«Tali informazioni sono confermate dall’attuale aumento delle capacità di attacco da parte del M23. Le informazioni che mettiamo a disposizione delle autorità dovrebbero essere prese sul serio. Oggi, siamo di fronte a un’aggressione ruando-ugandese», ha affermato il coordinatore provinciale della società civile che ha segnalato un’infiltrazione dell’esercito ugandese anche nella zona del Rwenzori, nelle zone di Watalinga e Bashu, all’est del territorio di Beni (Nord Kivu).

2. IL POPOLO CONGOLESE CONTRO I GRUPPI ARMATI E CONTRO LA BALCANIZZAZIONE DEL PAESE

a. La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO)

Il 21 luglio, nel corso di una conferenza stampa presso il Centro interdiocesano di Kinshasa, il Segretario Generale della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO), P. Santedi Léonard, ha reso pubbliche le cinque azioni concordate dai Vescovi congolesi per tradurre nei fatti il rifiuto della Chiesa cattolica nei confronti della balcanizzazione della RDCongo e il suo impegno per la pace all’Est del Paese. Si tratta di:

  1. un Triduo di Preghiera per la pace, l’unità e l’integrità territoriale dal 31 luglio al 1° agosto 2012,
  2. una marcia della speranza prevista per il 1 ° agosto 2012,
  3. un’azione caritativa in favore delle vittime degli orrori della guerra,
  4. un’azione per sensibilizzare i decisori a livello nazionale e internazionale;
  5. una visita pastorale di solidarietà presso le diocesi colpite da conflitti armati, alla quale parteciperanno i vescovi delegati delle varie province ecclesiastiche coordinati dalla Presidenza della CENCO.

b. La Nuova Società Civile Congolese (NSCC)

Il 25 luglio, nel corso di una conferenza stampa, la Nuova Società Civile Congolese (NSCC) ha chiesto a tutti i Congolesi di osservare un minuto di silenzio, il martedì a mezzogiorno, dal 31 luglio al 25 agosto, in memoria di tutte le persone uccise nelle guerre che la RDCongo ha subito.

Questa piattaforma delle ONG ha presentato un programma intitolato “Fronte Comune per lottare Contro la Balcanizzazione della RDCongo” (FCCB). Nello stesso tempo, ha lanciato l’operazione “Bayi Congo Batimbeli” (I congolesi hanno smascherato). Per il presidente della nuova società civile, Jonas Tshiombela, l’operazione lanciata dalla sua organizzazione, si propone di lottare contro: la balcanizzazione della RDCongo, l’aggressione della RDCongo, lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie del paese, il traffico d’armi nella RDCongo.

L’operazione mira inoltre al ripristino della pace nella parte orientale del paese. Jonas Tshiombela invita, inoltre, tutti i Congolesi a fare, dopo il momento del silenzio, quanto più rumore possibile. «Dopo il minuto di silenzio, per cinque minuti fischieremo, faremo suonare claxon e campane, batteremo su pentole e tegami, per esprimere la nostra disapprovazione per l’ennesimo attacco contro il nostro paese e alla sua balcanizzazione», afferma Jonas Tshiombela, precisando che «Il FCCB si propone di mobilitare il popolo congolese per azioni concrete e pacifiche contro i multipli e ingiustificati attacchi contro il nostro Paese da parte di un paese vicino, il Ruanda, strumentalizzato come un burattino dalle grandi potenze e dalla mafia delle multinazionali».

c. Il Partito Nazionale per la Riforma (PNR)

In un comunicato stampa n ° 13/2012/PNR, il Partito Nazionale per la Riforma (PNR) condanna la guerra del Nord Kivu in tutte le sue forme, si dice solidario con le famiglie che hanno perso i loro parenti e chiede che giustizia sia fatta per le migliaia di Congolesi sfollati, violentati e uccisi nelle città di Rutshuru, Bunagana e nelle altre zone circostanti. Il partito fa le seguenti raccomandazioni: 1) Che il governo congolese conceda alle FARDC tutti i mezzi necessari e ponga a capo del comando militare uomini e donne che siano all’altezza del compito.

2) Che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la MONUSCO e tutta la comunità internazionale usino la loro influenza sul regime di Kigali in modo chiaro, senza equivoci e senza ambiguità, affinché ritiri le sue truppe dalla RDCongo.

3) Che il governo dimostri la volontà politica di difendere la patria attraverso una legge finanziaria adeguata. In un paese in guerra e minacciato da Paesi vicini, la difesa e la sicurezza dovrebbero avere la priorità sulle spese destinate alla burocrazia e all’amministrazione centrale che attualmente assorbono il 30%, quasi un terzo della legge finanziaria del 2012.

4) Che il comando dell’esercito e il ministero della difesa siano affidati a Congolesi che conoscono bene la problematica relativa alla questione dell’est del Paese.

5) Che il governo approvi misure di sicurezza a breve, medio e lungo termine per garantire una pace duratura, procedendo alla riforma dell’esercito, dei servizi di sicurezza e dell’intelligence per assicurare la sicurezza delle frontiere, dei cittadini congolesi e dei loro beni.

6) Che il governo prenda le sue responsabilità, assicurando l’assistenza sanitaria e sociale degli sfollati e dei feriti di guerra, piuttosto che abbandonarli, come di solito, nelle mani delle sole organizzazioni umanitarie.

7) Che Bosco Ntaganda e i suoi luogotenenti ricercati dalla Corte Penale Internazionale (CPI) siano arrestati e trasferiti, senza condizioni, alla CPI, piuttosto che continuare a proteggerli.

8) Che questa guerra non sia ancora un altro modo di premiare i criminali di guerra con posti di governo invece di condurli davanti alla giustizia. Non si possono più accettare queste guerre ingiuste che, causando migliaia di vittime e danni ingenti, cedono sempre il passo a negoziati che conducono all’integrazione dei carnefici del popolo nelle istituzioni sia a livello provinciale che centrale e nazionale.

9) Che tutti i Congolesi in tutto il mondo hanno uniscano le loro voci a quelle dei Vescovi cattolici e della società civile del Nord Kivu e Sud Kivu, organizzando marce pacifiche per il ritorno della pace e denunciando questo ennesimo tentativo di balcanizzare la RDCongo.

10) Che i Congolesi che collaborano con i nemici del Paese siano identificati e tradotti in giustizia.

3. IL RUANDA SOTTO LA PRESSIONE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Il 21 luglio, in occasione della festa nazionale belga, l’ambasciatore del Belgio, Dominique de Swielande Struye, ha affermato, a Kinshasa, che «la RDCCongo si trova ad affrontare alcune grandi sfide, a cominciare dal ripristino della pace all’Est. La RDCongo ha il diritto e il dovere di esercitare la sua sovranità sul suo intero territorio». Ha poi aggiunto: «Se il Ruanda afferma di non essere parte del problema, deve sicuramente essere parte della soluzione, interrompendo ogni forma di sostegno ai gruppi armati». Data la situazione di estrema insicurezza all’Est del Paese, ha infine dichiarato che «la RDCongo dovrà, da parte sua, proseguirà i suoi sforzi per riformare il settore della sicurezza».

Il 22 luglio, gli Stati Uniti hanno annunciato di avere deciso di sospendere gli aiuti militari al Ruanda a causa del suo appoggio al M23. Un portavoce del Dipartimento di Stato, Darby Holladay, ha affermato in un comunicato che il suo ministero “per quest’anno, non poteva più continuare a finanziare l’aiuto militare (al Ruanda)”.

I fondi, pari a 200.000 dollari (164.000 euro) erano destinati a finanziare un’accademia militare ruandese per ufficiali non graduati, ha precisato il portavoce. Essi saranno ora destinati a un altro paese di cui non ha citato il nome. Washington “continuerà”, tuttavia, a contribuire alla formazione di truppe ruandesi che partecipano a forze di mantenimento della pace.

“Il Governo degli Stati Uniti è seriamente preoccupato per le prove portate sull’implicazione del Ruanda nell’appoggio fornito a gruppi armati attivi nell’Est congolese, tra cui il M23”, ha dichiarato la signora Holladay che ha aggiunto che “gli Stati Uniti sono già intervenuti attivamente, anche ai massimi livelli, per chiedere al Ruanda di mettere fine al suo appoggio al M23 ” che, secondo lei, “minaccia di destabilizzare la regione intera”.

Il Ruanda ha contestato la decisione degli Stati Uniti, dicendo che si basa su informazioni errate e completamente false. “Come abbiamo detto fin dall’inizio, il Ruanda non è né la causa né il complice della situazione di instabilità nella RDC orientale”, ha affermato il ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo.

Il 25 luglio, in un’intervista al quotidiano britannico “The Guardian”, Stephen Rapp, responsabile dell’ufficio americano per la giustizia penale internazionale, ha dichiarato che «varie autorità ruandesi potrebbero essere processate per “favoreggiamento e complicità” con gruppi armati che stanno commettendo crimini contro l’umanità nella RDCongo», reati simili a quelli per i quali il Tribunale speciale per la Sierra Leone ha condannato l’ex presidente liberiano Charles Taylor a 50 anni in prigione. Attraverso la voce di Stephen Rapp, gli Stati Uniti hanno in tal modo fatto sapere alle autorità ruandesi che la Corte Penale internazionale (CPI) potrebbe aprire un processo contro il presidente Paul Kagame e i suoi collaboratori per il loro appoggio ai ribelli del M23 accusati di commettere crimini contro l’umanità in RDCongo. Per Stephen Rapp, «nel diritto internazionale c’è una linea oltre la quale si può essere ritenuti responsabili di aver aiutato un gruppo armato in un modo che ha reso possibile la realizzazione di atrocità». Secondo lui, «le prove raccolte dal gruppo degli esperti delle Nazioni Unite e che dimostrano il sostegno del governo ruandese al M23 e ad altri gruppi armati, compreso l’invio di armi e truppe nella RDCongo, espongono Kagame e altri ufficiali ad investigazioni per crimini di guerra».

Gli esperti delle Nazioni Unite avevano affermato, infatti, nel loro rapporto del 26 giugno 2012, di essere in possesso di «prove schiaccianti che indicano che alti ufficiali delle FDR, nel loro ruolo ufficiale, hanno sostenuto i ribelli, fornendo armi, equipaggiamento militare e nuove reclute» e hanno citato, tra altri, James Kabarebe, ministro della Difesa ed ex capo di Stato Maggiore dell’esercito, Jack Nziza, Segretario permanente presso il ministro della Difesa ed ex capo del DMI [intelligence militare ruandese] e Charles Kayonga, attuale capo di stato maggiore dell’esercito del Ruanda. Secondo Stephen Rapp, la procedura che gli Stati Uniti potrebbero intraprendere segna un importante cambiamento nell’atteggiamento di Washington, che per lungo tempo ha favorito l’inazione internazionale, in seguito al genocidio del 1994, spesso brandito da Kigali per coprire i propri crimini nell’Est della RDCongo. Ma la ricetta del “pretesto del genocidio ruandese” non può giustificare tutte le aberrazioni e incursioni militari di Paul Kagame in territorio congolese.

Anche i Paesi Bassi hanno annunciato, a loro volta, la sospensione della parte finale del loro aiuto al Governo ruandese per un valore di 5 milioni di euro. È ciò che afferma il Financial Times, citando un portavoce del ministero olandese degli Affari Esteri. Secondo il giornale: «I Paesi Bassi hanno deciso di sospendere il loro aiuto finanziario al Governo del Ruanda finché non cessi di sostenere i ribelli nella RDCongo». L’aiuto previsto dai Paesi Bassi potrebbe era destinato al miglioramento del sistema giudiziario del Ruanda. Il portavoce ha affermato che «i Paesi Bassi, insieme con i partner europei, determineranno la loro posizione in materia di assistenza allo sviluppo per il Ruanda, sulla base della reazione ufficiale all’ultimo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite e della «cessazione immediata del sostegno del Ruanda ai gruppi armati attivi nella RDCongo».

Pure la Gran Bretagna ha dichiarato che ritirerebbe il suo sostegno al presidente Kagame se è dimostrato che il suo governo sta finanziando i ribelli nella RDCongo. «Se il Ruanda ha violato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza violando l’embargo sulle armi decretato dalle Nazioni Unite, dovremo valutare la nostra posizione», ha dichiarato al Financial Times il portavoce del Foreign Office e del Commonwealth.

Il popolo congolese auspicherebbe che l’incriminazione di Paul Kagame potesse essere l’occasione per arrivare alla condanna dei veri mandatari della tragedia del suo Paese. La condanna dovrebbe essere accompagnata anche da una procedura di riparazione, non solo nei confronti delle numerose vittime, ma anche del medio ambiente che è stato distrutto a causa degli scontri armati.

Il 27 luglio, anche il Regno Unito ha deciso di bloccare a sua volta una parte dei suoi aiuti al Ruanda e ha annunciato il rinvio di un aiuto di 25 milioni di dollari, nell’attesa di verificare se ci sono le condizioni per effettuare il versamento previsto.

I Paesi scandinavi hanno chiesto al consiglio di amministrazione della Banca africana per lo sviluppo di rinviare la decisione di pagamento di 39 milioni di dollari previsti come aiuto destinato al Governo ruandese.

Il 28 luglio, il Ministro tedesco per lo Sviluppo, Dirk Niebel, ha dichiarato che Berlino ha sospeso l’erogazione di 21 milioni di euro (26 milioni di dollari), previsti come contributo della Germania al governo ruandese, nel periodo 2012-2015. In un comunicato, il ministro tedesco dello Sviluppo, ha affermato di aspettarsi una “piena collaborazione” del Ruanda con gli esperti delle Nazioni Unite.

4. A PROPOSITO DELLA “FORZA INTERNAZIONALE NEUTRALE”

Il 19 luglio, a proposito del dispiegamento di una forza internazionale neutrale per neutralizzare il M23, le FDLR e gli altri gruppi armati attivi nell’Est della RDCongo e per monitorare la frontiera con il Ruanda, il ministro congolese degli Affari Esteri, Raymond Tshibanda, ha dichiarato che è necessario istituire questa forza il più rapidamente possibile.

«Questa forza internazionale neutrale è una via che potrebbe portare a una soluzione definitiva e duratura. Si tratta di una forza internazionale aperta a tutto il continente africano e al mondo. Non è una forza regionale. La RDCongo e il Ruanda non vi parteciperanno», ha aggiunto. «Se si avverasse che per accelerare i tempi, si dovesse ricorrere alla MONUSCO, già presente sul posto, saremmo pronti a manifestare il nostro accordo, (…) a condizione che il mandato (della Monusco ) sia rivisto», ha affermato. «È necessario che le regole d’ingaggio della MONUSCO (…) possano permettere di dare alla forza la reattività necessaria per far fronte alla minaccia come si presenta oggi (…). È necessario disporre di truppe che corrispondano alle dimensioni attuali della minaccia (…), al compito specifico assegnato a questa forza neutrale, da cui saranno esclusi militari congolesi e ruandesi», ha ribadito il ministro.

La missione delle Nazioni Unite potrebbe quindi essere trasformata in una forza di intervento e di imposizione della pace o, se non fosse possibile, dovrebbe almeno assumere il comando di questa forza internazionale neutrale proposta dai capi di Stato al vertice di Addis Abeba. Secondo il ministro Tshibanda, potrebbe trattarsi di un meccanismo speciale all’interno della MONUSCO, una sottocomponente, ma qualcosa di autonomo, incaricato di questa duplice missione di neutralizzare i gruppi armati nella parte orientale della RDCongo e di monitorare e proteggere la frontiera con il Ruanda.

Il ministro ha anche rivelato che «i meccanismi bilaterali (RDCongo – Ruanda) impegnati nella lotta contro l’insicurezza nella parte orientale della RDCongo, hanno dimostrato i loro limiti». Egli ha poi aggiunto che «il centro congiunto di scambio delle informazioni è già in funzione, ma è necessario rafforzare il meccanismo congiunto di verifica che sarà ampliato anche ad altri stati, come il Kenya e l’Egitto».Un nuovo vertice della CIRGL è già convocato per il 6 e il 7 agosto, a Kampala, per definire la composizione e le modalità di dispiegamento di questa forza.

Il 25 luglio, gli eurodeputati liberali Guy Verhofstadt e Louis Michel hanno chiesto un rafforzamento del mandato della MONUSCO. In un comunicato, i due ex ministri hanno chiesto “l’immediata costituzione di una forza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite e con un mandato forte, basato sul Capitolo VII”. Questa forza internazionale dovrebbe essere costituita sulla base della MONUSCO (Missione dell’Unu nella RDCongo) già presente nella regione. Basterebbe affidarle un mandato più ampio. Secondo Michel, co-presidente dell’Assemblea parlamentare paritaria dell’Africa, Caraibi, Pacifico e Unione Europea, l’attuale mandato della missione è insufficiente. “Si deve porre fine ai gruppi armati che operano nella regione. È quindi necessario un mandato che non sia solo mantenimento della pace, ma che permetta alla MONUSCO di procedere al disarmo dei gruppi ribelli o di reagire in maniera adeguata, a sostegno delle forze armate congolesi”, ha dichiarato.

5. RUANDA E M23: STESSO PROGETTO DI BALCANIZZAZIONE DELLA R.D.CONGO

Il 13 luglio, sulla rivista Jeune Afrique, Albert Rudatsimburwa, direttore generale della radio ruandese Contact FM, ha scritto: «I ribelli congolesi non hanno bisogno del Ruanda per sconfiggere le forze armate congolesi. L’accusa contro il Ruanda è un pretesto e tutti lo sanno. Gli ammutinati del M23 difendono una causa legittima, nonostante le affermazioni dell’inviato speciale degli Stati Uniti nella RDCongo, degli “esperti” delle Nazioni Unite e di altri ancora. Se non si prendono in considerazione le cause profonde e se le autorità di Kinshasa non le affrontano seriamente, non faranno che precipitare il crollo di Kabila. Qualsiasi soluzione militare è un suicidio. Una soluzione politica alla crisi è l’unica alternativa che vale la pena. Se Kabila non capisce che la sicurezza di tutte le comunità, compresa quella ruandofona, dovrebbe essere garantita con priorità e che le FDLR devono essere considerate come una minaccia per le popolazioni dell’Est della RDCongo, a lungo andare, Kinshasa perderà il Kivu e probabilmente di più. Il presidente Kabila sta combattendo contro la sua ombra, si spara sui piedi e crea le condizioni per il proprio crollo. E niente e nessuno potrà rimettere insieme i cocci».

Il 18 luglio, Richard Sezibera, ruandese e Segretario Generale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) , rispondendo a una domanda di Jeune Afrique sugli obiettivi dell’organizzazione, ha risposto: «In primo luogo, abbiamo un progetto preciso e chiaro d’unione politica, vogliamo diventare una federazione. Abbiamo già previsto di costituire un’unione contemporaneamente politica, fiscale e monetaria. Un’integrazione parziale in genere funziona male: se ci si limita ad un mercato comune, nessuno sente la necessità di investire… inoltre, le autorità dei nostri Paesi hanno la visione di un vero sviluppo… infine, hanno fatto fiducia nel settore privato. L’EAC è il catalizzatore di tutto questo. Prendiamo insieme la maggior parte delle decisioni più importanti, in particolare nei settori dell’energia, delle infrastrutture e del clima degli affari. La Comunità ha così contribuito a incrementare un commercio intra-regionale. Le esportazioni verso altri membri è aumentato dal 7,5% del 2005 al 23% dell’anno scorso, il tasso più alto in Africa. E gli scambi si concentrano su settori di alto valore, quali i servizi e l’industria».

Rispondendo ad un’altra domanda di Jeune Afrique, su eventuali richieste di nuove adesioni a quest’organizzazione, dopo aver confermato la candidatura del Sud Sudan e della Somalia, dice: «Anche alcuni responsabili dell’Est della RDCongo hanno manifestato il loro interesse, ma non vi è stata alcuna reale discussione o formale richiesta». Eppure si sa bene che gli interlocutori ufficiali di qualsiasi organizzazione regionale o sotto regionale non possono che essere che le autorità statali a livello nazionale. Quindi la RDCongo ha un motivo più che sufficiente per preoccuparsi se l’EAC abbia ascoltato “alcuni responsabili dell’Est”, a tal punto da parlarne nei mass media, sia pure attraverso un’intervista.

Alla domanda: “A proposito di nuovi gruppi ribelli, la RDCongo ha accusato il Ruanda di appoggiarne uno”, Sezibera dà questa risposta: «Entrambi i paesi continuano a discutere. Ma se la comunità internazionale non cambia strategia nella RDCongo, non può aspettarsi di ottenere risultati diversi. I problemi fondamentali della RDCongo sono noti: le questioni della governance, le relazioni tra i diversi gruppi etnici e la presenza delle FDLR, che, oltre alle loro capacità militari, diffondono odio e divisioni etniche in una regione già fragile. Quando a questo si aggiunge l’incapacità del governo di gestire equamente le sue risorse, non c’è da sorprendersi se le difficoltà continuano».

Secondo Sezibera quindi, la soluzione alla crisi nella parte orientale della RDCongo si trova a livello regionale, quando afferma che, quando si coinvolgono gli africani per risolvere i problemi degli Africani, i risultati sono certamente migliori. Le dichiarazioni di Richard Sezibera non sono da prendere alla leggera, soprattutto se si prende in considerazione la sua lettura delle “cause” della crisi all’Est del Paese. Egli le situa a livello della governance in generale, della gestione delle risorse naturali della RDCongo, dei problemi etnici e della presenza delle FDLR.

In breve, in questa lettura della situazione, presentata da un capo di un’organizzazione che si presuppone internazionale, sembra di udire la voce stessa del Ruanda che, ovviamente, la sta strumentalizzando per propri interessi.

Il 21 luglio, nel corso di una conferenza stampa a Bunagana, Jean-Marie Lugerero Runiga, che si presenta come coordinatore del “Movimento del 23 marzo” (M23) ha, come il presidente ruandese Paul Kagame e la Ministro ruandese degli Affari Esteri, Louise Mushikiwabo, ribadito che la guerra del Kivu è un problema prettamente congolese.

Circa l’eventuale dispiegamento di una “forza internazionale neutrale” al confine congolo-ruandese, ha affermato che questo nuovo accordo non risolverà nulla. Come per esonerare il Ruanda di Paul Kagame circa l’instabilità del Kivu, Runiga rammarica il fatto che il regime di Kinshasa abbia accettato di “parlare con i paesi vicini, ignorando i veri interlocutori locali”. Ha poi aggiunto: “Ricorrere all’appoggio di truppe straniere per risolvere una crisi interna sarà sempre un’azione limitata nel tempo e nello spazio”. In questa ipotesi, Runiga non esclude che lui e i suoi “amici” facciano ricorso a “strategie alternative” per costringere le autorità di Kinshasa a rispettare gli “impegni” assunti nell’accordo di pace del 23 marzo 2009, tra il Governo di Joseph Kabila e il CNDP.

Nel suo discorso, Runiga ha elencato le solite critiche contro il regime incarnato da “Joseph Kabila”. Un regime, d’altra parte respinto all’unanimità dalla popolazione. Egli cita: la cattiva gestione degli affari militari, il malgoverno, la corruzione e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Paese. Mal governato per 52 anni da regimi corrotti, la situazione è peggiorata, secondo lui, con l’organizzazione nel 2006 e nel 2011 di elezioni non libere, antidemocratiche e non trasparenti. Egli ha menzionato la svendita delle risorse naturali nazionali, attraverso contratti che favoriscono il loro sfruttamento e la loro commercializzazione a prezzi bassi a favore di “avvoltoi” interni ed esterni. Ha accennato al sospetto che pesa su “membri del clan presidenziale” per avere negoziato la vendita di uranio all’Iran o alla Corea del Nord. Ha pure sottolineato che, “invece di occuparsi degli affari del paese, l’attuale regime si dedica alla distruzione fisica dell’opposizione politica interna, per potere rimanere al potere”.

Secondo lui, la RDCongo, nella sua attuale configurazione – vale a dire 4 volte più grande della Francia, 80 volte più esteso del Belgio e 90 volte più vasto del Ruanda – è come un “non-stato”. Jean-Marie Lugerero ha, inoltre, sostenuto che “la classe politica e la classe dirigente congolese non sono in grado di gestire correttamente ed efficacemente la RDCongo nella sua attuale configurazione, soprattutto a causa della vastità del paese e di un governo eccessivamente centralizzato, dove le persone non sono mai consultate sulle scelte politiche fatte in suo nome”.

Ha, infine, concluso dicendo che “Bisogna avere il coraggio di innovare radicalmente e profondamente”. Già, innovare. Ma come? Questa è la questione. Runiga non ha voluto dire troppo esplicitamente che il destino di un paese dalle dimensioni continentali è quello di essere diviso in piccoli stati. Ma attraverso la sua insistenza sulla non viabilità della RDCongo nelle sue dimensioni attuali, ci si rende conto che il M23 ha decisamente accettato la logica della balcanizzazione della RDCongo, in conformità con la missione assegnatagli dal suo mandante, l’uomo forte di Kigali. Leggendo tra le righe della dichiarazione di Runiga, il M23 sembra rimettere all’ordine del giorno l’idea difesa da Walter Kansteiner, Vice Segretario di Stato americano per gli affari africani nei primi anni ’90, che si era dichiarato a favore di una “yugoslavizzazione” dell’ex Zaire, con il fallace pretesto che il Paese era ingovernabile a causa della sua immensità.

Runiga ha certamente dimenticato che l’attuale crisi nel Nord Kivu non sarebbe avvenuta

– se non ci fosse stata la decisione del Tribunale Penale Internazionale di fare arrestare Bosco Ntaganda,

– se il governo non avesse deciso, nel mese di aprile 2012, di procedere al trasferimento delle truppe del CNDP in altre circoscrizioni militari fuori del Kivu,

– se “Joseph Kabila” avesse affidato l’incarico di primo ministro a una nota personalità del RCD o se avesse nominato qualcuno del CNDP a qualche ministero in seno al governo centrale,

– se le elezioni nel Masisi non fossero state annullate, proprio a causa della violenza perpetrata da militari del CNDP nei pressi o all’interno dei seggi elettorali e il CNDP avesse così ottenuto qualche deputato nazionale.

Runiga non rivela i termini dei possibili “accordi” presi con la Maggioranza Presidenziale (MP), quando vi aderì nel mese di dicembre 2010. Invece di parlare degli accordi del 23 marzo 2009, in gran parte (troppo) rispettati dal governo, Runiga dovrebbe piuttosto parlare di quegli “accordi del 13 dicembre 2010. Sarebbe certamente più onesto. Dovrebbe pure parlare di ciò che Bosco Ntaganda e Joseph Kabila si sono detti alla vigilia delle elezioni di novembre 2011.

L’attuale crisi del Nord Kivu ha certamente qualcosa di mafioso.

Jean-Marie Lugerero Runiga dimentica che la balcanizzazione della RDCongo non è certamente la risposta che milioni di donne e uomini congolesi attendono per realizzare le loro aspirazioni di pace, democrazia, buon governo e di benessere sociale.

I veri patrioti continueranno ad esprimere con forza la loro volontà di vivere insieme in un Congo unito, nonostante le sue debolezze di ogni genere. Essi si mobiliteranno contro l’aggressore attraverso vari eventi: preghiere, marce, dibattiti politici, raccolte di fondi e messaggi di solidarietà con gli sfollati, ecc.

Secondo Alain Bischoff, mediante l’integrazione nell’esercito nazionale congolese degli ex-CNDP, gruppo armato al servizio del Ruanda, l’accordo del 23 marzo 2009 ha dato loro il controllo del Kivu, delle sue miniere e dell’esercito stesso. Dopo la “la rielezione” contestata di Kabila e senza prima assicurarsi di averne tutti i mezzi necessari, il governo congolese ha cercato di instaurare una parvenza di controllo sul Kivu. Ha tentato, infatti, di spostare in altre regioni militari del Paese alcuni ufficiali del CNDP che, integrati nelle forze armate congolesi (FARDC), avevano sempre occupato posti di comando nel Kivu. Questo tentativo di Kinshasa è stato malvisto da Kagame, presidente del Ruanda, cha ha ancora l’idea di mettere le mani sul Kivu che considera come sua riserva di profitto e di territorio, in confronto ai soli 20 000 km ² del suo territorio, in più sprovvisto di risorse naturali. Senza il Kivu e le sue risorse, il Ruanda non è uno stato viabile e non ha alcun futuro se non quello di diventare, un giorno, una provincia congolese.

Il 30 aprile 2012, il Ruanda ha così creato la ribellione nota come “M23” (23 ricorda l’accordo del 23 marzo 2009), l’ha addestrata, inquadrata, finanziata e armata, come afferma da un rapporto delle Nazioni Unite (giugno 2012). In tal modo, il Ruanda ha ravvivato una guerra che, di fatto, non era mai cessata da quando era iniziata nel 1996. Le centinaia di migliaia di sfollati del Kivu e gli abitanti dei villaggi non hanno mai conosciuto altro che la paura, la miseria e la morte. Più di chiunque altro, sanno che, nella loro provincia, la pace non esiste.

Nel Kivu, lo Stato congolese è inesistente e le forze armate sono corrotte e disorganizzate. Questo spiega perché il “M23” (700 uomini inizialmente e 2000 attualmente, grazie all’appoggio del Ruanda), sotto il comando, per ordine di Kigali, di Sultani Makenga, che ha sostituito Ntaganda, ricercato dal TPI e diventato troppo compromettente anche per il Ruanda – può così facilmente prendere il controllo di un importante posto di frontiera (quello di Bunagana, il 7 e 8 luglio), della città di Rutshuru (a nord di Goma), e minacciare di entrare a Goma, capoluogo della Provincia.

Tuttavia, probabilmente il Ruanda non darà al “M23” l’ordine di prendere Goma, perché non vuole una guerra di cui la “comunità internazionale”, finora molto silenziosa, lo riterrebbe responsabile e il cui effetto sarebbe quello di privare la piccola Prussica dei Grandi Laghi Africani della manna finanziaria che quella stessa comunità internazionale ancora gli concede con una generosità colpevole, sin dall’arrivo di Kagame al potere.

Ciò che il Ruanda vuole, e finirà per ottenere – non ha sempre ottenuto ciò che voleva dalle autorità di Kinshasa? – è un po’ più di controllo sul Kivu, fino a che diventerà, poco a poco, totale e irreversibile. Per quanto riguarda il governo congolese, è del tutto incapace di condurre una guerra che, in verità, nemmeno lui vuole, essendo più interessato a trarre profitti personali dal settore minerario e petrolifero della Provincia. Probabilmente, il problema congiunturale del “M23” sarà finalmente risolto a costo di ulteriori rinunce a favore del Ruanda.

Lavarsi le mani sul problema del “M23”, pensando di affidarne la soluzione al dispiegamento di una forza internazionale, è un errore. È un altro modo per “neutralizzare” il Kivu, internazionalizzandone la problematica e potrebbe dare l’impressione che, sotto gli occhi di tutti, la RDCongo stia abbandonando ogni idea di sovranità sulla provincia.

L’unica soluzione, da tempo conosciuta, è molto diversa. Spetta al governo congolese chiedere immediatamente agli organismi internazionali di intervenire, non mandando un’altra forza internazionale, la cui inefficienza potrebbe aggiungersi a quella della MONUSCO, ma rivolgendosi direttamente al Ruanda, perché tutto viene dal Ruanda: il “M23” è di sua creazione, l’instabilità cronica del Kivu è ancora opera sua. Il Ruanda deve essere obbligato, una volta per tutte, a cambiare la sua politica nei confronti della Regione dei Grandi Laghi in generale e della RDCongo in particolare. È l’unica condizione per ristabilire la pace.